RICORSO N. 62 DEL 23 LUGLIO 2020 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 23 luglio 2020.

(GU n. 38 del 16.9.2020)

 

Ricorso ex art. 127 della Costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e' domiciliato per legge;   Contro la Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente in carica, con sede in piazza Unita' d'Italia 1, Trieste;   Per la declaratoria della illegittimita' costituzionale, giusta deliberazione del Consiglio dei ministri assunta nella seduta del giorno 13 luglio 2020, degli articoli 1, 3 e 11 della legge della regione Friuli-Venezia Giulia 18 maggio 2020, n. 9, pubblicata nel BUR n. 21 del 20 maggio 2020, recante: «Disposizioni urgenti in materia di autonomie locali, finanza locale, finzione pubblica, formazione, lavoro, cooperazione, ricerca e innovazione, salute e disabilita', rifinanziamento dell'art. 5 della legge regionale 312020 recante misure a sostegno delle attivita' produttive».

La legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 9/2020 agli articoli 1, 3 e 11 presenta alcuni profili di illegittimita' costituzionale e in relazione a tali norme si invoca il sindacato di codesta ecc.ma Corte affinche' ne sia dichiarata la illegittimita' costituzionale ed il conseguente annullamento per i motivi di diritto che si esporranno, previa una premessa in ordine al contesto normativo ed amministrativo nel quale si e' esplicata la censurata legiferazione regionale.

 

Motivi di diritto

 

1) L'art. 1 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9/2020 viola l'art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione invadendo la competenza legislativa ivi prevista in capo allo Stato nella materia di «ordinamento civile».

Il comma 6 dell'art. 1 della legge regionale n. 9/2020, in esame, prevede l'inserimento del nuovo art. 29-bis, della legge regionale n. 21/2019, che reca: «Disposizioni per la liquidazione delle Unioni territoriali intercomunali che esercitano le funzioni delle soppresse Province»,   Tale disposizione e' da inquadrare nel contesto della citata legge regionale n. 19/2019 che, tra l'altro, ha previsto, all'art. 27, il «Superamento delle Unioni territoriali intercomunali», disponendo: «1. Le Unioni territoriali intercomunali di cui alla legge regionale n. 26/2014, esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, sono sciolte di diritto a decorrere dal 1° gennaio 2021» e che, tra l'altro, all'art. 29, reca «Disposizioni speciali per il superamento delle Unioni che esercitano le funzioni delle soppresse province» prevedendo che: «4. Gli organi delle Unioni di cui al presente articolo sono sciolti a far data dal 1° aprile 2020. Dalla stessa data la gestione delle Unioni e' affidata a un commissario straordinario nominato dalla giunta regionale, con il compito di curare gli adempimenti connessi alla liquidazione delle Unioni stesse e al subentro degli enti di cui all'art. 30. Per l'adempimento dei compiti previsti in capo al commissario, la giunta regionale puo' nominare uno o piu' vicecommissari. Le indennita' dei commissari e dei vicecommissari sono determinate dalla giunta regionale contestualmente alla nomina degli stessi, con oneri a carico degli enti commissariati».

Il comma 5 del novellato art. 29-bis della legge regionale n. 21/2019, cosi' dispone: «I beni immobili di proprieta' delle Unioni territoriali intercomunali che esercitano le funzioni delle soppresse province sono attribuiti ai comuni nei cui territori essi insistono.

I commissari, nominati ai sensi dell'art. 29, comma 4, redigono il relativo verbale di consegna, che ai sensi dell'art. 2645 del codice civile, costituisce titolo per l'intavolazione, la trascrizione immobiliare e la voltura catastale di diritti reali sui beni immobili trasferiti. Il trasferimento della proprieta' dei beni immobili decorre dalla data del verbale di consegna. Per il trasferimento della proprieta' dei beni immobili si applica l'art. 1, comma 96, lettera b), della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle citta' metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni)»   La surriportata norma, introdotta dall'art. 1 della legge regionale n. 9/2020, di cui si chiede la declaratoria di illegittimita', viola l'art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione, invadendo la competenza legislativa ivi prevista in capo allo Stato nella materia dell'«ordinamento civile», nella parte in cui disciplina i modi di acquisto della proprieta' e degli altri diritti reali (disciplinati a livello nazionale dall'art. 922 del codice civile) e individua i titoli idonei alla trascrizione (ambito, anch'esso compiutamente disciplinato dal codice civile, agli articoli 2643-2681, e che, all'art. 2645 del codice civile, - altri atti soggetti a trascrizione - dispone: «Deve del pari rendersi pubblico, agli effetti previsti dall'articolo precedente, ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell'art. 2643, salvo che dalla legge risulti che la trascrizione non e' richiesta o e' richiesta a effetti diversi»)   Il trasferimento della proprieta' di un bene immobile e' il primo e tipico effetto dei contratti indicati dall'art. 2643, comma 1, n. 1, dall'intavolazione (cfr. R.D. 28 marzo 1929, n. 499, disposizioni relative ai libri fondiari nei territori delle nuove province, art. 9: «Nel libro fondiario possono essere intavolati o prenotati, in quanto si riferiscono a beni immobili, solamente il diritto di proprieta', le servitu', i diritti edificatori di cui all'art. 2643, numero 2-bis, del codice civile, il diritto di usufrutto, salvo quello previsto al successivo art. 20, lettera a), i diritti di uso, di abitazione, di enfiteusi, di superficie, di ipoteca, i privilegi, per i quali leggi speciali richiedano l'iscrizione nei registri immobiliari, e gli oneri reali»), alla voltura catastale (cfr. decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 650, perfezionamento e revisione del sistema catastale).

La regione richiama, poi, la legge 7 aprile 2014, n. 56, recante «Disposizioni sulle citta' metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», che all'art. 1, comma 96, dispone che «Nei trasferimenti delle funzioni oggetto del riordino si applicano le seguenti disposizioni: (...) b) il trasferimento della proprieta' dei beni mobili e immobili e' esente da oneri fiscali».

La disciplina della proprieta', della trascrizione, dell'intavolazione e della voltura - incluso il profilo inerente all'idoneita' del verbale di consegna ai fini della trascrizione - trovano una compiuta regolamentazione in fonti statali di rango primario (codice civile, decreti legislativi, regio decreto), senza effettiva necessita' di interventi legislativi regionali «integrativi» (comunque esclusi da codesta ecc.ma Corte costituzionale, cfr. sentenza n. 228/2016), per quanto non contrastanti con le disposizioni statali.

Codesta ecc.ma Corte ha, infatti, tradizionalmente escluso la possibilita' che la legislazione regionale intervenga sui profili civilistici, «sui rapporti cioe' dai quali i diritti soggettivi derivano (modi di acquisto e di estinzione, i limiti dei diritti di proprieta' connessi ai rapporti di vicinato ecc.)» (Corte costituzionale, 4 luglio 1989, n. 391, in Giur. cost., 1989, I, 1782).

Codesta ecc.ma Corte ha sul punto statuito (Corte costituzionale 6 novembre 2001, n. 352, in Giur. cost., 2001, 3609) che il limite stesso «che attraversa le competenze legislative regionali» e' «fondato sull'esigenza sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l'uniformita' della disciplina dettata per i rapporti tra privati».

Pertanto, deve ritenersi che la disposizione regionale in questione invada la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia dell'ordinamento civile, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione.

2) L'art. 3 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9/2020 viola l'art. 23 e 117, comma 2, lettera e) della Costituzione invadendo la competenza legislativa ivi prevista in capo allo Stato nella materia dell'armonizzazione dei bilanci pubblici».

L'art. 3 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9/2020, in esame, al comma 1 dispone che i comuni, al fine di fronteggiare la situazione di crisi derivante dall'emergenza COVID-19, deliberano, per l'anno 2020, riduzioni ed esenzioni della tassa sui rifiuti (TARI), ai sensi dell'art. 1, comma 660, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilita' 2014), riduzioni della tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche (TOSAP) o del canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche (COSAP), nonche' la possibilita' di disporre la copertura del relativo minor gettito o minore entrata anche attraverso il ricorso a risorse derivanti dall'avanzo disponibile, nonche' da trasferimenti regionali. Le deliberazioni di riduzione ed esenzione possono essere adottate anche successivamente all'approvazione del bilancio di previsione per l'esercizio 2020.

Il comma 2 prevede che la regione concorre a sostenere i comuni che adottano i provvedimenti di cui al comma 1, con un parziale ristoro delle minori entrate nei casi di riduzioni ed esenzioni della TARI per le utenze non domestiche e di riduzioni della TOSAP o del COSAP mentre il comma 3 dispone che per le finalita' di cui al comma 2, e' istituito per l'anno 2020 un fondo speciale, pari a 11 milioni di euro, a favore dei Comuni, suddiviso in:   a) 8 milioni di euro, per ristorare il minor gettito conseguente alla riduzione ed esenzione della TARI per le utenze non domestiche;   b) 3 milioni di euro, per ristorare le minori entrate conseguenti alla riduzione della TOSAP o dei COSAP.

Il concorso della Regione e' pari alla meta' del valore del minor gettito derivante dalla riduzione ed esenzione della TARI, della TOSAP e del COSAP.

Al comma 7 infine si prevede che «Qualora lo Stato provveda al ristoro totale o parziale del minor gettito derivante dalla riduzione ed esenzione della TARI per le utenze non domestiche, nonche' alle minori entrate derivanti dalla riduzione della TOSAP o del COSAP, gli importi del ristoro regionale spettanti a ciascun comune sono ridotti dell'importo corrispondente assegnato dallo Stato».

Il comma 1 dell'art. 3 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9/2020 viola l'art. 117, comma 2, lettera e) quando all'ultimo periodo dispone che «le deliberazioni di riduzione ed esenzione possono essere adottate anche successivamente all'approvazione del bilancio di previsione per l'esercizio 2020».

Detta disposizione e' in contrasto con le norme statali che prevedono l'approvazione dei livelli tributari prima dell'approvazione dei documenti di bilancio.

In materia, la regola generale e' fissata dall'art. 1, comma 169, della legge n. 296 del 2006, che stabilisce che gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data di approvazione del bilancio di previsione.

In questo modo le delibere hanno effetto dal 10 gennaio dell'anno di riferimento.

In ordine al termine per l'approvazione dei regolamenti di disciplina dei tributi locali, poi, l'art. 53, comma 16 della legge n. 388 del 2000 prevede che: «Il termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi locali ... e le tariffe dei servizi pubblici locali, nonche' per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locati, e' stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. I regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all'inizio dell'esercizio, purche' entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno di riferimento». La natura perentoria del termine previsto dall'art. 1, comma 169, della legge n. 296 del 2006 e' stata chiaramente affermata dal Consiglio di Stato nelle sentenze della sezione quinta n. 3808 e n. 3817 dei 17 luglio 2014, n. 4409 del 28 agosto 2014, n. 1495 del 19 marzo 2015, nonche' nell'ordinanza della sezione quarta n. 4434 del 6 ottobre 2016.

Il Consiglio di Stato ha affermato che le disposizioni relative all'approvazione del bilancio di previsione oltre il termine hanno natura eccezionale e sono finalizzate «ad evitare le gravi conseguenze che conseguono alla mancata approvazione del bilancio da parte dell'ente locale».

Pertanto, «in assenza di una specifica ulteriore disposizione di legge» l'autorizzazione del prefetto ad approvare il bilancio oltre termine previsto dalla norma «non comprende il termine per l'approvazione delle aliquote e delle tariffe, che trovano compiuta ed autonoma disciplina nel citato art. 1, comma 169, legge n. 296 del 2006 in materia di aliquote e tariffe, che contiene, peraltro, previsioni sanzionatorie, quali l'inapplicabilita' delle nuove tariffe e aliquote, ove approvate dopo il termine del 30 novembre» (Consiglio di Stato, sezione quinta, citate sentenze n. 3808 e n. 3817 dei 2014).

La ratio ispiratrice di tali principi e' evidentemente rinvenibile nella ineludibile esigenza che i livelli tributari siano connessi alle previsioni del bilancio degli enti locali.   Le entrate tributarie costituiscono, infatti, elemento fondante ed essenziale per la redazione e l'approvazione del bilancio di previsione e la loro quantificazione deve necessariamente precedere l'adozione dello stesso, come risulta dalla lettura dell'art. 172, comma 1, lettera c), dei TUEL, il quale prevede tra documenti che devono essere allegati al bilancio, per l'appunto, le deliberazioni di determinazione delle aliquote e delle tariffe.

La correlazione tra la definizione della manovra tributaria e l'adozione del bilancio di previsione e', anzi, cosi' stringente da imporre all'ente locale che abbia gia' approvato il bilancio, qualora intenda modificare le aliquote o le tariffe, l'obbligo di riapprovare integralmente il bilancio stesso, entro il termine di cui all'art. 1, comma 169, della legge n. 296 dei 2006, non essendo sufficiente una mera variazione detto stesso (in tal senso si e' espressa la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia n. 431 del 3 ottobre 2012).

Non si puo', quindi, ammettere che oltre il termine di approvazione del bilancio il comune possa variare le aliquote o le tariffe con effetti sull'anno d'imposta in corso, in quanto significherebbe legittimare, al di fuori dei casi consentiti dalla legge e in qualunque fase dell'esercizio finanziario, una o piu' riapprovazioni del bilancio, in contrasto con i piu' basilari principi della programmazione finanziaria, rendendo vani i termini previsti dalla legge statale.

Consentendo all'ente locale di procedere alla modifica delle aliquote e delle tariffe dei tributi anche dopo la scadenza del termine fissato per l'approvazione del bilancio si verificherebbe, altresi', la violazione dell'art. 23 della Costituzione, in quanto i cittadini verrebbero assoggettati ad una prestazione patrimoniale imposta oltre il termine fissato dal legislatore statale, che, nel caso di specie, e' rappresentato dal termine perentorio di cui all'art, 1, comma 169, della legge n. 296 del 2006.

Senza contare che verrebbero lesi i principi generali sanciti dalla legge 27 luglio 2000, n. 212, recante «Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente», considerata l'assenza di un riferimento temporale certo per l'individuazione delle aliquote e delle tariffe applicabili per ciascun anno di imposta.

Il superamento del termine di cui all'art. 1, comma 169, della legge n. 296 del 2006 comporta indubbiamente l'inapplicabilita' delle aliquote e delle tariffe all'anno d'imposta in corso sebbene non influisca sulla validita' dell'atto (Consiglio di Stato, sezione quinta, con la sentenza n. 4104 del 29 agosto 2017), incidendo sul «sul regime di efficacia temporale» delle delibere di approvazione delle stesse.

Ferma restando la perentorieta' del termine in esame, da un lato, il Consiglio di Stato ha chiarito che l'effetto dell'inapplicabilita' delle aliquote per l'anno di riferimento si produce automaticamente, a prescindere dall'annullamento della deliberazione, e, dall'altro, in un'ottica di conservazione degli atti amministrativi, ha affermato che la stessa non e' affetta da illegittimita', risultandone soltanto preclusa «l'applicazione (retroattiva) all'esercizio in corso (a partire dal 1° gennaio)» (cfr. sentenza n. 175, n. 176 e n. 180 del 15 gennaio 2018, n. 260 e n. 263 del 17 gennaio 2018; n. 7273 del 27 dicembre 2018, n. 945 dell'8 febbraio 2018).

Anche le ultime norme statali in materia di pubblicazione delle aliquote e delle tariffe dei tributi locali hanno sancito il principio che l'eventuale approvazione della misura dei tributi oltre i termini stabiliti per l'approvazione del bilancio di previsione finisce, altresi', per determinare l'inefficacia delle relative deliberazioni.

Cio' in quanto l'art. 15-bis del decret-legge n. 34 del 2019, nell'introdurre il comma 15-ter nell'art. 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, ha esteso i medesimi termini di trasmissione e pubblicazione gia' vigenti per gli atti relativi all'IMU e alla TASI sulla base, rispettivamente, dell'art. 13, comma 13-bis, del decreto-legge n. 201 del 2011, e dell'art. 1, comma 688, della legge n. 147 del 2013, alle deliberazioni tariffarie e ai regolamenti relativi ai tributi diversi dall'IMU, dalla TASI, dall'imposta di soggiorno e dall'addizionale comunale all'IRPEF - vale a dire, a legislazione vigente, la TARI, l'ICP, la TOSAP e l'ISCOP.

Gli atti relativi all'IMU, alla TASI, alla TARI, all'ICP, al CIMP, alla TOSAP e all'ISCOP, quindi, acquistano efficacia dalla data della pubblicazione sul sito internet del Dipartimento delle finanze www.finanze.gov.it e sono applicabili per l'anno cui si riferiscono e dunque dal 1° gennaio dell'anno medesimo in virtu' del richiamato disposto di cui all'art. 1, comma 169, della legge n. 296 del 2006 a condizione che tale pubblicazione avvenga entro il 28 ottobre dello stesso anno.

Al fine di consentire al MEF di provvedere alla pubblicazione entro termine del 28 ottobre di ciascun anno gli atti relativi ai tributi in questione in virtu' del citato art. 13, commi 13-bis (per l'IMU) e 15-ter (per la TARI, l'ICP, la TOSAP e l'ISCOP), del decreto-legge n. 201 dei 2011 e art. 1, comma 688, della legge n. 147 del 2013 (per la TASI) devono essere trasmessi, mediante inserimento nel portale, entro termine perentorio del 14 ottobre dello stesso anno.

Le deliberazioni di approvazione delle aliquote o delle tariffe pubblicate oltre detta data sono comunque visibili in corrispondenza dell'anno cui si riferiscono, ma vengono contrassegnate da un'apposita nota che ne evidenzia l'inefficacia per l'anno di riferimento (in tal senso vedi circolare n. 2/DF del 22 novembre 2019).

La disciplina dei tempi di approvazione delle delibere dei tributi strettamente connesse a quello di approvazione del bilancio di previsione rappresentano estrinsecazione dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico posti a tutela del contribuente e finalizzati a garantire la certezza del diritto e non possono certo essere derogati da leggi regionali. La disposizione viene impugnata in quanto lesiva dell'art. 23 della Costituzione.

Conclusivamente si riporta quanto affermato da codesta ecc.ma Corte in tema di riparto della potesta' legislativa in ambito tributario nella sentenza n. 245 del 29 novembre 2017: «Giova, infine, ribadire quanto di recente affermato da questa Corte, proprio in materia di relazioni finanziarie tra lo Stato e le autonomie speciali: «e' utile ricordare come il sistema tributario regionale sia caratterizzato, quasi per intero, dall'eteronomia della struttura dei tributi (propri derivati, addizionali, compartecipazioni al gettito di quelli erariali) e dalla centralizzazione dei meccanismi di riscossione e riparto tra gli enti territoriali, soluzioni giustificate dall'interrelazione con piu' parametri costituzionali di primaria importanza, tra i quali spiccano il coordinamento della finanza pubblica ed il rispetto dei vincoli comunitari ex art. 117, primo comma, della costituzione, e come tale «supremazia normativa» sia giustificata sul piano funzionale da inderogabili istanze unitarie che permeano la Costituzione.»   La disciplina contenuta al comma 1 dell'art. 3 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9/2020 viola l'art. 117, comma 2, lettera e) quando all'ultimo periodo dispone che «le deliberazioni di riduzione ed esenzione possono essere adottate anche successivamente all'approvazione del bilancio di previsione per l'esercizio 2020», essendo in contrasto con le norme statali che impongono l'approvazione dei livelli tributari prima dell'approvazione dei documenti di bilancio.

Altra violazione dei principi della contabilita' nazionale e' costituita dalla previsione del comma 1 dell'art. 3 della legge n. 9/2020 della Regione Friuli-Venezia Giulia ove dispone che «1. I Comuni che, al fine di fronteggiare la situazione di crisi derivante dall'emergenza COVID-19, deliberano, per l'anno 2020, riduzioni ed esenzioni (...) possono disporre la copertura del relativo minor gettito o minore entrata anche attraverso il ricorso a risorse derivanti dall'avanzo disponibile...».

Detta previsione, oltre a comportare il rischio di una non completa copertura delle minori entrate da parte della Regione con conseguenti minori entrate per gli enti locali, comporta la possibilita' di utilizzare la quota libera dell'avanzo di amministrazione a copertura delle minori entrate in violazione dell'art. 109, comma 2, del decreto-legge n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2020, che dispone che non possono essere destinate a riduzione di entrate le risorse provenienti dalla quota libera dell'avanzo di amministrazione e i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni, per le quali e' prevista la destinazione al finanziamento delle sole spese correnti connesse con l'emergenza in corso.

Diversamente, possono rientrare tra le politiche dirette a sgravare il contribuente dal pagamento delle imposte locali e/o a compensare le minori entrate derivanti dall'emergenza COVID-19 le misure recate dal comma 1-ter del citato art. 109, relative all'utilizzo dell'avanzo vincolato, nonche' quelle previste dall'art. 112, in materia di sospensione della quota capitate dei mutui Cassa DD.PP e MEF.

Qualora gli enti locali non fossero in grado di utilizzare la quota libera dell'avanzo di amministrazione a copertura di dette minori entrate, si determinerebbero squilibri finanziari nei bilanci degli enti, anche considerata la non completa copertura da parte della Provincia per i minori incassi.

In ogni caso, occorre osservare che il legislatore statale ha preso in considerazione l'ipotesi di ristoro a carico dello Stato dei danni subiti dall'emergenza sanitaria (ipotesi disciplinata dal comma 7 della legge regionale impugnata) all'art. 106 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, (cd decreto rilancio), attualmente in sede conversione all'esame della Camera dei deputati (AC 2500), che prevede «Al fine di concorrere ad assicurare ai comuni, alte province e alle citta' metropolitane le risorse necessarie per l'espletamento dette funzioni fondamentali, per l'anno 2020, anche in relazione alla possibile perdita di entrate. connesse all'emergenza COVID-19, e' istituito presso il Ministero dell'interno un fondo con una dotazione di 3,5 miliardi di euro per il medesimo anno, di cui 3 miliardi di euro in favore dei comuni e 0,5 miliardi di euro in favore di province e citta' metropolitane. Con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare entro il 10 luglio 2020, previa intesa in Conferenza stato citta' ed autonomie locali, sono individuati criteri e modalita' di riparto tra gli enti di ciascun comparto del fondo di cui al presente articolo sulla base degli effetti dell'emergenza COVID-19 sui fabbisogni di spesa e sulle minori entrate, al netto delle minori spese, e tenendo conto delle risorse assegnate a vario titolo dallo Stato a ristoro delle minori entrate e delle maggiori spese, valutati dal tavolo di cui al comma 2».

Nello specifico, le risorse in esame sono previste al fine di concorrere ad assicurare ai comuni, province e citta' metropolitane le risorse necessarie per l'espletamento delle funzioni fondamentali, per l'anno 2020, anche in relazione alla possibile perdita di entrate connesse all'emergenza COVID19, ma non per far fronte a riduzioni e agevolazione tributarie per il corrente anno 2020 previste dagli enti medesimi in modo autonomo.

Sul punto occorre ricordare la sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 320/2004 con la quale e' stato affermato che «questa Corte, a proposito della competenza esclusiva statale in tema di tutela della concorrenza, di cui al secondo comma dell'art. 117 della Costituzione, ha chiarito nella sentenza n. 14 del 2004 che spetta allo Stato la competenza ad adottare provvedimenti idonei «ad incidere sull'equilibrio economico generale».

La disciplina dell'utilizzo dell'avanzo d'amministrazione, simultaneamente convergente, in tale fattispecie, nelle materie del sistema tributario e contabile dello Stato, dell'armonizzazione dei bilanci pubblici e della perequazione delle risorse finanziarie, e', quindi, competenza primaria dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, con la conseguente illegittimita' della disposizione contenuta al comma 1 dell'art. 3 della legge n. 9/2020 della Regione Friuli-Venezia Giulia.

3) L'art. 11 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9/2020 viola: la potesta' legislativa statale in materia di ordinamento civile di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l); i principi di ragionevolezza, buon andamento ed imparzialita' dell'amministrazione pubblica di cui all'art. 97 della Costituzione; l'art. 117, terzo comma, della Costituzione in materia di coordinamento della finanza pubblica; l'art. 4 dello statuto speciale detta Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia - legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1.

L'art. 11 della legge regionale che si impugna prevede che - fino alla riforma dell'ordinamento dei segretari comunali del Friuli-Venezia Giulia e, comunque, non oltre dodici mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni presenti - ai fine di fare fronte alla grave e cronica carenza di segretari comunali iscritti alla sezione regionale dell'albo, anche in relazione alla imprescindibile operativita' di tutti gli enti locali della regione nella fase successiva al superamento dell'emergenza epidemiologica, l'individuazione dei soggetti cui attribuire il ruolo dei segretari comunali nelle sedi di segreteria con popolazione fino a 3.000 abitanti avvenga secondo le disposizioni contenute in detto articolo.

Al riguardo, e' necessario premettere che la disposizione in esame e' sostanzialmente analoga a quella gia' emanata dalla regione con la legge regionale n. 44/2017 recante: «Legge collegata alla manovra di bilancio 2018 - 2020» (art. 10, comma 15) impugnata dal Governo. A seguito dell'impugnativa Costituzionale, la Regione Friuli-Venezia Giulia aveva emanato la legge regionale n. 20 del 9 agosto 2018 che, all'art. 12, comma 5, ha abrogato la disposizione impugnata. Ne e' conseguita la rinuncia all'impugnativa deliberata dal Consiglio dei ministri in data 8 novembre 2018 con conseguente estinzione del giudizio pendente davanti codesta ecc.ma Corte costituzionale (Corte costituzionale, 20 marzo 2019, n. 61)   Il comma 1 della disposizione regionale ora in esame, intervenendo sulla materia dell'ordinamento dei segretari comunali, determina l'individuazione dei soggetti cui attribuire le predette funzioni di reggenza temporanea nelle sedi di segreteria con popolazione fino a 3.000 abitanti, prevedendo, al comma 2, l'istituzione presso l'Ufficio unico del sistema integrato di comparto della regione, dell'elenco dei soggetti cui puo' essere attribuita tale reggenza temporanea.

La disposizione di cui al comma 3, consente l'iscrizione al predetto elenco dei dipendenti di ruolo del comparto unico con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in possesso dei requisiti per l'accesso alla qualifica funzionale di segretario comunale di cui all'art. 13, comma 13, della legge regionale n. 24/2009, senza prevedere nessun ulteriore requisito in relazione al servizio prestato.

Il comma 4, dal punto di vista procedurale, prevede che i sindaci dei comuni - dopo aver esperito senza successo la procedura di pubblicizzazione della sede di segreteria vacante e qualora non procedano a conferire l'incarico al vice segretario o, in assenza del vice segretario, ad un dipendente in possesso del titolo di studio richiesto per l'accesso alla qualifica di segretario comunale ai sensi dell'art. 13, comma 13, della legge regionale n. 24/2009 - individuano il soggetto cui conferire l'incarico di reggenza temporanea, scegliendolo nell'ambito di una rosa di nominativi predisposta dall'ufficio unico della regione, sulla base delle manifestazioni pervenuti dagli iscritti all'elenco.

Tanto premesso, giova far rilevare che, al fine di fronteggiare la carenza di organico dei segretari comunali, il legislatore nazionale e' intervenuto con un'apposita disposizione normativa introdotta dall'art. 16-ter del decreto-legge n. 162/2019, recante Disposizioni urgenti per il potenziamento delle funzioni dei segretari comunali e provinciali» che, al comma 9, consente, per un periodo transitorio di un triennio, che nei comuni aventi popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero popolazione complessiva fino a 10.000 abitanti in comuni che abbiano stipulato tra loro convenzioni per l'ufficio di segreteria - e la procedura di copertura del posto vacante sia andata deserta e non risulti possibile assegnare un segretario reggente, a scavalco - le funzioni attribuite al vice segretario possono essere svolte, su richiesta del sindaco, previa autorizzazione del Ministero dell'interno, per un periodo non superiore a dodici mesi complessivi, da un funzionario di ruolo in servizio da almeno due anni presso un ente locale, in possesso dei requisiti per la partecipazione al concorso, previo assenso dell'ente locale di appartenenza e consenso dello stesso interessato.

Cio' posto, si evidenzia che la disposizione regionale in esame interviene sulla medesima materia relativa all'ordinamento dei segretari comunali e provinciali successivamente all'entrata in vigore della norma nazionale, peraltro con criteri differenti e senza raccordo con la legislazione nazionale.

Su tale aspetto, rispetto alle discrasie presenti nelle due norme, si evidenzia che il citato art. 16-ter, comma 9, del decreto-legge n. 162/2019, dispone che possono essere attribuite le funzioni di vice segretario comunale a un funzionario di ruolo in servizio da almeno due anni presso un ente locale, al fine di assicurare il possesso della necessaria esperienza professionale, mentre la disposizione regionale non richiede alcun requisito minimo di servizio, ma consente il conferimento di tali incarichi indistintamente a tutti i dipendenti di ruolo del comparto unico regionale locale.

Inoltre, mentre l'incarico di cui trattasi, ai sensi della citata normativa nazionale, puo' essere attribuito, previa autorizzazione del Ministero dell'interno, per non piu' di dodici mesi, la norma regionale non prevede alcuna autorizzazione del Ministero dell'interno.

Alla luce di quanto precede, nel rilevare che quella di segretario comunale e provinciale risulta una figura infungibile, che deve rispondere a ben determinati requisiti stabiliti dalla legislazione nazionale, anche le disposizioni di natura urgente finalizzate a consentire il regolare funzionamento degli enti in presenza di una sensibile carenza degli organici, nelle more delle misure di potenziamento previste dal legislatore, devono essere ispirate a finalita' di coordinata ed omogenea gestione a livello nazionale di tale criticita'.

Peraltro, tale differente trattamento introdotto dalla disposizione regionale rispetto alle previsioni normative nazionali determina un'ingiustificata disparita' nei confronti dei dipendenti degli enti locali delle altre regioni, a fronte dell'attribuzione delle medesime finzioni di reggenza temporanea delle sedi di segreteria, con conseguente violazione dell'art. 97 detta Costituzione in materia di buon andamento e di imparzialita' dell'amministrazione.

La disposizione regionale in esame viola, pertanto, la potesta' legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e confligge con gli articoli 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

Si sottolinea infatti che il segretario comunale e provinciale costituisce una figura peculiare che deve rispondere a ben determinati requisiti, come stabiliti dalla legislazione nazionale ai sensi degli articoli 97 e 98 del decreto legislativo n. 267 del 2000.

Su di essa, la Corte costituzionale ha peraltro ribadito tale peculiarita', evidenziandone l'elevato profilo di professionalizzazione anche attraverso il riconoscimento della precipua procedura assunzionale del corso-concorso di formazione prevista per l'accesso all'Albo nazionale, con verifiche periodiche dell'apprendimento e obblighi formativi suppletivi nel biennio successivo alla prima nomina; il principio della non revocabilita' ad nutum dell'incarico (salvo che per violazione dei suoi doveri d'ufficio) e la garanzia nella stabilita' dello status giuridico ed economico, attraverso la permanenza nell'Albo anche nell'ipotesi di mancata conferma attraverso l'istituto del collocamento in posizione di disponibilita'.

Si richiama, in proposito, l'ampia ricostruzione della figura e della natura giuridica del segretario comunale operata da Corte costituzionale 22 febbraio 2019, n. 23 che ha analizzato, in particolare, sia il rapporto di lavoro che le funzioni proprie del segretario comunale.

Con riferimento al primo profilo, codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza appena citata ha evidenziato che il segretario comunale e' «quanto al rapporto d'ufficio, un funzionario del Ministero dell'interno. Essendo pero' nominato dal sindaco, e trovandosi funzionalmente alle dipendenze del Comune, instaura contemporaneamente con quest'ultimo il proprio rapporto di servizio ... E la giurisprudenza di legittimita' e quella amministrativa sottolineano concordemente che il segretario comunale, benche' dipenda personalmente dal sindaco, intrattenendo un rapporto funzionale con l'amministrazione locale, resta tuttavia un funzionario statale, e il suo status giuridico, ancorche' particolare, e' interamente disciplinato dalla legislazione statale (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 11 agosto 2016, n. 17065; Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 5 aprile 2005, n. 1490)» (Corte costituzionale n. 23/2019 cit., par. 3.2 in diritto, enfasi aggiunte).

Quanto alle funzioni, codesta ecc.ma Corte costituzionale ha individuato tre gruppi di funzioni, particolarmente delicate e rilevanti, attribuite al segretario comunale.

In primo luogo, sono attribuite al segretario comunale funzioni di certificazione, di controllo di legalita' o di attuazione di indirizzi, di verbalizzazione, di rogito e di autenticazione delle scritture private e degli atti unilaterali. Un secondo gruppo di funzioni «cruciali» comprende tutti i compiti di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi comunali in ordine alla conformita' dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti, nonche' comprende e funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta tra cui emerge, altresi', la competenza in ordine al parere di regolarita' tecnica su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta e al consiglio dell'ente che non costituisca mero atto d'indirizzo. Infine, nel terzo gruppo di funzioni rientrano quelle di carattere gestionale potendo il segretario essere nominato in talune ipotesi (anche) direttore generale ovvero dovendo sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti nonche' potendo essere nominato responsabile di servizio.

Tali funzioni connotano il segretario comunale quale «figura apicale» che «intrattiene con il sindaco rapporti diretti, senza intermediazione di altri dirigenti o strutture amministrative» (Corte costituzionale n. 23/2019 cit., par. 5.2, cui si rinvia anche per i riferimenti normativi).

Come si vede, le funzioni del segretario comunale richiedono una adeguata preparazione tecnica e cio' giustifica il rigoroso percorso di selezione del segretario comunale, nonche' delle figure che possono sostituirlo temporaneamente, delineato dalle norme statali cui spetta in via esclusiva disciplinarne lo status giuridico.

Diversamente, l'art. 11 cit., parlando di reggenza temporanea delle sedi di segreteria, consente di individuare soggetti cui attribuire il «ruolo di segretari comunali», individuandoli nei dipendenti degli enti locati regionali assunti con contratto a tempo indeterminato per i quali, pur in possesso dei requisiti per l'accesso alta qualifica di segretario comunale (comma 3), non si prevede alcun meccanismo di selezione ne' di formazione professionale e nemmeno di esperienza professionale e di servizio.

La legge che si impugna, altresi', istituisce, presso l'Ufficio unico del sistema integrato di comparto del personale del pubblico impiego regionale e locale di cui all'art. 17 della legge regionale n. 18 del 2016, l'elenco dei soggetti cui puo' essere conferita la reggenza. Anche sotto tale profilo la disposizione appare difforme rispetto alla legislazione statale che invece disciplina l'ipotesi della reggenza con riferimento esclusivo ai soggetti gia' iscritti nell'albo dei segretari comunali all'esito della procedura di abilitazione prevista dall'art. 98, comma 4, del TUEL, al termine della specifica procedura concorsuale (disciplinata dall'art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465 e, transitoriamente, dall'art. 16-ter del decreto-legge 31 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 200, n. 8).

Fermo restando quanto sopra evidenziato circa la creazione, ad opera della legge regionale in esame, di una sorta di tertium genus di segretario comunale reggente, del tutto eccentrico rispetto al sistema ordinamentale, si reputa che, anche qualora si volesse ricondurre la figura del reggente alla disciplina dei vicesegretari, la norma regionale dovrebbe essere comunque resa omogenea rispetto al modello delineato dal legislatore nazionale, con particolare riferimento ai profili relativi ai requisiti soggettivi, alla selezione e alla formazione e all'aggiornamento periodico.

D'altro canto, non giova nemmeno invocare ex adverso il decreto legislativo 20 giugno 1997, n. 9, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», laddove attribuisce alla regione potesta' legislativa in materia di ordinamento del personale dei comuni, delle province e degli altri enti locali (art. 15).

Per un verso, il successivo art. 18 prevede che la legislazione dello Stato trovi comunque applicazione nel Friuli-Venezia Giulia qualora la regione non sia ancora intervenuta con proprie leggi: al riguardo si osserva che, come espressamente scritto nella disposizione regionale, il Friuli-Venezia Giulia non ha ancora posto in essere una riforma organica dell'ordinamento dei segretari comunali nella regione.

In ogni caso, la potesta' regionale deve svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali posti dallo Stato, anche in considerazione delle interferenze su una materia (ordinamento civile) sulla quale sussiste competenza statale esclusiva ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l), e non puo' spingersi al punto di delineare una nuova figura di segretario comunale, di derivazione locale, che si affianca a quella classica di origine nazionale e che coesiste con quest'ultima sul territorio regionale.

Il comma 6 dell'art. 11 cit. prevede poi, a differenza della normativa nazionale, che il soggetto cui e' conferito l'incarico di reggenza temporanea delle sedi di segreteria con popolazione fino a 3.000 abitanti stipula un contratto di lavoro a tempo determinato regolato, per la parte giuridica ed economica, secondo la disciplina dettata dai contratti collettivi dei segretari comunali e provinciali. La relativa spesa e' esclusa dal limite per il lavoro flessibile di cui all'art. 9, comma 28 del decreto-legge n. 78/2010.

Al riguardo, la disposizione in esame si pone in contrasto con la normativa di contenimento della spesa di personale per le forme di lavoro flessibili sopra richiamata, in quanto la regione interviene con una propria disposizione consentendo ai comuni di derogare ad una norma nazionale che costituisce, per espressa previsione del citato art. 9, comma 28, principio generale ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale (sulla riconducibilita' di detta norma ai principi di coordinamento della finanza pubblica si vedano, tra tante, Corte costituzionale 23 giugno 2014, n. 181 e Corte costituzionale, 10 aprile 2014, n. 87; 27 marzo 2014, n. 54 che hanno dichiarato costituzionalmente illegittime leggi del Friuli-Venezia Giulia; Corte costituzionale, 10 aprile 2014; Corte costituzionale, 6 dicembre 2013, n. 289; Corte conti, sez. riun., 17 aprile 2012, n. 11).

Ne consegue quindi la violazione all'art. 117, terzo comma, della Costituzione in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Dal quadro delineato risulta, quindi, evidente la violazione da parte della disposizione regionale in oggetto, della potesta' legislativa statale in materia di ordinamento civile di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), e dei principi di ragionevolezza, buon andamento ed imparzialita' dell'amministrazione pubblica di cui all'art. 97 della Costituzione, anche perche' essa potrebbe comportare richieste emulative da parte di altre regioni e far sorgere correlate aspettative da parte del corrispondente personale.

La disposizione regionale viola, peraltro, l'art. 117, terzo comma, della Costituzione in materia di coordinamento della finanza pubblica, cui la regione, pur nel rispetto della propria autonomia, non puo' derogare.

La disposizione eccede anche dalle competenze statutarie che, ai sensi dell'art. 4 dello statuto speciale detta Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia - legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 devono essere svolte «In armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali...».

 

P. Q. M.

 

Il Presidente del Consiglio dei ministri chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimi, e conseguentemente annullare, per i motivi sopra rispettivamente indicati ed illustrati, gli articoli 1, 3, 11 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 18 maggio 2020, n. 9 pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 21 del 20 maggio 2020 come da delibera del Consiglio dei ministri assunta nella seduta del giorno 13 luglio 2020.

Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno i seguenti atti e documenti:   1. attestazione relativa alla approvazione, da parte del Consiglio dei ministri nella riunione del giorno 13 luglio 2020 della determinazione di impugnare la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 18 maggio 2020, n. 9 pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 21 del 20 maggio 2020 secondo i termini e per le motivazioni di cui alla allegata relazione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie;   2. copia della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 18 maggio 2020, n. 9 pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 21 del 20 maggio 2020   Con riserva di illustrare e sviluppare in prosieguo i motivi di ricorso anche alla luce delle difese avversarie.

Roma, 17 luglio 2020

L'Avvocato dello Stato: Pietro Garofoli

L'Avvocato dello Stato: Angelo Vitale

L'Avvocato dello Stato: Stefano Lorenzo Vitale