Secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, nel processo amministrativo per la legittimazione attiva di associazioni rappresentative di interessi collettivi è necessario che : a) la questione dibattuta rientri in via immediata nel perimetro delle finalità statutarie dell'associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale, e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati; b) l'interesse tutelato con l'azione sia comune a tutti gli associati e che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi, di modo che non siano configurabili conflitti interni all'associazione (anche con gli interessi di uno solo dei consociati).
Oltre a ciò, perchè l'iniziativa giurisdizionale sia ammissibile, occorre la sussistenza di un interesse concreto ed attuale (imputabile alla stessa associazione) alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti dal provvedimento controverso, pur non essendo necessaria la dimostrazione di una diretta correlazione tra l'annullamento del medesimo provvedimento ed una immediata utilità per la platea (indifferenziata) degli utenti tutelati.
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,Il recupero da parte del datore di lavoro pubblico delle retribuzioni corrisposte indebitamente è atto di natura privatistica riconducibile alla disciplina della ripetizione di indebito di cui all'art. 2033 cod. civ. e non costituisce atto di esercizio di potestà amministrativa, con conseguente inapplicabilità della disciplina che prescrive i presupposti per l'esercizio dei poteri di autotutela di cui all'art. 21-nonies della l. n. 241/1990.
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 8 del 2023, negando l'illegittimità dell'art. 2033 c.c. in relazione alla mancata tutela del legittimo affidamento del percettore dell'indebito, ha affermato che è diritto-dovere della Pubblica Amministrazione ripetere somme indebitamente erogate; di conseguenza, l'affidamento del dipendente e la sua buona fede nella percezione non sono di ostacolo all'esercizio di tale diritto-dovere.
La P.A., dunque, non ha alcuna discrezionalità al riguardo, tanto che il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate configura danno erariale, con il solo temperamento costituito dalla regola per cui le modalità dello stesso non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle esigenze di vita del debitore ed alle connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie, avuto riguardo alla natura degli importi richiesti in restituzione, alle cause dell'errore nell'erogazione, al lasso di tempo trascorso tra la stessa e l'emanazione del provvedimento di recupero, all'entità delle somme corrisposte, riferita alle singole mensilità e nel totale determinato dalla relativa sommatoria.
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,Il risarcimento del danno per il silenzio della pubblica amministrazione su un'istanza del privato equivale al risarcimento di un danno per ritardo nel provvedere. La responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non ha natura di responsabilità conseguente ad inadempimento contrattuale.
Pertanto, ai sensi dell'art. 2697 cod. civ., il danneggiato deve provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante), e di tale danno deve, in particolare, essere fornita concreta prova del quantum.
Inoltre, in tema di silenzio illegittimamente serbato dall'Amministrazione su un'istanza del privato, il riconoscimento del risarcimento del danno da ritardo non può ritenersi svincolato dalla verifica della spettanza del bene della vita e fondato sulla mera illegittimità dell'azione amministrativa, nel senso che l'ingiustizia del danno e, quindi, la sua risarcibilità per il ritardo dell'azione amministrativa è configurabile solo ove il provvedimento favorevole sia stato adottato, sia pure in ritardo, dall'Autorità competente, ovvero avrebbe dovuto essere adottato sulla base di un giudizio di natura prognostica.
Per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell'art. 2056 c.c., i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell'evitabilità con l'ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 c.c.; e non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto dall'art. 1225 c.c.. In ogni caso, il danno va liquidato secondo i criteri di determinazione del danno da perdita di chance, ivi compreso il ricorso alla liquidazione equitativa, e non può equivalere a quanto l'impresa istante avrebbe lucrato se avesse svolto l'attività nei tempi pregiudicati dal ritardo dell'amministrazione (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 23 aprile 2021, n. 7).
In particolare, va sottolineato che anche in tema di danno da ritardo occorre valutare non il solo comportamento dell'Amministrazione, ma anche la condotta del danneggiato, il quale è parte essenziale ed attiva del procedimento; e, in tale veste, dispone di capacità idonee ad incidere sulla tempistica e sull'esito del procedimento stesso, attraverso il ricorso ai rimedi amministrativi e giurisdizionali offertigli dall'ordinamento. L'indifferenza manifestata in ordine a tali rimedi rileva come comportamento causalmente orientato ai sensi dell'art. 1227 c.c. in ordine all'accertamento della spettanza del risarcimento, nonché alla quantificazione del danno risarcibile.
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La parte privata vittoriosa in sede di cognizione non è legittimata ad esercitare l'azione di ottemperanza di cui al comma 5 dell'art. 112 c.p.a., al fine di chiedere chiarimenti al giudice amministrativo in ordine alle modalità di ottemperanza al giudicato da parte dell'Amministrazione soccombente.
Infatti, l'unica parte - oltre al commissario ad acta - titolata a chiedere chiarimenti al giudice sui punti del decisum che presentano elementi di dubbio o di non immediata chiarezza è proprio l'Amministrazione soccombente. A fronte di condotte dell'Amministrazione ritenute elusive del giudicato, invece, il rimedio a disposizione della parte vittoriosa nel giudizio di cognizione è l'ordinaria azione di ottemperanza ex art. 112, comma 2, lett. a) c.p.a...
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,Con riferimento alla legittimità dei provvedimenti contingibili e urgenti adottati in tema di sistemi radianti di telefonia mobile onde vietarne la sperimentazione ed installazione, è da condividere l'orientamento affermatosi in giurisprudenza che ritiene la mancanza dei presupposti per l'adozione di tali provvedimenti, non prestandosi la materia ad essere regolata tramite strumenti extra ordinem.
Infatti, le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono strumenti apprestati dall'ordinamento giuridico per fronteggiare situazioni impreviste e di carattere eccezionale, per le quali il legislatore non può configurare poteri di intervento tipici. La loro capacità di derogare a norme legislative vigenti è consentita solo se temporalmente delimitata e comunque nei limiti della concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare; inoltre, la situazione di pericolo deve essere attuale rispetto al momento dell'adozione del provvedimento, il quale deve essere adeguatamente motivato e istruito (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 4 febbraio 2015, n. 533; Id., 3 giugno 2013, n. 3024).
Nella fattispecie, l'ordinanza sindacale impugnata è stata emessa in difetto di un accertato effettivo pericolo grave e attuale per l'incolumità pubblica, essendo stata piuttosto emanata - a fronte di una situazione di incertezza - sulla base di una anticipata applicazione del principio di precauzione e senza una delimitazione temporale della sua efficacia.
A ciò va aggiunto che la valutazione sui rischi connessi all'esposizione derivante dagli impianti di telecomunicazioni non spetta al Comune, ma è di esclusiva pertinenza dell'A.R.P.A., organo deputato al rilascio del parere prima dell'attivazione della struttura e al monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti normativamente dallo Stato.
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,Nel procedimento amministrativo concernente un pubblico concorso, il candidato leso da un provvedimento della commissione lo può ben impugnare unitamente all'atto di nomina dei componenti di quest'ultima, in quanto detta nomina ha natura endoprocedimentale ed è adottata in esito ad uno specifico sub-procedimento, volto a consentire che i candidati siano valutati da coloro che le norme reputano più idonei e siano in possesso dei prescritti requisiti.
Infatti, secondo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'atto di nomina della commissione giudicatrice, al pari degli atti da questa posti in essere nel corso del procedimento, non produce un effetto lesivo immediato, e comunque tale da determinare l'onere della immediata impugnazione nel prescritto termine decadenziale: esso può essere impugnato dal candidato solo nel momento in cui, con l'approvazione delle operazioni concorsuali e la nomina del vincitore, si esaurisce il relativo procedimento amministrativo e diviene compiutamente riscontrabile la lesione della sfera giuridica dell'interessato. Ciò in quanto la verifica effettiva del pregiudizio sofferto dal candidato può essere utilmente effettuata solo al momento dell'approvazione della graduatoria.
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,Presupposto per l'azione avverso il silenzio è l'esistenza di uno specifico obbligo in capo all'Amministrazione di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente.
Nel caso in cui la richiesta del privato abbia ad oggetto l'adozione di atti amministrativi generali o, comunque, di atti di interesse generale rimessi alla discrezionalità programmatoria dell'Amministrazione, come tali insuscettibili di fondare una pretesa erogativa individuale, l'orientamento prevalente della giurisprudenza tende a negare l'ammissibilità del rito speciale di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a.. Ciò per l'impossibilità di individuare specifici destinatari in capo ai quali possa radicarsi una posizione giuridica qualificata e differenziata, definitibile come di interesse legittimo.
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,Nell'ordine di esibizione dei documenti richiesti, contenuto nella sentenza che accoglie integralmente un ricorso in tema di accesso, non è necessario che il giudice menzioni espressamente il diritto di estrazione di copia degli stessi, in quanto esso è da intendersi connaturato all'accesso medesimo.
Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che la determinazione dell'amministrazione di limitare l'accesso alla sola visione della documentazione oggetto della richiesta, con esclusione del rilascio di copia della stessa, è da considerarsi illegittima, giacché l'esame e l'estrazione di copia sono previste come modalità congiunte dell'esercizio del diritto di accesso. L'accesso agli atti amministrativi, infatti, non può essere limitato alla sola visione degli atti, dato che la visione e l'estrazione di copia sono - ai sensi dell'articolo 22, comma 1, legge n. 241/1990 - modalità congiunte e non alternative dell'esercizio del diritto in questione e l'impedimento all'accesso, si effettua, ai sensi del successivo articolo 24, nelle forme dell'esclusione o del differimento, e non anche del divieto di estrazione di copia.
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,In caso di indebita erogazione di denaro pubblico, l'affidamento del dipendente pubblico, percettore delle somme, e la stessa buona fede non sono d'ostacolo all'esercizio, da parte dell'amministrazione, del potere-dovere di recupero, in linea con il canone costituzionale di buon andamento; né l'amministrazione è tenuta a fornire un'ulteriore motivazione sull'elemento soggettivo riconducibile all'interessato o all'interesse pubblico al recupero che è rinvenibile in re ipsa (Consiglio di Stato, sez. III, 21 gennaio 2015, n. 201).
Pertanto, in capo all'Amministrazione che abbia effettuato un pagamento indebitamente dovuto ad un proprio dipendente va riconosciuta una posizione soggettiva da qualificare come diritto soggettivo alla restituzione, configurandosi il recupero delle somme come un atto dovuto non rinunziabile, espressione di una funzione pubblica vincolata. Il solo temperamento al principio dell'ordinaria ripetibilità dell'indebito è rappresentato dalla regola per cui le modalità di recupero devono essere non eccessivamente onerose (in relazione alle condizioni di vita del debitore) e tali da consentire la duratura percezione di una retribuzione che assicuri un'esistenza libera e dignitosa.
Nella fattispecie, la disciplina del limite massimo, sia alle retribuzioni nel settore pubblico, sia al cumulo tra retribuzioni e pensioni, si iscrive in un contesto di risorse limitate, che devono essere ripartite in maniera congrua e trasparente: ne consegue che non è precluso al legislatore dettare un limite massimo alle retribuzioni e al cumulo tra retribuzioni e pensioni, a condizione che la scelta, volta a bilanciare i diversi valori coinvolti, non sia manifestamente irragionevole.
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,L'annullamento giurisdizionale dell'aggiudicazione di una procedura ad evidenza pubblica non comporta l'inefficacia, per caducazione automatica, del contratto eventualmente stipulato nelle more.
Invero, secondo la giurisprudenza maggioritaria, in seguito all'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, e precisamente degli articoli 121 e seguenti c.p.a., spetta al giudice amministrativo, che abbia annullato l'aggiudicazione, dichiarare l'inefficacia del contratto, distinguendo i casi in cui la dichiarazione di inefficacia è necessaria da quelli in cui è solo possibile. Invece, in mancanza di un'espressa pronuncia del giudice (che può essere emessa anche in sede di ottemperanza), frutto di una ponderata valutazione dell'interesse pubblico, all'annullamento dell'aggiudicazione non segue la caducazione, tanto meno automatica, del contratto.
Ciò, tuttavia, non significa che l'Amministrazione possa rimanere inerte, potendo la stessa esercitare i poteri attribuitile dal codice dei contratti in materia, riconducibili nell'ambito generale dell'autotutela, determinando eventualmente la "risoluzione" del contratto con effetto ex nunc. In particolare, la stazione appaltante è tenuta a valutare se, alla luce delle ragioni che hanno determinato l'annullamento dell'aggiudicazione, permangano o meno le condizioni per la continuazione del rapporto contrattuale in essere con l'operatore economico (illegittimo) aggiudicatario, ovvero se non risponda maggiormente all'interesse pubblico, risolvere il contratto e indire una nuova procedura di gara (in applicazione del potere riconosciuto dall'art. 108, comma 1, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50).
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