RICORSO N. 72 DEL 28 AGOSTO 2020 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 28 agosto 2020.

(GU n. 42 del 14.10.2020)

 

Ricorso per la Presidenza del Consiglio dei ministri (c.f. 80188230587), in persona del Presidente del Consiglio attualmente in carica, rappresentata e difesa per mandato ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato (c.f. 80224030587), presso i cui uffici ha domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12 (fax 06/96514000; Pec ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it), ricorrente;   Contro Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta regionale attualmente in carica, resistente;   Per l'impugnazione e la dichiarazione di incostituzionalita' degli articoli 2, 3, commi 1 e 3, e 4, commi 1 e 2, lettera b) della legge regionale 2 luglio 2020, n. 10, avente ad oggetto «Modifiche ed integrazioni al Piano casa» pubblicata nel B.U.R. n. 66 del 2 luglio 2020.

In attuazione delle disposizioni di cui agli articoli 135 e 143 del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo n. 42/2004, la Regione Calabria ed il Ministero per i beni e le attivita' culturali e per il turismo hanno avviato sin dal 2012 un rapporto di collaborazione istituzionale finalizzato all'elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale.

Ne e' derivata l'adozione del Quadro territoriale regionale con valenza paesaggistica (QTRP) approvato dal Consiglio regionale con deliberazione 1° agosto 2016, che prevede la successiva redazione del piano paesaggistico costituito da sedici piani d'ambito; questo strumento e' destinato alla tutela, conservazione e valorizzazione del paesaggio.

Nelle more dell'approvazione del piano, sono state concordate e stabilite nome di salvaguardia attinenti al sistema delle tutele, alla difesa del suolo e alla previsione dei rischi.

In questo contesto, il Consiglio regionale della Calabria ha approvato nella seduta del 29 giugno 2020 la legge n. 10, recante «Modifiche ed integrazioni al Piano casa (legge regionale 11 agosto 2010, n. 21)» che come noto disciplina l'esecuzione di interventi di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, di riqualificazione di aree urbane degradate, di sostituzione edilizia, di ampliamento e demolizione/ricostruzione di edifici esistenti, in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali.

La legge si compone di sei articoli (i primi quattro sostanziali, il terzo attestante l'irrilevanza sul piano finanziario, il quarto dedicato all'immediata entrata in vigore).

Le norme in questione, tuttavia, ad avviso della Presidenza del Consiglio, violano sia la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, sia il principio di leale collaborazione fra Stato e regioni, sia infine la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, e devono pertanto essere impugnate per i seguenti

 

Motivi

 

1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge regionale n. 10/2020 per violazione dell'art. 9 e dell'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, in relazione agli articoli 135, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

La norma in epigrafe modifica l'art. 4 della precedente legge regionale n. 21/2010 prevedendo in via generale l'incremento dei limiti percentuali di superficie lorda nel cui ambito sono consentiti interventi straordinari di ampliamento, di variazione di destinazione d'uso e di variazione del numero di unita' immobiliari. In particolare:   a) con la lettera a) al numero 1 si aumenta dal 15 al 20 per cento della superficie lorda per unita' immobiliare gia' esistente il limite di intervento consentito; tale limite va fino ad un massimo di 75 mq di superficie interna netta per ogni unita' residenziale, e di 200 mq di superficie interna netta per ogni unita' non residenziale;   b) con la lettera a) al n. 2 si prevede che il limite di intervento di cui sopra, riferito agli immobili residenziali, e' ora consentito anche per le unita' di volumetria superiore ai 1000 mc (mentre prima era entro i 1000 mc) a patto che si effettuino contestualmente sull'intero fabbricato lavori di innalzamento dell'efficienza termica o strutturale di almeno una classe;   c) con i numeri 2, 3, 4 e 5 della lettera b) si prevedono poi ulteriori aumenti percentuali ai limiti di intervento (dove era 15 e' 20, dove era 25 e' 30 e dove erano 500 mq sono 700 mq) per l'ampliamento, per il mutamento di destinazione d'uso e per la variazione del numero di unita' immobiliari nel non residenziale, e si prevede l'inserimento della destinazione commerciale (prima non esistente) fra quelle per le quali l'art. 4 della legge n. 21/2010 consente l'incremento di superficie oggetto di intervento.

Queste modifiche, in assenza del necessario quadro di riferimento costituito dalla previsione del piano paesaggistico, che appunto deve essere elaborato come prescrivono le norme statali (articoli 135, 143 e 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio), compromettono l'assetto del territorio e l'ordinato sviluppo urbanistico.

Secondo la legge statale, quest'ultimo e' il solo strumento che deve stabilire le prescrizioni d'uso (cioe' i criteri di gestione del vincolo da utilizzare nella fase autorizzatoria) per ciascuna delle aree tutelate e deve individuare le trasformazioni compatibili e quelle vietate, nonche' le condizioni delle trasformazioni consentite. E questo strumento deve essere frutto dell'intesa fra lo Stato e la regione.

Il legislatore nazionale, cui spetta la competenza legislativa esclusiva a regolare la materia ai sensi degli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, ha assegnato al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione del territorio. Gli articoli 143 e 145 del codice di settore sanciscono infatti l'inderogabilita' delle previsioni del piano paesaggistico rispetto a programmi o progetti regionali di sviluppo economico, e la sua cogenza rispetto agli strumenti urbanistici.

La giurisprudenza della Corte costituzionale ha sempre e ripetutamente ribadito questo concetto ogniqualvolta si e' trattato di scrutinare leggi regionali che rivendicavano spazi piu' o meno estesi di autonomia nella decisione di strumenti di pianificazione comunali e regionali.

E' stato infatti costantemente affermato che l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica e' assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un principio teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale (Corte costituzionale n. 272/2009; Corte costituzionale n. 183/2006).

Le disposizioni regionali qui censurate, invece, attuano scelte decise dalla regione in modo autonomo, e avulso dal quadro pianificatorio previsto dalla legge statale.

E questo profilo di illegittimita' non viene meno per il fatto che gia' nel 2010, con l'originaria legge sul Piano casa, la Regione Calabria aveva dettato norme proprie; il processo di elaborazione congiunta della pianificazione condivisa infatti e' successivo (2012 l'inizio del rapporto di collaborazione istituzionale finalizzato all'elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale, e 2016 approvazione del Quadro territoriale regionale con valenza paesaggistica in vista della successiva redazione del piano paesaggistico), e proprio a processo in corso la regione si e' indotta a disciplinare in modo autonomo ed indipendente la materia.

E' appena il caso di ricordare che la legge statale (art. 143, comma 1 del codice dei beni culturali e del paesaggio) demanda al piano paesaggistico, fra l'altro, la ricognizione del territorio mediante l'analisi delle sue caratteristiche paesaggistiche, la ricognizione e l'eventuale nuova identificazione degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico al fine di dettarne specifiche prescrizioni d'uso, e soprattutto l'individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate.

E' dunque evidente che norme che consentano la trasformazione del territorio anche attraverso interventi edilizi non possa non possono essere emanate dalle regioni al di fuori del contesto pianificatorio condiviso con lo Stato.

Se dunque lo Stato ha potesta' esclusiva ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, e se la legge statale impone una pianificazione condivisa del territorio regionale al fine di elaborare un regime di prescrizioni e di vincoli a tutela rispondente a criteri uniformi, la singola regione non puo' «andare per conto suo» legiferando in questa materia, e consentendo interventi di modifica fisica dei corpi edilizi avulsi dalla benche' minima pianificazione condivisa, e peraltro in deroga agli strumenti gia' vigenti.

La norma qui censurata pertanto viola sia la competenza legislativa esclusiva dello Stato sopra richiamata, sia il principio di leale collaborazione che vuole che la gestione del territorio regionale avvenga nel quadro di una pianificazione paesaggistica condivisa, sia infine il precetto costituzionale (art. 9 della Costituzione) che affida allo Stato la tutela del paesaggio.

2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 1 e 3 della legge regionale 2 luglio 2020, n. 10, per violazione dell'art. 9 e dell'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione in relazione agli articoli 135, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' per violazione del principio di leale collaborazione fra Stato e regioni.

La norma di cui alla rubrica modifica in due punti l'art. 5 della precedente legge regionale n. 21/2010.

Il comma 1 sostituisce alcune parole del primo comma del citato art. 5 con un lungo periodo. In luogo della locuzione che faceva salve le disposizioni statali in materia, con specifico riferimento al testo unico n. 380/2001, la norma ora prevede che la demolizione/ricostruzione con aumento di volumetria di edifici residenziali e non residenziali possono avvenire «anche con riposizionamento dell'edificio all'interno delle aree di pertinenza catastale dell'unita' immobiliare interessata, anche conformata con atti successivi alla realizzazione dell'edificio stesso, con realizzazione di un aumento di volumetria entro un limite del 30 per cento su immobili esistenti, alle condizioni di cui all'art. 6, comma 1 della presente legge, nel rispetto del decreto ministeriale n. 1444/1968, fatte salve le disposizioni del codice civile, con particolare riferimento all'art. 2-bis, comma 1-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, che si applica nei soli casi in cui e' necessario derogare ai limiti di distanza tra fabbricati».

Il comma 3 sostituisce il comma 3-bis del citato art. 5 della precedente legge n. 21/2010, stabilendo che «L'altezza massima della nuova edificazione puo' essere derogata fino all'utilizzo della volumetria realizzabile. I consigli comunali, nel termine di sessanta giorni decorrenti dall'entrata in vigore della presente legge, possono stabilire, con provvedimento motivato, i limiti di altezza della nuova edificazione sempreche' siano compatibili con la realizzazione dell'aumento di volumetria consentiti dalla presente legge. I provvedimenti adottati dai consigli comunali oltre il termine di sessanta giorni decorrenti dall'entrata in vigore della presente legge sono inefficaci». La precedente versione della norma prevedeva che l'altezza massima degli edifici di nuova edificazione potesse essere derogata di un piano rispetto ai limiti imposti dalle norme tecniche di attuazione per le costruzioni legittime, e di un piano rispetto alla preesistenza per gli edifici condonati.

Anche per questa norma valgono i profili di illegittimita' costituzionale sopra fatti valere con riferimento all'art. 2 della nuova legge regionale.

Si tratta infatti di consentire interventi di modifica fisica in aumento e in elevazione di edifici nella fase di loro ricostruzione dopo la demolizione, nonche' di loro riposizionamento, in deroga agli strumenti di pianificazione comunale vigenti, e soprattutto al di fuori di ogni criterio di pianificazione paesaggistica da concordare necessariamente ed inderogabilmente con lo Stato.

Senza dover ripetere quanto eccepito nel censurare la legittimita' costituzionale dell'art. 2 della stessa legge - trattandosi di motivazioni, di carattere generale che si attagliano a tutta la manovra edilizia qui adottata dalla Regione Calabria - non c'e' dubbio sul fatto che non possa consentirsi al legislatore regionale di emanare unilateralmente disposizioni che incidono (mutando in aumento la conformazione fisica dei fabbricati ed anche la loro collocazione quando ricostruiti) sul paesaggio.

La disciplina del paesaggio, la sua tutela, la fissazione di limiti, vincoli, prescrizioni e criteri spetta allo Stato, e deve essere trovare sede nel piano paesaggistico elaborato d'intesa fra Stato e regione ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del codice di settore.

Va anche qui ribadito che la legge statale attua un sistema organico di tutela paesaggistica, prevedendo un regime autorizzatorio e soprattutto prevedendo l'individuazione delle tipologie di trasformazione compatibili con il territorio e fissandone le condizioni.

Per le stesse ragioni dedotte nei confronti dell'art. 2 della legge regionale qui censurata, anche le norme dell'art. 3 sopra descritte violano la competenza legislativa esclusiva dello Stato garantita dalla lettera s) del comma 2 dell'art. 117 della Costituzione, ponendosi in contrasto con il parametro legislativo interposto mediante il quale lo Stato quella competenza esercita; esse violano altresi' il principio di leale collaborazione tra Stato e regione laddove danno vita ad un intervento autonomo regionale al posto della pianificazione concertata e condivisa, prescindendo da questa e superandola, peraltro smentendo l'impegno assunto nei confronti dello Stato al percorso di collaborazione; esse infine violano l'art. 9 della Costituzione vanificando il potere dello Stato nella tutela dell'ambiente, rispetto al quale il paesaggio assume valore primario ed assoluto (Corte costituzionale n. 367/2007).

3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 2, lettera b) della legge regionale 2 luglio 2020, n. 10, per violazione dell'art. 9 e dell'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione in relazione agli articoli 135, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' per violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.

La norma in rubrica, al comma 1 sposta in avanti di un anno la data di realizzazione dell'immobile suscettibile di essere oggetto degli interventi consentiti dalla legge regionale: questi interventi infatti prima potevano riguardare gli edifici esistenti alla data del 31 dicembre 2018, ed ora possono riguardare quelli esistenti al 31 dicembre 2019.

Il comma 2, alla lettera b), sposta anch'esso avanti di un anno il termine (dal 31 dicembre 2020 al 31 dicembre 2021) entro il quale e' possibile presentare l'istanza per eseguire gli interventi consentiti dalla legge.

Queste due norme rendono palese l'intento del legislatore di rendere permanente la patologia in atto.

Gli interventi previsti e consentiti dalla legge regionale sul Piano casa del 2010 nascevano infatti come «straordinari» ed erano - come tali - destinati ad avere vita temporalmente limitata.

Basti pensare che il termine entro il quale sarebbe stato possibile presentare istanza per eseguire gli interventi in questione era originariamente fissato al 31 dicembre 2014, poi venne prorogato al 31 dicembre 2016, poi ancora al 31 dicembre 2018, poi al 31 dicembre 2020 ed ora al 31 dicembre 2021.

Ed ancora, mentre la possibilita' di eseguire interventi di modificazione in aumento di volumetria e di altezza, e di demolizione/ricostruzione con premio di cubatura riguardava edifici esistenti alla fine del 2019, ora tale possibilita' riguarda edifici realizzati anche dopo tale data.

Cio' significa che, pendente il processo di pianificazione paesaggistica condivisa fra Stato e Regione Calabria cui dovrebbero riferirsi tutte le trasformazioni del territorio, la Regione Calabria, sta facendo da dieci anni «per conto suo».

Posto infatti che la finalita' della legge regionale sul Piano casa del 2010 era quella di consentire interventi straordinari per un tempo limitato, le continue proroghe apportate dalle altre leggi regionali succedutesi nel tempo (ultima appunto quella di cui all'art. 4 della legge qui impugnata) hanno l'effetto di stabilizzare nel lungo periodo questo regime, con la conseguenza di accrescere enormemente - per sommatoria - il numero degli interventi assentiti in deroga.

Quindi, cio' che dovrebbe essere straordinario e temporaneo diviene di fatto permanente e rende costante l'estraneita' di questi interventi rispetto all'alveo naturale costituito dal piano paesaggistico.

Anche questa disposizione quindi, nei suoi due commi descritti, viola tutti i precetti costituzionali gia' lesi dalle precedenti norme della stessa legge sopra censurate: l'art. 9 e l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione nonche' il principio di leale collaborazione fra Stato e regioni.

 

P.Q.M.

 

La Presidenza del Consiglio dei ministri come sopra rappresentata e difesa, conclude, affinche' la Corte costituzionale voglia accogliere il presente ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle norme della legge della Regione Calabria n. 10/2020 denunciate con il presente ricorso.

Roma, 19 agosto 2020

L'Avvocato dello Stato: Corsini