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TAR Piemonte - Sentenza n. 1098/2022 [Enti locali]
Consultazioni elettorali - rimborso delle spese sostenute dai Comuni - bilanciamento tra esigenze di contenimento della spesa pubblica e diritto al rimborso nei limiti stabiliti dalla legge - rispetto delle garanzie partecipative

In caso di svolgimento di consultazioni elettorali (nella fattispecie, di un referendum costituzionale), la determinazione del budget di ciascun comune deve precedere lo svolgimento delle elezioni, perché solo in tal modo può consentirsi all'ente locale di adottare i sistemi virtuosi di razionalizzazione dei servizi prescritti dall'art. 55, co. 8, l. 449/1997 al fine di allineare le spese con l'importo finanziato dallo Stato. Una determinazione postuma dell'ammontare massimo del rimborso viola, inoltre, il principio di autonomia finanziaria degli enti locali (art. 119, co. 1, cost.), perché, in caso di superamento del tetto di spesa, questi si vedrebbero costretti a finanziarie con le proprie risorse funzioni amministrative che sono state loro delegate dallo Stato.

Va considerato, infatti, che l'interesse al rimborso integrale per l'esercizio da parte dei comuni di funzioni a loro delegate dall'amministrazione centrale in occasione dello svolgimento delle elezioni politiche e dei referendum, sulla base degli articoli 119, co.4, e 118, co. 2, Cost., deve essere contemperato con la necessità di contenere le spese complessive e con il coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli artt. 81, 97, co. 1, 117, co. 3, e 119, co. 2, Cost..

Proprio a quest'ultimo fine soccorre lo stanziamento preventivo del budget massimo spettante ai comuni, attraverso apposito decreto ministeriale a norma dell'art. 17, co. 9, l. 136/1976. Tale budget non vale per le spese relative al trattamento economico dei componenti dei seggi, ove comunque l'esigenza di contenimento della spesa pubblica è assicurata dalla predefinizione normativa dei compensi.

Del pari, la partecipazione al procedimento amministrativo (artt. 7 ss. l. 241/1990), che configura un principio di carattere generale dell'ordinamento, deve essere assicurata anche ai fini della determinazione delle spese finanziabili a ciascun comune per lo svolgimento delle elezioni politiche e dei referendum, costituendo la camera di compensazione delle contrapposte esigenze statali e comunali.

A cura dell'Area Processo Legislativo e Assistenza Giuridica

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Consiglio di Stato - Sentenza n. 10089/2022 [Processo amministrativo]
Giudicato amministrativo - efficacia inter partes - eccezioni - limiti

In assenza di una diversa disciplina specifica dettata per il processo amministrativo, anche al giudicato amministrativo si applica il principio generale secondo cui il giudicato opera solo inter partes.

In via giurisprudenziale, però, sono stati individuati casi eccezionali in cui l'estensione del giudicato si giustifica per la particolare natura dell'atto o per la presenza di un legame inscindibile fra i destinatari. Precisamente, secondo le sentenze dell'Adunanza Plenaria nn. 4 e 5 del 2019, l'estensione può essere invocata in caso di annullamento:di un regolamento; di un atto plurimo inscindibile; di un atto plurimo scindibile, se il ricorso viene accolto per un vizio comune alla posizione di tutti i destinatari; di un atto che provvede unitariamente nei confronti di un complesso di soggetti.
In tutte queste ipotesi, la natura dell'atto, valutata singolarmente o in rapporto al vizio accertato, è tale da determinare la giuridica impossibilità che l'atto stesso "possa non esistere più per taluno e continuare ad esistere per altri".

Va comunque precisato che l'eccezione al principio dell'efficacia inter partes del giudicato si giustifica in ragione dell'inscindibilità dell'annullamento sicché l'estensione riguarda solo l'effetto caducatorio e non concerne, invece, gli obblighi ordinatori e conformativi, rispetto ai quali torna ad espandersi la regola generale fissata dall'art. 2909 c.c..

 

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Tar Campania - Napoli - Sentenza n. 7003/2022 [Procedimento Amministrativo]
Ricorso all'utilizzo di algoritmi informatici ai fini dell'adozione del provvedimento finale - ammissibilità e limiti - garanzia delle tutele previste dalla legge n. 241/1990 - necessità

Il ricorso alla funzione algoritmica all'interno del procedimento amministrativo non è vietato di per sé, neppure in relazione ai procedimenti caratterizzati da discrezionalità ,anche tecnica, a condizione che si rispettino determinati requisiti, derivanti sia dai principi di diritto interno che dalle norme del diritto europeo (cfr. Cons. Stato, sez.VI, sentt. 881/2020 e 1206/2021).

Precisamente, il ricorso all'algoritmo nell'ambito del procedimento amministrativo non può mai comportare un abbassamento del livello delle tutele garantite dalla legge n. 241/1990), ed in particolare di quelle sulla individuazione del responsabile del procedimento, sull'obbligo di motivazione, sulle garanzie partecipative, e sulla cd. non esclusività della decisione algoritmica.

Tra le suddette garanzie assume primaria importanza il rispetto del principio di trasparenza, che trova un immediato corollario nell'obbligo di motivazione degli atti amministrativi ex art. 3 l. 241/90, il quale, a sua volta - in caso di ricorso a formule algoritmiche nell'iter procedimentale - si declina anche nella conoscibilità e nella comprensibilità del meccanismo algoritmico utilizzato. Ciò al fine di consentire, da un lato, il pieno esercizio del diritto di difesa da parte del soggetto inciso dal provvedimento, ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost., dall'altro, il pieno sindacato di legittimità da parte del giudice amministrativo.

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Consiglio di Stato - Sentenza n. 9138/2022 [Appalti pubblici]
Procedura di affidamento in concessione - operatore economico che non ha presentato domanda di partecipazione - legittimazione a contestare il bando di gara - sussiste - clausole immediatamente escludenti - casistica

Deve riconoscersi la sussistenza dell'interesse a ricorrere e della legittimazione dell'operatore economico che contesti le previsioni di un avviso pubblico pur non avendo partecipato alla relativa procedura, quando le clausole impugnate rientrino nel novero di quelle c.d. immediatamente escludenti, in quanto abbiano comportato per il ricorrente l'impossibilità, o comunque l'estrema difficoltà di formulare, un'offerta seria e ponderata.

In particolare, secondo orientamenti giurisprudenziali consolidati, l'ambito di immediata impugnabilità di un bando di gara non è circoscritto alle sole sue clausole stricto sensu escludenti, ma ricomprende anche altre evenienze particolari, tra le quali quella in cui la lex specialis del caso concreto non sia tale da consentire la formulazione di una seria e ponderata offerta ovvero qualora si sia in presenza di disposizioni abnormi o illogiche che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica del partecipante alla gara.

Per altro verso, occorre considerare che l'onere di immediata impugnativa delle prescrizioni di gara in evenienze della specie può rappresentare un rimedio quanto mai efficace per evitare che un operatore economico partecipi alla gara in via "esplorativa", se non addirittura opportunistica, ossia con la riserva mentale di impugnarne gli esiti, laddove sfavorevoli, denunciando proprio la vaghezza delle regole circa gli elementi strutturali ed i contenuti dell'offerta.

 

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Consiglio di Stato - Sentenza n. 8938/2022 [Processo amministrativo]
Improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse - accertamento dell'illegittimità dell'atto a soli fini risarcitori - dichiarazione del ricorrente - necessità

Qualora nel corso del giudizio sopravvenga un assetto di interessi ostativo alla realizzazione dell'interesse sostanziale sotteso al ricorso, l'unico interesse deducibile dal ricorrente al fine di evitare una pronuncia di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse è quello di natura risarcitoria, come previsto dall'art. 34, comma 3, c.p.a..

Infatti, da un lato, la manifestazione dell'interesse risarcitorio ai fini dell'eventuale azione di risarcimento del danno dell'atto originariamente impugnato consente al privato di ricavare dal giudizio di impugnazione un'utilità residua, ostativa a una pronuncia di "mero" rito, in previsione di una futura azione risarcitoria da far valere in separato giudizio; dall'altro, nell'accertamento ex art. 34, comma 3, c.p.a., è rinvenibile una funzione deflattiva, rispondente all'esigenza di conoscere in anticipo la fondatezza del presupposto principale dell'eventuale futura domanda di risarcimento dei danni, ovverosia l'illegittimità dell'atto.

In tal caso, la dichiarazione di interesse del ricorrente è condizione necessaria, ma nello stesso tempo sufficiente, perchè sorga l'obbligo per il giudice di accertare l'illegittimità dell'atto impugnato, dichiarazione da rendersi nelle forme e nei termini previsti dall'art. 73 c.p.a., a garanzia del contraddittorio nei confronti delle altre parti del giudizio.

 

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Consiglio di Stato - Sentenza n. 8410/2022 [Risarcimento del danno]
Annullamento del provvedimento amministrativo per difetto di motivazione - domanda di risarcimento del danno - presupposti - verifica della spettanza del bene della vita - onere di allegazione a carico del ricorrente

L'annullamento giurisdizionale del provvedimento amministrativo per difetto di motivazione non reca di per sé alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento caducato e non può, pertanto, costituire il presupposto per l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno. Infatti, il risarcimento per equivalente monetario va escluso quando l'interesse legittimo leso abbia ricevuto tutela idonea con l'accoglimento dell'azione di annullamento, il che si verifica quando il danno sia stato determinato da una illegittimità soltanto formale, da cui non derivi un accertamento di fondatezza della pretesa del privato, ma un vincolo per l'amministrazione a rideterminarsi, senza esaurimento della discrezionalità ad essa spettante.

Invero, occorre considerare che il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la dimostrazione - tra gli altri requisiti dell'illecito - che con elevata probabilità, secondo un giudizio prognostico, il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell'agire illegittimo della pubblica amministrazione.

Da ciò consegue la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto o al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l'equivalente economico.

Nella fattispecie, inoltre, va altresì rilevato che, per costante giurisprudenza, le decisioni di pianificazione urbanistica appartengono alla sfera degli apprezzamenti di merito dell'Amministrazione e sono sindacabili soltanto quando si pongono in contrasto con il principio di ragionevolezza.

 

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Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana - Sentenza n. 949/2022 [Processo amministrativo]
Rito elettorale ex art.129 c.p.a. previsto per gli atti del c.d. procedimento elettorale preparatorio - soggetto competente all'autenticazione del mandato alla presentazione della lista elettorale - questione di legittimità costituzionale - incompatibilità

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l'incidente di costituzionalità è logicamente incompatibile con il rito di cui all'art. 129 c.p.a., da applicare per l'impugnazione dei provvedimenti di esclusione di liste o candidati dalla competizione elettorale. Ciò non solo per la celerità che contraddistingue il rito in questione, ma anche per l'oggetto proprio del giudizio, circoscritto ai provvedimenti di esclusione e non estensibile alla proclamazione degli eletti.

Invero, nessun vantaggio potrebbe conseguire alla parte ricorrente dall'accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata, sia perchè è precluso al g.a. sospendere interinalmente il provvedimento di esclusione solo in ragione della sospetta incostituzionalità della legge su cui lo stesso si fonda; sia perchè, anche in caso di accoglimento della suddetta questione, il giudizio pendente non potrebbe essere esteso alla proclamazione degli eletti nel frattempo intervenuta, nè il ricorrente potrebbe ugualmente ottenere il risarcimento del danno subito dalla mancata partecipazione alle elezioni, non essendo rinvenibile nella fattispecie alcuna colpa in capo all'Amministrazione, limitatasi ad applicare la legge temporalmente vigente.

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TAR - Lazio - Sentenza n. 11143/2022 [Atti amministrativi]
Revoca Assessore comunale - natura - atto di alta amministrazione - conseguente obbligo di motivazione e sindacato del G.A. - caratteristiche

Secondo consolidata giurisprudenza, l'atto di revoca dell'assessore comunale è un atto di alta amministrazione e non un atto politico, con suo conseguente assoggettamento al sindacato del Giudice amministrativo e all'obbligo di motivazione.

Esso, tuttavia, rientra nella piena scelta discrezionale del Sindaco e si caratterizza per il rapporto di fiducia tra il Sindaco medesimo e le persone degli assessori, con la conseguenza che il Giudice amministrativo non può spingersi oltre un controllo estrinseco e formale, né può tanto meno sindacare le ragioni di opportunità politico-amministrativa poste alla sua base.

Con specifico riguardo all'obbligo di motivazione dell'atto di revoca, va condiviso l'orientamento in base al quale la compromissione del rapporto fiduciario Sindaco-Assessore può sì giustificare la revoca dell'incarico assessorile, purchè sia accompagnata da un'indicazione - anche soltanto generica - dei fatti o delle "ragioni afferenti ai rapporti politici all'interno della maggioranza consiliare" che hanno eziologicamente leso il vincolo di fiducia.

Ciò al fine di soddisfare quel minimum motivazionale che è pur sempre richiesto anche per gli atti di alta amministrazione, nonché al fine di impedire che la lesione del vincolo fiduciario si trasformi in una vuota formula di stile suscettibile di utilizzi elusivi e discriminatori.

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TAR - Lazio - Sentenza n. 11036/2022 [Pubblico impiego]
Incarichi dirigenziali - procedura di conferimento tramite interpello - giurisdizione del giudice ordinario

Secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario con riguardo alle procedure di conferimento di incarichi dirigenziali effettuate tramite interpello, posto che in tali ipotesi non si procede ad una selezione comparativa di candidati svolta sulla base dei titoli o prove finalizzate a saggiarne il grado di preparazione e capacità, bensí ad accertare tra coloro che hanno presentato domanda quale sia il profilo professionale maggiormente rispondente alle esigenze di copertura dall'esterno dell'incarico dirigenziale.

 

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TAR - Lazio - Sentenza n. 10434/2022 [Organi della Regione]
Difensore civico della Regione - procedimento amministrativo e successivo atto di nomina - natura

La nomina del difensore civico regionale è un atto di alta amministrazione a carattere fiduciario.

In ragione della particolare natura del provvedimento di nomina del difensore civico, il relativo procedimento non può essere in alcun modo equiparato a una procedura concorsuale, o comunque a una procedura selettiva esente da valutazioni di carattere fiduciario.

Precisamente, si è affermato che l'atto di nomina del difensore civico è espressione della fiducia dell'assemblea consiliare e che, proprio in considerazione di ciò, lo stesso non deve essere motivato se non attraverso la regolare manifestazione del voto. In tal caso, infatti, il possesso di determinati requisiti tecnici assume rilevanza solo al fine di comprovare l'idoneità a ricoprire l'incarico, ma non costituisce criterio selettivo fra più aspiranti ai quali detta idoneità sia stata riconosciuta, atteso che la scelta fra di essi è affidata a una preferenza da parte dell'organo consiliare di tipo elettivo ed è espressa a voto segreto che, in quanto tale, non richiede alcuna motivazione.

 

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