Le sentenze dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del 2021 hanno stabilito che l'art. 12 della direttiva 2006/123/CE (c.d. direttiva Bolkestein), laddove sancisce il divieto di proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative è norma self executing e quindi immediatamente applicabile nell'ordinamento interno, con la conseguenza che le disposizioni legislative nazionali che dispongono la proroga automatica delle suddette concessioni sono con essa in contrasto e, pertanto, non devono essere applicate nè dai giudici nè dalla pubblica amministrazione.
Sulla base dei principi di diritto così affermati, dunque, non solo i commi 682 e 683 dell'art. 1 della L. n. 145/2018, ma anche la nuova norma contenuta nell'art. 10-quater, comma 3, del D.L. 29/12/2022, n. 198, conv. in L. 24/2/2023, n. 14, che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere, si pone in diretto contrasto con la disciplina di cui all'art. 12 della direttiva su richiamata, e va, conseguentemente, disapplicata da qualunque organo dello Stato.
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,L'atto di revoca (così come di nomina) di un assessore comunale (oltreché di vicesindaco) va qualificato come atto di alta amministrazione e non come atto politico, considerato che esso non costituisce espressione della libertà (politica) commessa dalla Costituzione ai supremi organi decisionali dello Stato per la soddisfazione di esigenze unitarie ed indivisibili a questo inerenti, né può ritenersi libero nei fini e sottratto alle prescrizioni di legge e/o di statuti e regolamenti, essendo, piuttosto, sostanzialmente rivolto al miglioramento della compagine di ausilio del sindaco nell'amministrazione del comune.
Ne consegue che l'atto de quo, in quanto atto amministrativo, non può che soggiacere agli oneri motivazionali propri del provvedimento amministrativo, pur essendo connotato da un elevato tasso di discrezionalità, la quale, tuttavia, per quanto ampia, rimane sempre vincolata dal necessario perseguimento delle finalità pubbliche e dal fondamento sostanziale del potere amministrativo consistente nell'impossibilità di utilizzare lo stesso per fini diversi da quelli che ne giustificano l'attribuzione.
Rispetto a tali tipologie di atti, dunque, è sindacabile il vizio di eccesso di potere nelle particolari figure sintomatiche dell'inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o mancanza di motivazione.
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,Le scelte urbanistiche circa la disciplina del territorio costituiscono espressione del più ampio potere discrezionale dell'amministrazione; di conseguenza, esse possono formare oggetto di sindacato giurisdizionale nei soli casi di abnormità ovvero di palese travisamento dei fatti.
Del pari, la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione (c.d. polverizzazione della motivazione), oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione allo strumento urbanistico generale, a meno che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.
Al di fuori di tali casi eccezionali, le osservazioni e le opposizioni presentate dai privati al piano regolatore generale "in itinere" costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all'amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione, la cui congruità, pertanto, ben può essere evinta (anche) dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree.
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,L'atto di nomina del Difensore civico regionale non è un atto politico, bensì un atto amministrativo, connotato da ampia discrezionalità e ascrivibile, come tale, alla categoria degli atti di alta amministrazione. Esso è atto interamente sottoposto allo statuto del provvedimento amministrativo e, pertanto, a prescindere dalla sua natura fiduciaria o meno, non si sottrae al generale obbligo di motivazione sancito dall'art. 3 della legge 241/1990.
In particolare, la motivazione della scelta cristallizzata nel provvedimento di nomina, sia pure effettuata latamente intuitu personae, deve sempre ancorarsi all'esito di un apprezzamento complessivo del candidato, in modo che possa dimostrarsene la ragionevolezza, e non può esaurirsi nel mero riscontro del possesso dei requisiti prescritti dalla legge. Non occorre tuttavia una rigorosa comparazione tra i requisiti dei singoli candidati, con conseguente motivazione puntuale e specifica, come se si trattasse di un procedimento concorsuale; il provvedimento di nomina, piuttosto, deve dare conto del fatto che i differenti requisiti di competenza, esperienza e professionalità siano stati valutati in relazione al fine da perseguire.
Ciò allo scopo di pervenire al necessario punto di equilibrio tra il generale dovere di motivazione degli atti amministrativi, insostituibile presidio di legalità sostanziale ed espressione dei principi di trasparenza e di imparzialità dell'azione amministrativa, e la segretezza del voto, prevista dalla normativa regionale, volta a garantire sia l'indipendenza funzionale dei singoli componenti dell'organo collegiale, sia l'effettiva autonomia ed indipendenza del Difensore regionale dall'organo che lo ha eletto.
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,Come chiarito espressamente dall'art. 19, comma 4, d.lgs. n. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), in tema di società in house providing, le controversie relative alle procedure seguite per l'assunzione del personale dipendente sono sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario, e non del giudice amministrativo.
In proposito, occorre precisare che il D.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, se da un lato - proprio all'art. 19 suindicato - prevede che le procedure di reclutamento svolte da parte di tali società debbano avvenire nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità, e dei principi di cui all'articolo 35, comma 3, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, dall'altro, afferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro instaurati alle loro dipendenze. Tale disciplina rappresenta l'esito del contemperamento, attuato dal legislatore, tra l'esigenza di salvaguardare i profili connessi al carattere pubblicistico sostanziale di tali soggetti che subiscono il controllo e l'influenza dominante dei pubblici poteri, e la natura privatistica del modello di gestione e delle finalità degli stessi.
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