RICORSO N. 64 DEL 31 LUGLIO 2020 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 31 luglio 2020.

(GU n. 39 del 23.9.2020)

 

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

 

Ecc.ma Corte costituzionale ricorso ex art. 127 della Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e' domiciliato per legge, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al presente giudizio al seguente indirizzo di posta elettronica certificata: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it   Contro la Regione Piemonte, in persona del presidente in carica, con sede in Torino, piazza Castello n. 165 per la declaratoria della illegittimita' costituzionale degli articoli 23, comma 2, 52, 61, 62 e 79 della legge della Regione Piemonte 29 maggio 2020, n. 13, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Piemonte n. 22 del 28 maggio 2020 - Supplemento ordinario 29 maggio 2020, n. 5, giusta deliberazione del Consiglio dei ministri assunta nella seduta del giorno 22 luglio 2020.

 

Premesse di fatto

 

In data 29 maggio 2020, nel Supplemento ordinario n. 5 del Bollettino ufficiale della Regione Piemonte, e' stata pubblicata la legge regionale 29 maggio 2020, n. 13, intitolata «Interventi di sostegno finanziario e di semplificazione per contrastare l'emergenza da COVID-19».

Alcune disposizioni di tale legge sono costituzionalmente illegittime.

Segnatamente, l'art. 23, comma 2, viola l'art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione; l'art. 52 si pone in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione; l'art. 61 e' lesivo degli articoli 5 e 120 della Costituzione, nella parte in cui sanciscono il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, nonche' degli articoli 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione; l'art. 62 viola gli articoli 5 e 120 della Costituzione, nella parte in cui sanciscono il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, nonche' gli articoli gli articoli 9 e 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione; infine, l'art. 79 si pone in contrasto con l'art. 117, terzo comma della Costituzione, in quanto eccede le competenze regionali e invade quelle statali in materia di «governo del territorio».

Pertanto, le anzidette disposizioni vengono impugnate con il presente ricorso ex art. 127 della Costituzione, affinche' ne sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale e ne sia pronunciato il conseguente annullamento per i seguenti;

 

Motivi di diritto

 

I. L'art. 23, comma 2, della legge regionale Piemonte 29 maggio 2020, n. 13   1. Al dichiarato fine di favorire il ritorno e un nuovo consolidamento dei flussi turistici verso il Piemonte nelle fasi post emergenza da COVID-19, mediante azioni di monitoraggio, comunicazione, promozione, marketing e sostegno alle attivita' degli operatori del comparto, l'art. 23, intitolato «Sostegno alle destinazioni e al marketing turistico - Riparti turismo», dispone - al comma 1 - che la regione adotti misure, straordinarie a favore dei consorzi e delle societa' consortili di cui alla legge regionale 11 luglio 2016, n. 14, recante «Nuove disposizioni in materia di organizzazione dell'attivita' di promozione, accoglienza e informazione turistica in Piemonte».

Il comma 2 dell'articolo in esame precisa che «Le azioni previste al comma 1 sono finalizzate alla realizzazione di campagne promozionali per il rilancio turistico della regione e il riavvio economico dell'intera filiera del comparto, sia con iniziative a titolarita' regionale, sia con la concessione di contributi a favore di consorzi e societa' consortili di cui alla legge regionale n. 14/ 2016».

I criteri e le procedure per l'individuazione delle misure di sostegno saranno stabiliti in dettaglio con deliberazione della giunta regionale (comma 3) e alla copertura dei relativi oneri finanziari - quantificati nell'importo massimo di euro 2.000.000,00 per l'annualita' 2020 (comma 4) - si provvedera' con le risorse derivanti dalla riduzione di spesa di cui all'art. 31 (comma 5).

2. Nella parte in cui autorizza la regione ad adottare misure straordinarie a favore delle societa' a prevalente capitale pubblico di cui alla legge regionale 11 luglio 2016, n. 14 (i.e. la DMO Turismo Piemonte - Destination Management Organization Turismo Piemonte e le ATL - Agenzie di accoglienza e promozione turistica locale), la disposizione impugnata si pone in evidente contrasto l'art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione, che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale la materia della «tutela della concorrenza».

3. E invero, gli interventi pubblici a sostegno delle imprese sono qualificati dal diritto euro-unitario «aiuti di Stato» e sono disciplinati dal capo I del titolo VII del T.F.U.E., rubricato «Regole di concorrenza».

Pertanto, come precisato da codesta Ecc.ma Corte, tali interventi «coinvolgono i rapporti con l'Unione europea e incidono sul settore della concorrenza, la cui disciplina si articola, nell'attuale fase di integrazione sovranazionale, su due livelli: europeo e statale [...]. Nel diritto comunitario, le regole della concorrenza non sono [...] limitate all'attivita' sanzionatoria della trasgressione della normativa antitrust, ma comprendono anche il regime di aiuti [...].

Dal punto di vista del diritto interno, la nozione di concorrenza non puo' non riflettere quella operante in ambito comunitario, che comprende interventi regolativi, la disciplina antitrust e misure destinate a promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza.

Quando l'art. 117, secondo comma, lettera e), affida alla potesta' legislativa esclusiva statale la tutela della concorrenza, non intende certo limitarne la portata ad una sola delle sue declinazioni di significato. Al contrario, proprio l'aver accorpato, nel medesimo titolo di competenza, la moneta, la tutela del risparmio e dei mercati finanziari, il sistema valutario, i sistemi tributario e contabile dello Stato, la perequazione delle risorse finanziarie e, appunto, la tutela della concorrenza, rende palese che quest'ultima costituisce una delle leve della politica economica statale e pertanto non puo' essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto» (cfr. sentenza n. 14 del 2004, enfasi aggiunte).

Gli «aiuti di Stato» incompatibili con il mercato interno, secondo la nozione ricavabile dall'art. 107 del T.F.U.E., «consistono in agevolazioni di natura pubblica, rese in qualsiasi forma, in grado di favorire talune imprese o talune produzioni e di falsare o minacciare di falsare in tal modo la concorrenza, nella misura in cui incidono sugli scambi tra gli Stati membri. I requisiti costitutivi di detta nozione [...] possono essere cosi' sintetizzati:   a) intervento da parte dello Stato o di una sua articolazione o comunque impiego di risorse pubbliche a favore di un operatore economico che agisce in libero mercato;   b) idoneita' di tale intervento ad incidere sugli scambi tra Stati membri;   c) idoneita' dello stesso a concedere un vantaggio al suo beneficiario in modo tale da falsare o minacciare di falsare la concorrenza [...];   d) dimensione dell'intervento superiore alla soglia economica minima che determina la sua configurabilita' come aiuto "de minimis" ai sensi del regolamento della Commissione n. 1998/2006, del 15 dicembre 2006.

La nozione di aiuto di Stato e' quindi di natura complessa e l'ordinamento comunitario riserva alla competenza esclusiva della Commissione europea, sotto il controllo del tribunale e della Corte di giustizia, la verifica della compatibilita' dell'aiuto con il mercato interno, nel rispetto dei regolamenti di procedura in vigore.

[...] ai giudici nazionali spetta [...] l'accertamento dell'osservanza dell'art. 108, n. 3, T.F.U.E. [...] ed in particolare se i soggetti pubblici conferenti gli aiuti rispettino gli adempimenti e le procedure finalizzate alle verifiche di competenza della Commissione europea» (cfr. sentenza n. 299 del 2013, enfasi aggiunte).

Siffatti adempimenti e procedure sono precisati - a livello nazionale - dall'art. 45, comma 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, il quale stabilisce che «Le amministrazioni che notificano alla Commissione europea progetti volti a istituire o a modificare aiuti di Stato ai sensi dell'art. 108, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, contestualmente alla notifica, trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche europee una scheda sintetica della misura notificata».

Come e' noto, rientrano nell'ambito della nozione di aiuto prevista dall'art. 107 del T.F.U.E. e sono soggetti agli adempimenti stabiliti dagli articoli 108 del T.F.U.E. e 45, comma 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, anche i contributi erogati in favore delle societa' a prevalente partecipazione pubblica.

Infatti, l'art. 106, paragrafo 1, T.F.U.E. precisa che «Gli Stati membri non emanano ne' mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 inclusi» (enfasi aggiunta).

Inoltre, la disciplina in esame trova applicazione anche nei casi in cui la finalita' dell'aiuto sia quella di consentire il superamento delle crisi di impresa, come precisato dalla Commissione europea nella Comunicazione 2014/C 249/01, recante «Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficolta'».

4. Sotto tale profilo, lo stesso legislatore statale, al fine di evitare indebiti vantaggi concorrenziali in favore delle societa' pubbliche, ha disciplinato le crisi di impresa di tali societa' nell'art. 14 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 - Testo unico in materia di societa' a partecipazione pubblica.

Tale disposizione prevede che «1. Le societa' a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonche', ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39.

[...].

5. Le amministrazioni di cui all'art. 1, comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non possono, salvo quanto previsto dagli articoli 2447 e 2482-ter del codice civile, sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito, ne' rilasciare garanzie a favore delle societa' partecipate, con esclusione delle societa' quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. Sono in ogni caso consentiti i trasferimenti straordinari alle societa' di cui al primo periodo, a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, purche' le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento, approvato dall'autorita' di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte dei conti con le modalita' di cui all'art. 5, che contempli il raggiungimento dell'equilibrio finanziario entro tre anni. Al fine di salvaguardare la continuita' nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l'ordine pubblico e la sanita', su richiesta della amministrazione interessata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con gli altri Ministri competenti e soggetto a registrazione della Corte dei conti, possono essere autorizzati gli interventi di cui al primo periodo del presente comma» (enfasi aggiunte).

Dunque, l'erogazione di contributi in favore delle societa' pubbliche e' condizionata:   a) sia all'adempimento degli oneri procedimentali - previsti dal diritto interno e sovranazionale - in materia di aiuti di Stato;   b) sia, in caso di crisi di impresa, alla sussistenza dei presupposti e all'osservanza delle prescrizioni di cui al citato art. 14 del T.U.S.P.

5. Nel caso di specie, la norma impugnata non prevede che l'erogazione dei contributi in favore delle societa' a prevalente capitale pubblico di cui alla legge regionale 11 luglio 2016, n. 14, sia condizionata all'osservanza delle anzidette prescrizioni, stabilite - dal diritto interno e sovranazionale - a tutela di un assetto pienamente concorrenziale del mercato.

Ne consegue, quindi, che l'art. 23, comma 2 della legge regionale n. 13 del 2020 e' costituzionalmente illegittimo per la violazione dell'art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione.

II. L'art. 52 della legge regionale Piemonte 29 maggio 2020, n. 13   1. L'art. 52 della legge regionale 29 maggio 2020, n. 13 - al dichiarato fine di contrastare gli effetti dell'emergenza da COVID-19, con particolare riguardo agli esercizi di vicinato gravemente danneggiati dal contesto emergenziale - prevede che «a far data dall'approvazione della presente legge la presentazione delle domande per il rilascio di autorizzazioni per nuova apertura di centri, trasferimento di sede, ampliamento di superficie degli esercizi di vendita, di cui all'art. 9 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art. 4, comma 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59) ed alle relative disposizioni regionali di attuazione, e' sospesa fino al 31 gennaio 2021, fatti salvi gli accordi di programma approvati» (enfasi aggiunte).

2. La disposizione in esame, dunque, sospende - dal 29 maggio 2020 al 31 gennaio 2021 - la presentazione delle istanze di rilascio delle autorizzazioni necessarie, ai sensi dell'art. 9, comma 1 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, per l'apertura, il trasferimento di sede e l'ampliamento di superficie delle grandi strutture di vendita sul territorio regionale.

Ebbene, siffatta sospensione rappresenta un ostacolo effettivo alla libera concorrenza nella Regione Piemonte, sotto un duplice profilo, inter-regionale e intra-regionale:   a) da un lato, infatti, gli operatori economici della grande distribuzione che intendono operare nel territorio della Regione Piemonte si trovano esposti ad una vera e propria «paralisi» rispetto ai competitori di altre regioni, anche limitrofe;   b) dall'altro, all'interno della medesima Regione Piemonte, la sospensione in esame costituisce per i nuovi esercenti una barriera all'entrata che pone questi ultimi in una posizione di svantaggio rispetto agli stessi operatori economici della grande distribuzione che gia' svolgono un'attivita' commerciale sul territorio regionale.

La discriminazione introdotta dalla disposizione censurata, quindi, e' sia interspaziale, fra operatori di regioni diverse, sia inter-temporale, fra operatori gia' presenti nel mercato e nuovi esercenti.

In tal modo, la disposizione regionale interferisce illegittimamente con la competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza», la quale - con riferimento all'esercizio delle attivita' commerciali - trova espressione nell'art. 31, comma 2 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Tale disposizione stabilisce che «Secondo la disciplina dell'Unione europea e nazionale in materia di concorrenza, liberta' di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la liberta' di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute dei lavoratori, dell'ambiente e dei beni culturali» (enfasi aggiunte).

Dunque, la liberta' di apertura di nuovi esercizi commerciali su tutto il territorio nazionale «senta contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura» puo' essere limitata esclusivamente nei casi in cui sussistano esigenze connesse alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente e dei beni culturali.

Peraltro, come gia' chiarito da codesta Ecc.ma Corte, «L'eventuale esigenza di contemperare la liberalizzazione del commercio con quelle di una maggiore tutela della salute, del lavoro, dell'ambiente e dei beni culturali deve essere intesa sempre in senso sistemico, complessivo e non frazionato» (cfr. sentenze n. 85 del 2013 e n. 264 del 2012), all'esito di un bilanciamento che «deve compiere il soggetto competente nelle materie implicate, le quali nella specie afferiscono ad ambiti di competenza statale, tenendo conto che la tutela della concorrenza, attesa la sua natura trasversale, assume carattere prevalente e funge, quindi, da limite alla disciplina che le regioni possono dettare in forza della competenza in materia di commercio» (cfr. sentenze n. 38 del 2013 e n. 299 del 2012, enfasi aggiunte).

In altri termini, la liberalizzazione delle attivita' commerciali puo' essere limitata soltanto a fronte dell'esigenza prevalente di salvaguardare i valori fondamentali sopra indicati, con la precisazione che essi «non possono essere tutelati dal legislatore regionale attraverso l'esercizio della competenza residuale del commercio, che incontra un limite nella natura trasversale e prevalente della tutela della concorrenza, di competenza esclusiva dello Stato» (cfr. sentenza n. 165 del 2014, enfasi aggiunta).

3. Nel caso di specie, la disposizione impugnata:   a) da un lato, non e' ispirata da ragioni di protezione dei lavoratori, della salute, dell'ambiente o dei beni culturali;   b) dall'altro, non avrebbe comunque titolo ad intervenire nella salvaguardia di tali valori, in quanto attinenti a materie che la Costituzione riserva - in via esclusiva - alla competenza legislativa dello Stato.

Ma, soprattutto, ha una chiara - e dichiarata - valenza anticoncorrenziale nella misura in cui favorisce determinati operatori economici - quelli titolari di esercizi di vicinato - a danno di altri - quelli titolari di grandi strutture di vendita - discriminando, tra questi, quelli che aspirano ad iniziare una nuova attivita' commerciale da quelli che gia' la svolgono nonche' coloro che operano sul territorio regionale da quelli attivi in altre regioni.

Infine, la norma censurata si pone in netta «controtendenza» con le misure di liberalizzazione finora approvate a livello statale per il rilancio dell'economia dopo l'emergenza COVID-19, che - contrariamente a quanto disposto dal legislatore regionale - sono invece volte a semplificare e ad accelerare i procedimenti amministrativi di rilascio delle autorizzazioni concernenti le attivita' d'impresa.

Sotto tale profilo, la norma censurata - ritardando la definizione dei procedimenti amministrativi di rilascio delle autorizzazioni per la nuova apertura, il trasferimento di sede e l'ampliamento di superficie dei grandi esercizi di vendita - interferisce altresi' con la competenza esclusiva dello Stato in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», la quale - con riferimento alla disciplina del procedimento amministrativo - trova espressione nell'art. 29 della legge n. 241 del 1990.

4. E invero, codesta Ecc.ma Corte ha gia' precisato che «Secondo l'art. 29 della legge n. 241 del 1990, nel testo vigente a seguito delle modifiche operate, da ultimo, dal decreto legislativo n. 126 del 2016, "attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell'interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l'accesso alla documentazione amministrativa, nonche' quelle relative alla durata massima dei procedimenti" (comma 2-bis).

In base al comma 2-ter, "attengono altresi' ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni, la dichiarazione di inizio attivita' e il silenzio assenso e la conferenza di servizi, salva la possibilita' di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano".

Il comma 2-quater dispone poi che "le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela [...].

La regione puo' percio' intervenire su specifici profili o segmenti del procedimento amministrativo delineato dalla legge statale, variandoli in senso migliorativo in termini di semplicita', snellezza o speditezza. Cosi', per esempio, fermo restando il rispetto delle attribuzioni statali in altre materie, potrebbe ridurre i termini assegnati all'amministrazione per provvedere o eliminare singoli passaggi procedimentali. Cio' che invece resta precluso al legislatore regionale e' di introdurre un modello procedimentale [...] incompatibile con quello definito a livello statale, [che] finirebbe per complicare le attivita' connesse allo svolgimento di un'impresa» (cfr. sentenza n. 246 del 2018, enfasi aggiunte).

5. Nel caso di specie, la disposizione censurata si pone in evidente contrasto con siffatti principi di diritto, giacche' essa introduce - nell'ambito della Regione Piemonte e per i soli operatori economici della grande distribuzione - una deroga in peius delle garanzie procedimentali previste - a livello statale - per l'avvio e l'esercizio delle attivita' economiche in esame.

Ne consegue, quindi, che l'art. 52 della legge regionale n. 13 del 2020, precludendo - dal 29 maggio 2020 al 31 gennaio 2021 - l'apertura, il trasferimento di sede e l'ampliamento di superficie delle grandi strutture di vendita sul territorio piemontese, si pone in palese contrasto non solo con la lettera e), ma anche con la lettera m), dell'art. 117, comma 2 della Costituzione.

III. L'art. 61 della legge regionale Piemonte 29 maggio 2020, n. 13   1. L'art. 61 della legge regionale n. 13 del 2020, intitolato «Riduzione dei termini della seconda conferenza di copianificazione e valutazione», dispone che «1. I termini per la conclusione della seconda conferenza di copianificazione e valutazione, previsti all'art. 15, comma 11, legge regionale n. 56/1977, sono ridotti di trenta giorni sia in caso di variante strutturale, sia in caso di variante generale; la proroga per la seconda conferenza di copianificazione e valutazione, di cui all'art. 15, comma 12 della legge regionale n. 56/1977, e' ridotta, di norma, a trenta giorni.

2. I termini previsti all'art. 11, commi 4 e 6 del regolamento 23 gennaio 2017, n. 1/R (Disciplina della conferenza di copianificazione e valutazione prevista dall'art. 15-bis della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 "Tutela ed uso del suolo" e del ruolo e delle funzioni del rappresentante regionale) sono ridotti di trenta giorni» (enfasi aggiunte).

Dunque, la norma impugnata riduce come segue i termini in materia di conferenza di pianificazione e valutazione:   a) di trenta giorni il termine - prima di detta modifica normativa, di centoventi giorni - per la conclusione della seconda conferenza di copianificazione e valutazione prevista dall'art. 15, comma 11 della legge regionale n. 56 del 1977, sia in caso di variante strutturale sia in caso di variante generale;   b) di norma, a trenta giorni il termine - prima di detta modifica normativa, di sessanta giorni - per la proroga della seconda conferenza di copianificazione e valutazione di cui all'art. 15, comma 12 della legge regionale n. 56 del 1977;   c) di trenta giorni il termine - prima di detta modifica normativa, di novanta giorni, in caso di variante strutturale, oppure di centoventi giorni, in caso di variante generale - per la convocazione della seduta conclusiva della conferenza sulla proposta tecnica del progetto definitivo di cui all'art. 11, comma 4 del regolamento regionale 23 gennaio 2017, n. 1/R;   d) di trenta giorni il termine - prima di detta modifica normativa, non superiore a sessanta giorni - per la convocazione, in una data successiva rispetto a quella prevista, della seduta conclusiva della conferenza sulla proposta tecnica del progetto definitivo, ai sensi dell'art. 11, comma 6 del regolamento regionale 23 gennaio 2017, n. 1/R.

2. Tale riduzione dei termini procedimentali disposta unilateralmente dalla Regione Piemonte si pone anzitutto in contrasto con il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni desumibile dagli articoli 5 e 120 della Costituzione.

Infatti, i procedimenti amministrativi interessati dalle modifiche normative coinvolgono interessi pubblici la cui tutela e' demandata in parte allo Stato e in parte alle regioni.

In particolare, come chiarito da codesta Ecc.ma Corte, e' demandata allo Stato la tutela dell'interesse pubblico alla conservazione del patrimonio ambientale, paesaggistico e culturale; mentre e' attribuita alle regioni la tutela dell'interesse pubblico alla fruizione del territorio regionale, nonche' alla valorizzazione del proprio patrimonio paesaggistico e culturale (cfr. sentenza n. 367 del 2007).

Nella specie, dunque, va ravvisata «una situazione di "concorrenza di competenze", comprovata dalla constatazione che le norme censurate si prestano ad incidere contestualmente su una pluralita' di materie, ponendosi all'incrocio di diverse competenze ("tutela dei beni culturali", "valorizzazione dei beni culturali", "commercio", "artigianato") attribuite dalla Costituzione rispettivamente, o alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato, ovvero a quella concorrente dello Stato e delle regioni, ovvero infine a quella residuale delle regioni, senza che (in termini "qualitativi" o "quantitativi") sia individuabile un ambito materiale che possa considerarsi prevalente sugli altri» (cfr. sentenze n. 237 del 2009 e n. 219 del 2005, enfasi aggiunte).

Ne consegue che «l'impossibilita' di comporre il concorso di competenze statali e regionali mediante l'applicazione del principio di prevalenza, in assenza di criteri contemplati in Costituzione e avendo riguardo alla natura unitaria delle esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, giustifica l'applicazione del principio di leale collaborazione, che deve, in ogni caso, permeare di se' i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie» (cfr. sentenze n. 44 del 2014 e n. 273 del 2013, enfasi aggiunte).

E invero, proprio al fine di contemperare gli interessi pubblici (statali e regionali) coinvolti, il Ministero dei beni culturali e la Regione Piemonte hanno stipulato, in data 14 marzo 2017, un accordo, nel quale hanno concordato le procedure e le tempistiche concernenti i procedimenti amministrativi relativi al Piano paesaggistico regionale (PPR).

In particolare, l'art. 4 dell'accordo dispone che «1. Le Parti si impegnano ad attuare il Ppr mediante la verifica della conformita' allo stesso degli interventi di modifica dello stato dei luoghi, attraverso le procedure di autorizzazione di cui all'art. 146 del Codice, e a promuovere, ai sensi degli articoli 3 e 46 delle norme di attuazione del Ppr, l'adeguamento alle previsioni dello stesso, da parte dei comuni, della citta' metropolitana, delle province e degli enti gestori delle aree naturali protette, dei relativi strumenti di pianificazione entro ventiquattro mesi dalla data della sua approvazione, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo, secondo le modalita' organizzative individuate nel parere n. 3011 del 1° febbraio 2017 dell'Ufficio legislativo del Ministero, nel rispetto delle disposizioni del titolo II (Pianificazione territoriale e paesaggistica) e del titolo III (Pianificazione urbanistica) della legge regionale n. 56/1977, ai sensi dell'art. 145, comma 5 del Codice, nonche' ai sensi del successivo art. 146, comma 5, per l'acquisizione dell'esplicito parere del Ministero sull'avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici al Ppr. La regione entro il medesimo termine provvede al coordinamento e alla verifica di coerenza degli atti di programmazione e di pianificazione regionale con le previsioni del Ppr, assicurandone l'informazione preventiva al Ministero, alfine di acquisirne le motivate osservazioni.

2. Le parti si impegnano a proseguire le attivita' del comitato tecnico, ai fini dell'attuazione del Ppr, in merito alle eventuali indicazioni da formulare per l'applicazione del piano e per monitorare e agevolare i processi di conformazione o adeguamento al Ppr degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, nonche' per le altre attivita' congiunte previste dalle norme di attuazione, attraverso l'adozione di linee-guida e atti di indirizzo, predisposti anche in relazione al processo di semplificazione in materia di autorizzazione paesaggistica.

3. Le Parti si riservano in ogni caso di emanare circolari esplicative congiunte alfine della corretta applicazione del Ppr, anche con particolare riferimento alla disciplina dei beni paesaggistici» (enfasi aggiunte).

L'accordo e' stato successivamente attuato - a livello regionale - mediante l'adozione del decreto del presidente della giunta regionale 22 marzo 2019, n. 4/R, recante «Attuazione del Piano paesaggistico regionale del Piemonte (Ppr), ai sensi dell'art. 8-bis, comma 7 della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela e uso del suolo) e dell'art. 46, comma 10, delle norme di attuazione del Ppr».

In particolare, l'anzidetto regolamento «disciplina, ai sensi dell'art. 145, comma 5 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante "Codice dei beni culturali del paesaggio" (d'ora innanzi: Codice) e dell'art. 4, comma 1 dell'accordo del 14 marzo 2017 stipulato tra l'allora Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo e la Regione Piemonte ai sensi dell'art. 143, comma 2 del Codice (d'ora innanzi: accordo), le modalita' di attuazione del Ppr dettando disposizioni procedimentali per:   a) l'adeguamento al Ppr degli strumenti di pianificazione di cui all'art. 5, comma 2, delle NdA;   b) l'esame delle varianti agli strumenti di pianificazione che non costituiscono adeguamento di cui all'art. 46, comma 9, delle NdA;   c) la verifica di conformita' degli interventi soggetti a procedimento di autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 146 del Codice e all'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata) con le disposizioni normative del Ppr;   d) la partecipazione del Ministero peri beni e le attivita' culturali (d'ora innanzi: MiBAC) ai procedimenti per le varianti di adeguamento al Ppr e per le altre varianti agli strumenti di pianificazione; anche per quanto attiene alla positiva verifica da parte del medesimo MiBAC (segretariato e soprintendenza) dell'avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici al Ppr, ai sensi dell'art. 146, comma 5, secondo periodo del Codice;   e) la realizzazione dei progetti e programmi strategici previsti dal Ppr» (enfasi aggiunte).

Come si evince dalle disposizioni sopra menzionate, l'accordo stipulato con la Regione Piemonte e il successivo regolamento di attuazione trovano il proprio imprescindibile presupposto nella disciplina della conferenza di copianificazione e valutazione prevista dal titolo III della legge regionale n. 56 del 1977.

In altri termini, al fine di consentire l'adeguato contemperamento degli interessi pubblici (statali e regionali) in gioco, la regione ha assunto l'impegno, nei confronti del Ministero dei beni culturali, di disciplinare «congiuntamente» le modalita' di adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico regionale, nonche' le modalita' per la verifica di coerenza delle varianti.

Pertanto, la norma impugnata, incidendo sulla disciplina dei termini e, quindi, sulle modalita' operative della conferenza di copianificazione e valutazione - senza alcun coinvolgimento dell'amministrazione statale, compartecipe dell'attivita' svolta nella predetta sede procedimentale - si pone in contrasto con il principio di leale collaborazione sancito dagli articoli 5 e 120 della Costituzione.

3. Peraltro, occorre evidenziare che il coinvolgimento degli organi ministeriali espressamente previsto dall'art. 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 - Codice dei beni culturali e del paesaggio. Tale disposizione, intitolata «Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione», stabilisce che «1. La individuazione, da parte del Ministero, delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalita' di indirizzo della pianificazione, costituisce compito di rilievo nazionale, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di principi e criteri direttivi per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali.

2. I piani paesaggistici possono prevedere misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore, nonche' con i piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico.

3. Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle citta' metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresi' vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette.

4. I comuni, le citta' metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione. I limiti alla proprieta' derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo.

5. La regione disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo» (enfasi aggiunte).

Come chiarito da codesta Ecc.ma Corte, la ratio della partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti amministrativi disciplinati dal codice dei beni culturali e del paesaggio e' quella di assicurare l'adeguato esercizio della «competenza tecnico-scientifica degli uffici amministrativi preposti alla tutela paesaggistica, ai quali soltanto spetta di compiere la verifica concreta di conformita' tra l'intervento progettato e le disposizioni del piano paesaggistico, individuando la soluzione piu' idonea a far si' che l'interesse pubblico primario venga conseguito con il minor sacrificio possibile degli interessi secondari» (cfr. sentenza n. 172 del 2018, enfasi aggiunte).

In altri termini, il coinvolgimento dello Stato nel corso dell'istruttoria e' preordinato alla tutela dei valori ambientali e paesaggistici, con riguardo ai quali codesta Ecc.ma ha affermato che «alle regioni non e' consentito apportare deroghe in peius rispetto ai parametri di tutela [...] fissati dalla normativa statale [...] essendo ad esse consentito soltanto [...] di incrementare i livelli della tutela» (cfr. sentenza n. 210 del 2016, enfasi aggiunte).

4. Ebbene, nel caso di specie, la riduzione dei termini procedimentali prevista dalla norma censurata introduce un significativo peggioramento - nell'ambito della Regione Piemonte - dei parametri di tutela ambientale e paesaggistica, in quanto preclude l'adeguato apporto partecipativo degli organi statali preposti alla salvaguardia dei valori in esame, soprattutto nei casi in cui la valutazione tecnica concerna i comuni di maggiori dimensioni e i capoluoghi di provincia.

In altri termini, la tutela dei valori ambientali e paesaggistici preclude alle regioni l'introduzione di termini procedimentali non congrui alla complessita' delle verifiche tecniche da espletare, che, di fatto, vanificano la ratio della normativa statale nella parte in cui prevede il necessario coinvolgimento degli organi ministeriali.

In particolare, nella specie, la significativa riduzione dei termini procedimentali relativi allo svolgimento della seconda conferenza di pianificazione non consente agli uffici amministrativi del Ministero dei beni culturali - in sede di valutazione delle varianti strutturali e generali degli strumenti urbanistici - di svolgere un'istruttoria adeguata alla delicatezza dei valori in gioco, rendendo particolarmente difficile la partecipazione dell'Amministrazioni statale alla fase di conformazione e adeguamento degli strumenti urbanistici.

Cio' vale, in particolare, per i comuni di maggiori dimensioni (in termini di estensione territoriale e di popolazione residente), rispetto ai quali non e' ipotizzabile che la valutazione delle varianti strutturali e generali dello strumento urbanistico sia svolta negli esigui termini ora previsti ed imposti all'amministrazione centrale, la cui attivita' viene cosi' ad essere unilateralmente condizionata e fortemente compressa dalla Regione con la norma qui impugnata.

5. Ne consegue la violazione, da parte dell'art. 61 della legge regionale n. 13 del 2020, non solo del principio di leale collaborazione sancito dagli articoli 5 e 120 della Costituzione, ma anche di altri parametri costituzionali e segnatamente:   a) degli articoli 3 e 97 della Costituzione, in quanto la norma censurata, riducendo in via generalizzata i termini fissati di trenta giorni, e in alcuni casi dimezzandoli, preclude l'adeguato svolgimento dell'istruttoria procedimentale, ponendosi in contrasto con i principi di proporzionalita' e ragionevolezza, nonche' con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione;   b) degli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, giacche' introduce - nell'ambito della Regione Piemonte - una significativa deroga in peius nei livelli di tutela dei valori ambientali e paesaggistici, che devono essere garantiti in maniera omogenea ed uniforme su tutto il territorio nazionale.

IV. L'art. 62 della legge regionale Piemonte 29 maggio 2020, n. 13   1. L'art. 62 della legge regionale 29 maggio 2020, n. 13, intitolato «Estensione delle varianti parziali», stabilisce che «1. I limiti di incremento delle superfici territoriali o degli indici di edificabilita' previsti dal PRG vigente, relativi alle attivita' produttive, direzionali, commerciali, turistico-ricettive, oggetto di variante parziale di cui all'art. 17, comma 5, lettera f) della legge regionale n. 56/1977, sono fissati rispettivamente in misura non superiore all'8 per cento nei comuni con popolazione residente fino a diecimila abitanti, al 4 per cento nei comuni con popolazione residente compresa tra i diecimila e i ventimila abitanti, al 3 per cento nei comuni con popolazione residente superiore a ventimila abitanti.

2. L'incremento di cui al comma 1, oltre a quanto gia' previsto dall'art. 17, comma 6 della legge regionale n. 56/1977, puo' riguardare anche aree non interne e non contigue a centri o nuclei abitati purche' sia contemporaneamente:   a) relativo a superficie gia' individuata cartograficamente dal PRGC quale area destinata alle attivita' produttive, direzionali, commerciali, turistico-ricettive o contiguo alla medesima superficie;   b) strettamente correlato all'ampliamento e riorganizzazione di un'attivita' esistente e insediata nelle aree di cui alla lettera a) da almeno tre anni;   c) non eccedente il 50 per cento dell'originaria superficie fondiaria di cui alla lettera a);   d) qualora previsto su istanza di un proponente, espressamente revocabile nel caso non sia stato dato inizio dei lavori ai sensi dell'art. 49, comma 5 della legge regionale n. 56/1977 entro tre anni dall'approvazione;   e) adeguatamente servito dalle opere di urbanizzazione primaria» (enfasi aggiunte).

2. La norma impugnata incide sulla classificazione delle varianti disciplinata dall'art. 17 della legge regionale n. 56 del 1977.

Tale articolo, rubricato «Varianti e revisioni del piano regolatore generale, comunale e intercomunale» distingue:   a) varianti generali al PRG, da formare e approvare con la procedura di cui all'art. 15 della legge regionale n. 56 del 1977 e per le quali deve essere effettuata la VAS - Valutazione ambientale strategica;   b) varianti strutturali al PRG, da formare e approvare con la procedura di cui al citato art. 15, nell'ambito della quale i termini per la conclusione della prima e della seconda conferenza di copianificazione e valutazione sono ridotti, ciascuno, di trenta giorni;   c) varianti parziali al PRG, da formare e approvare con la procedura prevista dall'art. 17, comma 7 della legge regionale n. 56 del 1977;   d) modifiche che non costituiscono varianti al PRG, da assumere con delibera del consiglio comunale, ai sensi dell'art. 17, comma 13 della legge regionale n. 56 del 1977.

Ebbene, l'articolo impugnato - incidendo sull'art. 17, commi 5 e 6 della legge regionale n. 56 del 1977, che disciplina i requisiti che devono ricorrere affinche' una variante al PRG possa essere qualificata come «variante parziale» - produce l'effetto di «declassare» a «varianti parziali» interventi che, sulla base della disciplina previgente, erano invece qualificati come «varianti generali».

In particolare, la disposizione censurata - al comma 1 - modifica i limiti di incremento delle superfici territoriali o degli indici di edificabilita' previsti dal PRG vigente, relativi alle attivita' produttive, direzionali, commerciali e turistico-ricettive, il cui superamento comporta la qualificazione della variante come «generale».

E invero, l'art. 17, comma 5 della legge regionale n. 56 del 1977 - nella versione previgente - stabiliva che «Sono varianti parziali al PRG le modifiche che soddisfano tutte le seguenti condizioni: [...]   j) non incrementano le superfici territoriali o gli indici di edificabilita' previsti dal PRG vigente, relativi alle attivita' produttive, direzionali, commerciali, turistico-ricettive, in misura superiore al 6 per cento nei comuni con popolazione residente fino a diecimila abitanti, al 3 per cento nei comuni con popolazione residente compresa tra i diecimila e i ventimila abitanti, al 2 per cento nei comuni con popolazione residente superiore a ventimila abitanti» (enfasi aggiunte).

Dunque, l'art. 62, comma 1 della legge regionale 29 maggio 2020, n. 13, incrementa i precedenti limiti dimensionali:   a) dal 6 all'8 per cento nei comuni con popolazione residente fino a diecimila abitanti;   b) dal 3 al 4 per cento nei comuni con popolazione residente compresa tra i diecimila e i ventimila abitanti;   c) dal 2 al 3 per cento nei comuni con popolazione residente superiore a ventimila abitanti.

Inoltre, il successivo comma 2 precisa che tali incrementi - in deroga all'art. 17, comma 6 della legge regionale n. 56 del 1977 - possono riguardare «anche aree non interne e non contigue a centri o nuclei abitati».

3. Le modifiche normative, oggetto di impugnazione, hanno quindi gravi implicazioni sui livelli di tutela dei valori ambientali e paesaggistici.

Infatti, esse comportano:   a) da un lato, l'applicazione della procedura di formazione e approvazione dell'intervento prevista dall'art. 17, comma 7 della legge n. 56 del 1977, in luogo della procedura piu' articolata stabilita dall'art. 15 della legge regionale n. 56 del 1977, con la precisazione ulteriore che per le varianti generali deve sempre essere effettuata la VAS, ai sensi dell'art. 17, comma 3 della legge citata;   b) dall'altro, l'esclusione degli interventi qualificati come varianti parziali dalle prescrizioni previste - con riguardo alle varianti generali - dall'art. 46 delle norme di attuazione del piano paesaggistico regionale.

Segnatamente, l'art. 46, intitolato «Adeguamento al Ppr», dispone quanto segue:   «[6]. Dall'approvazione del Ppr le province, la citta' metropolitana e gli enti gestori delle aree naturali protette non possono adottare nuovi strumenti di pianificazione, varianti generali; o revisioni al proprio strumento che non siano comprensive dell'adeguamento al Ppr stesso.

[7]. Dall'approvazione del Ppr i comuni o le loro forme associative che svolgono la funzione in materia di pianificazione urbanistica non possono adottare varianti generali o revisioni ai propri strumenti urbanistici che non siano comprensive dell'adeguamento al Ppr stesso.

[8]. Dall'adozione del Ppr, ai sensi dell'art. 143, comma 9 del Codice non sono consentiti sugli immobili e nelle aree di cui all'art. 134 interventi in contrasto con le prescrizioni e le specifiche prescrizioni d'uso contenute nel Ppr stesso, pertanto esse prevalgono sulle disposizioni incompatibili contenute nella vigente strumentazione territoriale, urbanistica e settoriale.

Dall'approvazione del Ppr le previsioni come definite all'art. 2, comma 4, relative anche alle componenti, sono immediatamente prevalenti sulle previsioni degli strumenti di pianificazione eventualmente difformi.

[9]. Dall'approvazione del Ppr, anche in assenza dell'adeguamento di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, ogni variante apportata agli strumenti di pianificazione, limitatamente alle aree da essa interessate, deve essere coerente e rispettare le norme del Ppr stesso.

[10]. Entro novanta giorni dall'approvazione del Ppr la regione, d'intesa con il Ministero e sentita la commissione consiliare competente, con il regolamento di cui all'art. 8-bis, comma 7 della legge regionale n. 56/1977 disciplina le modalita' di adeguamento al Ppr e la sua attuazione, nonche' le modalita' per la verifica di coerenza delle varianti di cui al comma 9, individuando la documentazione egli adempimenti necessari a garantire il rispetto delle norme del Ppr, e stabilisce il regime transitorio per l'approvazione degli strumenti di pianificazione in itinere alla data di approvazione del Ppr stesso» (enfasi aggiunte).

Dalle anzidette prescrizioni, si evince che:   a) dopo l'approvazione del PPR, gli enti preposti non possano approvare varianti generali che non siano comprensive dell'adeguamento dell'intero strumento urbanistico al PPR stesso;   b) al contrario, per le varianti parziali non si dispone alcun adeguamento, in quanto le modifiche apportate agli strumenti di pianificazione devono semplicemente essere coerenti con le norme del PPR limitatamente alle aree da esse interessate.

In altri termini, le varianti generali comportano anche l'adeguamento dell'intero strumento urbanistico al PPR; mentre una analoga prescrizione non e' prevista per le varianti parziali, rispetto alle quali occorre effettuare esclusivamente una valutazione di coerenza con il PPR limitata alla porzione di territorio interessata dalla variante.

Ne consegue che l'art. 62 della legge regionale n. 13 del 2020 incide direttamente sull'adeguamento degli strumenti urbanistici al PPR, sottraendo una serie di varianti al necessario processo di conformazione dello strumento urbanistico comunale: conseguenza inaccettabile, ove si consideri che gli interventi de quibus - in quanto potenzialmente idonei a determinare la trasformazione di suolo inedificato - sono fortemente invasivi per l'ambiente e il paesaggio.

Pertanto, con riferimento ad essi, appare inadeguata - a fronte dei delicati valori in gioco - una valutazione dei medesimi limitata e parcellizzata, senza che il loro inserimento nel contesto urbanistico avvenga nel quadro dell'armonico recepimento delle previsioni del PPR.

4. Del resto, proprio in considerazione della delicatezza degli interessi pubblici (statali e regionali) coinvolti, il codice dei beni culturali e del paesaggio prevede che:   a) l'elaborazione dei piani paesaggistici - con riguardo ai beni paesaggistici di cui all'art. 143, comma 1, lettere b), c) e d) - avviene congiuntamente tra Ministero e regioni nelle forme previste dal medesimo art. 143 (art. 135, comma 1);   b) anche al di fuori di tali ipotesi, le regioni, il Ministero dei beni culturali e il Ministero dell'ambiente possono stipulare intese per la definizione delle modalita' di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici. Nell'intesa e' stabilito «il termine entro il quale deve essere completata l'elaborazione del piano. Il piano e' oggetto di apposito accordo fra pubbliche amministrazioni, ai sensi dell'art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241. L'accordo stabilisce altresi' i presupposti, le modalita' ed i tempi per la revisione del piano, con particolare riferimento all'eventuale sopravvenienza di dichiarazioni emanate ai sensi degli articoli 140 e 141 o di integrazioni disposte ai sensi dell'art. 141-bis. Il piano e' approvato con provvedimento regionale entro il termine fissato nell'accordo. Decorso inutilmente tale termine, il piano, limitatamente ai beni paesaggistici di cui alle lettere b), c) e d) del comma 1, e' approvato in via sostitutiva con decreto del Ministro, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare» (art. 143, comma 2);   c) l'individuazione, da parte del Ministero dei beni culturali, «delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalita' di indirizzo della pianificazione, costituisce compito di rilievo nazionale, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di principi e criteri direttivi per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali. [...] I piani paesaggistici possono prevedere misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore, nonche' con i piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico. [...] Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle citta' metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresi' vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette. I comuni, le citta' metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione. I limiti alla proprieta' derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo. [...] La regione disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo» (cosi', con enfasi aggiunte, il gia' citato art. 145).

A tali disposizioni codesta Ecc.ma Corte ha gia' riconosciuto «il rango di norme di grande riforma economico-sociale» (cfr. sentenze n. 103 del 2017, n. 210 del 2014 e n. 308 del 2013), precisando che, «in ogni caso, in presenza di piu' competenze, quale quella dello Stato in materia ambientale, e quella della regione [...] in materia di edilizia ed urbanistica, cosi' intrecciate ed interdipendenti in relazione alla fattispecie in esame, la concertazione in sede legislativa ed amministrativa risulta indefettibile per prevenire ed evitare aporie del sistema» (cfr. sentenza n. 178 del 2018, enfasi aggiunta).

E invero, proprio al fine di «prevenire ed evitare aporie del sistema», il Ministero dei beni culturali e la Regione Piemonte hanno stipulato - ai sensi degli articoli 143, comma 2 del codice dei beni culturali e 15 della legge n. 241 del 1990 - il gia' citato accordo del 14 marzo 2017, relativo al piano paesaggistico regionale del Piemonte.

Ebbene, come sopra precisato, l'art. 4 dell'accordo prevede che «l. Le parti si impegnano ad attuare il Ppr mediante la verifica della conformita' allo stesso degli interventi di modifica dello stato dei luoghi, attraverso le procedure di autorizzazione di cui all'art. 146 del Codice, e a promuovere, ai sensi degli articoli 3 e 46 delle norme di attuazione del Ppr, l'adeguamento alle previsioni dello stesso, da parte dei comuni; della citta' metropolitana, delle province e degli enti gestori delle aree naturali protette, dei relativi strumenti di pianificazione entro ventiquattro mesi dalla data della sua approvazione, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo, secondo le modalita' organizzative individuate nel parere n. 3011 del 1° febbraio 2017 dell'Ufficio legislativo del Ministero, nel rispetto delle disposizioni del titolo II (Pianificazione territoriale e paesaggistica) e del titolo III (Pianificazione urbanistica) della legge regionale n. 56/1977, ai sensi dell'art. 145, comma 5 del Codice, nonche' ai sensi del successivo art. 146, comma 5, per l'acquisizione dell'esplicito parere del Ministero sull'avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici al Ppr. La regione entro il medesimo termine provvede al coordinamento e alla verifica di coerenza degli atti di programmazione e di pianificazione regionale con le previsioni del Ppr, assicurandone l'informazione preventiva al Ministero, alfine di acquisirne le motivate osservazioni.

2. Le parti si impegnano a proseguire le attivita' del comitato tecnico, ai fini dell'attuazione del Ppr, in merito alle eventuali indicazioni da formulare per l'applicazione del piano e per monitorare e agevolare i processi di conformazione o adeguamento al Ppr degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, nonche' per le altre attivita' congiunte previste dalle norme di attuazione, attraverso l'adozione di linee-guida e atti di indirizzo, predisposti anche in relazione al processo di semplificazione in materia di autorizzazione paesaggistica.

3. Le parti si riservano in ogni caso di emanare circolari esplicative congiunte alfine della corretta applicazione del Ppr, anche con particolare riferimento alla disciplina dei beni paesaggistici» (enfasi aggiunte).

5. Pertanto, anche in considerazione dell'accordo stipulato con il Ministero dei beni culturali, la Regione Piemonte avrebbe dovuto astenersi dal procedere unilateralmente all'introduzione delle modifiche normative censurate, dato che esse, riducendo, con l'aumento dei limiti di incremento delle superfici territoriali e degli indici di edificabilita', l'ambito oggettivo delle varianti generali ed ampliando di riflesso quello delle varianti parziali, incidono in modo significativo sugli interventi oggetto di necessario adeguamento al PPR degli strumenti urbanistici, diminuendo cosi' drasticamente, per effetto di tale «declassamento», i livelli di tutela dei valori ambientali e paesaggistici.

6. Di qui la violazione, da parte dell'art. 62 della legge regionale n. 13 del 2020, sia degli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, in ragione del pregiudizio arrecato alla tutela dell'ambiente e del paesaggio, sia del principio di leale collaborazione desumibile dagli articoli 5 e 120 della Costituzione, stante l'iniziativa assunta unilateralmente dalla regione, in violazione degli impegni assunti con l'amministrazione statale.

V. L'art. 79 della legge regionale Piemonte 29 maggio 2020, n. 13   1. Infine, con il presente ricorso, si impugna anche l'art. 79 della legge regionale n. 13 del 2020, in quanto detta disposizione eccede le competenze regionali ed invade quelle statali in materia di «governo del territorio», in violazione dell'art. 117, comma 3 della Costituzione.

2. Segnatamente, l'art. 79, intitolato «Inserimento dell'art. 8-bis nella legge regionale 8 luglio 1999, n. 19», statuisce che «1. Dopo l'art. 8 della legge regionale n. 19/1999, e' inserito il seguente:   Art. 8-bis (Destinazioni d'uso temporanee). - 1. Allo scopo di attivare processi di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi o in via di dismissione e favorire, nel contempo, lo sviluppo di iniziative economiche, sociali e culturali, e agevolare gli interventi di rigenerazione urbana di cui all'art. 12 della legge regionale n. 16/2018, il comune puo' consentire l'utilizzazione temporanea di immobili, o parti di essi, per usi diversi da quelli consentiti; l'uso temporaneo puo' riguardare sia immobili privati che pubblici per la realizzazione di iniziative di rilevante interesse pubblico e non comporta il mutamento della destinazione d'uso delle unita' immobiliari interessate; in assenza di opere edilizie e' attuato senza titolo abilitativo.

2. L'uso temporaneo e' consentito, previo rispetto dei requisiti igienico-sanitari, ambientali e di sicurezza, se non compromette le finalita' perseguite dalle destinazioni prevalenti previste dal PRG, per una sola volta e per un periodo di tempo non superiore a tre anni, prorogabili di altri due.

3. I criteri, i termini e le modalita' di utilizzo degli spazi, di cui al comma 1, sono stabiliti con apposita convenzione approvata dal comune.

4. Nel caso di immobili pubblici, l'ente proprietario individua il gestore attraverso apposito bando o avviso pubblico.

5. Nel caso di bandi rivolti ai soggetti riferibili al terzo settore per l'assegnazione di immobili e spazi di cui al comma 1, i soggetti gestori devono comunque essere individuati tra quelli iscritti agli specifici registri regionali e nazionali previsti dalla normativa vigente.

6. Il comune nella convenzione puo' definire le eventuali opere di urbanizzazione minime necessarie e indispensabili all'uso temporaneo proposto; se le opere di cui al precedente periodo sono mantenute in quanto funzionali al successivo intervento di sviluppo di rigenerazione dell'area, il loro costo puo' essere scomputato dagli oneri di urbanizzazione dovuti per lo stesso intervento. La convenzione disciplina, altresi', le cause di decadenza dall'assegnazione di immobili. E' fatto salvo il successivo adeguamento degli strumenti urbanistici nel caso in cui le destinazioni d'uso temporanee diventino stabili, verificando la dotazione degli standard urbanistici.

7. Sono fatte salve le disposizioni del piano paesaggistico regionale (PPR) e dei piani d'area dei parchi e delle riserve naturali regionali, previste per gli immobili e gli ambiti assoggettati a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137)» (enfasi aggiunte).

3. Dunque, l'articolo censurato prevede che il comune - al dichiarato fine di recuperare e valorizzare immobili dismessi o in via di dismissione, nonche' per favorire lo sviluppo di iniziative economiche, sociali e culturali oppure agevolare interventi di rigenerazione urbana - ha la facolta' di «consentire» l'utilizzazione temporanea di immobili, o parti di essi, per usi diversi da quelli consentiti.

L'uso temporaneo puo' riguardare sia immobili privati che pubblici «per la realizzazione di iniziative di rilevante interesse pubblico e non comporta il mutamento della destinazione d'uso delle unita' immobiliari interessate».

Si precisa, inoltre, che i criteri, i termini e le modalita' di utilizzo degli spazi in questione saranno stabiliti con apposita convenzione approvata dal comune.

4. L'articolo impugnato interferisce - anzitutto - con le definizioni degli interventi edilizi contenute nell'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 - testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia.

E invero, il nuovo art. 8-bis della legge regionale n. 19 del 1999 prevede che i comuni possono autorizzare mutamenti d'uso temporanei di immobili o di parti di essi, senza che sia dato comprendere in quale tipologia di intervento edilizio tale operazione dovrebbe essere inquadrata.

Pertanto, si potrebbe ritenere che - mediante la previsione in esame - il legislatore regionale abbia inteso introdurre, nell'ordinamento giuridico regionale, una nuova e autonoma tipologia di intervento edilizio, non prevista dall'art. 3 del T.U.E.; oppure che i mutamenti temporanei di destinazione d'uso potrebbero essere attuati mediante uno qualsiasi degli interventi edilizi indicati nel citato art. 3 del T.U.E.

Ebbene, in entrambe le ipotesi, la norma censurata violerebbe le disposizioni di principio stabilite dalla normativa statale in tema di governo del territorio.

Nel primo caso, infatti, la norma censurata introdurrebbe - nell'ambito della sola Regione Piemonte - una autonoma tipologia di intervento edilizio, «scorporandola» dalle definizioni degli interventi edilizi previste dall'art. 3 del T.U.E. e valide su tutto il territorio nazionale.

Nel secondo caso, invece, la disposizione impugnata sortirebbe il risultato di consentire mutamenti temporanei di destinazione d'uso anche per effetto di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, al di fuori e a prescindere dalle condizioni e dai limiti previsti dalla norma statale di principio, la quale configura il mutamento di destinazione d'uso come semplice modalita' attuativi - rectius: effetto/conseguenza - degli interventi edilizi da essa tipizzati, con esclusione, appunto, di quelli di manutenzione ordinaria e straordinaria di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'art. 3 citato.

Peraltro, l'utilizzo - da parte del legislatore regionale - della generica voce verbale «consentire» non consente neppure di individuare quale sia - tra i titoli abilitativi previsti dal T.U.E. - quello mediante il quale i comuni dovrebbero legittimare gli interventi, cui si accompagnino opere edilizie, previsti dal nuovo art. 8-bis della legge regionale n. 19 del 1999.

I rilievi che precedono consentono dunque di concludere nel senso che con la norma gravata il legislatore regionale ha introdotto:   a) una nuova tipologia di intervento edilizio, in contrasto con il numerus clausus stabilito - a livello statale - dall'art. 3 del T.U.E; o comunque   b) un intervento attuabile attraverso diverse modalita', ivi inclusa la realizzazione di opere edilizie - come e' confermato dalla previsione del comma 6, nel quale e' contemplata la eventualita' che l'intervento comporti anche «opere di urbanizzazione» necessarie e indispensabili all'uso temporaneo consentito -, la cui definizione e' interamente lasciata alla autonomia negoziale delle parti, anche con riguardo al titolo abilitativo di volta in volta necessario.

5. La norma censurata, peraltro, non pone alcun limite alle modifiche che possono essere apportate alla preesistente destinazione d'uso dell'immobile, anche se - contraddittoriamente - precisa che l'intervento «non comporta il mutamento della destinazione d'uso delle unita' immobiliari interessate».

Dunque, nonostante tale inciso, la disposizione censurata sembrerebbe ammettere anche usi temporanei che - in via ordinaria - darebbero luogo, ai sensi dell'art. 23-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, a mutamenti di destinazione d'uso «urbanisticamente rilevanti», introducendo - in tal modo - una disciplina ancora una volta incompatibile con quella stabilita dalla norma statale di principio, con conseguente alterazione dell'unita' e dell'omogeneita' del regime dei mutamenti d'uso vigente a livello nazionale.

6. Infine, si evidenzia come il nuovo art. 8-bis della legge regionale n. 19 del 1999 sembrerebbe escludere gli interventi de quibus dall'ambito di applicazione oggettivo della disciplina delle T.U.E.

In particolare, tale disposizione prevede che «Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attivita' edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonche' delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, i seguenti interventi sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo: [...]   e-bis) le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purche' destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessita' e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all'amministrazione comunale» (enfasi aggiunte).

La norma censurata - al contrario - prevede che il comune puo' legittimare l'utilizzazione temporanea di immobili, o parti di essi, per usi diversi da quelli consentiti, evidentemente dalle disposizioni urbanistiche vigenti (comma 1), con il solo limite di non compromettere «le finalita' perseguite dalle destinazioni prevalenti previste dal PRG» (comma 2).

In altri termini, la norma in questione - in violazione dell'art. 6, comma 1, lettera e-bis) del T.U.E. - prevede che l'utilizzazione temporanea degli immobili de quibus possa avvenire anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti.

7. Orbene, come precisato da codesta Ecc.ma Corte, «la definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si collega il regime dei titoli abilitativi costituisce principio fondamentale della materia di competenza legislativa concorrente fra Stato e regioni del "governo del territorio", vincolando cosi' la legislazione regionale di dettaglio» (cfr. sentenza n. 303 del 2003, enfasi aggiunte).

Inoltre, «le regioni possono si' estendere la disciplina statale dell'edilizia libera ad interventi "ulteriori" rispetto a quelli previsti dai commi 1 e 2 dell'art. 6 del T. U.E., ma non anche differenziarne il regime giuridico, dislocando diversamente gli interventi edilizi tra le attivita' deformalizzate, soggette a cil e cila. L'omogeneita' funzionale della comunicazione preventiva (asseverata o meno) rispetto alle altre forme di controllo delle costruzioni (permesso di costruire, DIA, SCIA), deve indurre a riconoscere alla norma che la prescrive - al pari di quelle che disciplinano i titoli abilitativi edilizi - la natura di principio fondamentale della materia del "governo del territorio", in quanto ispirata alla tutela di interessi unitari dell'ordinamento e funzionale a garantire un assetto coerente su tutto il territorio nazionale, limitando le differenziazioni delle legislazioni regionali» (cfr. sentenza n. 231 del 2016, enfasi aggiunte).

8. Nel caso di specie, la Regione Piemonte non si e' conformata a siffatti principi di diritto, introducendo - nell'ordinamento giuridico regionale - disposizioni di dettaglio in contrasto con le norme di principio desumibili dagli articoli 3, 6 e 23-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001.

Di qui, il contrasto della norma censurata con l'art. 117, comma 3 della Costituzione, rispetto al quale le citate norme del T.U.E. si pongono quali «norme interposte».

9. Per il complesso delle ragioni che precedono: l'art. 23, comma 2 della legge regionale n. 13 del 2020 viola l'art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione; l'art. 52 della medesima legge regionale si pone in contrasto con l'art. 117, comma 2, lettere e) e m) della Costituzione; l'art. 61 della legge regionale in esame e' lesivo degli articoli 5 e 120 della Costituzione, nella parte in cui sanciscono il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, nonche' degli articoli 3, 9, 97 e 117, comma 2, lettera s) della Costituzione; l'art. 62 della legge regionale de qua viola anch'esso gli articoli 5 e 120 della Costituzione, nella parte in cui sanciscono il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, nonche' gli articoli gli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s) della Costituzione; infine, l'art. 79 della legge regionale censurata si pone in contrasto con l'art. 117, comma 3 della Costituzione, in quanto eccede le competenze regionali e invade quelle statali in materia di «governo del territorio».

 

P. Q. M.

 

Il Presidente del Consiglio dei ministri chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimi, e conseguentemente annullare, peri motivi sopra indicati ed illustrati, gli articoli 23, comma 2, 52, 61, 62 e 79 della legge della Regione Piemonte 29 maggio 2020, n. 13, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Piemonte n. 22 del 28 maggio 2020 - Supplemento ordinario 29 maggio 2020, n. 5, come da delibera del Consiglio dei ministri assunta nella seduta del giorno 22 luglio 2020.

Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno i seguenti atti e documenti:   1. attestazione relativa alla approvazione, da parte del Consiglio dei ministri nella riunione del giorno 22 luglio 2020, della determinazione di impugnare la legge della Regione Piemonte 29 maggio 2020, n. 13, secondo i termini e per le motivazioni di cui alla allegata relazione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie;   2. copia della legge regionale impugnata pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Piemonte n. 22 del 28 maggio 2020 - Supplemento ordinario 29 maggio 2020, n. 5.

Con riserva di illustrare e sviluppare in prosieguo i motivi di ricorso anche alla luce delle difese avversarie.

Roma, 27 luglio 2020

L' avvocato dello Stato: Feola

Il vice avvocato generale dello Stato: Mariani