Pubblicato il 20/10/2022
N. 08938/2022REG.PROV.COLL.
N. 06550/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6550 del 2017, proposto da
-OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati xxxx xxxx e xxxx xxxxx, con domicilio eletto presso lo studio xxxx xxxxx in Roma, via xxxxxxxxxxxx, ...;
contro
-OMISSIS- , in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati xxxx xxxxx e xxxxx xxxxx, con domicilio eletto presso gli uffici della propria avvocatura, in Roma, via xxxxxxxxx ...;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda ter) n. 1743/2017, resa tra le parti relativa al ricorso proposto per l'annullamento della Determinazione Dirigenziale di revoca n. 1133 del 22.04.1999, notificata il 6.10.99, con la quale il Dirigente dell'U.O.A. della I° Circoscrizione ha revocato l'autorizzazione amministrativa per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande di cui alle lettere A-B-C art. 5 L. 287/91, che si era concretizzata per i locali di Via xxxxxxx n. ... in virtù del silenzio assenso; di tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali ancorché non conosciuti

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 20 settembre 2022 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati xxxxxx e xxxx in collegamento da remoto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO
1. Con atto notificato in data 25 luglio 2017 e depositato il successivo 19 settembre, -OMISSIS- s.r.l. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo per il Lazio, sezione seconda ter, 2 febbraio 2017, n. 1743, che aveva rigettato il ricorso dalla stessa proposto avverso la determinazione dirigenziale n. 1133 del 22 aprile 1999 con la quale il dirigente della U.O.A. della 1ª Circoscrizione del Comune di -OMISSIS- le aveva revocato l'autorizzazione alla somministrazione al pubblico di alimenti e bevande lett. A) - B) - C), art. 5 della L. n. 287 del 1991.
1.1. Dagli atti di causa emerge, in sintesi, quanto di seguito indicato.
1.2. Con istanza del 4 luglio 1998, -OMISSIS- aveva chiesto al Comune di -OMISSIS- il rilascio delle autorizzazioni alla somministrazione di alimenti e bevande, ai sensi delle lett. A) - B) - C) dell'art. 5 della L. n. 287 del 1991, a valere per il locale sito in Roma, via xxxxxx n. ...
1.3. In data 11 settembre 1998 l'Amministrazione comunale adottava formale provvedimento di diniego, a fronte del parere negativo al rilascio del titolo espresso il giorno precedente dalla Commissione Commercio.
1.4. Avverso tali atti -OMISSIS- proponeva ricorso innanzi al Tar Lazio, che tuttavia rigettava l'istanza cautelare con ordinanza n. 46/1999. Il relativo ricorso n.r.g. 16080/98, non più coltivato dalla ricorrente, veniva successivamente dichiarato perento con decreto n. 24539/2013.
1.5. Successivamente, l'Amministrazione capitolina con la sopra menzionata determinazione n. 1133/99, preso atto dei rapporti di Polizia locale con i quali era stato accertato che nei locali siti in largo del xxxxx n. ... "non è mai stata esercitata alcuna attività di somministrazione né rilasciata autorizzazione sanitaria", rigettava l'istanza, avanzata dalla -OMISSIS- in data 14 settembre 1998, volta ad ottenere la concretizzazione del silenzio assenso, contestualmente disponendo la revoca dell'autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande in virtù dell'art. art. 4 della legge 287 del 1991.
1.6. Avverso tale provvedimento l'odierna appellante proponeva ricorso al Tar denunciando: violazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990, violazione del DPR n. 407 del 1994, eccesso di potere, violazione della legge n. 287 del 1991.
2. Il Tar Lazio, con la sentenza odiernamente gravata, dichiarava il ricorso infondato in quanto:
i) il silenzio assenso sull'istanza non si sarebbe formato a fronte del formale provvedimento di diniego adottato e notificato dall'amministrazione prima dello spirare del sessantesimo giorno dalla presentazione della domanda;
ii) anche a volere accedere all'interpretazione patrocinata dalla ricorrente secondo cui il dirigente nel provvedimento impugnato avrebbe dato per formato il titolo mediante silenzio assenso, la mancata attivazione dell'esercizio nel termine di 180 giorni, ai sensi dell'art. 4 della l. n. 287 del 1991, legittimava la decisione assunta con il provvedimento di revoca impugnato;
iii) quanto alla denunciata violazione dell'art. 7 l. 241 del '90, nessuna comunicazione partecipativa si rendeva necessaria, tenuto conto che il procedimento conclusosi con l'impugnata determinazione era stato avviato ad istanza di parte.
3. Avverso la sentenza di prime cure, -OMISSIS- propone appello, articolato in due motivi di ricorso. In particolare, secondo l'appellante:
I) il Tar avrebbe travisato i fatti, in quanto l'istanza non sarebbe stata presenta il 5 agosto, come ritenuto dal collegio, bensì il 5 luglio. La sentenza sarebbe inoltre affetta da vizio di ultrapetizione in quanto la formazione del silenzio assenso sarebbe incontestata tra le parti, come dimostra il fatto che il provvedimento impugnato abbia come oggetto la "revoca del silenzio assenso formatosi";
II) la sentenza di prime cure sarebbe errata laddove aveva ritenuto che la ricorrente avrebbe comunque dovuto attivare l'attività entro 180 giorni dalla formazione del titolo, in quanto l'avvenuta formazione dello stesso era all'epoca controversa in considerazione della precedente notifica del provvedimento di diniego. In ogni caso, il TAR avrebbe errato nel ritenere che il termine decadenziale di 180 giorni ricorra anche in caso di ottenimento dell'autorizzazione per silenzio assenso, in quanto la disciplina allora vigente (art. 4 della L. 287/91 e art. 41 co. 9 D.M. 375/88) nel disciplinare la decorrenza dei termini per l'attivazione dell'esercizio, presupponeva espressamente "il rilascio del titolo autorizzativo".
4. Si è costituita -OMISSIS-, instando per il rigetto dell'appello.
5. In vista della trattazione del merito del presente appello, la difesa di parte appellata ha prodotto numerose sentenze riferite all'impugnativa di provvedimenti adottati da -OMISSIS- in relazione al locale di cui è causa.
5.1. Le parti hanno inoltre prodotto memorie ex art. 73 comma 1 c.p.a., insistendo nei rispettivi assunti.
5.2. In particolare la difesa di -OMISSIS-, con memoria depositata in data 19 luglio 2022, nel rappresentare come in relazione al locale di cui all'odierno giudizio siano stati adottati, in data successiva all'emanazione dell'atto oggetto del presente contenzioso, diversi provvedimenti in relazioni alle istanze presentate dalla -OMISSIS- o da altra società (xxxxx s.r.l) comunque riconducibile al legale rappresentante -OMISSIS-, oggetto di distinte impugnative (come da documentazione prodotta) ha evidenziato la sussistenza di profili di improcedibilità dell'odierno contenzioso, alla luce dei numerosi ed ulteriori ricorsi promossi anche dalla xxxxx s.r.l. e vertenti su diversi e contrapposti interessi sui medesimi locali commerciali.
5.3. La difesa di parte appellante con memoria di replica depositata in data 27 luglio 2022 ha per un verso eccepito l'inammissibilità della documentazione fotografica prodotta nella memoria di -OMISSIS- del 19 luglio 2022, perché prodotta oltre il termine di quaranta giorni liberi prima dell'udienza di discussione ex art. 73 comma 1 c.p.a., e per altro verso ha evidenziato come le successive vicende esposte da -OMISSIS-, riferite ai locali di cui è causa, siano irrilevanti rispetto all'odierno giudizio, senza nulla precisare peraltro quanto all'interesse alla decisione.
5.4. A sua volta -OMISSIS-, con memoria di replica del 29 luglio 2022, ha richiesto lo stralcio della memoria di replica di parte avversa - in difetto di produzione di memoria diretta - o comunque di sue parti in quanto eccedenti i limiti del suddetto strumento defensionale.
6. All'udienza straordinaria del 20 settembre 2022, celebratasi da remoto, la difesa di parte appellante ha reiterato la richiesta di stralcio delle rappresentazioni fotografiche contenute nella memoria depositata da -OMISSIS- in data 19 luglio 2022. La causa è stata successivamente trattenuta in decisione.
DIRITTO
7. In limine litis il collegio quanto alle richieste di stralcio avanzate dalle difese delle rispettive parti evidenzia come possa soprassedersi sulle medesime, stante la loro irrilevanza ai fini della decisione.
8. Quel che rileva in questa sede è infatti quanto documentato da -OMISSIS- con la produzione delle numerose sentenze amministrative riferite ai locali di cui è causa e quanto dalla stessa dedotto in ordine al susseguirsi di diversi provvedimenti in relazione ai locali di cui è causa, oggetto anche di successivi contenziosi.
9. Ed invero alla luce di tali rilievi, rispetto ai quali la società appellante si è limitata ad evidenziare come gli stessi siano estranei all'odierno contenzioso, l'appello ed il ricorso di primo grado devono essere dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza d'interesse, atteso che il provvedimento oggetto dell'odierno contenzioso è stato superato da atti successivi, molti dei quali già coperti da giudicato, e che la parte non ha dichiarato di avere interesse alla decisione a fini risarcitori, ex art. 34, comma 3, c.p.a..
9.1. Come risulta dagli atti allegati da -OMISSIS-, sono infatti pervenute nel tempo all'Amministrazione comunale numerose richieste di autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande in relazione ai locali di cui è causa, da parte sia di -OMISSIS- che della xxxxx, tutte riconducibili al medesimo rappresentante legale, alle quali hanno fatto seguito altrettanti provvedimenti amministrativi adottati da -OMISSIS-.
Dall'annullamento del presente atto, tuttavia, non potrebbe derivare la caducazione automatica degli atti pregiudizievoli per parte appellante successivamente adottati da -OMISSIS-, molti dei quali peraltro oggetto di distinta impugnativa e coperti da giudicato.
Infatti, secondo costante orientamento giurisprudenziale, ribadito anche da questa Sezione (sent. 17 gennaio 2019, n. 432), "pur in presenza di vizi accertati dell'atto presupposto deve distinguersi tra invalidità a effetto caducante e invalidità a effetto viziante, nel senso che nel primo caso l'annullamento dell'atto presupposto si estende automaticamente all'atto consequenziale, anche quando questo non sia stato impugnato, mentre nel secondo caso l'atto conseguenziale è affetto solo da illegittimità derivata, e pertanto resta efficace ove non impugnato nel termine di rito. Però la prima ipotesi, quella appunto dell'effetto caducante, ricorre nella sola evenienza in cui l'atto successivo venga a porsi nell'ambito della medesima sequenza procedimentale quale inevitabile conseguenza dell'atto anteriore, senza necessità di ulteriori valutazioni, il che comporta, dunque, la necessità di verificare l'intensità del rapporto di conseguenzialità tra l'atto presupposto e l'atto successivo, con riconoscimento dell'effetto caducante solo qualora tale rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l'atto successivo si ponga, nell'ambito dello stesso contesto procedimentale, come conseguenza ineluttabile rispetto all'atto precedente, senza necessità di nuove valutazioni di interessi (cfr., tra le tante: Cons. Stato, V, 26 maggio 2015, n. 2611 e 20 gennaio 2015, n. 163; IV, 6 dicembre 2013, n. 5813, 13 giugno 2013, n. 3272 e 24 maggio 2013, n. 2823; VI, 27 novembre 2012, n. 5986 e 5 settembre 2011, n. 4998; V, 25 novembre 2010, n. 8243)".
Nell'ipotesi di specie, non è dato riscontrare la presenza di atti successivi relativi allo stesso contesto procedimentale, per cui non ricorrerebbe alcuna ipotesi di caducazione automatica dei successivi provvedimenti pregiudizievoli per la parte; ciò senza mancare di rilevare che molti di questi provvedimenti sono già coperti da giudicato.
In ogni caso la società appellante non potrebbe, anche in ipotesi di annullamento dell'atto oggetto di gravame in prime cure, esercitare ora per allora l'attività oggetto dell'istanza di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande di cui al provvedimento oggetto dell'odierno contenzioso in pregiudizio del titolo eventualmente vantato da altri soggetti (non importa se aventi il medesimo rappresentante legale dell'appellante medesima).
9.2. Pertanto ferma rimanendo il difetto di interesse all'annullamento dell'atto impugnato in prime cure, emergente ex actis, parte appellante al fine di richiedere l'accertamento dell'illegittimità dell'atto a fini risarcitori, ex art. 34 comma 3 c.p.a., avrebbe dovuto formulare una richiesta esplicita, come da costante giurisprudenza in materia, non individuabile nella generica dichiarazione di interesse alla decisione contenuta nella (risalente) richiesta di revoca del decreto di perenzione presentata nel corso del giudizio di prime cure.
9.2.1. Come al riguardo evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa (ex multis Cons. Stato, Sez. VI, 11 ottobre 2021, n. 6824 ) "L'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse risulta riscontrabile qualora sopravvenga un assetto di interesse ostativo alla realizzazione dell'interesse sostanziale sotteso al ricorso, anche in tale caso rendendo inutile la prosecuzione del giudizio - anziché per l'ottenimento - per l'impossibilità sopravvenuta del conseguimento del bene della vita ambito dal ricorrente. La previsione di cui al terzo comma dell'art. 34 c.p.a. deve essere interpretata, in coerenza con il senso letterale delle espressioni impiegate, nel senso che l'unico interesse deducibile, per evitare l'adozione di una sentenza che dichiari la sopravvenuta carenza di interesse, è quello di natura risarcitoria".
9.2.2. Peraltro l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la recente sentenza n. 8 del 2022 si è espressa sui presupposti per l'accertamento dell'illegittimità dell'atto ex art. 34, comma 3, cod. proc. amm., in vista di un interesse risarcitorio, azionabile in un successivo giudizio, componendo un contrasto giurisprudenziale relativamente alla specificità della dichiarazione della persistenza di interesse. La sentenza ha statuito che l'art. 34, comma 3, c.p.a. risponde, infatti, alla stessa esigenza di restringere lo spettro applicativo della pronuncia improcedibilità in mero rito del ricorso, ovverosia all'esigenza di conservare l'utilità alla decisione di merito sulla domanda demolitoria di annullamento, anche nel caso di un mutamento della situazione di fatto e di diritto rispetto al momento in cui la stessa è stata proposta, ferma rimanendo che nell'ipotesi di venir meno dell'utilità dell'annullamento, l'interesse risarcitorio deve comunque essere manifestato in giudizio dalla parte interessata, affinché il giudice si possa pronunciare sulla illegittimità del provvedimento.
La manifestazione dell'interesse risarcitorio, una volta venuto meno quello all'annullamento dell'atto impugnato, è, infatti, il presupposto indispensabile affinché il giudice possa pronunciarsi sulla legittimità dello stesso atto con una pronuncia di mero accertamento.
Tali conclusioni sono il corollario del carattere dispositivo del processo e della natura di giurisdizione di diritto soggettivo della giurisdizione amministrativa, che rimette al solo stesso ricorrente l'iniziativa di tutela del suo interesse risarcitorio. La dichiarazione di interesse del ricorrente è condizione necessaria, ma nello stesso tempo sufficiente, perché sorga l'obbligo per il giudice di accertare l'illegittimità dell'atto impugnato.
A tal fine, inoltre, non è necessario che il ricorrente indichi i presupposti dell'eventuale successiva domanda risarcitoria e tanto meno che questa sia in concreto proposta, in quanto la disciplina dell'accertamento ex art. 34, comma 3, c.p.a. deve tener conto e coordinarsi con le previsioni processuali che consentono di proporre l'azione di risarcimento in un momento successivo a quella di annullamento e, in particolare, "nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza", secondo quanto disposto dall' art. 30, comma 5, c.p.a..".
Da un lato, quindi, la manifestazione dell'interesse risarcitorio ai fini dell'eventuale azione di risarcimento del danno dell'atto originariamente impugnato consente al privato di ricavare dal giudizio di impugnazione un'utilità residua, ostativa a una pronuncia di "mero" rito, in previsione di una futura un'azione risarcitoria da far valere in separato giudizio; dall'altro, nell'accertamento ex art. 34, comma 3, c.p.a., è rinvenibile una funzione deflattiva, rispondente all'esigenza di conoscere in anticipo la fondatezza del presupposto principale dell'eventuale futura domanda di risarcimento dei danni, ovverosia l'illegittimità dell'atto.
Peraltro, per ottenere l'accertamento preventivo di illegittimità secondo il pronunciamento della Plenaria è sufficiente una semplice dichiarazione, da rendersi nelle forme e nei termini previsti dall'art. 73 c.p.a., a garanzia del contraddittorio nei confronti delle altre parti, con la quale il ricorrente, operando una emendatio libelli, a modifica della domanda di annullamento inizialmente proposta, manifesta il suo interesse all'accertamento dell'illegittimità dell'atto impugnato.
10. Pertanto l'appello ed il ricorso di prime cure vanno dichiarati improcedibili atteso che parte appellante non solo non ha dichiarato di avere interesse alla decisione ai fini risarcitori nei trenta giorni liberi prima dell'udienza di discussione, non avendo neppure depositato la memoria diretta di discussione, ma neppure con la memoria di replica, con cui si è limitata ad evidenziare l'irrilevanza delle successive vicende esposte da -OMISSIS-. L'azione risarcitoria è comunque fatta salva, ai sensi dell'art. 30, comma 5, c.p.a., anche in assenza del previo annullamento dell'atto, stante l'autonomia del giudizio risarcitorio rispetto a quello impugnatorio, non sussistendo più la pregiudiziale amministrativa.
11. Sussistono tuttavia eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla risalenza della causa e ai motivi della decisione, per compensare le spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, dichiara improcedibile l'appello ed il ricorso di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse.
Compensa tra le parti le spese di lite del presente grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2022, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero, Presidente FF
Stefano Fantini, Consigliere
Elena Quadri, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere
Diana Caminiti, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Diana Caminiti Fabio Franconiero





IL SEGRETARIO