RICORSO N. 46 DEL 6 MAGGIO 2020 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 16 aprile 2020.

(GU n. 22 del 27.5.2020)

 

Ricorso ex art. 127 della Costituzione per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato (c.f. 80224030587; Pec per il ricevimento degli atti ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it), presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 legalmente domicilia;   Contro la Regione Lazio (c.f. 80143490581), in persona del Presidente pro tempore, con sede in Roma - via Rosa Raimondi Garibaldi n. 7, CAP 00145;   Per la declaratoria di illegittimita' costituzionale della legge Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1, pubblicata nel B.U.R. n. 17 - Supplemento 2, del 27 febbraio 2020, recante: «Misure per lo sviluppo economico, l'attrattivita' degli investimenti e la semplificazione», limitatamente agli articoli 5; 6, comma 1, lett. b), c) d) ed e); 7, comma 7, lett. c); 9, comma 9, lett. d) n. 1) e comma 16; 10, comma 11, come da delibera del Consiglio dei ministri del 24 aprile 2020.

Nel B.U.R. n. 17 del 27 febbraio 2020, supplemento 2, e' stata pubblicata la legge regionale Lazio 27 febbraio 2020 n. 1 recante «Misure per lo sviluppo economico, l'attrattivita' degli investimenti e la semplificazione».

Il Governo ritiene che tale legge sia censurabile nelle disposizioni supra indicate.

Propone pertanto questione di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127 comma 1 Cost. per i seguenti

 

Motivi

 

1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, della legge Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1, per contrasto con l'art. 117, secondo comma, lett. s) Cost., in riferimento agli articoli 143 e 145, del Codice dei Beni Culturali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (norme interposte).

La legge della regione Lazio n. 1 del 2020, all'art. 5, reca alcune disposizioni contrastanti con la competenza esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali (art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.)., e con le disposizioni del Codice dei Beni Culturali, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42   Nel dettaglio.

L'art. 5, e' rubricato espressamente «Semplificazioni procedimentali in materia di varianti urbanistiche». Modifiche alla legge regionale 2 luglio 1987, n. 36 «Norme in materia di attivita' urbanistico - edilizia e snellimento delle procedure» e alla legge regionale 18 luglio 2017, n. 7 «Disposizioni per la rigenerazione urbana e per il recupero edilizio» e successive modifiche».

La disposizione e' illegittima costituzionalmente in quanto apporta modifiche alla disciplina dei procedimenti di approvazione delle varianti urbanistiche e dei piani attuativi dello strumento urbanistico generale, ponendosi in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in ordine alla tutela dell'ambiente e dei beni culturali, in quanto non in linea con le disposizioni dettate in materia dal Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

In particolare, nel testo della norma non vi e' alcun richiamo, ne' alle procedure di adeguamento e conformazione degli strumenti urbanistici al Piano paesaggistico, ne' alla partecipazione del Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali e per il Turismo al procedimento di conformazione e adeguamento, che la Regione deve obbligatoriamente assicurare ai sensi dell'art. 145, commi 4 e 5, del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

In tale quadro regolatorio della pianificazione territoriale, in particolare, una posizione di assoluta preminenza e' attribuita al Piano paesaggistico, approvato sulla base dell'intesa tra lo Stato e la Regione.

Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice sanciscono infatti l'inderogabilita' delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonche' l'immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica.

La sovraordinazione del piano paesaggistico e' gia' stata riconosciuta dalla giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, che ha avuto modo di affermare che «sul territorio vengono a gravare piu' interessi pubblici: da un lato, quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, in base all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.; dall'altro, quelli riguardanti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati, in virtu' del terzo comma dello stesso art. 117, alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. In definitiva, si «tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti» (cosi' la citata sentenza n. 367 del 2007). Ne consegue, sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di paesaggio, la «separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall'altro», prevalendo, comunque, «l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 182 del 2006). E' in siffatta piu' ampia prospettiva che, dunque, si colloca il principio della "gerarchia" degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, espresso dall'art. 145 del decreto legislativo n. 42 del 2004».

(cosi' Corte cost. n. 180 del 2008; in senso conforme gia' la sentenza n. 367 del 2007).

Orbene, in tale disegno normativo, si colloca la previsione secondo la quale la verifica della coerenza con il piano paesaggistico degli altri strumenti di pianificazione deve necessariamente avvenire con la partecipazione dei competenti organi del Ministero.

L'art. 145, comma 5, del Codice stabilisce, infatti, che «La Regione disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo».

Tale riferimento procedimentale, ma con risvolti evidentemente sostanziali, costituisce un vincolo cogente ed imprescindibile, nella disciplina dell'intera materia.

E' infatti costante nella giurisprudenza di codesta Corte il riferimento alla necessita' della pianificazione condivisa, in tali fattispecie. In particolare, con la sentenza n. 178/2018, si e' espressamente affermata l'illegittimita' costituzionale di una normativa regionale avente ad oggetto modifiche al vincolo di integrale di conservazione di singoli caratteri naturalistici, storico-morfologici, per taluni interventi. poiche' «La resistente ha proceduto in modo unilaterale e non attraverso la pianificazione condivisa conformemente ai parametri interposti indicati, cui e' riconosciuto il rango di norme di grande riforma economico-sociale; in ogni caso, in presenza di piu' competenze - quella dello Stato in materia ambientale, e quella della resistente in materia di edilizia ed urbanistica, cosi' intrecciate ed interdipendenti in relazione alla fattispecie in esame - la concertazione legislativa ed amministrativa risulta indefettibile».

E ancora si e' affermato che le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio si impongono al rispetto del legislatore Regionale, anche in considerazione della loro natura di norme di grande riforma economico-sociale (sentenze n. 210 del 2014 e n. 51 del 2006). Detto rispetto comporta, tra l'altro, che le Regioni non possono assumere, unilateralmente, decisioni che liberino dal vincolo ambientale porzioni del territorio.

«Il modello procedimentale che permette la conciliazione degli interessi in gioco e la coesistenza dei due ambiti di competenza legislativa statale e regionale e' quello che prevede la previa istruttoria e il previo coinvolgimento dello Stato nella decisione di sottrarre eventualmente alla pianificazione ambientale beni che, almeno in astratto, ne fanno "naturalmente" parte. (Corte cost. sent. 103/17).

La norma regionale, che tale vincolo "concertativo-procedimentale" ha mancato di richiamare, sostanzialmente superandolo (rectius: "elidendolo"), risulta pertanto costituzionalmente illegittima.

Oltre quanto precede, nelle disposizioni impugnate manca un rinvio alle procedure di adeguamento e conformazione degli strumenti urbanistici comunali al PTPR, cosi' come disciplinate dall'art. 65 delle Norme di Piano, oggetto della deliberazione del Consiglio regionale del Lazio n. 5 del 2019, di approvazione del «Piano territoriale paesistico regionale (PTPR)», pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Lazio il 13 febbraio 2020.

A tal proposito, va evidenziato che le predette Norme di Piano, compreso l'art. 65, proprio laddove unilateralmente modificate dalla Regione Lazio rispetto alla precedente versione concordata con il Ministero, sono gia' state sottoposte al vaglio di codesta Ecc.ma Corte costituzionale (con conflitto di attribuzione ai sensi dell'art. 134 Cost., avente ad oggetto la predetta deliberazione con la quale la Regione Lazio ha illegittimamente approvato in via unilaterale i PTPR), perche' ritenute violative del principio di rilievo costituzionale di copianificazione paesaggistica obbligatoria (costante nella giurisprudenza sopra richiamata), che, anche sotto tale ulteriore profilo, viene violato dalla norma in esame.

La ripresa dei lavori di copianificazione tra la Regione e il Ministero, successivamente alla deliberazione n. 5 citata, ha comunque consentito l'elaborazione di un nuovo testo normativo, comprensivo anche dell'art. 65, confluito come Allegato alla proposta di deliberazione consiliare n. 42 del 2020 formulata dalla Giunta regionale. Per assicurare la legittimita' costituzionale della disciplina regionale nella materia de qua e' quindi necessario che si faccia riferimento a tale ultima formulazione, condivisa con il Ministero e coerente con l'impianto del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

2. Illegittimita' dell'art. 6, comma 1, lett. b), c), d) ed e), per violazione degli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, con riferimento agli artt. 20, 21, 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (norme interposte).

Illegittimo risulta anche l'art. 6 rubricato «Semplificazione istruttoria per l'approvazione degli strumenti urbanistici generali e dei piani attuativi. Modifiche alla legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38 "Norme sul governo del territorio" e successive modifiche».

In particolare, il comma 1, lett. b), di tale articolo, sostituisce il comma 2, dell'art. 54, della legge n. 38 del 1999, che disciplina le trasformazioni urbanistiche in zona agricola.

Per effetto della novella, il predetto comma 2 assume la seguente formulazione: «Nel rispetto degli articoli 55, 57 e 57-bis e dei regolamenti ivi previsti, nelle zone agricole sono consentite le attivita' rurali aziendali come individuate all'art. 2 della legge regionale n. 14/2006, comprensive delle attivita' multimprenditoriali individuate dal medesimo art. 2. Rientrano nelle attivita' multimprenditoriali le seguenti attivita':   a) turismo rurale;   b) trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali;   c) ristorazione e degustazione dei prodotti tipici derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali;   d) attivita' culturali, didattiche sociali, ricreative, sportive e terapeutico - riabilitative;   e) accoglienza ed assistenza degli animali;   f) produzione delle energie rinnovabili.».

L'attivita' di «produzione delle energie rinnovabili» viene, quindi, espressamente inclusa tra le attivita' «multimprenditoriali», generalmente consentite in zona agricola.

In tal modo, la Regione Lazio amplia significativamente le categorie delle attivita' ritenute "compatibili" con il territorio rurale, con la finalita' di agevolare l'utilizzo del territorio agricolo per la produzione di energia da fonti rinnovabili; tuttavia, cio' avviene prescindendo da una valutazione sulla effettiva capacita' produttiva e vocazione culturale del territorio, oltre che dai suoi valori paesaggistici.

Gia' in altre occasioni, codesta Corte aveva avuto modo di affermare (in fattispecie similari, sentenza n. 103/17) la sussistenza di un generale «favor per la conservazione della destinazione pubblica», strettamente legato alla «connessione inestricabile dei profili economici, sociali e ambientali; con la conseguenza che ogni ipotesi di cambio di "classificazione"» deve assolutamente soggiacere al meccanismo concertativo.

La modifica normativa qui contestata, invece, consente in concreto una vera e propria riconversione funzionale di ampie porzioni (anche centinaia di ettari) di territorio da agricolo a industriale, al di la' di qualsiasi strumento di pianificazione di settore, e pertanto in assenza di una effettiva, preventiva, mirata e necessaria programmazione degli interventi di trasformazione del territorio regionale, da compiersi in prima istanza nel piano paesaggistico regionale.

La norma, infatti, omette l'imprescindibile espresso richiamo alla necessita' di adeguarsi alle previsioni della pianificazione paesaggistica, previamente condivisa mediante intesa con lo Stato, oltre che del PER e delle altre leggi regionali.

In assenza di tale richiamo, la normativa regionale deve ritenersi illegittima, in quanto violativa della sfera di competenza esclusiva riservata allo Stato, ex art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione (rispetto al quale le disposizioni degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio costituiscono norme interposte).

Con l'ulteriore diretta ed inevitabile conseguenza di pregiudicare l'interesse costituzionale alla tutela del paesaggio, in violazione dell'art. 9 della Costituzione, che costituisce valore primario e assoluto (Corte cost. 367 del 2007).

Al riguardo, codesta Corte ha avuto modo di precisare, in termini generali, che: "Sul territorio (...) «vengono a trovarsi di fronte» - tra gli altri - «due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni» (sentenza n. 367 del 2007, punto 7.1 del Considerato in diritto). Fermo restando che la tutela del paesaggio e quella del territorio sono necessariamente distinte, rientra nella competenza legislativa statale stabilire la linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi. Se il legislatore regionale potesse definire a propria discrezione tale linea, la conseguente difformita' normativa che si avrebbe tra le varie Regioni produrrebbe rilevanti ricadute sul «paesaggio [...] della Nazione» (art. 9 Cost.), inteso come «aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che e' di per se' un valore costituzionale» (sentenza n. 367 del 2007), e sulla sua tutela" (sentenza n. 309 del 2011).

La disciplina regionale censurata, invece, prevedendo in modo generalizzato la possibile destinazione di aree agricole alla produzione di energie rinnovabili, pretermette il ruolo proprio del piano paesaggistico nell'individuazione degli usi compatibili (o non compatibili) con i beni soggetti a tutela paesaggistica.

Le disposizioni contrastano, nello specifico, con la scelta del legislatore statale di rimettere alla pianificazione la disciplina d'uso dei beni paesaggistici (c.d. vestizione dei vincoli), ai fini dell'autorizzazione degli interventi: scelta esplicitata negli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturale e del paesaggio, costituenti norme interposte rispetto al parametro costituzionale di cui agli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.

A questo proposito, la parte III del Codice dei beni culturali (dedicata a i beni paesaggistici) delinea un sistema organico di tutela del paesaggio (come bene di rango costituzionale), inserendo i tradizionali strumenti del provvedimento impositivo del vincolo e dell'autorizzazione paesaggistica nel quadro della pianificazione paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente da Stato e Regione.

Tale pianificazione concordata prevede, per ciascuna area tutelata, le cd. prescrizioni d'uso (e cioe' i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e stabilisce la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonche' le condizioni delle eventuali trasformazioni.

Il legislatore nazionale, nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva in materia, ha assegnato al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono, infatti, l'inderogabilita' delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonche', come gia' sopra evidenziato, l'immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica.

Dispone espressamente l'art. 145 comma 3 che «Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle citta' metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresi' vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette».

E la giurisprudenza di codesta Corte ha affermato "sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di paesaggio, la «separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall'altro», prevalendo, comunque, «l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica" (sentenza n. 182 del 2006 e n. 180 del 2008, cit.).

La disposizione regionale in esame, pertanto, si pone in conflitto con la normativa statale, laddove consente trasformazioni del territorio agricolo, anche paesaggisticamente vincolato, in contrasto con la vocazione naturale del territorio e a discapito della sua conservazione e integrita', senza richiamare espressamente la disciplina dettata al riguardo dal piano paesaggistico.

Cio' posto, va anche evidenziato come la Regione Lazio sia a tutt'oggi priva di un piano paesaggistico concordato con il Ministero. La Regione, come gia' rilevato, con la delibera del Consiglio regionale n. 5 del 2019 (oggetto di impugnativa da parte del Governo davanti a codesta Ecc.ma Corte) ha approvato unilateralmente un piano, in violazione dei principi sopra richiamati principio di leale collaborazione, in quanto da tempo erano in corso i lavori di co-pianificazione con il Ministero. Con la pubblicazione di tale deliberazione, in data 13 febbraio 2020, nel Bollettino regionale, tale piano ha assunto piena efficacia nel territorio regionale, ancorche', medio tempore, i lavori di co-pianificazione erano ripresi e avevano portato all'elaborazione di un nuovo testo condiviso, allo stato non approvato dal Consiglio regionale.

Anche alla luce della mancanza, nel territorio regionale, di un piano paesaggistico oggetto di pianificazione congiunta con il Ministero, quindi, la disciplina introdotta dalla legge regionale impugnata avrebbe dovuto, a maggior ragione, espressamente subordinare l'applicabilita' delle previsioni in materia di localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in aree agricole, alla previa definizione di un quadro di regole condiviso con il Ministero nell'ambito della pianificazione paesaggistica. Cio' anzitutto allo scopo di evitare che, in sede di rilascio delle autorizzazioni, le singole trasformazioni vengano valutate singolarmente, omettendo di considerare complessivamente il contesto ambientale paesaggistico, la cui tutela e' specificamente demandata dal legislatore nazionale proprio al piano paesaggistico.

Sul punto, va ribadito che codesta Corte ha da tempo affermato l'esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica «e' assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale» (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).

La disposizione regionale censurata si pone in contrasto con tali principi, in quanto, di fatto, prescinde dal piano paesaggistico, nei termini sopra indicati.

L'art. 6 della legge regionale in esame risulta, quindi, costituzionalmente illegittimo laddove, nel disciplinare le attivita' "multimprenditoriali" consentite in zona agricola e nel prevedere, tra queste, espressamente la produzione delle energie rinnovabili, richiama soltanto il rispetto della normativa regionale, ma non prevede analoga clausola in favore del piano paesaggistico (frutto di elaborazione congiunta con il Ministero), ai sensi degli articoli 135, comma 1, e 143, comma 2, del Codice di settore.

In particolare, la suddetta disposizione si pone in contrasto con la potesta' legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Da quanto precede, inoltre, deriva ulteriormente la violazione dell'art. 9 della Costituzione - il quale pone la tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto (cfr. Corte cost. n. 367 del 2017) - in considerazione del potenziale pregiudizio ai beni tutelati derivante dagli interventi incentivati dalla legge regionale.

Per tali ragioni si chiede la declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma impugnata.

Ugualmente viziate risultano le disposizioni introdotte con le lettere c), d) ed e) del comma 1, dell'art. 6, della legge regionale n. 1/20, relative all'edificazione in zona agricola e ai PUA - Piani di utilizzazione aziendale.

In particolare, vengono disposte le seguenti modifiche agli articoli 55, 57 e 57-bis della legge n. 38 del 1999:   «c) all'art. 55:   1) dopo il comma 5 sono inseriti i seguenti:   "5-bis. La superficie funzionale alla realizzazione del programma di miglioramento aziendale e' definita superficie aziendale asservita. Tale superficie non puo' essere inferiore alla superficie in grado di generare, se previsto, l'indice fondiario utilizzato.

5-ter. I manufatti presenti all'interno dell'azienda agricola di cui al comma 4 sono denominati fabbricati aziendali. Costituiscono i fabbricati aziendali le strutture adibite a scopo abitativo denominate abitazioni rurali di cui all'art. 57, comma 3, e gli annessi agricoli strumentali di cui al comma 5-quater.

5-quater. Gli annessi agricoli sono i manufatti strumentali all'esercizio delle attivita' di cui all'art. 54, comma 2 e sono classificati nelle seguenti categorie:   a) annessi agricoli tamponati: strutture chiuse su tutti i lati. Sono considerati annessi agricoli tamponati anche le strutture realizzate al di sotto della superficie del piano di campagna. La realizzazione di annessi agricoli tamponati interrati e' sempre sottoposta all'approvazione di un PUA di cui all'art. 57;   b) annessi agricoli stamponati: strutture completamente aperte su tutti i lati ovvero aperte su un unico lato nel caso in cui gli altri lati siano tamponati, senza utilizzo di finestrature, sino ad un terzo dell'altezza massima del fabbricato calcolata dal piano di campagna fino alla gronda. Gli annessi agricoli stamponati, salvo quanto diversamente e piu' restrittivamente indicato dai piani urbanistici comunali, dai piani territoriali o dalla pianificazione di settore, possono essere realizzati su un lotto minimo non inferiore a 30.000 metri quadrati, con un rapporto di 0,002 metri quadrati per metro quadrato di terreno ed una altezza massima di 7,5 metri;   c) annessi agricoli produttivi: volumi tecnici o manufatti realizzati e utilizzati esclusivamente per il soddisfacimento di specifiche necessita' tecniche dell'azienda. Con deliberazione della Giunta regionale sono individuate le relative tipologie e caratteristiche quali silos, concimaie, vasche per raccolta acqua, strutture destinate alla produzione di biogas come da previsione degli articoli 214, 215 e 216 del decreto legislativo n. 152/2006, nonche' piscine realizzabili solo se adibite al servizio delle attivita' multifunzionali di tipo agrituristico di cui alla legge regionale n. 14/2006 e di quelle integrate e complementari di cui all'art. 3 della legge regionale n. 14/2006 e all'art. 54, comma 2.

Gli annessi agricoli produttivi sono realizzabili tramite presentazione e approvazione di un PUA redatto ai sensi della presente legge, fatto salvo per gli annessi produttivi "serre" di cui alla legge regionale 12 agosto 1996, n. 34 (Disciplina urbanistica per la costruzione delle serre) e successive modifiche;   d) annessi agricoli misti: manufatti costituiti, nel medesimo corpo di fabbrica, da piu' tipologie tra quelle indicate nelle lettere a), b) e c).»;   2) al comma 6:   2.1 dopo le parole: "gli annessi agricoli" e inserita la seguente: "strumentali";   2.2 dopo le parole: "con copertura a tetto" sono aggiunte le seguenti: "I comuni, nei propri strumenti urbanistici, possono prevedere per la nuova edificazione di annessi agricoli stamponati un'altezza fino a 7,50 metri lineari, anche con una diversa tipologia di copertura dei manufatti";   3) al comma 7 le parole: "per lavorazioni agricole" sono sostituite dalle seguenti: "per attivita' agricole tradizionali di cui alla legge regionale n. 14/2006";   4) al comma 9 dopo le parole: "non sono consentiti interventi di nuova edificazione" sono aggiunte le seguenti: ", ad esclusione di quanto previsto nell'art. 57. Gli interventi di muova edificazione di cui al cominci 5-quater, lettera b), sono realizzati detraendo le superfici degli annessi stamponati esistenti":   5) dopo il comma 13 e' aggiunto il seguente:   «13-bis. Le amministrazioni comunali trasmettono alla direzione regionale competente in materia di agricoltura, entro tre mesi dalla comunicazione di fine lavori o dal momento dell'inizio attivita', i dati significativi relativi alla nuova edificazione autorizzata nelle zone omogenee E, nonche' i dati significativi dei PUA approvati ai sensi degli articoli 57, 57-bis e 57-ter. I dati significativi oggetto di trasmissione sono i seguenti: dati di individuazione anagrafica e amministrativa dell'impresa, motivazione della presentazione, denominazione delle attivita' interessate tra quelle previste all'art. 54, comma 2, lettere a) e b), numero di fabbricati manufatti e relative dimensioni in termini di volumetria complessiva realizzata e le eventuali infrastrutture realizzate e/o ampliate a servizio della nuova edificazione realizzata. Qualora la nuova autorizzazione sia funzionale all'esercizio di attivita' rurali aziendali che prevedano la trasmissione di dati funzionali agli elenchi di cui alla legge regionale n. 14/2006, l'invio dei dati e' contestuale all'invio dei dati necessari alla gestione degli elenchi.

Presso la direzione regionale e' istituito il registro delle trasformazioni effettuate in zona agricola. La direzione regionale agricoltura elabora, sulla base dei dati pervenuti e con cadenza annuale, una relazione sulle trasformazioni effettuate in zona agricola e la trasmette alle commissioni consiliari competenti in materia di urbanistica ed agricoltura.»;   d) all'art. 57:   1) al comma 1 la parola: "sviluppo" e' sostituita dalle seguenti: "miglioramento aziendale";   2) al comma 2:   2.1 alle lettere b) e c) le parole: "di cui all'art. 55, comma 6" sono soppresse;   2.2 dopo la lettera e) sono aggiunte le seguenti:  «e-bis) la deroga al dimensionamento degli annessi agricoli stamponati di cui all'art. 55, comma 5-quater, lettera b);  e-ter) la realizzazione degli annessi agricoli produttivi di cui all'art. 55, comma 5-quater, lettera c);  e-quater) la realizzazione di annessi agricoli tamponati utilizzando, qualora previsto dagli strumenti urbanistici comunali, il rapporto massimo di 0,008 metri quadrati per metro quadrato di terreno di cui all'art. 55, comma 6;  e-quinquies) la rifunzionalizzazione e la nuova edificazione per le attivita' multifunzionali identificate all'art. 2 della legge regionale n. 14/2006 con esclusione dell'introduzione dell'attivita' agrituristica all'interno dell'abitazione rurale dell'imprenditore agricolo, come previsto dall'art. 15 della legge regionale n. 14/2006.»;   3) al cominci 3 le parole: "strutture adibite a scopo abitativo" sono sostituite dalle seguenti: "abitazioni rurali";   4) dopo la lettera g) del comma 6 e' aggiunta la seguente:   «g-bis) alla verifica del rispetto degli obblighi di cui al comma 8 e dei vincoli previsti all'art. 58 e alla corretta individuazione della superficie aziendale asservita.»;   5) al comma 7:   5.1 le parole: "ed e)" sono sostituite dalle seguenti: ", e), e-bis), e-ter), e-quater) ed e-quinquies)";   5.2 le parole: "I comuni nei propri strumenti urbanistici possono prevedere per la nuova edificazione di annessi agricoli da realizzare previa approvazione di un PUA indici fondiari fino ad un massimo di 0,008 metri quadrati per metro quadro di terreno; in tal caso il relativo PUA e' approvato dalla struttura tecnica comunale competente." sono soppresse;   6) al comma 8:   6.1 dopo le parole: "Il PUA e' rilasciato" sono inserite le seguenti: "anche con le modalita' del procedimento unico di cui agli articoli 7 ed 8 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attivita' produttive, ai sensi dell'art. 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) e successive modifiche;   6.2 dopo le parole: "oltre a quanto previsto dall'art. 76" sono inserite le seguenti: "specificatamente per la convenzione";   6.3 alla lettera a) le parole: ", in relazione ai quali e' richiesta la realizzazione di nuove costruzioni rurali" sono soppresse;   6.4 alla lettera b) dopo le parole: "destinazione d'uso rurale" sono inserite le seguenti: ", qualora presente, ";   6.5 alla lettera d) le parole: "il fondo" sono sostituite dalle seguenti: "la superficie aziendale asservita";   7) al comma 10 le parole: "all'atto del fine lavori e alla conclusione del procedimento di presentazione della SCIA amministrativa per l'inizio attivita'" sono sostituite dalle seguenti: "all'atto del fine lavori e/o alla conclusione del procedimento di presentazione dell'inizio attivita'";   e) all'art. 57-bis:   1) alla rubrica le parole: "integrate e complementari" sono sostituite dalla seguente: "multimprenditoriali";   2) al comma 1:   2.1 le parole: "Le attivita' integrate e complementari di cui all'art. 54, comma 2, lettera b), possono essere introdotte e svolte all'interno dell'azienda agricola in regime di connessione con le attivita' agricole aziendali" sono sostituite dalle seguenti: "Le attivita' multimprenditoriali di cui all'art. 2 della legge regionale n. 14/2006 integrate e complementari all'attivita' agricola e compatibili con la destinazione di zona agricola possono essere introdotte e svolte all'interno dell'azienda agricola in regime di connessione con le attivita' agricole aziendali di cui all'art. 2 della legge regionale n. 14/2006";   2.2 la lettera c) e' abrogata;   3) al comma 2:   3.1 le parole: "Le attivita' integrate e complementari cui all'art. 54, comma 2, lettera b), possono essere svolte anche da soggetti diversi da quelli di cui all'art. 57, comma 1:" sono sostituite dalle seguenti: "Le attivita' multimprenditoriali sono svolte esclusivamente da soggetti diversi da quelli di cui all'art. 55, comma 4";   3.2 dopo le parole: "Nell'ambito del regime di connessione gli imprenditori agricoli" sono inserite le seguenti: "di cui all'art. 57, comma 1,";   3.3 le parole: "che esercitano le attivita' integrate e complementari" sono sostituite dalle seguenti: "che esercitano le attivita' multimprenditoriali";   4) al comma 3 le parole: "integrate e complementari di cui all'art. 54, comma 2, lettera b)", sono sostituite dalla seguente: "multimprenditoriali";   5) al comma 4 le parole: "di cui all'art. 54, comma 2, lettera b)," sono sostituite dalla seguente: "multimprenditoriali":   6) al comma 5 le parole: "di cui all'art. 54, comma 2, lettera b)" sono sostituite dalla seguente: "multimprenditoriali";   7) al comma 8 le parole: "integrate e complementari" sostituite dalla seguente: "multimprenditoriali";   8) il comma 9 e' abrogato;   9) al comma 12:   9.1 alla lettera a) le parole: "integrate e complementari" sono sostituite dalla seguente: "multimprenditoriali";   9.2 la lettera b) e' sostituita dalla seguente:  «h) le condizioni per la costituzione e per la permanenza del regime di connessione tra le attivita' agricole aziendali di cui all'art. 2 della legge regionale n. 14/2006 e le attivita' multimprenditoriali, nonche' le conseguenze del venir meno del regime di connessione;»;   10) al comma 13 le parole: "delle attivita' di cui all'art. 54, comma 2, lettera b), in violazione dei commi 3, 4 e 5" sono sostituite dalle seguenti: "delle attivita' multimprenditoriali, in violazione dei commi 3, 4, 5 e 11".

Come si evince dal tenore letterale delle disposizioni riportate, esse consentono di realizzare manufatti connessi alle attivita' agricole, ampliando sensibilmente le relative categorie mediante il riferimento «alle attivita' agricole tradizionali, connesse e compatibili» e prevedendo, tra i vari interventi possibili, perfino la realizzazione di piscine.

Anche in questo caso, quindi, la Regione pretende di consentire la trasformazione indiscriminata delle aree agricole, senza una definizione preventiva degli interventi compatibili con il contesto, che deve avvenire nell'ambito piano paesaggistico previamente elaborato d'intesa con lo Stato.

Gli effetti di tale estensione della facolta' di trasformazione coinvolgono, potenzialmente, anche contesti tutelati, come le aziende agricole situate in aree vincolate, oggetto di specifica previsione nelle Norme del PTPR (art. 52) approvate e pubblicate nel Bollettino Ufficiale regionale del 13 febbraio 2020 (la cui formulazione attuale, come ricordato, non e' stata condivisa con il Ministero ed e' pertanto gia' all'attenzione di codesta Corte costituzionale, innanzi alla quale e' stato proposto conflitto di attribuzioni).

Anche per tali norme, quindi, vale quanto gia' argomentato con riferimento al comma 1, lett. b), del medesimo art. 6, in merito alla tutela paesaggistica, di cui alla parte III del Codice dei beni culturali (dedicata a i beni paesaggistici).

Come gia' detto, quest'ultimo, delineando un sistema organico di tutela del paesaggio (come bene di rango costituzionale), ha inserito i tradizionali strumenti del provvedimento impositivo del vincolo e dell'autorizzazione paesaggistica nel quadro della pianificazione paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente da Stato e Regione.

In tale pianificazione concordata, il legislatore nazionale (con potesta' legislativa esclusiva in materia) ha assegnato al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono, infatti, l'inderogabilita' delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonche', come gia' sopra evidenziato, l'immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica.

E la giurisprudenza di codesta Corte ha affermato "sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di paesaggio, la «separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall'altro», prevalendo, comunque, «l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica" (sentenza n. 182 del 2006 e n. 180 del 2008, cit.).

Le disposizioni regionali in esame, pertanto, si pongono in conflitto con la normativa statale, laddove consentono trasformazioni del territorio agricolo, anche paesaggisticamente vincolato, in contrasto con la vocazione naturale del territorio e a discapito della sua conservazione e integrita', senza richiamare espressamente la disciplina dettata al riguardo dal piano paesaggistico.

Posto quanto precede, gli interventi resi possibili dalla disposizione impugnata impattano ulteriormente su manufatti di interesse culturale, tutelati ai sensi della parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio. A tale proposito, deve evidenziarsi che, in base all'art. 20, comma 1, del medesimo Codice, «I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione».

E' pertanto del tutto estranea alle attribuzioni regionali la disciplina delle possibili modificazioni di beni culturali sottoposti a tutela, essendo tale disciplina rimessa esclusivamente allo Stato.

Sul punto, costante e' l'orientamento di codesta Corte, in merito alla distinzione tra le competenze legislative statali e regionali, riservando allo Stato la competenza tutte le volte in cui oggetto della disciplina sia un bene tutelato, anche avendo riguardo al "supporto materiale" inciso dalla normativa.

In particolare, gia' con la sentenza n. 9 del 2004 e' stato evidenziato come rientri tra le attivita' costituenti tutela, riservata in via esclusiva allo Stato, quella diretta «a conservare i beni culturali e ambientali», ossia volta «principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale».

Non spetta, pertanto, alla Regione dettare una disciplina volta a individuare le modificazioni e gli interventi consentiti, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi della parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio (conforme anche sentenza n. 401/07).

Le disposizioni regionali in esame, dunque, risultano illegittime per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 20, 21, 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonche' per violazione dell'art. 9 della Costituzione.

3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 7, lett. c) recante disposizioni in materia di «Riordino dei procedimenti amministrativi concernenti concessioni su beni demaniali e non demaniali regionali», per violazione degli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, con riferimento alle previsioni degli articoli 135, 142, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (norme interposte).

Parimenti illegittimo deve ritenersi l'art 7, lett. c) della legge impugnata, che modifica il comma 1 dell'art. 10 della legge regionale n. 53 del 1998, attribuendo ai comuni il rilascio della concessione dei beni del demanio marittimo per i porti turistici, gli approdi turistici e punti di ormeggio, sulla base di quanto stabilito dal PUA (Piano di utilizzazione degli arenili) regionale e dai rispettivi PUA comunali (nuovo numero 2-quater).

Cosi' la norma impugnata:   «e) al comma 1 dell'art. 10:   1) dopo il numero 2-ter della lettera a) e' inserito il seguente:   «2-quater) il rilascio delle concessioni dei beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalita' diverse da quelle di approvvigionamento di finti di energia, ivi compresi i porti turistici, gli approdi turistici ed i punti di ormeggio, fatte salve le concessioni riservate allo Stato ai sensi della normativa vigente, nonche' le funzioni e i compiti amministrativi delegati ai comuni relativi alle aree del demanio marittimo per finalita' turistico e ricreative, il rilascio delle concessioni di cui al presente comma avviene nel rispetto di quanto stabilito dal PUA (Piano di utilizzazione degli arenili) regionale e dai rispettivi PUA comunali. Il comune puo' determinare oneri istruttori per i procedimenti relativi all'esercizio delle funzioni ad esso attribuite;»;   2) dopo la lettera a) e' inserita la seguente:   "a-bis) le funzioni amministrative concernenti la gestione delle infrastrutture insistenti sulle aree portuali lacuali;"».

Orbene, tale disposizione, nell'attribuire ai comuni tali funzioni, non fa alcun riferimento alla necessita' di verificare la coerenza dei predetti PUA con la disciplina di tutela delle fasce costiere marittime, e quindi degli arenili, contenuta nel piano paesaggistico.

La previsione della legge regionale, infatti, ha cura di stabilire un preciso parametro di riferimento per il rilascio dei titoli da parte dei comuni (i PUA regionale e comunale), ma non si occupa di prevedere - come e' doveroso da parte dell'Ente, ai sensi dell'art. 145, comma 5, del Codice dei beni culturali e del paesaggio - che tali strumenti possano costituire un punto di riferimento soltanto se e in quanto conformi a un piano paesaggistico approvato previa intesa con il Ministero dei Beni e delle Attivita' Culturali, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Anche in relazione a tale disposizione occorre ricordare che la Regione non e' attualmente munita di un piano paesaggistico approvato previa intesa con lo Stato, atteso che il PPTR recentemente entrato in vigore non e' conforme all'intesa intercorsa con il Ministero e, per questa ragione, e' stato impugnato innanzi alla Corte costituzionale mediante conflitto di attribuzioni.

La disposizione qui censurata risulta costituzionalmente illegittima in quanto rende possibile il rilascio delle concessioni, sulla base dei PUA, al di fuori del quadro della pianificazione paesaggistica definita previa intesa con il competente Ministero.

Ancora una volta, quindi, la disposizione "sfugge" al piano paesaggistico, sottraendo alla "sede" stabilita per legge la pianificazione delle aree costiere, sottoposte a tutela paesaggistica ope legis, ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. a) del Codice, proprio per la loro fragilita', in considerazione dell'uso massiccio delle coste per finalita' turistiche, economiche, commerciali, ecc.

Da cio' la violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte le previsioni degli articoli 135, 142, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Anche in questo caso, inoltre, la disciplina determina una evidente diminuzione della tutela per il bene paesaggistico, ponendosi in contrasto con l'art. 9 della Costituzione.

4. Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 9, lett. d) n. 1, e 16, della legge Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1, per contrasto con gli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s) Cost., in riferimento all'art. 142 codice dei beni culturali (norma interposta).

Il comma 9, lett. d), n. 1), della legge impugnata, modifica la legge regionale n. 39 del 2002, recante «Norme in materia di gestione delle risorse forestali».

In particolare, viene modificata la definizione di "faggeta depressa" contenuta nel comma 2 dell'art. 34-bis della predetta legge regionale, abbassando la quota al di sotto della quale gli ecosistemi forestali governati a fustaia a prevalenza di faggio sono definiti tali, da 800 metri s.l.m. (come era in precedenza), a 300 metri s.l.m.

Cosi' la disposizione impugnata: d) all'art. 34-bis: 1) al comma 2 le parole: "degli 800 m s.l.m." sono sostituite dalle seguenti: "dei 300 m s.l.m.".

La novella ha una diretta incidenza sull'ambito applicativo della disposizione del comma 3, ultimo periodo, dello stesso art. 34-bis della legge regionale n. 39 del 2002, ove si stabilisce che «Per le faggete depresse di cui al comma 2 sono vietate le utilizzazioni per finalita' produttive fatto salvo i tagli necessari per la conservazione della faggeta o per motivi di pubblica incolumita'».

Al riguardo, occorre tenere presente che "i territori coperti da foreste e da boschi" sono sottoposti a tutela paesaggistica ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. g), del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

L'effetto della norma regionale censurata e', quindi, quello di prevedere in modo indiscriminato, per tutto il territorio regionale, e al di fuori della pianificazione paesaggistica, una norma applicabile in modo uniforme alle aree boscate a faggeta, diminuendo, nuovamente, il livello della relativa tutela.

Anche in questo caso, e' pertanto ravvisabile la violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte le previsioni degli articoli 135, 142, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonche' la lesione del principio fondamentale della tutela del paesaggio, di cui all'art. 9 della Costituzione, per le ragioni gia' sopra illustrate.

Il comma 16 del medesimo art. 9, dispone inoltre che: «Al fine di semplificare le procedure di approvazione della pianificazione forestale aziendale, i procedimenti di approvazione dei piani predisposti ai sensi degli articoli 13 e 14 della legge regionale 28 ottobre 2002, n. 39 (Norme in materia di gestione delle risorse forestali), che contemplano interventi a carico dei beni ai sensi degli articoli 136 e 142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e successive modifiche, sono soggetti all'acquisizione dell'autorizzazione di cui all'art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004. Tale preventiva autorizzazione paesaggistica si intende acquisita per tutti gli interventi previsti nei piani stessi e resi esecutivi. Resta salvo quanto previsto dall'art. 149, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo n. 42/2004 in merito agli interventi esonerati dall'obbligo di acquisire l'autorizzazione paesaggistica».

Effetto della disposizione e' quello di anticipare l'autorizzazione paesaggistica ai piani di gestione e assestamento forestale, e al piano poliennale di taglio di cui agli articoli 13 e 14 della legge regionale n. 39 del 2002, ove siano previsti interventi su beni tutelati, esonerando poi dal rilascio dell'autorizzazione i singoli interventi.

Tale norma si pone in diretto contrasto con gli articoli 146 e 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in base ai quali tutti gli interventi sui beni tutelati devono essere previamente autorizzati (art. 146), salvo che non ricadano nelle ipotesi di espressa esclusione stabilite dal legislatore statale (art. 149).

Pur essendo ipotizzabile, in analogia a quanto previsto in materia urbanistica, l'espressione di un "parere paesaggistico" preliminare in relazione al piano, non puo' essere tuttavia esclusa la necessita', a valle, di autorizzare i singoli interventi conformi al piano assentito, prendendo in considerazione tutti gli aspetti di dettaglio di tali interventi, pena la violazione del regime di tutela stabilito dal Codice.

Con riferimento all'autorizzazione paesaggistica, codesta Corte, con la sentenza n. 189 del 2016, ha affermato - richiamando al riguardo anche le sentenze n. 232 del 2008, n. 101 del 2010 e n. 235 del 2011 - che non e' consentito alle regioni introdurre deroghe alla legislazione statale che detta regole uniformi su tutto il territorio nazionale.

La norma regionale censurata invade, quindi, la potesta' legislativa esclusiva dello Stato di cui all'art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale gli articoli 146 e 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio costituiscono norme interposte, e incide, inoltre, sul livello della tutela del paesaggio, stabilito in via uniforme sul tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione.

E anche in questo caso, l'abbassamento della tutela determina, di conseguenza la violazione ulteriore dell'art. 9 della Costituzione.

5. Illegittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 11, della legge Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1, per contrasto con gli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s) Cost. in riferimento agli articoli 135, 143 e 145 del codice dei beni culturali (norme interposte).

L'art. 10, comma 11, della legge impugnata, inserisce, dopo l'art. 3 della legge regionale 16 dicembre 2011, n. 16 («Norme in materia ambientale e di fonti rinnovabili»), l'art. 3.1, rubricato «Localizzazione di impianti fotovoltaici in zona agricola».

Questo il tenore letterale della disposizione:   "11. Dopo l'art. 3 della legge regionale 16 dicembre 2011, n. 16 (Norme in materia ambientale e di fonti rinnovabili) e successive modifiche e' inserito il seguente:   «Art. 3.1 (Localizzazione di impianti fotovoltaici in zona agricola). - 1. La programmazione della produzione di energia da fonti rinnovabili e del risparmio energetico in agricoltura per le zone omogenee "E" di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densita' edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita' collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765) e' prevista dal piano energetico regionale (PER) ed e' effettuata in coordinamento con il piano agricolo regionale (PAR) di cui all'art. 52 della legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38 (Norme sul governo del territorio) e successive modifiche.

2. Nella predetta pianificazione sono individuate, tra l'altro, le aree idonee all'installazione delle diverse tipologie di impianti destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili e i limiti del relativo dimensionamento.

3. I comuni, nelle more dell'entrata in vigore del PER, che comunque deve essere operativo entro centottanta giorni dall'approvazione della presente disposizione, al fine di garantire uno sviluppo sostenibile del territorio, la tutela dell'ecosistema e delle attivita' agricole, nel rispetto dei principi e dei valori costituzionali ed eurounitari, individuano, considerate le disposizioni del decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), le aree idonee per l'installazione degli impianti fotovoltaici a terra per una superficie complessiva non superiore al 3 per cento delle zone omogenee "E" di cui al decreto ministeriale n. 1444/1968, identificate dagli strumenti urbanistici comunali.

4 Ai fini dell'individuazione delle aree idonee per l'installazione degli impianti fotovoltaici a terra di cui al comma 3, i comuni devono tener conto, in particolare, del sostegno al settore agricolo, con riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversita', cosi' come del patrimonio culturale e del paesaggio naturale.

5. Nelle more delle previsioni di cui al comma 1, resta sempre consentita la produzione di energia da fonti rinnovabili con le modalita' previste dalla legge regionale 2 novembre 2006, n. 14 (Norme in materia di diversificazione delle attivita' agricole) e successive modifiche per la quale non trovano applicazione le limitazioni di cui al comma 3».

La disposizione riconferma il ruolo fondamentale e strategico del piano energetico regionale (PER), come strumento di programmazione della produzione di energia da fonti rinnovabili e del risparmio energetico in agricoltura per le zone "E", pur richiamando la necessita' che tale programmazione venga effettuata in coordinamento con il piano agricolo regionale (PAR) di cui all'art. 52 della legge regionale n. 38 del 1999.

Al riguardo, deve preliminarmente osservarsi che, allo stato, il PER in itinere - che in tema di localizzazione degli impianti si propone di ridurre al minimo il consumo di suolo, favorendo il riutilizzo di aree gia' degradate, nonche' lo sfruttamento di infrastrutture gia' esistenti, nel rispetto del contesto storico, naturale e paesaggistico - non e' stato ancora approvato, nonostante abbia concluso il procedimento di VAS e disponga da luglio 2018 del parere motivato necessario per essere approvato.

Cio' posto, come emerge ictu oculi, anche il nuovo art. 3.1 della legge regionale n. 16 del 2011, omette il necessario richiamo al piano paesaggistico e alla sua disciplina programmatoria e pianificatoria, benche' soltanto quest'ultimo piano possa orientare l'individuazione delle aree, sia in negativo quali aree escluse, sia in positivo quali aree idonee all'installazione delle diverse tipologie di impianti destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili e i limiti del relativo dimensionamento.

Sotto altro profilo, pur essendo apprezzabili gli intenti del legislatore regionale - espressi nei commi 3 e 4 del predetto art. 3.1 della legge regionale n. 16 del 2011, di delineare un diverso approccio per la gestione della notevole pressione che il territorio agricolo del Lazio sta subendo in questi ultimi mesi da parte degli operatori del settore (PER) - tuttavia, in concreto tale finalita' dichiarata risulta sostanzialmente vanificata da quanto stabilito al comma 5 del medesimo articolo.

Nel dettaglio.

Come visto, il predetto comma 3 dispone che «I comuni, nelle more dell'entrata in vigore del PER, che comunque deve essere operativo entro centottanta giorni dall'approvazione della presente disposizione, al fine di garantire uno sviluppo sostenibile del territorio, la tutela dell'ecosistema e delle attivita' agricole, nel rispetto dei principi e dei valori costituzionali ed eurounitari, individuano, considerate le disposizioni del decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), le aree idonee per l'installazione degli impianti fotovoltaici a terra per una superficie complessiva non superiore al 3 per cento delle zone omogene "E" di cui al decreto ministeriale n. 1444/1968, identificate dagli strumenti urbanistici comunali». Fino all'entrata in vigore del PER, dunque, le aree idonee all'installazione degli impianti sono identificate dai Comuni nel rispetto di una serie di criteri e non possono includere comunque oltre il 3 per cento delle aree classificate come agricole (zone E) degli strumenti urbanistici comunali.

Il successivo comma 5, tuttavia, contraddice apertamente la suddetta previsione - rendendo anche difficile comprendere il rapporto (contraddittorio) esistente tra le due disposizioni - poiche' stabilisce che: «Nelle more delle previsioni di cui al comma 1 [ossia in attesa del PER, che dovrebbe disciplinare la programmazione della produzione di energia da fonti rinnovabili e del risparmio energetico in agricoltura per le zone omogenee "E", in coordinamento con il PAR], resta sempre consentita la produzione di energia da fonti rinnovabili con le modalita' previste dalla legge regionale 2 novembre 2006, n. 14 (Norme in materia di diversificazione delle attivita' agricole) e successive modifiche per la quale non trovano applicazione le limitazioni di cui al comma 3».

Ne' puo' affermarsi che un espresso richiamo al piano paesaggistico non sarebbe necessario (essendo nota la valenza sovraordinata del piano stesso), in quanto ai sensi dell'art. 54, comma 3, della legge regionale n. 38 del 1999, le attivita' per la produzione di energie rinnovabili localizzate all'interno dell'azienda agricola sarebbero comunque esercitate previa approvazione di un piano di utilizzazione ambientale (PUA), ai sensi dell'art. 57-bis della medesima legge regionale; prevedendo, peraltro, la disciplina dei PUA (articoli 57 e 57-bis della legge regionale n. 38 del 1999 e Regolamento regionale 5 gennaio 2018, n. 1) limiti assai stringenti in termini di superficie utilizzabile per la realizzazione di un impianto di energia rinnovabile.

Sul punto, deve infatti rimarcarsi che l'art. 54, comma 3, della legge regionale n. 38 del 1994 subordina alla previa approvazione di un PUA esclusivamente la localizzazione all'interno dell'azienda agricola delle attivita' di «trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali» (di cui al comma 2, lett. b), del predetto art. 54), e non anche le attivita' di «produzione delle energie rinnovabili» (cui si riferisce la lett. f) del comma 2 dell'art. 54). Conseguentemente, la localizzazione di queste ultime attivita' non sarebbe comunque subordinata (neppure) al PUA.

Il combinato disposto del "nuovo" art. 54, comma 2, della legge regionale n. 38 del 1999 (che, come ricordato, e' stato integralmente sostituito dall'art. 6, comma 1, lett. b), della legge regionale n. 1 del 2020) e dell'art. 3.1, comma 5, della legge regionale n. 16 del 2011 (introdotto dall'art. 10, comma 11, della medesima legge regionale n. 1 qui impugnata) comporta, quindi, la possibilita' di realizzare impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in aree agricole, al di fuori non solo del piano energetico regionale, ma soprattutto del quadro programmatorio condiviso con il Ministero a monte, nell'ambito del piano paesaggistico, che costituisce la sede propria nell'ambito della quale deve essere valutata la compatibilita' paesaggistica del complesso degli interventi, onde evitare che la sommatoria dei singoli impianti realizzati e di futura realizzazione nel territorio sfugga a qualsiasi logica programmatoria, e quindi a una visione d'insieme, con grave danno del paesaggio complessivamente inteso.

La mancanza di un quadro programmatorio previamente condiviso assume ancora maggiore rilevanza in relazione al regime autorizzatorio attuale che caratterizza la realizzazione dei nuovi impianti di fonti rinnovabili nel territorio regionale, in attesa dell'efficacia del PER.

Le numerose richieste di realizzazione di impianti fotovoltaici di rilevanti estensioni in zone agricole, classificate e tutelate dal PTPR quali paesaggi agrari di valore o di elevato valore, vengono infatti ordinariamente autorizzate caso per caso con provvedimenti regionali, nell'ambito di procedimenti ai sensi dell'art. 27-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonostante il parere negativo del Ministero.

Alla luce di quanto sin qui esposto, l'art. 10, comma 11, della legge regionale n. 1 del 2020 e' costituzionalmente illegittimo: (I) in quanto, introducendo l'art. 3.1 della legge regionale n. 16 del 2011, non subordina la programmazione della produzione di energia da fonti rinnovabili e del risparmio energetico in agricoltura per le zone omogenee "E" di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 alla pianificazione paesaggistica elaborata previa intesa con il Ministero; (II) nella parte in cui, mediante la previsione del comma 5 del predetto art. 3.1, consente, in attesa del PER, la realizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in aree agricole senza alcuna programmazione nell'ambito di un piano paesaggistico previamente condiviso con il Ministero competente, secondo quanto prescritto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.

La disposizione censurata invade, quindi la potesta' legislativa esclusiva dello Stato di cui all'art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio costituiscono norme interposte.

Dalla ricostruzione che precede, emerge come la norma impugnata si ponga altresi' in contrasto con il principio fondamentale della tutela del paesaggio, di cui all'art. 9 della Costituzione. Il quadro della regolamentazione che deriva dall'entrata in vigore della legge Regionale impugnata, infatti, determina come detto un evidente abbassamento del livello della tutela del bene ivi costituzionalmente garantito, in quanto consente l'indiscriminata localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili nelle aree agricole.

 

P. Q. M.

 

Si chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimi e conseguentemente annullare gli articoli 5; 6, comma 1, lett. b), c), d) ed e); 7, comma 7, lett. c); 9, comma 9, lett. d) n. 1) e comma 16; 10, comma 11, della legge Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1, pubblicata nel B.U.R. n. 17, Supplemento 2, del 27 febbraio 2020, recante: «Misure per lo sviluppo economico, l'attrattivita' degli investimenti e la semplificazione», come da delibera del Consiglio dei ministri in data 24 aprile 2020, per i motivi illustrati nel presente ricorso.

Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno:   1. estratto della delibera del Consiglio dei ministri del 24 aprile 2020;   2. legge Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1, pubblicata nel B.U.R. n. 17, Supplemento 2, del 27 febbraio 2020.

Roma, 27 aprile 2020

L'Avvocato dello Stato: Di Leo

Il Vice Avvocato Generale: Figliolia