RICORSO N. 78 DELL'8 SETTEMBRE 2020 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria l'8 settembre 2020.

(GU n. 43 del 21.10.2020)

 

Ricorso ai sensi dell'art. 127 della Costituzione per il Presidente del Consiglio dei ministri (C.F. 80188230587), in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso in virtu' di legge dall'Avvocatura generale dello Stato (fax 06/96514000, pec: ags_m2@mailcert.avvocaturastato.it), presso i cui uffici e' legalmente domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;   Contro la Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, nella sua sede in Bari, Lungomare Nazario Sauro 31, per la declaratoria della illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3, della legge regionale 7 luglio 2020, n. 21, giusta deliberazione del Consiglio dei ministri assunta nella seduta del giorno 3 settembre 2020.

 

Premesse di fatto

 

Nel Bollettino ufficiale della Regione Puglia n. 99, suppl. del 9 luglio 2020, e' stata pubblicata la legge regionale n. 21 del 7 luglio 2020, intitolata «Istituzione del servizio di psicologia di base e delle cure primarie».

L'art. 2, comma 3, di tale legge e' costituzionalmente illegittimo, in quanto si pone in contrasto:   a) con l'art. 117, secondo comma, lettera 1), della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento civile»;   b) con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto eccede le competenze regionali e invade quelle statali in materia di «coordinamento della finanza pubblica».

Pertanto, la suddetta disposizione viene impugnata con il presente ricorso ex art. 127 Costituzione affinche' ne sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale e ne sia pronunciato il conseguente annullamento per i seguenti

 

Motivi di diritto

 

1. La legge regionale 7 luglio 2020, n. 21, istituisce nella Regione Puglia il servizio di psicologia di base e delle cure primarie.

Segnatamente l'art. 2 disciplina l'organizzazione del servizio, prevedendo - in primo luogo - il suo inserimento nel distretto socio sanitario per l'attivita' di assistenza primaria territoriale e la sua collocazione all'interno dell'unita' operativa cure primarie (comma 1).

In secondo luogo, l'art. 2 precisa come il servizio in questione sia affidato a psicologi, che svolgono «funzioni di coordinamento e programmazione per la psicologia territoriale nei presidi territoriali di assistenza (PTA), per i percorsi diagnostico terapeutico assistenziali (PDTA) e delle reti» (comma 1), nonche' «funzioni di coordinamento e programmazione per la psicologia territoriale nell'ambito delle strutture sanitarie territoriali afferenti al distretto sociosanitario (poliambulatori, consultori, PTA, servizi domiciliari, ospedali di comunita') in collaborazione con la medicina convenzionata (medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e specialisti ambulatoriali)» (comma 2).

Al fine di garantire l'efficiente organizzazione del servizio di psicologia di base e delle cure primarie, l'art. 2, comma 3, stabilisce che «Dalla data di entrata in vigore della presente legge, il piano triennale di fabbisogni del personale delle aziende sanitarie locali (ASL) deve prevedere il dirigente psicologo per la programmazione e la valutazione delle nuove attivita', nell'ambito del personale a tempo determinato» (enfasi aggiunte).

2. Ebbene, tale disposizione - nel prevedere l'assunzione a tempo determinato del dirigente psicologo, al di fuori delle condizioni stabilite dall'art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 - viola anzitutto l'art. 117, comma 2, lettera 1), della Costituzione, che attribuisce in via esclusiva allo Stato la competenza legislativa in materia di «ordinamento civile».

3. Come chiarito da codesta ecc.ma Corte, la potesta' legislativa delle regioni incontra alcuni limiti di carattere «trasversale», tra i quali si annovera - sin dalla nota sentenza n. 7 del 1956 - la disciplina dei rapporti di diritto privato.

Il limite alla potesta' legislativa regionale derivante dal diritto privato e' stato espressamente codificato dalla riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 ed esso trova fondamento nella stessa esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, «di garantire l'uniformita' nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati» (cfr. sentenza n. 189 del 2007).

Secondo il costante orientamento di codesta ecc.ma Corte, a seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego - operata dall'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, rubricata «Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale», dall'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, intitolata «Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa», e dai decreti legislativi emanati in attuazione di dette leggi delega - la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione attiene al diritto privato (cfr. sentenza n. 211 del 2014).

In altri termini, la privatizzazione del pubblico impiego - operata dal decreto legislativo n. 29 del 1993, sulla base dell'art. 2 della legge n. 421 del 1992 - ha scisso l'organizzazione del rapporto di lavoro:   a) da un lato, mantenendo la cd. macro-organizzazione nell'orbita del diritto amministrativo, in attuazione dell'art. 97 della Costituzione;   b) dall'altro, attribuendo la disciplina della cd. micro-organizzazione e del rapporto di impiego al diritto civile.

Secondo la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, peraltro, la «specialita'» delle norme contenute nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che derogano in parte alla disciplina dei rapporti di lavoro nell'ambito dell'impresa, non costituisce ostacolo alla qualificazione giuridica delle stesse in termini «civilistici» (cfr. sentenza n. 191 del 2017).

Cio' trova espressa conferma - a livello normativo - negli articoli 2, commi 2 e 3, e 5, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che stabiliscono rispettivamente quanto segue:   a) «I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano o che abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilita' sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate nelle materie affidate alla contrattazione collettiva ai sensi dell'art. 40, comma 1, e nel rispetto dei principi stabiliti dal presente decreto, da successivi contratti o accordi collettivi nazionali e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili» (art. 2, comma 2, enfasi aggiunte);   b) «I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalita' previste nel titolo III del presente decreto; i contratti individuali devono conformarsi ai principi di cui all'art. 45, comma 2. L'attribuzione di trattamenti economici puo' avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi e salvo i casi previsti dal comma 3-ter e 3-quater dell'art. 40 e le ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all'art. 47-bis, o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall'entrata in vigore dal relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici piu' favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalita' e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva (art. 2, comma 3, enfasi aggiunta);   c) «Nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all'art. 2, comma 1, le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, nel rispetto del principio di pari opportunita', e in particolare la direzione e l'organizzazione del lavoro nell'ambito degli uffici sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacita' e i poteri del privato datore di lavoro, fatte salve la sola informazione ai sindacati ovvero le ulteriori forme di partecipazione, ove previsti nei contratti di cui all'art. 9» (art. 5, comma 2, enfasi aggiunte).

La natura «privatistica» - e quindi di limite «trasversale» alla potesta' legislativa delle regioni, anche a statuto speciale - delle disposizioni del decreto legislativo n. 165 del 2001, concernenti la micro-organizzazione degli uffici e il rapporto di impiego, e' confermata dall'art. 17 della legge n. 124 del 2015, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche».

Infatti, l'art. 17 della citata legge delega, intitolato «Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», stabilisce - al comma 1, lettera v) - il seguente criterio direttivo «riconoscimento alle regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano della potesta' legislativa in materia di lavoro del proprio personale dipendente, nel rispetto della disciplina nazionale sull'ordinamento del personale alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, come definita anche dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dei principi di coordinamento della finanza pubblica, anche con riferimento alla normativa volta al contenimento del costo del personale, nonche' dei rispettivi statuti speciali e delle relative norme di attuazione. Dalle disposizioni di cui alla presente lettera non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (enfasi aggiunta).

Ne consegue che - come gia' riconosciuto in piu' occasioni da codesta ecc.ma Corte -attengono alla materia «ordinamento civile», rientrante - quindi - nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, le norme del decreto legislativo n. 165 del 2001 che disciplinano:   a) la costituzione del rapporto di pubblico impiego e la mobilita' dei dipendenti pubblici (cfr. sentenze n. 32/2017; n. 175 del 2016; n. 17 del 2014; n. 130 del 2013; n. 69 del 2011);   b) il trattamento giuridico ed economico del personale regionale (cfr. sentenze n. 175 del 2017; n. 160 del 2017; n. 121 del 2017; n. 257 del 2016; n. 251 del 2016; n. 175 del 2016; n. 269 del 2014; n. 211 del 2014; n. 61 del 2014; n. 19 del 2014; n. 286 del 2013; n. 265 del 2013; n. 225 del 2013; n. 218 del 2013; n. 36 del 2013; n. 18 del 2013);   c) la dotazione organica regionale di certe figure dirigenziali, nonche' il conferimento degli incarichi ai dirigenti regionali (cfr. sentenze n. 256 del 2017; n. 257 del 2016; n. 180 del 2015; n. 17 del 2014; n. 105 del 2013; n. 310 del 2011 e n. 324 del 2010);   d) la responsabilita' dei dipendenti pubblici regionali e il cumulo degli incarichi (cfr. sentenze 19 del 2014; n. 265 del 2013; n. 77 del 2013; n. 345 del 2004).

4. Alla luce dell'anzidetto contesto normativo e giurisprudenziale, si ritiene che - come affermato anche da codesta ecc.ma Corte - non possa sussistere alcun dubbio circa la sussumibilita' dell'art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nella materia «ordinamento civile» di cui all'art. 117, comma 2, lettera 1), della Costituzione (cfr. sentenza n. 217 del 2012).

E invero, il citato art. 36, rubricato «Personale a tempo determinato o assunto con forme di lavoro flessibile», disciplina i tipi contrattuali di cui le amministrazioni pubbliche possono avvalersi per sopperire alle proprie esigenze di personale.

In particolare, tale norma dispone che «Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall'art. 35» (comma 1, enfasi aggiunta).

Esse, quindi, possono stipulare «contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonche' avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell'impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalita' in cui se ne preveda l'applicazione nelle amministrazioni pubbliche. Le amministrazioni pubbliche possono stipulare i contratti di cui al primo periodo del presente comma soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale e nel rispetto delle condizioni e modalita' di reclutamento stabilite dall'art. 35. I contratti di lavoro subordinato a tempo determinato possono essere stipulati nel rispetto degli articoli 19 e seguenti del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, escluso il diritto di precedenza che si applica al solo personale reclutato secondo le procedure di cui all'art. 35, comma 1, lettera b), del presente decreto. I contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato sono disciplinati dagli articoli 30 e seguenti del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, fatta salva la disciplina ulteriore eventualmente prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Non e' possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l'esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. Per prevenire fenomeni di precariato, le amministrazioni pubbliche, nel rispetto delle disposizioni del presente articolo, sottoscrivono contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato. E' consentita l'applicazione dell'art. 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, ferma restando la salvaguardia della posizione occupata nella graduatoria dai vincitori e dagli idonei per le assunzioni a tempo indeterminato» (comma 2, enfasi aggiunte).

La ratio dell'art. 36 e' quella di evitare l'abuso dei contratti di lavoro «flessibile» da parte delle pubbliche amministrazioni, rendendo siffatti «tipi» contrattuali del tutto residuali rispetto alla stipulazione dei contratti di lavoro a tempo indeterminato.

Per questa ragione, il legislatore statale ha condizionato la conclusione dei contratti di lavoro a tempo determinato, da parte delle amministrazioni pubbliche, alla sussistenza di comprovate esigenze di carattere temporaneo o eccezionale.

5. Nella specie, invece, la norma regionale impugnata prevede che l'assunzione del dirigente psicologo avvenga a tempo determinato, prescindendo dalla effettiva e comprovata sussistenza di esigenze temporanee oppure eccezionali.

E invero, dall'esame del contesto normativo in cui si colloca la disposizione censurata, si evince piuttosto che l'assunzione dei dirigenti psicologi e' preordinata al soddisfacimento di esigenze organizzative e funzionali, di carattere ordinario e permanente.

Cio' si desume - in particolare - dalle seguenti disposizioni dove si statuisce che:   a) «Lo psicologo del servizio di psicologia di base e delle cure primarie svolge funzioni di coordinamento e programmazione per la psicologia territoriale nei presidi territoriali di assistenza (PTA), per i percorsi diagnostico terapeutico assistenziali (PDTA) e delle reti» (art. 2, comma 1);   b) «Lo psicologo del servizio di psicologia di base e delle cure primarie svolge funzioni di coordinamento e programmazione per la psicologia territoriale nell'ambito delle strutture sanitarie territoriali afferenti al distretto sociosanitario (poliambulatori, consultori, PTA, servizi domiciliari, ospedali di comunita') in collaborazione con la medicina convenzionata» (art. 2, comma 2);   c) «Presso l'Agenzia regionale strategica per la salute e il sociale (AReSS) viene istituito il coordinamento regionale dei dirigenti psicologi delle singole ASL, con lo scopo di avanzare nuovi modelli organizzativi innovativi e verificare la eventuale loro applicabilita' Tale organismo, costituito da un dirigente psicologo per ciascuna ASL e integrato con la presenza di due rappresentanti designati dall'Ordine regionale professionale degli psicologi e di due rappresentanti designati dai Dipartimenti universitari corrispondenti, definisce linee guida rispetto alle problematiche prioritarie» (art. 2, comma 4, enfasi aggiunte);   d) «Lo psicologo del servizio di psicologia di base e delle cure primarie assume in carico la richiesta di assistenza [avanzata dalla rete territoriale di prossimita' al medico di base o al medico di fiducia del paziente o al pediatra di libera scelta] e sviluppa un progetto clinico comprensivo di una dimensione diagnostica, di un programma di supporto psicologico, avvalendosi anche delle strutture pubbliche e private di secondo livello competenti sul problema individuato» (art. 2, comma 7);   e) al fine di consentire il monitoraggio e il controllo qualitativo dell'assistenza psicologica, «gli psicologi del servizio di psicologia di base e delle cure primarie sono tenuti a trasmettere al dirigente psicologo individuato dalla propria ASL, una relazione annuale sull'attivita' di assistenza psicologica prestata, che il dirigente psicologo di cui all'art. 2, comma 3 invia ai competenti servizi del Sistema sanitario regionale» (art. 3, comma 3);   f) «L'Osservatorio regionale, sulla base delle relazioni trasmesse dal servizio istituito presso l'AReSS riferite all'attivita' prestata dallo psicologo del servizio di psicologia di base e delle cure primarie su tutto il territorio regionale, individua i bisogni di salute emergenti nel territorio della Regione Puglia. [...] All'Osservatorio regionale partecipano i dirigenti psicologi di cui all'art. 2, comma 4» (art. 4, commi 3 e 4).

Dunque, ai dirigenti psicologi e' demandata - in definitiva - la complessiva organizzazione del servizio di supporto psicologico territoriale, che si esplica attraverso:   a) l'elaborazione di modelli organizzativi;   b) la predisposizione di linee guida;   c) il controllo e il monitoraggio dell'attivita' di assistenza psicologica prestata dagli psicologi del servizio di psicologia di base e delle cure primarie; nonche',  d) l'individuazione - nell'ambito dell'Osservatorio regionale - dei bisogni di salute emergenti nel territorio della Regione Puglia.

Si tratta, quindi, di funzioni che non appaiono affatto connesse ad esigenze temporanee o eccezionali, che - ai sensi dell'art. 36, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 - potrebbero giustificare la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato.

6. Peraltro, si evidenzia che la disposizione censurata - nel prevedere che «Dalla data di entrata in vigore della presente legge, il piano triennale di fabbisogni del personale delle aziende sanitarie locali (ASL) deve prevedere il dirigente psicologo per la programmazione e la valutazione delle nuove attivita', nell'ambito del personale a tempo determinato» (enfasi aggiunta) - prescinde evidentemente dal periodo di sperimentazione del servizio di durata annuale previsto dall'art. 1.

La previsione nel «piano triennale dei fabbisogni» della figura del dirigente psicologo si proietta - infatti - in un orizzonte temporale successivo al periodo di sperimentazione e non puo' che riferirsi al soddisfacimento delle esigenze ordinarie del servizio sanitario regionale: tant'e' che - nella disposizione censurata - si prevede l'assunzione del dirigente psicologo a tempo determinato, senza alcun riferimento alle esigenze contingenti dell'anzidetto periodo di sperimentazione.

Pertanto, sulla base delle considerazioni che precedono, la norma di cui all'art. 2, comma 3, della legge regionale 7 luglio 2020, n. 21, si pone in evidente contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera 1), della Costituzione.

7. Inoltre, la norma impugnata si pone in contrasto anche con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto eccede le competenze regionali e invade quelle statali in materia di «coordinamento della finanza pubblica».

8. E invero, l'art. 11 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, convertito dalla legge 25 giugno 2019, n. 60, ha introdotto dei limiti di spesa in materia di personale degli enti del servizio sanitario regionale.

In particolare, tale articolo dispone che «1. A decorrere dal 2019, la spesa per il personale degli enti del Servizio sanitario nazionale delle regioni, nell'ambito del livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato e ferma restando la compatibilita' finanziaria, sulla base degli indirizzi regionali e in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale, non puo' superare il valore della spesa sostenuta nell'anno 2018, come certificata dal Tavolo di verifica degli adempimenti di cui all'art. 12 dell'Intesa 23 marzo 2005 sancita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, o, se superiore, il valore della spesa prevista dall'art. 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191. I predetti valori sono incrementati annualmente, a livello regionale, di un importo pari al 5 per cento dell'incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all'esercizio precedente. Nel triennio 2019-2021 la predetta percentuale e' pari al 10 per cento per ciascun anno. Per il medesimo triennio, qualora nella singola regione emergano oggettivi ulteriori fabbisogni di personale rispetto alle facolta' assunzionali consentite dal presente articolo, valutati congiuntamente dal Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, puo' essere concessa alla medesima regione un'ulteriore variazione del 5 per cento dell'incremento del fondo sanitario regionale rispetto all'anno precedente, fermo restando il rispetto dell'equilibrio economico e finanziario del Servizio sanitario regionale. Tale importo include le risorse per il trattamento accessorio del personale, il cui limite, definito dall'art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, e' adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l'invarianza del valore medio pro-capite, riferito all'anno 2018, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018. Dall'anno 2021, i predetti incrementi di spesa sono subordinati all'adozione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli enti del Servizio sanitario nazionale, in coerenza con quanto stabilito dal decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, e con l'art. 1, comma 516, lettera c), della legge 30 dicembre 2018, n. 145.

2. Ai fini del comma 1, la spesa e' considerata, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'imposta regionale sulle attivita' produttive, per il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a tempo determinato, di collaborazione coordinata e continuativa e di personale che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni. La predetta spesa e' considerata al netto degli oneri derivanti dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro successivi all'anno 2004, per personale a carico di finanziamenti comunitari o privati e relativi alle assunzioni a tempo determinato e ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa per l'attuazione di progetti di ricerca finanziati ai sensi dell'art. 12-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.

3. Le regioni, previo accordo da definirsi con il Ministero della salute ed il Ministero dell'economia e delle finanze, possono ulteriormente incrementare i limiti di spesa di cui al comma 1, di un ammontare non superiore alla riduzione strutturale della spesa gia' sostenuta per servizi sanitari esternalizzati prima dell'entrata in vigore del presente decreto.

4. Le disposizioni di cui all'art. 2, comma 73, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, si applicano con riferimento a quanto previsto dal presente articolo. Le regioni indirizzano e coordinano la spesa dei propri enti del servizio sanitario in conformita' a quanto e' previsto dal comma 1.

4.1. Resta ferma l'autonomia finanziaria delle regioni e delle province autonome che provvedono al finanziamento del fabbisogno complessivo del Servizio sanitario nazionale nel loro territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato» (enfasi aggiunte).

L'articolo in esame ha quindi introdotto nell'ordinamento giuridico delle disposizioni di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica, che vincolano le regioni a non incrementare le spese concernenti il personale del servizio sanitario regionale (ivi compreso il personale con rapporto di lavoro a tempo determinato) oltre i limiti espressamente stabiliti dal legislatore statale.

Si tratta di diposizioni che - come gia' ripetutamente affermato da codesta ecc.ma Corte - possono legittimamente limitare «l'autonomia legislativa concorrente delle regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell'ambito della gestione del servizio sanitario [...] alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa», in quanto impongono «alle regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l'equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obbiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari» (cfr. sentenza n. 91 del 2012, enfasi aggiunte).

Ebbene, l'art. 2, comma 3, della legge regionale n. 21 del 2020 - nel prevedere la figura del dirigente psicologo nel piano triennale dei fabbisogni del personale delle aziende sanitarie locali - implica di fatto un consistente incremento di spesa per gli enti del servizio sanitario regionale, che - ponendosi in contrasto con le anzidette disposizioni di principio - invade la competenza legislativa dello Stato in materia di «coordinamento della finanza pubblica», in violazione dell'art. 117, comma 3, della Costituzione.

9. Peraltro, nel caso di specie, la violazione dell'anzidetto parametro costituzionale deriva anche dalla circostanza che la Regione Puglia ha stipulato, in data 29 novembre 2010, l'Accordo con il Ministro della salute e con il Ministro dell'economia avente ad oggetto «l'approvazione del Piano di rientro di riqualificazione e riorganizzazione e di individuazione degli interventi per il perseguimento dell'equilibrio economico ai sensi dell'art. 1, comma 180 della legge 30 dicembre 2004, n. 311».

In particolare, con il Piano di rientro e di riqualificazione del sistema sanitario regionale, approvato con il citato Accordo, nonche' con i successivi programmi operativi, la Regione Puglia ha assunto l'impegno ad attuare azioni specifiche per garantire la riduzione della complessiva spesa per il personale, anche mediante la «razionalizzazione organizzativa» e la «riduzione degli incarichi di direzione di struttura complessa, semplice, dipartimentale, e di posizioni organizzative e di coordinamento» (cfr. punto B3 del piano di rientro).

Pertanto, la norma regionale censurata - nella misura in cui pregiudica il raggiungimento di tale obiettivo - si pone altresi' in contrasto con quanto previsto dall'art. 2, commi 80 e 95, della legge 23 dicembre 2019, n. 191, secondo cui «gli interventi individuati dal piano sono vincolanti per la regione, che e' obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro».

Ebbene, come chiarito da codesta ecc.ma Corte, l'anzidetta disciplina statale costituisce «espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica (cfr. sentenze n. 91 del 2012, n. 163 e n. 123 del 2011, n. 141 e n. 100 del 2010).

Tali norme, infatti, hanno «reso vincolanti per le regioni che li abbiano sottoscritti, gli interventi individuati negli accordi di cui all'art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2005), finalizzati a realizzare il contenimento della spesa sanitaria ed a ripianare i debiti anche mediante la previsione di speciali contributi finanziari dello Stato» (cfr. sentenza n. 79 del 2013).

Dunque, la norma impugnata - prevedendo nuove assunzioni di personale dirigenziale, con i relativi oneri finanziari - si pone in palese contrasto con l'obiettivo del rientro nell'equilibrio economico-finanziario perseguito con l'Accordo del 29 novembre 2010 e con il Piano di rientro e di riqualificazione del Sistema sanitario regionale.

Pertanto, anche sotto tale profilo, essa implica una evidente violazione dell'art. 117, comma 3, della Costituzione.

 

P.Q.M.

 

Il Presidente del Consiglio dei ministri chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittima, e conseguentemente annullare, per i motivi sopra indicati ed illustrati, l'art. 2, comma 3, della legge della Regione Puglia n. 21/2020.

Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno:   1. l'attestazione relativa alla approvazione, da parte del Consiglio dei ministri nella riunione del giorno 3 settembre 2020, della determinazione di impugnare la legge della Regione Puglia 7 luglio 2020, n. 21 secondo i termini e per le motivazioni di cui alla allegata relazione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie;   2. la copia della legge regionale impugnata pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 99, suppl. del 9 luglio 2020.

Con riserva di illustrare e sviluppare in prosieguo i motivi di ricorso anche alla luce delle difese avversarie.

Roma, 4 settembre 2020

Gli Avvocati dello Stato: De Giovanni - Feola