Pubblicato il 30/09/2022
N. 08410/2022REG.PROV.COLL.
N. 04332/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4332 del 2015, proposto da E. di -OMISSIS- & C. s.n.c., C. Servizi s.r.l. e dal signor -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato xxxx xxxxx, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso lo studio xxxxx e associati s.r.l. in Roma, corso xxxxxxxxxxxx n. ...;
contro
il Comune di -OMISSIS-, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato xxxxxx, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
la Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, sezione prima, n. 1145 del 27 novembre 2014, resa tra le parti.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2022 il consigliere Claudio Tucciarelli e uditi per le parti gli avvocati xxxxx xxxx e xxxx xxxxx;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO
1. I proprietari di terreni siti nel Comune di -OMISSIS-, oggetto di una convenzione di lottizzazione approvata dal Consiglio comunale con deliberazione del 6 marzo 1965, n. 52, hanno proposto ricorso al T.a.r. per l'Emilia-Romagna, in relazione al P.R.G., adottato dal Comune di -OMISSIS- nel 1972, poi approvato dalla Regione nel 1975 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 169 del 12 marzo 1975, che escludeva l'edificabilità del terreno delle ricorrenti, inserendolo in "zona agricola".
Il T.a.r. per l'Emilia-Romagna, con sentenza del 22 ottobre 1978, n. 471, pronunciandosi su nove ricorsi riuniti articolati in undici gruppi di censure, annullava il P.R.G. che, senza adeguata motivazione dei sacrifici imposti ai diversi lotti e delle modifiche alle precedenti autorizzazioni, aveva disatteso le precedenti convenzioni di lottizzazione e i lavori di urbanizzazione eseguiti in dipendenza di esso.
La sentenza del T.a.r. ha quindi annullato in parte qua il P.R.G. ed è divenuta definitiva dopo che l'appello proposto avverso detta decisione è stato dichiarato estinto per perenzione.
Nel frattempo, veniva adottato dal Comune un nuovo piano regolatore, approvato dalla Giunta provinciale con deliberazione in data 26 marzo 2002, n. 103, e non contestato dalle odierne appellanti, che confermava per l'area in questione la inedificabilità, prevedendo la destinazione a zona omogenea F, sottozona F9.
2. La società E. di -OMISSIS- & C., la società A. s.a.s. di -OMISSIS- & C. e la società L. s.a.s. di -OMISSIS- & C., in qualità di proprietari dei terreni siti nel Comune di -OMISSIS- al foglio n. 46, particelle 229, 925 e 926, hanno quindi proposto ricorso, notificato il 6 febbraio 2007, n.r.g. 234/2007, al T.a.r. per l'Emilia-Romagna per ottenere dal Comune di -OMISSIS- il risarcimento dei danni derivanti dallo strumento urbanistico del 1975, annullato dal giudice.
3. Il ricorso in primo grado, chiedendo l'accertamento dell'inadempimento comunale alla convenzione di lottizzazione del 1965 e il conseguente risarcimento dei danni, era affidato ai seguenti motivi.
3.1. La illegittimità della condotta dell'amministrazione comunale. L'illegittima approvazione del P.R.G. avrebbe determinato la perdita di valore dei terreni, come documentato da perizia, con un danno per circa euro 710.000.
3.2. Il danno e il nesso di causalità. L'amministrazione comunale avrebbe posto in essere un grave inadempimento della convenzione di lottizzazione approvata nel 1965 e causato un grave pregiudizio alle ricorrenti.
3.3. La colpa dell'amministrazione. Il Comune, inducendo prima i consorziati a fare affidamento sulla edificabilità dei loro terreni e a realizzare onerose opere di urbanizzazione, impegnandosi con la convenzione di lottizzazione, non avrebbe poi adempiuto agli impegni assunti rendendo illegittimamente inedificabili i terreni.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di -OMISSIS-.
5. La sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, sezione prima, n. 1145 del 27 novembre 2014:
a) ha respinto l'eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa del Comune in quanto, stante il principio della pregiudizialità amministrativa vigente all'epoca di presentazione del ricorso, il termine quinquennale di prescrizione non poteva che decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza che, in questo caso, può ricondursi alla reiezione dell'opposizione avverso il decreto di perenzione ovvero al 14 ottobre 2002;
b) ha dichiarato infondato il ricorso in quanto:
b1) la sentenza del T.a.r. per l'Emilia-Romagna n. 471 del 1978, su cui si fonda la pretesa risarcitoria, ha annullato il piano regolatore, che aveva ridotto la possibilità edificatoria dei terreni dei ricorrenti inseriti in convenzione, soltanto per difetto di motivazione, rilevando che l'amministrazione non poteva esimersi dal dovere, non solo di motivare l'interesse pubblico in generale, ma anche di verificare le intensità di tale interesse in correlazione con l'interesse privato;
b2) la sentenza aveva dichiarato assorbiti gli ulteriori motivi di impugnazione;
b3) la pretesa risarcitoria deve legarsi alla spettanza del bene della vita mentre l'illegittimità del provvedimento per difetto di motivazione comporta soltanto l'obbligo giuridico dell'amministrazione di attivarsi per la riedizione del procedimento e la sua attività risulta vincolata soltanto nei limiti tracciati dalla sentenza del giudice amministrativo, per cui soltanto all'esito delle successive vicende amministrative e giudiziarie potrà qualificarsi in termini di ingiustizia il danno lamentato;
b4) il giudice amministrativo non può valutare in termini di ingiustizia il danno stesso, senza tenere conto della successiva attività amministrativa conseguente all'annullamento giurisdizionale per difetto di motivazione, essendogli ciò precluso dall'articolo 34, comma 2, del c.p.a.;
b5) ciò non implica che costituisca un dato indispensabile l'impugnativa dei nuovi atti dell'amministrazione, ovvero del nuovo P.R.G., che hanno sostanzialmente confermato la scelta di escludere l'edificabilità dell'area litoranea, tuttavia la valutazione in termini di ingiustizia sostanziale del danno lamentato non può prescindere da una valutazione in termini di illegittimità delle scelte urbanistiche sostanziali che avrebbero dovuto essere portate alla valutazione del giudice quale fatto costitutivo della pretesa risarcitoria;
b6) nel caso concreto, invece, le ricorrenti fondano la pretesa risarcitoria sul solo dato formale dell'annullamento per difetto di motivazione;
b7) a fronte dell'immediata esecutività delle sentenze del T.a.r., le società interessate, in contrasto con i doveri di comportamento diligente desumibili dall'articolo 1227, comma secondo, del codice civile, applicabile anche al danno aquiliano per effetto del rinvio operato dall'articolo 2056 del codice civile stesso, non si sono adeguatamente attivate per realizzare le facoltà edificatorie di cui ora lamentano la lesione (sin dal 1978, con l'annullamento del P.R.G., sia pure per carenza di motivazione, era venuto meno il limite all'operatività della convenzione urbanistica e non risulta che gli interessati abbiano richiesto i titoli edilizi conseguenti o si siano attivati in sede giudiziaria per ottenere l'esecuzione della decisione del T.a.r.);
c) ha compensato le spese tra le parti.
6. La società E. di -OMISSIS- & C. s.n.c., C. Servizi s.r.l. (subentrata per trasformazione ad -OMISSIS- s.a.s.) e il signor -OMISSIS- (avente causa dalla società L.) hanno impugnato la sentenza del T.a.r.
6.1. L'appello, con cui viene chiesto che, in riforma della sentenza appellata, sia accolto il ricorso in primo grado e condannato il Comune di -OMISSIS- al risarcimento dei danni subiti dalle ricorrenti, è affidato ai seguenti motivi.
6.1.1. Errore sui presupposti, falsa interpretazione del dictum giudiziale e violazione dell'art 2043 c.c. Le appellanti sottolineano l'illegittimità sostanziale della scelta comunale di disattendere la convenzione stipulata e la sentenza del T.a.r. del 1971 avrebbe ritenuto fondato il vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione in collegamento e in relazione all'ingiustizia manifesta, alla violazione dell'art. 8 della legge n. 765/1967 e al principio di tutela dell'affidamento.
Nella fattispecie, la spettanza del bene della vita (la facoltà di edificare) traeva origine dalla preesistente convenzione di lottizzazione.
Peraltro, il Comune nulla ha dedotto circa la necessità di modificare la destinazione di zona dopo che le opere di urbanizzazione erano già state realizzate dai consorziati.
6.1.2. Violazione dei principi generali in tema di risarcimento dei danni da lesione di interessi legittimi, errore di fatto e falso supposto di diritto. Il danno si sarebbe prodotto e sarebbe stato provato per l'avere l'amministrazione illegittimamente disatteso la convenzione di lottizzazione.
6.1.3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 c.c. e 30, comma 3, c.p.a. ed errore sui presupposti, per avere erroneamente imputato alle ricorrenti di non essersi adeguatamente attivate per realizzare le facoltà edificatorie di cui ora lamentano la lesione (la convenzione era scaduta) e di non essersi attivate in sede giudiziaria per ottenere l'esecuzione della decisione del T.a.r. n. 471 del 1978 che aveva annullato il P.R.G. (il giudizio di ottemperanza all'epoca era proponibile solo per le sentenze passate in giudicato). Sussisterebbero quindi gli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana di cui all'art. 2043 c.c.; senza dimenticare che l'inadempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione di lottizzazione configurerebbe altresì una specie di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.
6.2. Quanto alla quantificazione del danno, le appellanti rimandano alla perizia asseverata depositata in atti nel corso del giudizio di primo grado.
7. Si è costituito nel giudizio di appello il Comune di -OMISSIS-, che poi ha rinnovato la costituzione a seguito della nomina di un nuovo difensore.
8. Il Comune di -OMISSIS-, il 13 maggio 2022, ha depositato documenti tra cui una ulteriore convenzione tra gli appellanti e il Comune del 2 marzo 2018 (rep. 7512), relativa alle modalità di utilizzo dell'area oggetto della controversia (foglio 46, mapp. 229, 925 e 926, pari a mq. 33.200) di proprietà delle appellanti nei pressi del litorale.
9. L'appellante, il 19 maggio 2022, ha depositato un documento da cui emerge un tentativo di conciliazione con il Comune.
10. All'udienza pubblica del 7 luglio 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
11. L'appello deve essere respinto per le ragioni di seguito esposte.
11.1. Il primo motivo dell'appello è infondato.
Preliminarmente va ribadito che, per giurisprudenza costante, le decisioni di pianificazione urbanistica appartengono alla sfera degli apprezzamenti di merito dell'Amministrazione e sono sindacabili soltanto quando si pongono in contrasto con il principio di ragionevolezza.
La scelta compiuta in un piano generale (o in una variante ad esso) di imprimere una specifica destinazione urbanistica ad una zona non necessita di spiegazioni aggiuntive, in quanto essa trova giustificazione nei criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nella impostazione dello strumento, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni (cfr., ex pluribus, Cons. Stato, Sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854; sez. II, n. 3163 del 2020). Gli apprezzamenti di merito sottesi alle scelte effettuate, quindi, sono sottratti al sindacato di legittimità, se non inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità (Cons. Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 1999, n. 24; sez. IV, 20 giugno 2012, n. 3571; id., 13 settembre 2012, n. 4867; sez. II, 4 febbraio 2020, n. 915).
Tuttavia deve essere riconosciuto, anche in questo per giurisprudenza consolidata, che alcuni fattori sono idonei a determinare un affidamento "qualificato" che richiede comunque una motivazione adeguata: convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra Comune e proprietari, giudicati di annullamento di dinieghi di concessioni edilizie o silenzio-rifiuto su domanda di concessione. In assenza di tali fattori, non è configurabile un'aspettativa "qualificata" a una destinazione edificatoria non peggiorativa di quella pregressa, ma solo un'aspettativa "generica", analoga a quella di qualunque altro proprietario di aree che aspiri ad un'utilizzazione più proficua dell'immobile (posizione, questa, cedevole rispetto alle scelte urbanistiche dell'Amministrazione): sicché non può essere invocato il difetto di motivazione, in quanto si porrebbe in contrasto con la natura generale dell'atto e i criteri di ordine tecnico seguiti per la sua redazione (cfr. ancora, ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854).
Inoltre, altro è censurare per vizio di motivazione un provvedimento, connotato da ampio margine di discrezionalità tecnica, quale un atto di pianificazione urbanistica (nel caso di specie il P.R.G. del 1975); altro pretenderne il futuro adeguamento alle proprie personali finalità, laddove lo stesso non può che essere estraneo finanche all'effetto conformativo della sentenza n. 471/1978 (v. per una fattispecie affine, Cons. Stato, sez. II, n. 3163 del 2020).
Una volta affermata, dunque, l'illegittimità di una parte del previgente P.R.G. per vizio della motivazione, il T.a.r. per l'Emilia Romagna, con la sentenza n. 471 del 1978, non ha potuto che rimettere alle scelte del Comune procedente la determinazione dell'assetto urbanistico della zona, senza condizionarne in alcun modo il contenuto e dunque senza certamente impedire sin da subito la conferma del regime giuridico contestato.
Il Collegio non intende discostarsi dai consolidati principi giurisprudenziali in base ai quali l'annullamento giurisdizionale del provvedimento amministrativo per difetto di motivazione non reca di per sé alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento caducato ope iudicis e non può, pertanto, costituire il presupposto per l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno (Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2016, n. 3674, da ultimo, Cons. Stato, sez. III, n. 4536 del 2022).
L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che: "l'ingiustizia del danno che fonda la responsabilità dell'amministrazione per lesione di interessi legittimi si correla alla dimensione sostanzialistica di questi ultimi, per cui solo se dall'illegittimo esercizio della funzione pubblica sia derivata per il privato una lesione della sua sfera giuridica quest'ultimo può ottenere il risarcimento per equivalente monetario; tutela che, invece, deve essere esclusa quando l'interesse legittimo riceva tutela idonea con l'accoglimento dell'azione di annullamento, ossia nel caso in cui il danno sia stato determinato da una illegittimità, solitamente di carattere formale, da cui non derivi un accertamento di fondatezza della pretesa del privato ma un vincolo per l'amministrazione a rideterminarsi, senza esaurimento della discrezionalità ad essa spettante" (Cons. Stato, Ad. plen. 23 aprile 2021, n. 7; Ad. Plen. n. 13 del 2008).
Nel caso all'esame del Collegio, l'annullamento disposto dal T.a.r con la sentenza n. 471 del 1978 per vizio della motivazione ha lasciato intatto il potere dell'amministrazione di rinnovare il procedimento eliminando i vizi riscontrati in sede giurisdizionale, tanto che lo stesso T.a.r. ha fatto salve le ulteriori determinazioni dell'autorità pubblica.
Infatti, la sentenza del T.a.r. per l'Emilia-Romagna n. 471 del 1978 ha chiaramente indicato (v. pag. 17) che "dal compimento delle opere di urbanizzazione, o dal più o meno completo adempimento degli oneri assunti dal lottizzante, non possono derivare a favore di quest'ultimo una posizione consolidata o una immodificabile pretesa ad eseguire senz'altro gli edifici previsti nell'ambito della lottizzazione, incombendo, invero, sulla p.a. solo un onere motivazionale rafforzato".
La sentenza, poi passata in giudicato, ha dunque chiarito in modo inequivocabile che l'annullamento in parte qua del P.R.G. era dovuto esclusivamente al vizio della motivazione e non poteva dare origine a ulteriori pretese in capo ai ricorrenti (se non, evidentemente, quella di ottenere un nuovo provvedimento adeguatamente motivato nei termini di cui in sentenza).
11.2. Ne consegue che è infondato anche il secondo motivo dell'appello, con cui le appellanti sostengono che la prova dell'ingiustizia del danno deriverebbe dall'avere l'amministrazione disatteso la convenzione di lottizzazione.
Anche in questo caso, per consolidato indirizzo giurisprudenziale, l'annullamento di un provvedimento amministrativo per vizi, quali il difetto di istruttoria o di motivazione, in quanto non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento impugnato, non consente di accogliere la domanda finalizzata al perseguimento della pretesa sostanziale, quale è il risarcimento del danno. Mentre la caducazione dell'atto per vizi sostanziali che accertano la spettanza del bene della vita vincolano l'amministrazione ad attenersi, nella successiva attività, alle statuizioni del giudice, l'annullamento fondato su vizi, quali quelli che vengono in rilievo in questa sede, non elimina né riduce il potere della stessa di provvedere in ordine allo stesso oggetto dell'atto annullato e lascia ampio potere in merito all'amministrazione, con il solo limite negativo di riesercizio nelle stesse caratterizzazioni di cui si è accertata l'illegittimità, sicchè non può ritenersi condizionata o determinata in positivo la decisione finale (in termini, tra le tante, Cons. Stato, sez. V, n. 2534 del 2020; Cons. Stato, V, 22 novembre 2019, n. 7977; III, 17 giugno 2019, n. 4097; V, 14 dicembre 2018, n. 7054). Ciò in quanto il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell'agire illegittimo della pubblica amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 19 agosto 2019, n. 5737; sez. V, 23 marzo 2018, n. 1859)".
E infatti per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto o al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l'equivalente economico (in termini analoghi v. da ultimo Cons. Stato, sez. III, n. 4536/2022; sez. V, 21 aprile 2020, n. 2534).
L'ingiustizia e il danno in re ipsa prospettati dalle appellanti non soddisfano tali condizioni.
Non risulta chiarito dalle appellanti nell'odierno giudizio il fatto illecito asserito che avrebbe determinato il lamentato danno, non potendo lo stesso identificarsi nel solo fatto che parte della scelta urbanistica attuata è stata oggetto di annullamento, senza che peraltro ne sia stato precisato l'effetto pregiudizievole per le parti nell'immediato e in prospettiva.
La sentenza impugnata ha derivato l'infondatezza della pretesa risarcitoria dal fatto che le ricorrenti hanno affidato tale pretesa al solo dato formale dell'annullamento, per difetto di motivazione, delle deliberazioni di adozione e di approvazione del P.R.G., emanate rispettivamente nel 1972 e nel 1975, senza nulla evidenziare e comprovare in ordine alla legittimità della riedizione del potere dell'amministrazione che ha confermato la scelta limitativa della facoltà edificatoria, attribuite agli stessi al momento della stipula della convenzione, e non ancora attuata nei sette anni di effettiva operatività della convenzione stessa.
Tale affermazione risulta corretta e si correla logicamente, per le ragioni anzidette, alla mancata prova della spettanza del bene della vita in capo al privato.
In definitiva, risulta dirimente la seguente distinzione: a) se l'inadeguatezza della motivazione riflette un vizio sostanziale della funzione (in termini di contraddittorietà, sviamento, travisamento, difetto dei presupposti), il difetto degli elementi giustificativi del potere non può giammai essere emendato, tantomeno con un mero maquillage della motivazione: l'atto dovrà comunque essere annullato; b) se invece la carenza della motivazione equivale unicamente ad una insufficienza del discorso giustificativo-formale, ovvero al non corretto riepilogo della decisione presa, siamo di fronte ad un vizio formale dell'atto e non della funzione: in tale caso, non vi sono ragioni per non riconoscersi all'amministrazione la possibilità di tirare nuovamente le fila delle stesse risultanze procedimentali, munendo l'atto originario di una argomentazione giustificativa sufficiente e lasciandone ferma l'essenza dispositiva, in quanto riflette la corretta sintesi ordinatoria degli interessi appresi nel procedimento (v. Cons. Stato, sez. VI, n. 3385 del 2021).
Ai fini dell'accertamento della responsabilità, il Collegio condivide il costante orientamento giurisprudenziale (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2020, n. 909; 7 novembre 2019, n. 7602; id., 17 maggio 2019, n. 3191; id., sez. III, 8 maggio 2018, n. 2724), dal quale non ravvisa motivo per discostarsi, secondo cui la responsabilità risarcitoria è da ricondurre alla responsabilità aquiliana (pur con alcune peculiarità, v. Cons. Stato, Ad. plen., n. 7 del 2021) non può prescindere dalla ravvisabilità (quantomeno) della colpa in capo all'Amministrazione.
Quanto all'onere della prova, il Collegio condivide, in linea di principio, l'orientamento giurisprudenziale secondo cui in capo al privato danneggiato non è richiesto un particolare sforzo probatorio per ciò che attiene al profilo dell'elemento soggettivo della fattispecie risarcitoria, potendo lo stesso limitarsi ad allegare l'illegittimità dell'atto, mentre spetta alla pubblica amministrazione provare di essere incorsa in un errore scusabile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 909 del 2020; sez. V, n. 601 del 2020; C.G.A.R.S., sez. giur. n. 112 del 2019).
Tuttavia, ancora una volta, nel caso in esame la particolare natura del vizio riscontrato e del conseguente annullamento, ormai coperto da giudicato - attinente al procedimento di formazione del provvedimento e non alla spettanza del bene della vita e alla fondatezza della pretesa sostanziale azionata (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 252 del 2015) - avrebbe imposto al privato di allegare un principio di prova idoneo ad alleggerire il suo onere probatorio e di riversarlo in capo alla p.a. e fare valere - con inversione dell'onere della prova - la presunzione della colpa in capo all'amministrazione che abbia emesso un provvedimento illegittimo.
11.3. E' infondato anche il terzo motivo.
Esso censura i capi della sentenza impugnata (§§ 9 e 10) dedicati alla inosservanza da parte degli appellanti dei doveri di comportamento diligente.
Non è evidentemente in discussione il dovere generale di diligenza in capo al privato, che è stato ribadito anche di recente dall'Adunanza plenaria: "Nel settore della responsabilità dell'amministrazione da illegittimo o mancato esercizio dei suoi poteri autoritativi il criterio in questione si declina nel senso che a carico del privato è posto un onere di ordinaria diligenza - come tale valutabile dal giudice - di attivarsi con ogni strumento procedimentale o processuale utile a salvaguardare il bene della vita correlato al suo interesse legittimo, in modo da delimitare in termini quantitativi, anche con riguardo a ciò, il perimetro del danno risarcibile. In modo parzialmente diverso da quanto si tende ad affermare nei rapporti regolati dal diritto civile, l'onere di cooperazione del privato nei confronti dell'esercizio della funzione pubblica assume quindi i connotati di un «obbligo positivo (tenere quelle condotte, anche positive, esigibili, utili e possibili, rivolte a evitare o ridurre il danno)», con la sola esclusione di «attività straordinarie o gravose attività», per cui «non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subito se avesse serbato il comportamento collaborativo cui è tenuto, secondo correttezza» (così ancora l'Adunanza plenaria nella sentenza del 23 marzo 2011, n. 3, più volte richiamata; § 7.1)" (Cons. Stato, Ad. plen., n. 7 del 2021).
Le censure delle appellanti si concentrano sui singoli comportamenti indicati nella sentenza come manifestazione della inosservanza di tali doveri.
Il Collegio rileva che i §§ 9 e 10 della sentenza impugnata si limitano a svolgere ulteriori osservazioni, ad abundantiam rispetto al dictum del giudice, con riferimento alla inosservanza, da parte dei proprietari dei terreni in questione che avevano sottoscritto la convenzione di lottizzazione, dei doveri di comportamento diligente, non essendosi adeguatamente attivati per realizzare le facoltà edificatorie di cui lamentano la lesione. Le censure relative a tali capi della sentenza, che hanno carattere accessorio e integrativo rispetto al contenuto essenziale della decisione, non sono dunque in grado di scalfire gli argomenti in essa svolti in precedenza e oggetto dei primi due motivi dell'appello.
In ogni caso, il carattere meramente esemplificatorio dei comportamenti poi elencati dalla sentenza (l'omessa richiesta dei titoli edilizi al venir meno, con l'annullamento del P.R.G. nel 1978, del limite all'operatività della convenzione urbanistica; l'omessa attivazione in sede giudiziaria per ottenere l'esecuzione della sentenza del T.a.r.), oggetto sul punto delle censure, non toglie rilievo al complesso delle condotte pretermesse dalle appellanti e altrettanto rilevanti quale indicatore della predetta inosservanza, quali, in ulteriore ipotesi non esaustiva, sarebbero stati l'attivazione in sede giudiziaria per fare valere la propria pretesa sostanziale a fronte delle reiterazione da parte del Comune, con i successivi piani, della scelta di classificazione delle aree di loro interesse o la domanda di sospensione cautelare della sentenza di annullamento del provvedimento impugnato.
12. Per le ragioni esposte l'appello va respinto. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello n.r.g. 4332/2015, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna le appellanti a rifondere al Comune di -OMISSIS- le spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi € tremila (euro tremila), oltre IVA, CPA e spese generali al 15 per cento, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2022 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato, Presidente FF
Silvia Martino, Consigliere
Claudio Tucciarelli, Consigliere, Estensore
Emanuela Loria, Consigliere
Ugo De Carlo, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Claudio Tucciarelli Vincenzo Lopilato





IL SEGRETARIO