RICORSO N. 108 DEL 15 OTTOBRE 2019 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 15 ottobre 2019.

(GU n. 47 del 20.11.2019)

 

Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri (C.F. 80188230587), rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato (C.F. 80224030587) presso cui e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 (ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it - fax 06/96514000);   Contro Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia in persona del Presidente pro tempore della giunta regionale;   Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge regionale 6 agosto 2019 n. 13, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia del 9 agosto 2019, SO 25, limitatamente all'art. 9, commi 36, 51 lettera b), 67.

 

Fatto

 

La legge regionale in epigrafe dispone in materia di «Assestamento del bilancio per gli anni 2019-2021 ai sensi dell'art. 6 della legge regionale 10 novembre 2015, n. 26».

Limitatamente alle disposizioni indicate in epigrafe, la legge regionale e' costituzionalmente illegittima e, giusta delibera del Consiglio dei ministri del 3 ottobre 2019, viene impugnata per i seguenti

 

Motivi

 

1. L'art. 9 comma 36 della legge regionale prevede: «36. Il comma 29 dell'art. 9 della legge regionale 28 dicembre 2018, n. 29 (Legge di stabilita' 2019), e' sostituito dal seguente:   "29. L'Amministrazione regionale, al fine di sostenere il sistema di mobilita' e accessibilita' a favore delle persone con disabilita', e' autorizzata a concedere alle associazioni di volontariato e di promozione sociale con sede in regione, iscritte nei rispettivi registri regionali e aventi quali esplicite finalita' statutarie la tutela e promozione sociale delle persone con disabilita', contributi straordinari per sostenere gli oneri connessi all'acquisto di autoveicoli di categoria M1 e M2 allestiti per il trasporto di persone con disabilita'."».

La precedente versione dell'art. 9, comma 29 della legge regionale n. 29/2018 (novellato dalla disposizione qui impugnata), prevedeva: «29. L'Amministrazione regionale e' autorizzata a concedere alle associazioni di volontariato con sede in regione contributi straordinari per sostenere gli oneri connessi all'attuazione delle iniziative finalizzate alla sperimentazione di modelli organizzativi innovativi di interventi e servizi in rete rivolti alle persone disabili, con particolare riguardo al sistema di mobilita' e accessibilita' ivi compreso l'acquisto di automezzi».

Come si vede, la previsione precedente mirava, con una portata oggettiva particolarmente ampia e «aperta», a sostenere mediante contributi regionali straordinari la sperimentazione da parte delle associazioni di volontariato di modelli organizzativi innovativi di interventi e servizi in rete a favore delle persone disabili. I servizi diretti a favorire la mobilita' di tali persone, e all'interno di questi l'acquisto di automezzi, costituivano soltanto una possibile esplicazione di tali modelli organizzativi innovativi, menzionata dalla disposizione a puro titolo esemplificativo. La disposizione previgente, pero', non limitava affatto all'organizzazione della mobilita' e, in questa, all'acquisto di automezzi, l'ambito delle iniziative agevolabili con il contributo regionale. Come detto, tale ambito, nella concezione della disposizione, rimaneva totalmente aperto, e suscettibile di includere qualsiasi servizio, purche' innovativo e diretto a soddisfare qualsiasi esigenza delle persone disabili.

Dato questo presupposto, era ragionevole che la platea dei soggetti agevolabili venisse circoscritta dalla disposizione alle «associazioni di volontariato con sede in regione». Una estensione a qualsiasi soggetto operante nel volontariato, considerata l'ampiezza oggettiva degli interventi ammessi al contributo, avrebbe potuto provocare un numero eccessivo di richieste di contributo e, di conseguenza, la dispersione di questo in troppe erogazioni non coordinate e inefficienti, insieme alla difficolta' di selezionare le richieste meritevoli di essere ammesse al contributo.

La novella apportata coi la disposizione oggi impugnata ha, invece, per cosi' dire rovesciato la prospettiva della disposizione originaria. I contributi straordinari regionali sono ora erogabili esclusivamente per sostenere le spese connesse «all'acquisto di autoveicoli di categoria M1 e M2 allestiti per il trasporto di persone con disabilita'». L'ambito oggettivo dell'agevolazione e' stato, quindi, drasticamente ristretto ad una sola iniziativa, vale a dire all'acquisto dei suddetti autoveicoli.

Cio' rende, tuttavia, discriminatoria e irragionevole la limitazione dei soggetti che possono avere titolo al contributo alle sole «associazioni di volontariato e di promozione sociale con sede in regione, iscritte nei rispettivi registri regionali e aventi quali esplicite finalita' statutarie la tutela e promozione sociale delle persone con disabilita'».

Per quanto riguarda le associazioni di promozione sociale, si deve considerare che (fino alla piena operativita' del Registro unico nazionale del Terzo settore, previsto dagli articoli 45 ss. del decreto legislativo n. 117/2017 - codice del terzo settore -, come previsto dalla disposizione transitoria contenuta nell'art. 102 comma 4 del medesimo decreto legislativo) sono tuttora applicabili gli articoli 7 e 8 della legge n. 383/2000 («disciplina delle associazioni di promozione sociale»), giusta i quali   «7. Registri.

1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari sociali e' istituito un registro nazionale al quale possono iscriversi, ai fini dell'applicazione della presente legge, le associazioni di promozione sociale a carattere nazionale in possesso dei requisiti di cui all'art. 2, costituite ed operanti da almeno un anno. Alla tenuta del registro si provvede con le ordinarie risorse finanziarie, umane e strumentali del Dipartimento per gli affari sociali.

2. Per associazioni di promozione sociale a carattere nazionale si intendono quelle che svolgono attivita' in almeno cinque regioni ed in almeno venti province del territorio nazionale.

3. L'iscrizione nel registro nazionale delle associazioni a carattere nazionale comporta il diritto di automatica iscrizione nel registro medesimo dei relativi livelli di organizzazione territoriale e dei circoli affiliati, mantenendo a tali soggetti i benefici connessi alla iscrizione nei registri di cui al comma 4.

4. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano istituiscono, rispettivamente, registri su scala regionale e provinciale, cui possono iscriversi tutte le associazioni in possesso dei requisiti di cui all'art. 2, che svolgono attivita', rispettivamente, in ambito regionale o provinciale.

8. Disciplina del procedimento per le iscrizioni ai registri nazionali, regionali e provinciali.

1. Il Ministro per la solidarieta' sociale, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, emana un apposito regolamento che disciplina il procedimento per l'emanazione dei provvedimenti di iscrizione e di cancellazione delle associazioni a carattere nazionale nel registro nazionale di cui all'art. 7, comma 1, e la periodica revisione dello stesso, nel rispetto della legge 7 agosto 1990, n. 241 (10).

2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con proprie leggi, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'istituzione dei registri di cui all'art. 7, comma 4, i procedimenti per l'emanazione dei provvedimenti di iscrizione e di cancellazione delle associazioni che svolgono attivita' in ambito regionale o provinciale nel registro regionale o provinciale nonche' la periodica revisione dei registri regionali e provinciali, nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241. Le regioni e le province autonome trasmettono altresi' annualmente copia aggiornata dei registri all'Osservatorio nazionale di cui all'art. 11.

3. Il regolamento di cui al comma 1 e le leggi regionali e provinciali di cui al comma 2 devono prevedere un termine per la conclusione del procedimento e possono stabilire che, decorso inutilmente il termine prefissato, l'iscrizione si intenda assentita.

4. L'iscrizione nei registri e' condizione necessaria per stipulare le convenzioni e per usufruire dei benefici previsti dalla presente legge e dalle leggi regionali e provinciali di cui al comma 2».

Da queste previsioni emerge la perfetta equivalenza dell'iscrizione nel registro nazionale delle associazioni di promozione sociale rispetto all'iscrizione nei registri regionali di tali associazioni. La sola differenza sta nell'ambito territoriale di svolgimento dell'attivita' dell'associazione, che consente l'iscrizione nel registro nazionale se tale da coprire almeno cinque regioni e venti province del territorio nazionale; laddove consente l'iscrizione nei rispettivi registri regionali se limitato al territorio di una regione, o di piu' regioni ma in numero inferiore a cinque.

Si tratta di un dato meramente formale, che non tocca l'uguaglianza sostanziale delle associazioni di promozione sociale, tanto nazionali che regionali. Cio' e' testualmente enunciato dall'art. 8 comma 4 della legge n. 383/2000, giusta il quale «4. L'iscrizione nei registri e' condizione necessaria per stipulare le convenzioni e per usufruire dei benefici previsti dalla presente legge e dalle leggi regionali e provinciali di cui al comma 2».

Viola quindi l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui vieta trattamenti differenziati rispetto a situazioni uguali, una disposizione come il comma 36 qui impugnato che riserva i contributi in questione alle sole associazioni di promozione sociale iscritte nel registro regionale, mentre la nega alle associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale ma operanti territorialmente anche nel territorio della Regione Friuli Venezia Giulia. Il dato determinante e', infatti, l'operativita' nel territorio regionale friulano, che puo' connotare non solo le associazioni operanti esclusivamente nel territorio friulano e per questo iscritte nel registro regionale, ma anche le associazioni di promozione sociale dotate di carattere nazionale, e per questo iscritte nel registro nazionale, che includano il territorio friulano tra quelli cui si rivolge la propria attivita'.

Il registro di iscrizione serve a semplificare, a tutela dei terzi e delle stesse pubbliche amministrazioni che entrano in rapporto con le associazioni di promozione sociale, l'individuazione del tipo di associazione; ma non differenzia l'attivita' dell'associazione dal punto di vista sostanziale, e la rilevanza di tale attivita' per il territorio della regione. Non e' quindi costituzionalmente giustificata la riserva dei contributi qui in esame alle sole associazioni iscritte nel registro regionale, con esclusione delle altre, benche' operanti in Friuli.

Per quanto riguarda le Organizzazioni di volontariato, invece, sempre fino alla piena operativita' del Registro unico nazionale del terzo settore, sopra menzionato, la sola registrazione esistente e' a base regionale: l'art. 6 della legge n. 266/1991 (legge quadro sul volontariato) dispone infatti: «6. Registri delle organizzazioni di volontariato istituiti dalle regioni e dalle province autonome.

1. Le regioni e le province autonome disciplinano l'istituzione e la tenuta dei registri generali delle organizzazioni di volontariato.

2. L'iscrizione ai registri e' condizione necessaria per accedere ai contributi pubblici nonche' per stipulare le convenzioni e per beneficiare delle agevolazioni fiscali, secondo le disposizioni di cui, rispettivamente, agli articoli 7 e 8.

3. Hanno diritto ad essere iscritte nei registri le organizzazioni di volontariato che abbiano i requisiti di cui all'art. 3 e che alleghino alla richiesta copia dell'atto costitutivo e dello statuto o degli accordi degli aderenti.

4. Le regioni e le province autonome determinano i criteri per la revisione periodica dei registri, al fine di verificare il permanere dei requisiti e l'effettivo svolgimento dell'attivita' di volontariato da parte delle organizzazioni iscritte. Le regioni e le province autonome dispongono la cancellazione dal registro con provvedimento motivato.».

Tuttavia, in primo luogo, tra i requisiti di iscrizione in tali registri, stabiliti dall'art. 3 della legge n. 266/91 non figura l'operativita' esclusiva o prevalente nel territorio di una data regione. Cio' significa che alla struttura regionale dei registri non corrisponde la limitazione territoriale dell'attivita' delle organizzazioni di volontariato alla sola regione di iscrizione. E' perfettamente ammissibile, e si verifica in concreto, il caso di una organizzazione di volontariato che sia necessariamente (visto che la legge non prevede altra possibilita') iscritta in una determinata regione, ma che operi effettivamente anche in altre regioni.

Anche a proposito delle organizzazioni di volontariato, quindi, la disposizione regionale impugnata discrimina le organizzazioni ammesse e quelle escluse dai contributi soltanto sulla base del dato formale del registro di iscrizione, laddove, per quanto esposto, tale dato non e' idoneo a differenziare in modo sostanziale le attivita' di volontariato rivolte al territorio della regione friulana. Donde anche in questo caso la violazione dell'art. 3 Cost.

La disposizione impugnata, poi, in entrambe le sue articolazioni, sia quella riferita alle associazioni di promozione sociale, sia quella riferita alle organizzazioni di volontariato, viola l'art. 3 Cost. perche' si pone come disciplina «a regime», che anche in futuro, cioe' dopo che sara' divenuto operativo il Registro unico nazionale del terzo settore sopra menzionato, limitera' i contributi in questione alle sole associazioni di promozione sociale e organizzazioni di volontariato precedentemente iscritte nei registri regionali.

Cio' contrasta con la finalita' della riforma del terzo settore, attuata con il decreto legislativo n. 117/2017.

Uno dei tratti salienti di questa riforma e', infatti, proprio l'unificazione del registro. I precedenti registri nazionali e regionali delle varie figure soggettive (tra cui le associazioni di promozione sociale e le associazioni di volontariato: cfr. articoli 32 ss.; e 35 ss. decreto legislativo n. 117/2017) riconducibili al terzo settore vengono soppressi e unificati nel Registro unico nazionale del terzo settore (articoli 45 ss.), in cui ex art. 54 decreto legislativo cit. dovranno trasmigrare i registri esistenti.

Questa nuova disciplina, gia' giuridicamente in vigore e solo da rendere concretamente operativa completando gli adempimenti previsti dall'art. 53 del decreto legislativo n. 117/2017, supera ogni differenziazione formale e conferma la definitiva equiparazione di tutti gli enti del terzo settore iscritti nel Registro nazionale.

Puo' quindi affermarsi che la riforma del terzo settore contiene il principio generale secondo cui gli enti appartenenti a tale settore possono essere differenziati, nei loro rapporti con lo Stato e le regioni e nell'accesso alle provvidenze pubbliche rivolte alla loro attivita', soltanto in base alle concrete caratteristiche della loro attivita', come per esempio l'area territoriale in cui tale attivita' prevalentemente si svolge; mentre non possono essere differenziate in base a dati puramente formali.

Sempre con riferimento alla riforma del terzo settore, deve rilevarsi poi che la discriminazione contraria all'art. 3 Cost. qui denunciata sussiste anche per il fatto che, comunque, la disposizione regionale impugnata limita l'accesso al contributo alle associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni di volontariato.

Senonche', la riforma ha inteso equiparare dal punto di vista funzionale tutti gli enti del terzo settore, le cui differenze organizzative e tipologiche sono mantenute essenzialmente per rispettare la volonta' degli associati, ma non per distinguerne i compiti.

Questi, quale che sia il tipo di ente, debbono essere riconducibili alle «attivita' di interesse generale» enumerate nell'art. 5 del decreto legislativo n. 117/2017. Se un ente del terzo settore opera in una di tali attivita' e queste ultime godono di contributi pubblici, l'accesso al contributo non puo' quindi essere limitato a particolari categorie di enti del terzo settore, escludendone gli altri pur operanti in quel campo. Viola, quindi, l'art. 3 Cost. la riserva del contributo in questione alle sole organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale (Capi I e II del Titolo V del decreto legislativo n. 117/2017), con esclusione degli «enti filantropici» (Capo III), delle imprese sociali (Capo IV e decreto legislativo n. 112/2017), delle reti associative (Capo V), delle societa' di mutuo soccorso (Capo VI).

Oltre alle molteplici violazioni dell'art. 3 Cost. fin qui denunciate, la disposizione impugnata incorre altresi' nella violazione dell'art. 118 ultimo comma Corte costituzionale.

Qui si prevede che la Repubblica in tutte le sue articolazioni favorisce l'iniziativa dei cittadini singoli e associati per lo svolgimento di attivita' di interesse generale sulla base del principio di sussidiarieta'.

La riforma del terzo settore, con la disciplina positiva, appunto, delle attivita' di interesse generale (art. 5 decreto legislativo n. 117/2017) che gli enti del terzo settore possono svolgere in sussidiarieta' rispetto allo Stato, alle regioni e ai comuni, e con la compiuta individuazione degli enti ascrivibili al terzo settore, ha fornito lo strumento attuativo di questo principio fondamentale di cooperazione e integrazione tra le istituzioni e la societa' civile.

E' evidente che una disposizione come quella impugnata, con l'introdurre una distorsione nell'organizzazione del terzo settore allorche' favorisce con i contributi solo talune tipologie di enti escludendo gli altri, contrasta con l'art. 118 ultimo comma citato.

Il principio di cooperazione e integrazione tra istituzioni e societa' civile ivi enunciato implica, infatti, innanzitutto, che le istituzioni non influiscano sulla liberta' dei cittadini di associarsi nella forma che ritengono piu' idonea, tra quelle messe a disposizione dall'ordinamento, per perseguire lo svolgimento delle attivita' di interesse generale; laddove e' evidente che, a parita' di tutte le altre condizioni, favorire con i contributi solo alcuni tipi di enti orientera' «dall'alto» la liberta' associativa del terzo settore, spingendola a preferire questi tipi di enti. Cio' che appare del tutto incompatibile con la direttiva costituzionale volta a riconoscere la libera dinamica delle formazioni sociali e a integrarla senza condizionarla nelle finalita' delle istituzioni dell'ordinamento generale.

2. Il comma 51 dell'art. 9 della legge regionale n. 13/2019 prevede: «51. Le risorse del fondo per il contrasto alla poverta' trasferite ai Servizi sociali dei comuni (SSC) a titolo di acconto ai sensi dell'art. 9, comma 9, lettera a), della legge regionale n. 29/2018 e non utilizzate nell'anno 2019, sono confermate in capo ai SSC per la concessione di interventi di contrasto alla poverta' a favore di nuclei familiari come definiti dall'art. 2, comma 5, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, aventi almeno un componente che sia in possesso, congiuntamente, dei seguenti requisiti.

a) cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell'Unione europea, ovvero suo familiare come individuato dall'art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri), che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;   b) residenza in regione da almeno cinque anni continuativi.

In caso di rimpatrio di corregionali, il periodo di residenza all'estero non e' computato e non e' considerato quale causa di interruzione della continuita' della residenza in regione.».

La disposizione riportata e' costituzionalmente illegittima nella parte in cui, nella lettera b), limita la concessione degli interventi di contrasto alla poverta' in essa contemplati ai soli nuclei familiari in cui almeno un componente possieda la residenza in regione da almeno cinque anni continuativi; e ulteriormente prevede che la continuita' non e' richiesta in caso di «rimpatrio di corregionali», per i quali ai fini del requisito in esame i periodi di residenza all'estero sono considerati come periodi di residenza nella regione.

La finalita' della disposizione e', palesemente, quella di fissare dei requisiti di «sufficiente radicamento territoriale» nella regione, al fine di selezionare gli aventi diritto alle prestazioni assistenziali di contrasto alla poverta'. Tuttavia, nel prevedere come requisito fondamentale la residenza in regione per almeno cinque anni, la disposizione basa in modo decisivo l'accesso alla prestazione ad una circostanza meramente spazio-temporale, come la durata della residenza in regione, che non presenta alcuna specifica connessione con lo stato di bisogno a cui la prestazione stessa mira a porre rimedio.

Per questo, la disposizione appare irragionevole e discriminatoria, sicche' viola l'art. 3 Cost., perche' finisce per escludere dalla prestazione situazioni di poverta' maggiori di altre, invece, ammesse, solo perche' ascrivibili, le prime, a nuclei familiari in cui nessun componente abbia risieduto in regione per almeno cinque anni.

Ora, e' ben noto che secondo la giurisprudenza di codesta Corte costituzionale, non e' vietato al legislatore statale o regionale prevedere requisiti indicativi di un effettivo radicamento territoriale al fine di selezionare gli aventi diritto a prestazioni assistenziali. Ma cio', da un lato, al solo fine di prevenire gli abusi consistenti negli spostamenti, a volte fittizi, di residenza finalizzati soltanto ad ottenere le prestazioni. E sotto questo aspetto un requisito di residenza della durata di almeno cinque anni appare manifestamente eccessivo rispetto a tale finalita' antiabusiva, essendo plausibile, giusta l'id quod plerumque accidit, che anche la mera residenza possa attestare il radicamento territoriale e il carattere non abusivo del trasferimento, se si tiene conto della incidenza sostanziale che su tutti gli aspetti della vita del nucleo familiare presenta il trasferimento in altra regione. E se si tiene conto che gli abusi non possono essere presunti ex lege, ma vanno accertati caso per caso attraverso adeguati procedimenti di controllo delle erogazioni assistenziali.

Dall'altro lato, sempre alla stregua della giurisprudenza di codesta Corte costituzionale, requisiti di residenza minima non possono comunque essere richiesti a fronte di prestazioni assistenziali volte a sopperire a necessita' fondamentali degli individui, come la protezione dallo stato di indigenza dell'intero nucleo familiare.

Deve quindi ribadirsi, anche a proposito della disposizione regionale ora illustrata l'affermazione di codesta Corte costituzionale da ultimo fatta nella sentenza n. 107/2018, ove si legge: «questa Corte ha affermato "il principio che "se al legislatore, sia statale che regionale (e provinciale), e' consentito introdurre una disciplina differenziata per l'accesso alle prestazioni assistenziali al fine di conciliare la massima fruibilita' dei benefici previsti con la limitate:za delle risorse finanziarie disponibili" (sentenza n. 133 del 2013), tuttavia "la legittimita' di una simile scelta non esclude che i canoni selettivi adottati debbano comunque rispondere al principio di ragionevolezza" (sentenza n. 133 del 2013) e che, quindi, debbano essere in ogni caso coerenti ed adeguati a fronteggiare le situazioni di bisogno o di disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto principale di fruibilita' delle provvidenze in questione (sentenza n. 40 del 2011)"» (sentenza n. 168 del 2014). Ha inoltre affermato che «l'introduzione di regimi differenziati e' consentita solo in presenza di una causa normativa non palesemente irrazionale o arbitraria, che sia cioe' giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui e' subordinata l'attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio» (sentenza n. 172 del 2013).

Con particolare riferimento al requisito della residenza protratta, questa Corte ha anche osservato che, «mentre la residenza costituisce, rispetto a una provvidenza regionale, "un criterio non irragionevole per l'attribuzione del beneficio" (sentenza n. 432 del 2005), non altrettanto puo' dirsi quanto alla residenza protratta per un predeterminato e significativo periodo minimo di tempo (nella specie, quinquennale). La previsione di un simile requisito, infatti, ove di carattere generale e dirimente, non risulta rispettosa dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto "introduce nel tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari ", non essendovi alcuna ragionevole correlazione tra la durata prolungata della residenza e le situazioni di bisogno o di disagio, riftribili direttamente alla persona in quanto tale, che in linea astratta ben possono connotare la domanda di accesso al sistema di protezione sociale (sentenza n. 40 del 2011)" (sentenza n. 222 del 2013).».

La disposizione impugnata viola poi l'art. 3 Cost., sempre sotto i profili della manifesta irragionevolezza e della discriminazione ingiustificata di situazioni uguali, nella parte in cui ammette, invece, alle prestazioni in questione i nuclei familiari in cui nessuno dei componenti risieda in regione da almeno cinque anni, ma nei quali si sia verificato il caso di «rimpatrio di corregionali"; caso nel quale la residenza all'estero viene equiparata a residenza in regione.

L'incongruita' tra fini e mezzi della disposizione appare palese se si considera che, assunto come fine limitare le prestazioni ai soli casi che manifestino un effettivo radicamento con la regione, e' contraddittorio equiparare a tali casi quello in cui l'interessato non abbia risieduto in regione perche' residente, addirittura, all'estero. Non si comprende perche' risiedere in altra parte del territorio nazionale farebbe cessare il radicamento con la regione friulana, mentre tale radicamento persisterebbe in caso di emigrazione all'estero (per di piu' senza alcuna limitazione di territori, per esempio alle regioni di confine, come potrebbe immaginarsi in una ipotetica disciplina che volesse tenere conto di fenomeni di emigrazione transfrontaliera a breve raggio; peraltro non attestati per quanto riguarda il Friuli).

In secondo luogo, la disposizione appare manifestamente irragionevole anche per l'assoluta indeterminatezza del suo presupposto; che, invece, trattandosi di disposizione eccezionale (come tutte quelle di equiparazione), dovrebbe essere precisato in modo tassativo.

Non e' dato infatti intendere che cosa si intenda per «corregionali". Se si tratta di persone precedentemente residenti in regione, il caso rientra nell'ipotesi precedente: se la residenza e' stata interrotta e non ha raggiunto il minimo di cinque anni, non vi e' ragione di privilegiare i casi in cui sia stata interrotta per emigrare all'estero rispetto ai trasferimenti in altra parte del territorio nazionale.

Se di tratta di persone nate nella regione, la violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui vieta ogni discriminazione fondata sulla nascita, appare cosi' manifesta da non richiedere ulteriore illustrazione.

Ancora, del tutto inafferrabile appare la nozione di «rimpatrio".

Considerato il carattere meramente indiziario delle iscrizioni anagrafiche, neppure l'iscrizione e successiva cancellazione dall'AIRE, che peraltro non e' menzionata dalla disposizione impugnata e si formula qui come mera ipotesi interpretativa, apparirebbe comunque un dato dotato di portata probante cosi' decisiva da giustificare l'inserimento di un privilegio di tale portata nell'ambito di una disciplina, quale la riserva ai soli residenti ultraquinquennali delle prestazioni in discorso, gia' di per se' indebitamente privilegiaria.

In ogni caso, appare quindi eccessivamente indeterminata l'area dei soggetti che potrebbero beneficiare di tale deroga, il che ridonda in ulteriore violazione dell'art. 3 Cost. sotto i profili indicati.

3. Il comma 67 dell'art. 9 della legge regionale n. 13/2019 prevede: «67. Ai fini della programmazione regionale, per consentire la rivalutazione del fabbisogno complessivo di strutture residenziali per anziani non autosufficienti, e' sospesa la presentazione delle domande per l'ottenimento dell'autorizzazione alla realizzazione di nuove strutture sino alla conclusione del processo di accreditamento, di cui all'art. 49 della legge regionale n. 17/2014, delle strutture gia' autorizzate all'esercizio in via definitiva o in deroga temporanea, per le quali resta ammessa la possibilita' di presentare domanda di ampliamento, trasformazione e trasferimento della sede.».

La disposizione presuppone, come emerge dal suo testo, la pendenza di numerosi procedimenti di accreditamento presso il servizio sanitario regionale di strutture residenziali per anziani non autosufficienti. In attesa della conclusione di tali procedimenti, che sono regolati dall'art. 49 della legge regionale n. 17/2014, viene sospesa la possibilita' di presentare domande per l'autorizzazione alla realizzazione di nuove strutture di tale specie.

La disposizione regionale, in sostanza, subordina la possibilita' di richiedere e ottenere l'autorizzazione alla realizzazione di una nuova struttura assistenziale per anziani al completamento delle procedure di accreditamento con il servizio sanitario regionale delle strutture gia' autorizzate e operanti.

Disponendo in tal modo, la legge regionale contrasta con l'art. 5 n. 16 dello Statuto della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia di cui alla legge costituzionale n. 1/1963, e comunque con l'art. 117 comma 3 Cost. Queste previsioni costituzionali riconducono la competenza legislativa della regione in materia di «igiene e sanita', assistenza sanitaria ed ospedaliera" (cosi' l'art. 5 statuto nel n. 16), ovvero di «tutela della salute" (art. 117 comma 3) alla legislazione concorrente tra Stato e regione. L'art. 5 statuto prevede infatti che nelle materie in esso enumerate la regione ha potesta' legislativa «con l'osservanza dei limiti generali indicati nell'art. 4 ed in armonia con i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato nelle singole materie».

La disposizione impugnata, nel porre la subordinazione che si e' sopra illustrata, contrasta in particolare con la legislazione statale che costituisce il quadro di riferimento della legislazione regionale, anche friulana, in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie private.

Tale legislazione va individuata negli articoli 8-ter ss. del decreto legislativo n. 502/92. Il punto e' pacifico. Gli articoli 48 e 49 della legge sanitaria regionale n. 17/2014, richiamata dal comma 67 qui impugnato, regolano il primo l'autorizzazione, il secondo l'accreditamento delle strutture sanitarie private, ed entrambi esordiscono con la clausola «In attuazione dell'art. 8-ter [8-quater] del decreto legislativo n. 502/1992 ...».

Cio' premesso, deve sottolinearsi che la legge statale distingue nettamente per contenuto, presupposti e funzione l'autorizzazione, da un lato, e l'accreditamento dall'altro delle strutture sanitarie.

L'art. 8-ter del decreto legislativo n. 502/92 regola l'autorizzazione e prevede: «1. La realizzazione di strutture e l'esercizio di attivita' sanitarie e sociosanitarie sono subordinate ad autorizzazione. Tali autorizzazioni si applicano alla costruzione di nuove strutture, all'adattamento di strutture gia' esistenti e alla loro diversa utilizzazione, all'ampliamento o alla trasformazione nonche' al trasferimento in altra sede di strutture gia' autorizzate, con riferimento alle seguenti tipologie:   a) strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo o diurno per acuti;   b) strutture che erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio;   c) strutture sanitarie e sociosanitarie che erogano prestazioni in regime residenziale, a ciclo continuativo o diurno.

2. L'autorizzazione all'esercizio di attivita' sanitarie e', altresi', richiesta per gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie, ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessita' o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, individuati ai sensi del comma 4, nonche' per le strutture esclusivamente dedicate ad attivita' diagnostiche, svolte anche a favore di soggetti terzi.

3. Per la realizzazione di strutture sanitarie e sociosanitarie il comune acquisisce, nell'esercizio delle proprie competenze in materia di autorizzazioni e concessioni di cui all'art. 4 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493 e successive modificazioni, la verifica di compatibilita' del progetto da parte della regione. Tale verifica e' effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l'accessibilita' ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture."   L'art. 8-quater regola l'accreditamento e prevede: «1. L'accreditamento istituzionale e' rilasciato dalla regione alle strutture autorizzate, pubbliche o private ed ai professionisti che ne facciano richiesta, subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalita' rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica positiva dell'attivita' svolta e dei risultati raggiunti. Al fine di individuare i criteri per la verifica della funzionalita' rispetto alla programmazione nazionale e regionale, la regione definisce il fabbisogno di assistenza secondo le funzioni sanitarie individuate dal Piano sanitario regionale per garantire i livelli essenziali ed uniformi di assistenza, nonche' gli eventuali livelli integrativi locali e le esigenze connesse all'assistenza integrativa di cui all'art. 9. La regione provvede al rilascio dell'accreditamento ai professionisti, nonche' a tutte le strutture pubbliche ed equiparate che soddisfano le condizioni di cui al primo periodo del presente comma, alle strutture private non lucrative di cui all'art. 1, comma 18, e alle strutture private lucrative.

2. La qualita' di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all'art. 8-quinquies. I requisiti ulteriori costituiscono presupposto per l'accreditamento e vincolo per la definizione delle prestazioni previste nei programmi di attivita' delle strutture accreditate, cosi' come definiti dall'art. 8-quinquies.

3. Con atto di indirizzo e coordinamento emanato, ai sensi dell'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, sentiti l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, il Consiglio superiore di sanita', e, limitatamente all'accreditamento dei professionisti, la Federazione nazionale dell'ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri, sono definiti i criteri generali uniformi per: (155)   a) la definizione dei requisiti ulteriori per l'esercizio delle attivita' sanitarie per conto del Servizio sanitario nazionale da parte delle strutture sanitarie e dei professionisti, nonche' la verifica periodica di tali attivita';   b) la valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno, tenendo conto anche del criterio della soglia minima di efficienza che, compatibilmente con le risorse regionali disponibili, deve esser conseguita da parte delle singole strutture sanitarie, e alla funzionalita' della programmazione regionale, inclusa la determinazione dei limiti entro i quali sia possibile accreditare quantita' di prestazioni in eccesso rispetto al fabbisogno programmato, in modo da assicurare un'efficace competizione tra le strutture accreditate; (156)   c) le procedure ed i termini per l'accreditamento delle strutture che ne facciano richiesta, ivi compresa la possibilita' di un riesame dell'istanza, in caso di esito negativo e di prescrizioni contestate dal soggetto richiedente nonche' la verifica periodica dei requisiti ulteriori e le procedure da adottarsi in caso di verifica negativa.

4. L'atto di indirizzo e coordinamento e' emanato nel rispetto dei seguenti criteri e principi direttivi:   a) garantire l'eguaglianza fra tutte le strutture relativamente ai requisiti ulteriori richiesti per il rilascio dell'accreditamento e per la sua verifica periodica;   b) garantire il rispetto delle condizioni di incompatibilita' previste dalla vigente normativa nel rapporto di lavoro con il personale comunque impegnato in tutte le strutture;   c) assicurare che tutte le strutture accreditate garantiscano dotazioni strumentali e tecnologiche appropriate per quantita', qualita' e funzionalita' in relazione alla tipologia delle prestazioni erogabili ed alle necessita' assistenziali degli utilizzatori dei servizi;   d) garantire che tutte le strutture accreditate assicurino adeguate condizioni di organizzazione interna, con specifico riferimento alla dotazione quantitativa e alla qualificazione professionale del personale effettivamente impiegato ...».

Previsioni sostanzialmente analoghe recano i citati articoli 48 e 49 della legge sanitaria regionale n. 17/2014.

In tema di autorizzazione, infatti, l'art. 48 comma 2 prevede: «2. L'autorizzazione per la realizzazione di strutture sanitarie e sociosanitarie necessita di preventiva verifica di compatibilita' del progetto da parte della Regione in rapporto con il fabbisogno complessivo regionale e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale. Nelle more della riclassificazione delle strutture residenziali per anziani e delle strutture di cui all'art. 24, comma 2, lettera a), il parere sul l'abbisogno e' vincolante. L'autorizzazione per la realizzazione delle strutture e' rilasciata dal Comune. Fatte salve quelle gia' rilasciate, l'autorizzazione per l'esercizio delle attivita' delle strutture sociosanitarie non gestite direttamente dalle Aziende per l'assistenza sanitaria e' rilasciata dalle medesime. L'autorizzazione per l'esercizio delle attivita' delle strutture sanitarie private e quella delle strutture pubbliche sono rilasciate, rispettivamente, dalle Aziende per l'assistenza sanitaria e dalla Regione, Direzione centrale competente in materia, sulla base dei requisiti e delle procedure stabiliti con il regolamento di cui al comma 1. Il rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione delle strutture e per l'esercizio delle attivita' non determina, in alcun modo, l'accreditamento delle strutture e la sussistenza degli accordi contrattuali di cui agli articoli 49 e 50».

L'art. 49, in tema di accreditamento, prevede invece: «1. In attuazione dell'art. 8-quater del decreto legislativo n. 502/1992 con regolamento regionale sono stabiliti:   a) i requisiti ulteriori di qualificazione rispetto a quelli stabiliti ai sensi dell'art. 48, nonche' ai sensi dell'atto di intesa Stato-Regioni del 20 dicembre 2012;   b) la procedura per il rilascio e il mantenimento dell'accreditamento istituzionale.

2. L'accreditamento delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private e' rilasciato dalla Regione, Direzione centrale competente in materia, subordinatamente alla verifica positiva dell'attivita' svolta e dei risultati raggiunti, nonche' della conformita' ai requisiti di cui al comma 1.

3. Fermo restando quanto stabilito al comma 2. nelle more dell'adozione del regolamento di cui al comma 1, trovano applicazione i requisiti e le procedure, in quanto compatibili, stabiliti con il regolamento adottato sulla base della previgente normativa.

3-bis. La qualita' di soggetto accreditato costituisce vincolo per gli enti del Servizio sanitario regionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate esclusivamente per effetto della stipula degli accordi contrattuali di cui all'art. 50.

3-ter. La giunta regionale, al fine di assicurare un'efficace competizione tra le strutture private accreditate, anche in considerazione di esigenze connesse all'assistenza espresse dagli enti del Servizio sanitario regionale, determina i limiti entro i quali procedere ad accreditare un numero di strutture che puo' essere superiore al fabbisogno programmato».

Come si vede, e' principio generale della materia quello secondo cui l'autorizzazione alla realizzazione di nuove strutture sanitarie presuppone una semplice valutazione del fabbisogno complessivo e della distribuzione (localizzazione) territoriale delle nuove strutture. Purche' la nuova struttura ottemperi ai requisiti di cui all'art. 8 della legge n. 59/1997 (art. 8-ter, comma 4 decreto legislativo n. 502/92), l'autorizzazione non puo' essere negata. Solo una manifesta eccessivita' della struttura rispetto al fabbisogno potrebbe giustificare il diniego dell'autorizzazione.

L'autorizzazione, quindi, abilita la struttura a prestare i servizi a chiunque gliene faccia richiesta a proprio onere e sulla base di un contratto d'opera professionale di diritto privato.

Tutt'altra cosa e' l'accreditamento. L'accreditamento comporta l'inserimento funzionale della struttura sanitaria autorizzata nel Servizio sanitario regionale. Nei limiti stabiliti con gli accordi contrattuali previsti dall'art. 8-quinquies del decreto legislativo n. 502/92, il servizio sanitario deve remunerare le prestazioni rese dalle strutture accreditate (art. 8-quater, comma 2, decreto legislativo n. 502/92; analogamente, art. 49 comma 3-bis legge regionale n. 17/2014).

Per questo, l'accreditamento viene rilasciato soltanto alle strutture di cui si accerti la «rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalita' rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica positiva dell'attivita' svolta e dei risultati raggiunti.» (art. 8-quater, comma 1, decreto legislativo n. 502/92; analogo l'art. 49 commi 1 e 2 legge regionale n. 14/2017).

Conseguentemente, non e' consentito collegare l'esito, e anzi la stessa proponibilita', delle domande di autorizzazione alla realizzazione di nuove strutture sanitarie (nella specie, per anziani), all'esito dei procedimenti di accreditamento delle strutture esistenti. Semmai, la logica del sistema e' quella opposta: non possono essere accreditate strutture che non posseggano (piu') i requisiti per essere autorizzate; ma strutture non accreditabili per difetto dei requisiti individuati dalle disposizioni statali e regionali appena riportate ben possono, comunque, essere autorizzate e operare in regime puramente privato, al di fuori del servizio sanitario regionale, come strutture non accreditate. Che e' quanto, invece, fa la disposizione del comma 67 qui impugnato.

Non potrebbe obiettarsi che l'autorizzazione e' soggetta alla verifica del fabbisogno, e che questo puo' essere determinato solo se si conoscono numero e localizzazione delle strutture accreditate. Il fabbisogno e' dato, infatti, dalla domanda di determinate prestazioni sanitarie in se' considerate, vale a dire prescindendo dalla circostanza, che e' logicamente successiva, se tali prestazioni saranno richieste al servizio sanitario regionale o, invece, in regime di diritto privato. L'accreditamento serve invece a strutturare la capacita' del servizio sanitario regionale di soddisfare in regime di assistenza sanitaria pubblica una determinata domanda di prestazioni sanitarie. La parte di domanda soddisfacibile dal servizio sanitario regionale attraverso le strutture accreditate, non riduce, quindi, il fabbisogno, che costituisce un «prius» degli accreditamenti.

In sostanza, se il fabbisogno e' completamente soddisfatto, non interessa quante siano le strutture accreditate e quelle non accreditate che partecipano a tale soddisfacimento. Per il solo fatto che il fabbisogno e' integralmente soddisfatto, non potranno autorizzarsi nuove strutture. Se, invece, il fabbisogno non e' integralmente soddisfatto, per cio' solo nuove strutture potranno essere autorizzate, e si stabilira' in un momento successivo se occorra altresi' potenziare la risposta «pubblica» del servizio sanitario regionale includendovi anche tali strutture (sempre che lo richiedano e ne possiedano i requisiti qualitativi «ulteriori") mediante l'accreditamento.

Tutto cio', del resto, e' chiaramente enunciato dalla stessa legge sanitaria regionale n. 17/2014 nel comma 2 ultima parte dell'art. 48, ove si precisa che «Il rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione delle strutture e per l'esercizio delle attivita' non determina, in alcun modo, l'accreditamento delle strutture e la sussistenza degli accordi contrattuali di cui agli articoli 49 e 50".

Non e' quindi consentito al legislatore regionale collegare i procedimenti e provvedimenti di autorizzazione, da un lato, e di accreditamento dall'altro, e sospendere in via preventiva l'esperibilita' dei primi in attesa, per di piu' sine die (il comma 67 non prevede alcun termine) del completamento dei secondi.

Oltre che i principi generali di legislazione statale ora illustrati, il comma 67 qui impugnato viola altresi' l'art. 41 Cost., nella parte in cui assicura la liberta' dell'iniziativa economica privata.

Questa puo' essere limitata solo al fine di prevenirne il contrasto con l'utilita' sociale o con la sicurezza, la liberta', la dignita' umana. Vietare l'intrapresa di nuove iniziative economiche private, come quelle consistenti nell'apertura di nuove strutture assistenziali per anziani, solo perche' si teme (come sembra presupporre il legislatore regionale) che queste possano andare a sovrapporsi alle analoghe, preesistenti, strutture accreditate o accreditatili dal servizio sanitario regionale, certamente non mira a prevenire pregiudizi all'utilita' sociale o agli altri valori enunciati nell'art. 41 Cost.

Si tratta, quindi, di una restrizione al rischio di impresa non giustificata costituzionalmente.

Va all'uopo considerato che, secondo l'orientamento giurisprudenziale oggi prevalente, il sistema di norme che regolamentano l'accesso al mercato di privati che intendono erogare prestazioni sanitarie senza rimborsi o sovvenzioni a carico della spesa pubblica non deve tradursi in una compressione della liberta' di iniziativa economica privata di cui all'art. 41 della Costituzione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III n. 550 del 29 gennaio 2013). Piu' nel dettaglio, la giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4574 del 16 settembre 2013) ha affermato che, alla luce dell'art. 32 della Costituzione, che eleva la tutela della salute a diritto fondamentale dell'individuo, e dell'art. 41 della Costituzione, teso - come ricordato - a garantire la liberta' di iniziativa, «non puo' essere ritenuta legittima una assoluta preclusione delle prerogative dei soggetti che intendono offrire, in regime privatistico (vale a dire senza rimborsi o sovvenzioni a carico della spesa pubblica, e con corrispettivi a carico unicamente degli utenti), mezzi e strumenti di diagnosi, di cura e di assistenza sul territorio.».

Inoltre, un regime di sospensione privo di limiti temporali certi finisce per impattare anche sulla liberta' di scelta dell'utenza e sulla concorrenza tra erogatori che, poiche' privi della prospettiva di conquistare ulteriori quote di mercato, non saranno stimolati a migliorare la qualita' delle prestazioni (in tal senso, Corte costituzionale, n. 200/2005).

Il Consiglio di Stato ha, altresi', chiarito che «le valutazioni inerenti all'indispensabile contenimento della spesa pubblica ed alla sua razionalizzazione possono avere la loro sede propria nei procedimenti di accreditamento, di fissazione dei "tetti di spesa" e di stipulazione dei contratti con i soggetti accreditati"; procedimenti questi che sono distinti e susseguenti (sia logicamente che cronologicamente) rispetto a quello relativo al rilascio della pura e semplice autorizzazione all'esercizio dell'attivita' o alla realizzazione "della struttura" (cfr. Consiglio di Stato, sentenza 16 settembre 2013, n. 4574).

Nella stessa direzione, l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato, con nota del 18 luglio 2011, ha posto in rilievo come una politica di contenimento dell'offerta sanitaria possa tradursi in una posizione di privilegio degli operatori del settore gia' presenti nel mercato, che possono incrementare la loro offerta a discapito dei nuovi entranti, assorbendo la potenzialita' della domanda.

Sotto i profili ora illustrati, il comma 67 contrasta quindi anche con l'art. 41 Cost., nella parte in cui garantisce la libera concorrenza; e con l'art. 32 Cost., nella parte in cui garantisce la salute come diritto individuale consistente, innanzitutto, nella piu' ampia liberta' di scelta dei cittadini riguardo alle strutture sanitarie a cui affidarsi.

 

P.Q.M.

 

Il Presidente del Consiglio come sopra rapp.to e difeso ricorre a codesta Ecc.ma Corte costituzionale affinche' voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale della legge regionale 6 agosto 2019 n. 13, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia del 9 agosto 2019 SO 25, limitatamente all'art. 9 commi 36 51 lett.

Si produrra' in estratto conforme la delibera del Consiglio dei ministri del 3 ottobre 2019.

Roma, 8 ottobre 2019

L'Avvocato dello Stato: Gentili