RICORSO N. 105 DEL 29 DICEMBRE 2020 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 29 dicembre 2020.

(GU n. 4 del 27.1.2021)

 

Ricorso per la Regione Calabria (C.F. 02205340793), in persona del Presidente f.f. delle Giunta regionale dott. Antonino Spirli', rappresentata e difesa, giusta delibera G.R. numeri 365 dell'11 novembre 2020 e 378 del 19 novembre 2020, e correlato decreto dirigenziale di incarico, nonche' in virtu' di procura speciale in calce al presente atto, dall'avv. Giuseppe Naimo (c.f. NMAGPP65A05D976H) dell'Avvocatura regionale (PEC avvocato8.cz@pec.regione.calabria.it), ed elettivamente domiciliata in Roma, via Sabotino, n. 12, presso lo studio dell'avv. Graziano Pungi', fax: 0961/853581, indirizzi di posta elettronica e fax ai quali intende ricevere comunicazioni e notificazioni del presente giudizio   Contro Presidenza del Consiglio dei ministri (c.f. 80188230587), in persona del Presidente pro-tempore, domiciliato per la carica in Roma, Palazzo Chigi, Piazza Colonna, n. 370, domicilio digitale attigiudiziaripcm@pec.governo.it   Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 6 e 7 del decreto-legge 10 novembre 2020, n. 150, derivante dalla violazione degli articoli 136, 5, 81, 117, 119, 120 e 121 della Costituzione, nonche' degli articoli 8 della legge n. 131/2003, 2, commi 78, 88 e 88-bis della legge n. 191/2009, 1, 2, 3, 6, 7 e 8 del decreto legislativo n. 171/2016, 11, comma 1, lett. p) della legge n. 124/2015, 5-bis del decreto legislativo n. 502/1992 e del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.

 

Fatto

 

Il decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 101, Serie generale, del 2 maggio 2019, recante «Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria.», ritenendo di dover adottare misure eccezionali, volte anche alla risoluzione delle riscontrate, gravi inadempienze amministrative e gestionali, per la Regione Calabria, supportando l'azione commissariale di risanamento del servizio sanitario regionale, ed accertati il mancato rispetto degli obiettivi economico-finanziari previsti dalla cornice programmata nell'ambito dei programmi operativi, il mancato raggiungimento del punteggio minimo previsto dalla griglia dei livelli essenziali di assistenza, nonche' rilevanti criticita' connesse alla gestione amministrativa, piu' volte riscontrati, da ultimo, dai Tavoli di verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica dei LEA nella seduta congiunta del 4 aprile 2019, al Capo I, rubricato «Disposizioni urgenti per il servizio sanitario della Regione Calabria» (articoli 1-10) conteneva - tra gli altri - l'art. 1 «Ambito di applicazione», l'art. 2 «Verifica straordinaria sui direttori generali degli enti del Servizio sanitario regionale», l'art. 3 «Commissari straordinari degli enti del Servizio sanitario regionale», l'art. 4 «Direttori amministrativi e direttori sanitari degli enti del Servizio sanitario regionale», l'art. 5 «Dissesto finanziario degli enti del Servizio sanitario regionale», l'art. 6 «Appalti, servizi e forniture per gli enti del Servizio sanitario della Regione Calabria», l'art. 8 «Supporto dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali» e l'art. 9 «Ulteriori disposizioni in tema di collaborazione e supporto ai Commissari»; al Capo III, rubricato «Disposizioni finanziarie, transitorie e finali» (articoli 14-16), contiene - tra gli altri - l'art. 14 «Disposizioni finanziarie» e l'art. 15 «Disposizioni transitorie e finali», articoli tutti oggetto di impugnativa da parte della Regione qui ricorrente; tale decreto e' stato oggetto di conversione con la legge n. 60/2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 152 del 1° luglio 2019, anch'essa impugnata; i distinti ricorsi della Regione Calabria sono stati riuniti e respinti da codesta Corte con la sentenza n. 233/2019.

Scaduto il termine di 18 mesi di vigenza di dette norme, con i risultati che appresso si indicheranno, dopo 7 giorni il Governo ha assunto il decreto-legge 10 novembre 2020, n. 150, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 280, Serie generale, del 10 novembre 2020, recante «Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e per il rinnovo degli organi elettivi delle regioni a statuto ordinario», con il quale, ancora una volta, ritenendo di dover adottare misure eccezionali, tenuto conto che l'Organizzazione mondiale della sanita' ha dichiarato la pandemia da COVID-19, anche in ragione della situazione emergenziale in corso, di prevedere per la Regione Calabria, misure eccezionali per garantire il rispetto dei livelli essenziali di assistenza (LEA) in ambito sanitario, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione, nonche' per assicurare il fondamentale diritto alla salute attraverso il raggiungimento degli obiettivi previsti nei programmi operativi di prosecuzione del piano di rientro dai disavanzi sanitari; verificato il reiterato mancato raggiungimento del punteggio minimo previsto dalla griglia dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e degli obiettivi economico-finanziari previsti dalla cornice programmata nell'ambito dei programmi operativi; ritenuta la indifferibile necessita' di intervenire per introdurre misure straordinarie per superare le gravi inadempienze amministrative e gestionali riscontrate nella Regione Calabria, al Capo I, rubricato anche questa volta «Disposizioni urgenti per il servizio sanitario della Regione Calabria» (articoli 1-7) contiene - tra gli altri - l'art. 1 «Commissario ad acta e supporto alla struttura commissariale», l'art. 2 «Commissari straordinari degli enti del Servizio sanitario regionale», l'art. 3 «Appalti, servizi e forniture per gli enti del Servizio sanitario della Regione Calabria», l'art. 6 «Contributo di solidarieta' e finanziamento del sistema di programmazione e controllo del Servizio sanitario della Regione Calabria» e l'art. 7 «Disposizioni transitorie e finali», articoli quelli indicati oggetto di impugnativa col presente ricorso.

Cosi' esposte la cronologia dei fatti e le norme che si intendono impugnare, questa difesa intende ricorrere, come in effetti con il presente atto ricorre, a codesta Corte costituzionale, ex art. 127, secondo comma, della Costituzione, atteso che le suddette norme presentano profili di lesivita' in pregiudizio della sfera di attribuzioni legislative ed amministrative della Regione Calabria costituzionalmente garantite, ed interviene maniera significativa su materia di preminente interesse regionale, affidando il ricorso ai seguenti

 

Motivi

 

1) Violazione art. 136 della Costituzione   Come esposto in narrativa, codesta Corte ha respinta l'impugnativa avverso il primo «Decreto Calabria»; pur respingendo il ricorso, al punto 6) della motivazione ha comunque statuito che «L'effettiva rispondenza delle misure adottate dal legislatore del 2019 allo scopo perseguito di "risanamento del servizio sanitario" e soprattutto di tutela del "rispetto dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario" nella Regione Calabria nonche' l'assenza di eventuali loro effetti controproducenti (quali paventati in udienza dal difensore della ricorrente) dovranno essere attentamente monitorate da parte dello Stato, e valutate in concreto, in sede applicativa delle misure stesse.», mentre al punto 5.1 era stato indicato che la legittimita' del provvedimento normativo dipendeva dal fatto che le concorrenti competenze regionali venivano «solo temporaneamente ed eccezionalmente "contratte", in ragione della pregressa inerzia regionale o comunque, del non adeguato esercizio delle competenze stesse».

Purtroppo, lo Stato ha clamorosamente mancato anche nella verifica «le recenti, tragicomiche vicende che hanno portato alla revoca del precedente commissario, alle dimissioni del suo primo sostituto, nonche' alla successiva, affannosa ricerca di manager attrezzato per il compito, sfociata nella individuazione dell'ennesimo inquirente in pensione quale commissario, hanno purtroppo avuto tale risalto mediatico da rientrare nel fatto notorio», ma, ancora una volta, dopo aver fatto inutilmente , trascorrere i 18 mesi fissati dal decreto-legge n. 35/2019, ha utilizzato le proprie macroscopiche incapacita' nella gestione commissariale per aggravare ulteriormente detto regime con le norme qui impugnate, ampliando addirittura, senza peraltro alcuna reale soluzione di continuita' rispetto al provvedimento cessato, il periodo di vigenza (ora, ulteriori 24 mesi rispetto ai 18 mesi gia' imposti in precedenza).

Cio' premesso, la normativa impugnata, che, ponendosi in piena continuita' «art. 7, comma 4, addirittura prevede la cessazione dalle funzioni di organi eventualmente nominati dalla Regione tra il 3 ed il 9 novembre, mentre il comma 3 dello stesso articolo consente di aggiornare il mandato commissariale, congiungendo cosi' in modo inequivoco l'incidenza dei due provvedimenti normativi sulla Regione ricorrente» con l'intervento appena cessato, reitera ed aggrava l'intervento appena cessato, rivelatosi non solo infruttuoso ma addirittura peggiorativo della situazione del maggio 2019, per un misto di incapacita' e sistematica sottovalutazione di dati («novita' del "decreto Calabria" non hanno prodotto, allo stato, un effettivo efficientamento della sanita' regionale. Le criticita' principali si sono mostrate in merito ai seguenti aspetti: Governance sanitaria: Dotazioni organiche; Appalti e forniture» - p. 359 bozza relazione parifica esercizio 2019 della Corte dei Conti calabrese), viola apertamente i limiti che codesta Corte aveva fissato alla legittimita' dell'intervento al quale le norme impugnate si pongono in conclamata continuita', e quindi viola il giudicato costituzionale, in conseguenza della violazione dell'art. 137 della Costituzione.

2) Violazione articoli 5, 117, 120, 121 della Costituzione; 8 della legge n. 131/2003; 2, comma 78, della legge n. 191/2009; 1, 2, 6 e 8 del decreto legislativo n. 171/2016, 11, comma 1, lett. p) della legge n. 124/2015 e del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.

Gli articoli 1, 2, 3, 6 e 7, dettati solo per la Regione Calabria, operando modifiche unilaterali al Piano di rientro ed al mandato commissariale, nonche' alla normativa di settore, sono invasive della competenza concorrente e residuale regionale, contraggono le correlate prerogative in termini temporalmente irragionevoli e non piu' eccezionali, ma ormai sistematici, ed in ogni caso non sono assistite da intesa con la regione e/o in sede di Conferenza Stato regioni, e determinano percio' le violazioni denunciate, anche in ordine alla mancanza di intesa ed al principio di leale collaborazione.

Come chiarito dalla sentenza n. 219/2013 di codesta Corte: «Lo Stato, optando per l'esercizio del potere sostitutivo ... si assume l'onere del processo coartato di risanamento delle finanze regionali»: come gia' sopra riportato ai punto 1), codesta Corte, con la sentenza n. 233/2020, ha ritenuto legittimo il decreto-legge n. 35/2020 in quanto le prerogative regionali «non risultano violate ma solo temporaneamente ed eccezionalmente "contratte", in ragione della pregressa inerzia regionale o, comunque, del non adeguato esercizio delle competenze stesse».

Dovra' essere finalmente ammesso che a) la violazione/contrazione delle competenze regionali non e' piu' «eccezionale e temporanea», ma, senza sostanziale soluzione di continuita' «un margine di 7 giorni non puo' certo considerarsi cesura temporalmente significativa» si protrae per tre anni e mezzo (18 mesi il decreto-legge n. 35/2020; 24 mesi il decreto-legge qui impugnato); b) lo Stato tenta di utilizzare le macroscopiche inadempienze dei Commissari statali, che - esse si - si protraggono da oltre un decennio, per tentare di prorogare ulteriormente uno stato di espropriazione/compressione delle competenze regionali, che ha oggettivamente danneggiato e danneggia sempre piu' la Regione ed i cittadini in essa residenti, i quali hanno visto progressivamente peggiorare - per asserzione dello stesso Stato, che su tale dato fonda il paradossale intervento qui censurato - la situazione di assistenza alla cittadinanza, proprio a causa dell'intervento statale («e' messo in pericolo non il servizio di raccolta differenziata, non il servizio di scuola bus, non la pulizia delle strade per gli abitanti di un singolo Comune, ma la piena tutela della salute - che e' "diritto dei diritti" - per i circa 2 milioni di abitanti del territorio calabro» - p. 18 intervento orale Relatrice giudizio parifica Corte dei Conti Calabria, che si allega).

Pare qui indispensabile una disamina dello stato del «pianeta salute» in Calabria in esito al commissariamento, e, per rendere meno «passionale» tale descrizione, si utilizzeranno per larga parte le parole della magistratura contabile: in oltre dieci anni di commissariamento, il saldo finale tra mobilita' attiva e passiva in Calabria e' esponenzialmente peggiorato (v. tabelle riportata alle pagine 389-390 della bozza di relazione parifica, che si allega in stralcio) proprio durante commissariamento; secondo la Corte dei Conti calabrese «Dal 2010 (inizio dei Commissariamento), l'esito delle iniziative attuate per superare le numerose criticita' presenti al momento dell'entrata in vigore del piano di rientro ha disatteso le reali attese di cambiamento "p. 407 bozza relazione parifica"; l'obiettivo finale del penultimo Programma Operativo (2016/2018) "uscire dal piano di rientro" e le sue precondizioni» raggiungere pareggio di bilancio entro il 2018 «, non e' stato raggiunto e l'ultimo anno si distingue per una regressione degli indicatori economici e assistenziali conseguiti in precedenza» «p. 497 bozze relazione parifica»; senza aver completato il precedente Programma Operativo, ora ci si trova in vigenza «del Piano Operativo 2019/2021, approvato con DCA n. 37 del 26 febbraio 2020», ossia oltre un anno dopo il preteso inizio di valenza del Programma stesso; l'acclarata presenza delle diverse fattispecie debitorie, oltre alle gravi irregolarita' di cui alla deliberazione della sezione controllo della Corte dei conti n. 13/2019, mai sistemate contabilmente negli anni progressi, che avevano indotto la Commissione straordinaria dell'ASP di RC, con Deliberazione n. 298 del 6 giugno 2019, ai sensi dell'art. 5 del decreto-legge n. 36/2019, a proporre il dissesto dell'Azienda, non e' stata accolta dal Commissario ad acta, con motivazioni, indicate nella nota prot. n. 170858 del 21 maggio 2020, ossia quasi un anno dopo la richiesta: il costo sostenuto per l'acquisto dei beni da parte delle Aziende del SSR e' passato complessivamente da euro 351.599.120,80 nel 2018 ad euro 367.758.596,39 nel 2019, ossia in vigenza del decreto-legge n. 35/2019, con un incremento pari al 5%.

«p. 436 bozza relazione parifica»; nell'esercizio 2019, ossia in vigenza del decreto-legge n. 35/2019, non sono stati rispettati i tetti di spesa per dispositivi medici per 12.238.674,00; «il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionale con il Comitato permanente per la verifica dei LEA, in data 25 maggio 2020, ha rilevato la dimensione degli oneri finanziari in peggioramento, evidenziando la gravita' della situazione. Ha pertanto invitato la struttura commissariale al presidio di tali iscrizioni con particolare riferimento agli oneri finanziari per anticipazioni di cassa che rappresentano il 77% del totale contabilizzato su tale voce dall'intero SSN.» «p. 460 bozza relazione parifica»; sempre ad avviso della Corte dei Conti della Calabria «si sono realizzate, con riferimento al risultato di gestione dell'anno 2019, le condizioni per l'applicazione degli automatismi fiscali previsti dalla legislazione vigente, vale a dire l'ulteriore incremento delle aliquote fiscali di IRAP e addizionale regionale all'IRPEF per l'anno d'imposta in corso, rispettivamente nelle misure di 0,15 e 0,30 punti, e per l'applicazione del divieto di effettuare spese non obbligatorie da parte del bilancio regionale fino al 31 dicembre 2021.» «p. 467 bozza relazione parifica»; la Regione Calabria, o, meglio, la gestione commissariale, al IV trimestre 2019 presenta un disavanzo sanitario di 116,721 milioni di euro; il sig. giudice relatore al giudizio di parifica ha in sintesi rilevato che «dieci anni dopo, ossia a fine 2019, il disavanzo sanitario e' passato a euro 225,418 milioni di euro. Dopo il conferimento delle coperture derivanti dal gettito delle aliquote fiscali massimizzate il risultato di gestione evidenzia un disavanzo di 118,796 milioni di euro (fonte: Verbale del tavolo tecnico e del Comitato per la Tutela dei LEA dell'8 e 9 novembre 2020 - dati trasmessi con nota Regione Calabria, Dipartimento tutela della salute, Servizi sociali e socio sanitari, prot. n. 3933804 del 30 novembre 2020) ... In altre parole, gli abitanti della Calabria stanno da dieci anni colmando una voragine finanziaria che cresce e si alimenta di anno in anno. A fronte di questi "sacrifici finanziari", i medesimi cittadini non godono pero' di servizi sanitari adeguati.»; infine - a diretta smentita di uno dei presupposti dell'adozione del provvedimento normativo impugnato - dal verbale del tavolo tecnico e del Comitato per la verifica del LEA del 25 maggio 2020 emerge che la Regione Calabria ha superato la verifica dei LEA per gli esercizi 2015, 2016 e 2017, mentre, quanto all'anno 2018, a luglio 2020, quindi molto prima che venisse adottato il provvedimento impugnato, il Ministero della salute «si allega stralcio della relazione» attribuisce alla Calabria un punteggio pari a 162, positivo ed in miglioramento.

Cio' necessariamente premesso, l'art. 1, nel ribadire ed ampliare i poteri commissariali, impone alla Regione un contingente minimo di «personale» da mettere a disposizione della struttura commissariale, senza neanche indicare le finalita' del decreto-legge medesimo, probabilmente affidate alla mera premessa, ma precisando che il Commissario «assicura l'attuazione delle misure di cui al presente capo»; l'art. 2 prevede, come gia' l'art. 3 del decreto-legge n. 35/2019, la nomina di Commissari straordinari da parte del Commissario ad acta o, in caso di mancata intesa con la regione, da parte del Ministro della salute; l'art. 3, comma 1, del decreto-legge, come gia', in parte, la prima formulazione dell'art. 6 del decreto-legge n. 35/2019, consente agli enti del Servizio sanitario della regione di avvalersi anche di Consip ovvero - previa convenzione - alle centrali di committenza della Calabria o di regioni limitrofe per l'affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture, superiori alle soglie comunitarie, con facolta' di avvalersi del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per la Sicilia-Calabria, il Piano di rientro nella versione nuovamente vigente dal 3 novembre u.s., che prevede invece «v. DG.R. 845/09, allegato, paragrafo 9, punto b), e paragrafo 10» la «predisposizione» delle gare da parte solo da parte della S.U.A., nonche' un budget prefissato per tale attivita' al fine di consentire un risparmio di spesa; l'art. 6, comma 2, condiziona l'erogazione delle somme di cui al comma 1 alla presentazione e approvazione del programma operativo di prosecuzione del Piano di rientro per il periodo 2022-2023 e alla sottoscrizione di uno specifico Accordo tra lo Stato e le regioni contenente le modalita' di erogazione delle risorse; l'art. 7, infine, determina in 24 mesi la durata della misure, e consente al Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di aggiornare il mandato commissariale assegnato con delibera del 19 luglio 2019 anche con riferimento al Commissario ad acta, nonche' - comma 4 - fa cessare dall'incarico gli «organi» eventualmente nominati dalla Regione dal 3 novembre.

L'unilaterialita' dell'intervento legislativo determina la violazione degli articoli 5, 117 e 120 della Costituzione, 2, comma 78, della legge n. 191/2009; 1, 2, 3, 6 e 8 del decreto legislativo n. 171/2016, 11, comma 1, lett. p), della legge 124/2015, 5-bis del decreto legislativo n. 502/1992, nonche' del principio di leale collaborazione, per come declinato, oltre che dalle norme sopra richiamate, dall'art. 8 della legge n. 131/2003, e sia consentito di evidenziare che la «soluzione» assunta con la pronuncia n. 200/2020, alla quale rinvia la pronuncia n. 233/2020, se verificata con la dovuta serenita', nulla a a che vedere con la questione che qui pone la regione.

Infatti, la sentenza n. 200/2019 di codesta Corte ha affermato che «Le facolta' di audizione e partecipazione della regione non si estendono, del resto, all'individuazione nominativa del commissario e del subcommissario, la cui scelta spetta in via esclusiva al Governo» e che, nel caso li' esaminato, la leale collaborazione sarebbe stata garantita «dall'azione congiunta del "Comitato paritetico permanente per la verifica dei Livelli essenziali di assistenza" e del "Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti" regionali», mentre, nel caso che qui ne occupa, non si verte in materia di indicazione nominativa del commissario, ed i Tavoli richiamati in sentenza non sono stati in alcun modo «interessati» in merito a contenuti ed adozione del provvedimento normativo qui impugnato.

Cio' detto, l'invasione/compressione delle sfere di competenza regionale concorrente e residuale e' di tutta evidenza, e come gia' sopra evidenziato, non ha piu' carattere di eccezionalita' e temporaneita'; pare quindi evidente la violazione denunciata dalla regione ricorrente: l'art. 5 della Costituzione riconosce e promuove le autonomie locali; l'art. 117, comma 2, prevede tra le materia di legislazione concorrente anche quelle della tutela della salute e del coordinamento della finanza pubblica, ed il comma 4 tra quelle di legislazione residuale l'organizzazione degli uffici; l'art. 121 della Costituzione prevede che il potere legislativo della regione sia esercitato dal Consiglio regionale, e che la rappresentanza della regione sia individuata in capo al Presidente della Giunta; l'art. 120, comma 2, della Costituzione pone come preciso limite al potere sostitutivo statale l'esercizio dello stesso secondo i principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione.

Quanto a tale ultimo profilo, il mancato invito a partecipare del Presidente della Giunta f.f. al C.d.M. del 9 novembre 2020 o altra forma di «coinvolgimento» della regione e' conclamato; rimane quindi acclarato che nessuna forma di leale collaborazione sia stata attuata nel caso in esame, mentre l'art. 8, comma 1, della legge 131/2003 prevede espressamente che anche in ipotesi di adozione di atti normativi in materia - senza esclusione alcuna in ordine alla tipologia di atto, e quindi anche in ipotesi di adozione di decreto legge - il Presidente della Giunta debba essere invitato a partecipare al relativo C.d.M..

Ad avviso della regione ricorrente, comunque, l'art. 8, comma 4, della legge n. 131/2003, che prevede, anche per i casi di urgenza, quanto meno il coinvolgimento della Conferenza Stato regioni a seguito dell'adozione di «provvedimenti», la quale puo' chiedere il riesame del provvedimento, se riguarda l'adozione di decreti legge ex art. 77 della Costituzione, come chiarito da codesta Corte con la sentenza n. 233/2019; la mancata «immediata comunicazione» alla Conferenza da' la dimostrazione della violazione denunciata anche sotto tale diverso profilo.

Infine, risulta documentalmente comprovata l'erroneita' del presupposto fondante dell'intervento, ossia il reiterato «deficit» dei LEA: come dimostrato, anche mediante allegazione della Relazione sui LEA 2018, seppur dopo due anni, lo Stato ha rilevato come i LEA siano l'unico dato in reale miglioramento nella regione, per cui non solo risulta non veritiera l'indicazione in ordine al presunto «reiterato mancato raggiungimento del punteggio minimo previsto dalla griglia dei livelli essenziali di assistenza (LEA)», e non puo' certo essere utilizzata la sistematica sottovalutazione dei dati da parte del tavolo tecnico per protrarre l'occupazione statale; inoltre, l'ulteriore presupposto, ossia il mancato «degli obiettivi economico-finanziari previsti dalla cornice programmata nell'ambito dei programmi operativi», risultando imputabile esclusivamente alla Stato, non puo' essere utilizzato dallo stesso per autoalimentare ed ampliare l'inefficiente commissariamento e proseguire nell'invasione/compressione di sfere di competenza regionale.

3. Violazione articoli 81, 117, 119, 121 della Costituzione.

Come gia' sopra riportato al punto 2), l'art. 1 impone alla regione di mettere un contingente «minimo» di 25 persone a disposizione del Commissario per 24 mesi «art. 7, comma 1»: cio' lede diversi parametri costituzionali.

Innanzi tutto, cio' determina la macroscopica violazione degli articoli 117, comma 4, e 121 della Costituzione, in quanto tale norma incide in materia di competenza legislativa residuale regionale «ordinamento ed organizzazione amministrativa regionale, vedi Corte costituzionale, sentenza n. 191/2017» in ordine all'organizzazione degli uffici regionali, che rischia di venire devastata da tale impatto del tutto «indiscriminato» (prevedere un contingente minimo, e non un contingente massimo, lascia al mero arbitrio del Commissario la scelta del numero di persone da «applicare», sia interni alla regione che esterni).

In ordine alla parte seguente di motivo di ricorso, nonche' agli ulteriori motivi, pur essendo nota la giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte che afferma che nei giudizi in via principale, le regioni sono legittimate a censurare le leggi dello Stato esclusivamente in riferimento a parametri relativi al riparto delle rispettive competenze legislative, salva ipotesi di violazione di questi che comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, e previa indicazione delle specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione, si ritiene di segnalare che il presente caso e' un unicum, in quanto le norme impugnate sono espressamente dirette ad incidere sulla sola regione ricorrente, il che pare determinare una ridondanza in re ipsa; in ogni caso si dettagliera' la ridondanza richiesta, in quanto tutte le norme impugnate incidono sulle competenze regionali, in materia di legislazione concorrente (tutela della salute e del coordinamento della finanza pubblica), e l'art. 1 anche in materia di competenza residuale (ordinamento e organizzazione amministrativa regionale); le ragioni delle lamentate lesioni sono la privazione del potere presidenziale di nomina di Commissari ed organi della aziende (art. 2), l'imposizione di indiscriminata «messa a disposizione» di un quantita' non determinata di personale regionale e non al Commissario ad acta (art. 1); l'incidenza sul bilancio regionale e la mancata certa copertura per tutte le norme impugnate.

Cio' premesso, l'art. 1 viola anche gli articoli 81, 117 e 119 della Costituzione: tenuto conto che il costo diretto della gestione commissariale, antecedente al decreto-legge n. 150/2020 era gia' pari ad euro 300.000, e tale somma e' annualmente stanziata nel bilancio regionale (capito U12010113801 - estratto del bilancio gestionale 2020-2022, approvato con dgr. n. 60 del 29 aprile 2020, che si allega), in attuazione della disposizione impugnata e' stato ritenuto dalla regione «si veda nota dirigenziale allegata» finanziariamente sostenibile unicamente il ricorso a 110 unita' di personale da acquisire tramite interpello, in posizione di comando, ai sensi dell'art. 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127, da enti pubblici regionali e da enti del Servizio sanitario regionale, e tale ulteriore costo e' complessivamente pari a 500.000,00 euro, per come indicato nella relazione tecnico finanziaria che corredata la legge n. 29/2020 (che si allega) nonche' come si evince dall'estratto della DGR. n. 435/2020 che declina le nuove autorizzazioni di spesa nei singoli capitoli di bilancio (che si allega), ed e' stato cosi' determinato: costo unitario annuo collaboratore amministrativo professionale cat. D: euro 45.531,00 comprensivo di oneri riflessi.

Totale euro 455.310,00 per 10 unita'; costo per buoni pasto: 7 euro al giorno, per massimo 24 giorni al mese, per 12 mesi, per 10 unita': euro 20.160,00; ulteriori costi per trasferte circa 25 mila euro (euro 24.530) complessive e circa 2.450,00 euro ciascuno. Per tali, con la legge regionale n. 29/2020 e' stata iscritta in bilancio la somma di euro 500.000,00 sul capitolo U1201013801 per le annualita' 2021 e 2022; tale importo e' stato confermato nel bilancio di previsione 2021-2023, nel quale, tenuto conto dello stanziamento originario di euro 300.000,00, e' allocato l'importo complessivo di euro 800.000,00 per ciascuna annualita'.

La norma impugnata, pero', non pone limiti quantitativi al ricorso all'esterno, per cui e' evidente che, in disparte la rilevante incidenza sul bilancio regionale, gia' «provato» dagli interventi per arginare l'emergenza COVID, anche del solo intervento ritenuto «sostenibile», la norma consente, a mera discrezione del Commissario, un impatto incerto nel quantum sul bilancio regionale, anche superiore al limite di sostenibilita' documentato dalla regione, e quindi anche privo di adeguata copertura finanziaria «art. 81, comma 3, della Costituzione», il che - oltre a dimostrare la ridondanza della questione sui parametri costituzionali che non riguardano la ripartizione di competenze tra Stato e regioni proprio tramite l'indicazione dell'art. 119 della Costituzione - conclama la fondatezza della censura.

Quanto ai costi indiretti, la sottrazione di personale (15 unita', nella ipotesi piu' benevola, ma come ricavabile dalle note del 9 dicembre 2020 - con allegato - e del 2 dicembre 2020 del Dirigente del Dipartimento personale, la richiesta e' molto piu' corposa, ossia 60 persone) imporra' alla regione, per mantenere il livello di servizi, di reperire altrove le risorse umane «distratte», con conseguente aggravamento per altro verso dell'impatto della norma sul bilancio regionale, di importo ad ora non quantificabile proprio perche' incerto il limite massimo di «reclutamento».

4) Violazione articoli 5, 117, 120, 121 della Costituzione; 1, 2, 8 del decreto legislativo n. 171/2016; 11, comma 1, lett. p) della legge n. 124/2015.

L'art. 2, in combinato disposto con l'art. 7, comma 4, nel consentire la nomina, previa cessazione dalle funzioni di direttori generali o di qualunque altro «organo ordinario o straordinario», gia' eventualmente nominati dal Presidente della Regione Calabria previa deliberazione di Giunta, ex art. 20 della legge regionale n. 29/2002, solo nella Regione Calabria, viola gli articoli 5, 117, 120, 121 della Costituzione, 1, 2 e 8 del decreto legislativo n. 171/2016, 11, comma 1, lett. p) della legge n. 124/2015 perche' introduce norma non di principio, ma di dettaglio, in materia di legislazione concorrente, ed in relazione ad istituto disciplinato dallo Stato prima solo col decreto-legge n. 35/2019, ma gia' normato dal Legislatore regionale (si vedano le sentenze di codesta Ecc.ma Corte numeri 190/2017, punto 6 «Considerato in diritto» - proprio relativa alla regione ricorrente - e 87/2019, punti 4.2 ss. «Considereto in diritto»); inoltre, consente una immotivata deroga all'obbligo di attingere dall'elenco nazionale di cui all'art. 1 del decreto legislativo n. 171/2016; ancora, derioga in termni immotivati all'art. 2 del emdesimo decreto legislativo; infine, l'art. 8 del decreto legislativo n. 171/2016 aveva previsto che dalla modifiche di settore non sarebbe dovuta sopravvenire nessuna nuova spesa, ed il mancato previo raggiungimento di intesa in sede di Conferenza su tali nuovi oneri determina la lamentata violazione.

In dettaglio, si conferisce il potere di nomina al Commissario o al Ministro, seppur previa intesa con la regione; si consente la nomina anche al di fuori dell'elenco nazionale di cui all'art. 1 del decreto legislativo n. 171/2016, derogato senza intese; inoltre, si introduce una ipotesi di decadenza degli organi eventualmente gia' nominati alla regione, non disciplinata dal decreto legislativo n. 171/2016; si prevede la possibilita' di nomina di un commissario per piu' aziende del S.S.R.

Pare efficace richiamare, a sostegno del vizio lamentato, la sentenza n. 251/2016 di codesta Ecc.ma Corte costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale l'art. 11 della legge n. 124/2015, anche nella parte in cui consentiva di adottare quello che poi sarebbe stato indicato come decreto legislativo n. 171/2016, non previa intesa con la Conferenza Stato regioni, ma solo previo parere della Conferenza unificata, in quanto, riguardando competenze concorrenti, come quella relativa alla disciplina della dirigenza sanitaria, l'intervento del Legislatore statale, costituito dalla determinazione dei principi fondamentali in materia di tutela della salute, «deve muoversi nel rispetto del principio di leale collaborazione, indispensabile anche in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenze n. 26 e n. 1 del 2016, n. 140 del 2015, n. 44 del 2014, n. 237 del 2009, n. 168 e n. 50 del 2008). Poiche' le disposizioni impugnate toccano sfere di competenza esclusivamente statali e regionali, il luogo idoneo di espressione della leale collaborazione deve essere individuato nella Conferenza Stato-Regioni».

Non e' in discussione, quindi, che qualunque intervento legislativo che incida sull'assetto delineato dal decreto legislativo n. 171/2016 - come accaduto, ad esempio, al momento dell'adozione del decreto legislativo n. 126/2017, correttivo di alcune disposizioni del decreto legislativo n. 171 - debba - per inequivoca statuizione di codesta Corte - necessariamente essere preceduto da intesa in sede di Conferenza Stato regioni, ivi comprese le deroghe/modifiche introdotte col decreto-legge in oggetto; come gia' sopra dedotto, la norma impugnata incide sulle competenze regionali, in materia di legislazione concorrente (tutela della salute e del coordinamento della finanza pubblica); le ragioni delle lamentate lesioni risiedono nella privazione del potere della Giunta di nomina di Commissari delle aziende (art. 20, comma 2, legge regionale n. 29/2002) e degli Organi ordinari, nel conferimento di potere di nomina, anche «multiplo», pure al di fuori dell'elenco obbligatorio sopra citato, e nella previsione di una ipotesi di «cessazione dalle funzioni» non disciplinata dal decreto legislativo n. 171/2016.

5) Violazione articoli 81, 117, 119, 121 della Costituzione.

L'art. 3, comma 1, del decreto-legge - come gia' sopra esposto - obbliga gli enti del Servizio sanitario della regione ad avvalersi, oltre che della centrale di committenza S.U.A., di Consip in via principale, ovvero di altre centrali di committenza di regioni «limitrofe» «singolarissima scelta terminologica, di vaghezza fortemente censurabile» per l'affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture, superiori alle soglie comunitarie, con facolta' di avvalersi del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per la Sicilia-Calabria: cio' determina, innanzi tutto, la lamentata violazione degli articoli 117, comma 3, e 121 della Costituzione.

La Stazione Unica Appaltante e' stata istituita nel lontano 2007 (legge regionale n. 26/2007), prevedendo all'art. 1, comma 1, come obbligatorio il ricorso alla S.U.A. - tra gli altri - per gli enti appartenenti al S.S.N.: consentendo ad libitum al Commissario di ricorre in via preliminare a Consip, o anche, in via subordinata, di nuovo ad altre centrali di committenza, pare evidente che lo Stato abbia emanato norma non di principio, ma di estremo dettaglio in materia di legislazione concorrente (vedi, esattamente in termini sulla competenza regionale, le sentenze di codesta Corte n. 43/2011, punti 4 e 5 «Considerato in diritto» e 166/2019, punti 8.1. e 8.2 «Considerato in diritto»); peraltro, si valutino i seguenti dati, in relazione alle «preoccupazioni» esposte in udienza e richiamate al punto 1) del presente ricorso.

Con la gia' citata sentenza n. 233/2019, codesta Corte chiari' che le gare in corso potevano essere completate dalla S.U.A., che ha provveduto immediatamente; con convenzione «si allega lo schema, approvato con DCA n. 156 del 26 novembre 2019» il Commissario, senza mai utilizzare Consip, sceglieva di valersi della campana Soresa come centrale di committenza e le uniche due procedure gestite da Soresa sono state «completate» il 3 novembre 2019 si producono i D.C.A numeri 139/20 e 140/20»,   Preso seppur tardivamente atto del problema, il Legislatore con la legge n. 120/2020 aveva modificato l'art. 6 del decreto-legge n. 35/2019, sostituendo le parole: «di centrali di committenza di altre regioni» con «dalla centrale di committenza della Regione Calabria»; neanche tempo di provare a riavviare l'attivita' della S.U.A. in materia, ed ecco cessare i propri effetti l'art. 6 per come «rimodulato» ed intervenire fa norma impugnata, che - come un perverso gioco dell'oca - riporta la regione quasi al punto di partenza.

Nulla esclude che la regione si trovi nuovamente a subire trattamento sopra descritto, consentendolo la norma impugnata, trattamento che mette direttamente a repentaglio la salute dei cittadini calabresi.

Inoltre, la norma contrasta anche con gli articoli 81, comma 4, 117 e 119 della Costituzione: come sopra esposto, per contenere i costi e' stato predeterminato in sede di Piano di rientro un abbattimento dei costi per il ricorso solo alla S.U.A., e la S.U.A. - proprio perche' struttura regionale - non sopporta costi di difesa in giudizio, essendo assistita dall'Avvocatura regionale, mentre il ricorso ad altre Stazioni appaltanti - compresa Consip - puo' avvenire senza limiti di costo, ed infatti - come ricavabile dall'art. 6 dello schema di convenzione allegato - il Commissario aveva garantito a Soresa non solo il pieno rimborso delle spese vive sostenute dalla centrale di committenza per la pubblicazione dei bandi di gara e degli avvisi di aggiudicazione secondo quanto previsto dagli articoli 72, 73 e 98 del Codice; il costo delle eventuali indennita' riconosciute ai componenti della Commissione giudicatrice; il costo del corrispettivo per singola procedura, ma anche il rimborso senza limiti delle spese di giudizio; codesta Ecc.ma Corte, sin dalla pronuncia n. 214/2012, ha sempre rimarcato la necessita' che la stima della copertura della spesa sia fatta «in modo credibile», il che, con tutta evidenza, non riguarda tale disposizione, che risulta totalmente priva di copertura finanziaria, e, peraltro, impatta sul bilancio regionale, che vedra' aggravare ulteriormente la propria sofferenza da tale incontrollato «e sia consentito dirlo, palesemente inefficace e costoso» ricorso a centrali di committenza esterne, allo stato non quantificabile solo perche' dipendera' esclusivamente dalle iniziative del commissario.

6) Violazione articoli 81, 117, 119, 120, 8 legge n. 131/2003, e del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.

L'art. 6, comma 2, condiziona l'erogazione delle somme previste dal comma 1 alla presentazione e approvazione del programma operativo di prosecuzione del Piano di rientro per il periodo 2022-2023 e alla sottoscrizione di uno specifico Accordo tra lo Stato e le regioni contenente le modalita' di erogazione di dette risorse, mentre il comma 3 demanda la verifica del contenuto dell'accordo congiuntamente al Comitato permanente per l'erogazione dei LEA e al Tavolo di verifica degli adempimenti.

La norma prova l'intenzione statale di protrarre sine die, e certamente addirittura oltre la stessa vigenza della norma, la dannosa espropriazione del settore sanita' regionale calabrese.

Pare assolutamente opportuno riportare inciso quanto mai calzante della sentenza n. 199/2018 di codesta Corte: «questa Corte non puo' esimersi dal rilevare l'anomalia di un commissariamento della sanita' regionale protratto per oltre un decennio, senza che l'obiettivo del risanamento finanziario sia stato raggiunto, con tutte le ripercussioni che esso determina anche sugli equilibri della forma di governo regionale, a causa del perdurante esautoramento del Consiglio e della stessa Giunta a favore del Commissario ad acta», esattamente l'anomalia in essere in Calabria.

Cio' detto, la norma pone nel 2020 come condizione per l'erogazione di fondi Presentazione ed approvazione di un Programma operativo che, teoricamente, lo Stato dovrebbe dare per scontato non essere approvato, per conclusione del commissariamento al piu' entro il 2021; praticamente, il susseguirsi di Programmi operativi sistematicamente non attuati, ed approvati con abnorme ritardo e' solo il metodo attraverso il quale l'anomalia evidenziata da codesta Corte viene perpetuata in Calabria, e questa e' solo l'ennesima prova del disegno statale; e' fermo della giurisprudenza di codesta Corte quello secondo il quale il principio di leale collaborazione deve essere applicato «all'interno di un procedimento nel quale l'ente sostituito possa far valere le proprie ragioni» (ex plurimis sentenza n. 56/2018), e a tale principio «deve essere sempre improntato il comportamento di Stato e Regioni.» (sentenza n. 57/2019), ma qui le ragioni dell'ente non possono essere fatte valere in alcun modo.

Su tali presupposti, non pare discutibile che lo Stato stia apertamente violando il principio di leale collaborazione: porre come condizione per l'erogazione di fondi che hanno come pretesa finalita' «sopportare gli interventi di potenziamento del Servizio sanitario regionale stante la grave situazione economico-finanziaria e sanitaria presente nella Regione Calabria» un evento futuro ed incerto, che - nell'ipotesi piu' ottimistica - sara' approvato nel 2022, e la cui approvazione - che potra' avvenire, secondo l'interpretazione avallata da codesta Corte con la sentenza n. 200/2019, anche nel 2023 o successivamente - vorra' automaticamente significare l'estensione per almeno un altro biennio del commissariamento, significa venir evidentemente meno alle regole sopra piu' volte richiamate che devono necessariamente contraddistinguersi tra lo Stato e la regione, nonche' - sia consentito aggiungerlo, per quanto giuridicamente ininfluente - i cittadini che popolano tale regione, trattati come figli di un Dio minore.

La norma, inoltre, viola gli articoli 81, 117 e 119 della Costituzione, demandando all'evento futuro ed incerto sopra indicato l'erogazione di fondi, la necessita' dell'erogazione dei quali lo stesso Stato qualifica come urgentissima, determina una «entrata» meramente illusoria e non utilizzabile nell'immediatezza, causando in concreto una falla nel bilancio regionale.

7) Questione dl L.C. in via "incidentale"   Una necessaria premessa alla presente articolazione del ricorso: codesta Corte, con la sentenza n. 200/2020, ha ritenuto di non dare seguito ad analoga richiesta, ma non l'ha ritenuta inammissibile.

La Regione ricorrente intende qui sollecitare - alla luce di quanto sopra esposto - la possibilita' che la Corte valuti - ove la questione appresso evidenziata sia rilevante e non manifestamente infondata - di attivare tale meccanismo, e, soprattutto, di rivalutare - melius re perpensa - l'arresto contento nella pronuncia n. 200/2019, secondo il quale il sistema in atto «in realta' non prevede una prosecuzione del commissariamento sine die, ma consente il ritorno alla gestione ordinaria una volta raggiunti gli obiettivi del piano».

A tal fine, si espone quanto appreso.

Il combinato disposto dei commi 88 e 88-bis dell'art. 2, legge n. 191/2009 prevede che i programmi operativi predisposti dal Commissario nelle regioni sottoposte ai Piani di rientro costituiscano non solo una prosecuzione ma anche un aggiornamento del Piano, tenuto conto del possibile mutato quadro ordinamentale di riferimento in termini di finanziamento assicurato dallo Stato e di nuovi obblighi pattizi o legislativi in capo alle regioni: a avviso della regione ricorrente, tale disciplina si pone in contrasto con parametri costituzionali diretti ed interposti.

Come gia' sopra evidenziato, l'art. 5 della Costituzione riconosce e promuove le autonomie locali; l'art. 121 della Costituzione prevede che il potere legislativo della regione sia esercitato dal Consiglio regionale, e che la rappresentanza della regione sia individuata in capo al Presidente della Giunta; l'art. 120, comma 2, della Costituzione, pone come preciso limite al potere sostitutivo statale l'esercizio dello stesso secondo i principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione; anche per i casi di urgenza, l'art. 8, comma 4, della legge n. 131/2003 prevede quanto meno il coinvolgimento della Conferenza Stato regioni, la quale puo' chiedere il riesame del provvedimento; l'art. 2, comma 78, legge n. 191/2009 prevede che il Piano venga approvato dalla Struttura tecnica della Conferenza Stato regioni: insomma, vista la delicatezza dell'esercizio del potere sostitutivo, che altera in modo estremamente incisivo l'organizzazione regionale ed i poteri a cio' collegati dalla Carta costituzionale, l'intero tessuto normativo «costituzionale ed ordinario» circonda di particolari garanzie partecipative l'adozione degli atti in materia.

Per contro, i commi sopra citati consentono, mediante atto unilaterale del Commissario «il Programma operativo» sia la prosecuzione che l'aggiornamento dei Piano, senza alcun coinvolgimento della Regione commissariata, e senza alcun coinvolgimento della Conferenza Stato regioni: tale profilo non e' stato in alcun modo scrutinato da codesta Corte con la sentenza n. 200/2019, e si chiede che venga qui scrutinato, essendo evidente la pervasivita' del meccanismo che consente la mutazione «genetica» del Piano di rientro - il Commissario sarebbe incaricato dell'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la regione interessata, e codesta Corte ha a piu' riprese sottolineato la vincolativita' dei Piani di rientro per le regioni che li abbiano liberamente sottoscritti (ex plurimis, sentenza n. 79/2013) - da accordo Stato/regione, con coinvolgimento della Conferenza Stato regioni, ad atto totalmente unilaterale «si veda, sulla necessita' di forme di coinvolgimento della regione in ipotesi di interventi in materia a competenza concorrente, la pronuncia di codesta Corte n. 56/2019» in quanto dipende solo dal commissario protrarre il commissariamento, mediante l'adozione di ripetuti Programmi operativi, che lo stesso commissario poi non porta a termine, creando un corto circuito istituzionale di rilevante gravita'.

Che, poi, in concreto, la Stato intenda non porre alcun limite temporale a tale prosecuzione e/o aggiornamento per la Regione Calabria, risultando affidato al solo commissario protrarre anche sine die il commissariamento, mediante l'adozione di ripetuti Programmi operativi e' dimostrato non solo dal «riepilogo» dell'ultradecennale commissariamento sopra descritto, ma anche dall'intero compendio normativo qui impugnato ed in particolare dall'art. 6, comma 2 - che gia' prefigura ulteriore estensione unilaterale del Piano di rientro, e quindi del commissariamento - e dall'art. 7, comma 3, che consente l'aggornameno del mandato commissariale: si chiede quindi a codesta Corte di voler rimeditare la decisione assunta nel non dare seguito ad analoga istanza, e, quindi - ove necessario ai fini della decisione, considerando in particolare che l'art. 7, comma 3, consente di «aggiornare il mandato commissariale assegnato con delibera del 19 luglio 2019 anche con riferimento al Commissario ad acta» - che codesta Corte voglia valutare di sollevare avanti a se' medesima questione di l.c. dell'art. 2, commi 88 e 88-bis, legge n. 191/2009, per violazione degli articoli 5, 120 e 121 della Costituzione; 8 della legge n. 131/2003 e 2, comma 78, della legge n. 191/2009, nonche' del principio di leale collaborazione per come declinato dagli articoli appena citati, nella parte in cui consentono - senza alcun meccanismo di coinvolgimento della regione e/o della Conferenza Stato regioni - di proseguire mediante atto unilaterale del Commissario il Piano di rientro ed il correlato commissariamento.

 

P. Q. M.

 

Pertanto si insiste perche' l'adita Corte costituzionale voglia, per le ragioni sopra espresse, dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli articoli impugnati, nei limiti dell'impugnazione proposta, per violazione degli articoli della Costituzione e delle altre norme di principio indicati nel corpo del ricorso, nonche' dei principio di leale collaborazione, il tutto anche in esito a eventuale questione di l.c. come sopra articolata in via incidentale.

Si producono, unitamente ai documenti richiamati nel corpo del ricorso come prodotti, D.G.R. numeri 365/2020 e 378/2020 che autorizzano la proposizione del ricorso, e decreto del Coordinatore dell'avvocatura di indicazione difensore.

Salvis juribus

L'avvocato: Naimo