RICORSO N. 98 DEL 13 SETTEMBRE 2019 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 13 settembre 2019.

(GU n. 43 del 23.10.2019)

 

Ricorso ex art. 127 della Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri (c.f. 80188230587), rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato (c.f. 80124030587), presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12, manifestando la volonta' di ricevere le comunicazioni all'indirizzo PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it;   Nei confronti di Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia a statuto speciale, in persona del Presidente pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 14, 45, 74, 88, 107, 108, 109 e 112 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9 dell'8 luglio 2019 pubblicata nel BU Friuli-Venezia Giulia il 10 luglio 2019, n. 20 recante «Disposizioni multisettoriali per esigenze urgenti del territorio» giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 5 settembre 2019.

Con la legge regionale n. 9 dell'8 luglio 2019, indicata in epigrafe, che consta di 116 articoli, recante «Disposizioni multisettoriali per esigenze urgenti del territorio regionale» la Regione Friuli-Venezia Giulia a statuto speciale ha dettato numerose disposizioni agli articoli 14, 45, 74, 88, 107, 108, 109 e 112, indicati in epigrafe, eccedenti dalla competenza della regione in materia di ambiente, di immigrazione, sanita' e di trattamento economico e inquadramento del personale regionale.

E' avviso del Governo che, con le norme denunciate in epigrafe, la Regione Friuli-Venezia Giulia a statuto speciale abbia ecceduto dalla propria competenza in violazione della normativa costituzionale, come si confida di dimostrare nei seguenti

 

Motivi

 

1. L'art 14, della legge regionale n. 9 dell'8 luglio 2019 viola l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione in relazione al decreto del Presidente della Repubblica n. 35/199 (rectius 8 settembre 1997, n. 357) e delle direttive comunitarie con esso recepite.

L'art. 14 della legge regionale n. 9/2019, citata, rubricato - Modifiche all'art. 5 della legge regionale n. 9/2005 - recante «Norme regionali per la tutela dei prati stabili naturali» aggiunge all'art. 5, comma 7, della legge citata i commi 7-bis e 7-ter che dispongono:   «7-bis. Entro trenta giorni decorrenti dal termine dell'attivita' autorizzata ai sensi commi 1.1-bis e 1.1-quater dell'art. 12 della legge regionale 15 ottobre 2009, n. 17 (Disciplina delle concessioni e conferimento di funzioni in materia di demanio idrico regionale), qualora il materiale del fondo stradale si depositi accidentalmente sul prato stabile nel corso della suddetta attivita', il soggetto organizzatore e' tenuto alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi qualora prescritto dal soggetto che ha rilasciato il titolo autorizzatorio».

7-ter. Fino alla scadenza del termine indicato al comma 7-bis non trova applicazione il divieto di cui all'art. 4, comma 1,».

L'art. 5, comma 7-bis della legge regionale n. 9/2005 citata, come novellato, introduce un termine di «trenta giorni» per la riduzione in pristino dello stato dei luoghi dopo le attivita' autorizzate ai sensi dell'art. 12 della legge regionale n. 1/2009 rubricato - Manifestazioni motoristiche, ciclistiche, motonautiche e posa di appostamenti - attivita' costituenti, pertanto, manifestazioni motoristiche, ciclistiche e nautiche con o senza mezzi a motore, anche a carattere amatoriale, e per l'utilizzo temporaneo di beni del demanio idrico regionale funzionali all'organizzazione e allo svolgimento delle predette manifestazioni.

L'art. 5, comma 7-ter prevede poi per il periodo trenta giorni concesso per la restitutio in pristinum l'inapplicabilita' dell'art. 4, comma 1 della medesima legge n. 9/2005, rubricato - Misure di conservazione - consentendo, in tale lasso di tempo attivita' non ammesse.

Le disposizioni introdotte con l'art. 14 impugnato, pertanto, nel ridurre i livelli di tutela determinano impatti negativi sui prati stabili.

I prati stabili, formazioni erbacee costituite da un numero elevato di specie erbaceee e habitat per moltissime specie animali, rientrano negli habitat individuati ai sensi della direttiva 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, e della direttiva 2009/147/CE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici recepite con legge n. 157/1992 e dal decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

Per tali habitat protetti dalle citate direttive e dalla normativa nazionale in materia, l'impatto negativo prodotto dalle attivita' di cui all'art. 12 della legge regionale n. 17/ 2009, citata, non consente deroghe all'obbligo di riduzione in pristino dello stato dei luoghi e la sospensione delle misure di conservazione dei medesimi prati stabili di cui all'art. 4, comma 1, della legge regionale 2005, n. 9 che elenca le attivita' negli stessi vietate.

I commi 7-bis e 7-ter dell'art. 5 della legge regionale 29 aprile 2005, n. 9, citata, introdotti dall'art. 14 impugnato, pertanto, introducono previsioni che si pongono in contrasto con i parametri interposti nazionali ed eurounitari citati riconducibili alla materia tutela dell'ambiente e dell'ecosistema di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione (ex multis sentenze n. 34 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010 e n. 91 e n. 10 del 2009). Limiti che si impongono anche alle regioni a statuto speciale poiche' «La tutela dell'ambiente rientra nelle competenze legislative esclusive dello Stato e che pertanto le disposizioni legislative statali adottate in tale ambito fungono da limite alla disciplina delle regioni anche a statuto speciale, dettano nei settori di loro competenza essendo ad essa consentito eventualmente di incrementare i livelli di tutela ambientale senza compromettere il punto contrapposto di equilibrio di esigenze opposte» (sentenza n. 300 del 2013).

L'art. 14 impugnato, che novellando l'art. 5 della legge regionale n. 9/2005 ha ridotto il livello di tutela ambientale previsto dalla normativa statale ed eurounitaria, citata, viola, pertanto, l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

2. L'art. 45 della legge regionale n. 9 dell'8 luglio 2019 viola l'art. 117, comma 2, lettere a) e b) della Costituzione in relazione all'art. 3, comma 5 e 40 del decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998.

L'art. 45 della legge regionale n. 9 del 2019 abroga l'art. 17 della legge regionale n. 31/2015 recante «Norme per l'integrazione sociale delle persone straniere immigrate».

L'abrogazione dell'art. 17 della legge regionale n. 31/2015, citata, gia' adottato in attuazione dell'art. 40 del decreto legislativo n. 286/1998 rubricato «Centri di accoglienza. Accesso all'abitazione» comporta che le modalita' di accesso, accoglienza ed inserimento abitativo delle persone straniere non trova piu' una disciplina normativa regionale.

L'abrogazione, disposta con la norma impugnata, lascia, infatti, un vuoto normativo nella legislazione regionale quanto alla disciplina relativa all'accesso di cittadini stranieri ed alla idonea soluzione abitativa non essendo previsto nell'ordinamento regionale uno strumento alternativo rispetto al «Programma annuale» individuato dall'abrogato art. 17, lettere a), b), c), per promuovere le forme di intervento a favore delle persone straniere.

L'art. 45 impugnato contrasta, pertanto, con il decreto legislativo n. 286 del 27 luglio 1998 recante «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero» ai sensi del quale «le regioni adottano i provvedimenti concorrenti al perseguimento dell'obiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello stato, con particolare riguardo a quelle inerenti all'alloggio, alla lingua, all'integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona». (art 3, comma 5).

Il decreto legislativo n. 286/1998 citato, detta disposizioni che costituiscono principi fondamentali dell'ordinamento perche' «4. Nelle materie di competenza legislativa delle regioni, le disposizioni del presente testo unico costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Per le materie di competenza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, esse hanno il valore di norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, attribuisce compiti significativi alle regioni e agli enti locali nell'ambito delle politiche e degli interventi sociali da destinare agli immigrati».

(art. 1, comma 4 decreto legislativo n. 286/1998).

Le disposizioni di cui al decreto legislativo citato sono espressione di competenza esclusiva dello Stato sicche' l'abrogazione della norma regionale che disciplinava l'accesso e l'accoglienza a fini abitativi nell'ambito della regione si pone in contrasto con gli articoli 3, comma 5, e 40 del medesimo decreto.

L'art. 45 impugnato, viola, pertanto, l'art. 117, secondo comma, lettera a) e b), della Costituzione, che riservano alla competenza statale la materia di «condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea» e di «immigrazione».

3. L'art. 74, comma 3, della legge regionale n. 9 del 2019 viola l'art. 117, comma 2, lettera m) e l'art. 117, comma 3, della Costituzione e l'art. 5 n. 16 dello statuto di autonomia in relazione alle disposizioni di cui al decreto ministeriale n. 70/2015 adottato a norma dell'art. 1, comma 169, legge 3 dicembre 2004, n. 211.

L'art. 74, comma 3, della legge regionale n. 9 del 2019 modifica la legge regionale n. 17/2014 recante «Riordino dell'assetto istituzionale e organizzativo del Servizio sanitario regionale e norme in materia di programmazione sanitaria e sociosanitaria» integrando l'art. 34 rubricato - riconversione delle strutture ospedaliere - prevedendo al comma 3, che i «punti di primo intervento» esistenti presso gli ospedali della regione riconvertiti per lo svolgimento di attivita' distrettuali sanitarie e sociosanitarie, siano «dotati di spazi di osservazione a disposizione della funzione di emergenza - urgenza».

L'art. 34 della legge regionale n. 17/2014, citata, come novellato dispone testualmente:   «3. Presso le strutture di cui al comma 1 sono mantenuti, sotto la responsabilita' organizzativa distrettuale, come specificato all'art. 20, comma 6, tutti i servizi ambulatoriali presenti, comprese la dialisi e la radiologia tradizionale; inoltre viene assicurata la presenza di un punto di primo intervento sulle dodici/ventiquattro ore dotato di spazi di osservazione a disposizione della funzione di emergenza-urgenza e la postazione di un mezzo di soccorso sulle ventiquattro ore (40).».

La Regione Friuli-Venezia Giulia non ha presentato un provvedimento di riordino della rete ospedaliera ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, adottato a norma dell'art. 1, comma 169, della legge n. 311/2004 recante «Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera».

Con l'art. 74 impugnato, la regione novellando l'art. 34 della legge regionale n. 17/2014 ha emanato una norma che contrasta con il decreto ministeriale n. 70/2015, citato, prevedendo quest'ultimo che, a seguito della riconversione dell'attivita' di un ospedale per acuti in un ospedale per la post-acuzie oppure in una struttura territoriale, «nei punti di primo intervento non e' prevista l'osservazione breve del paziente».

Il decreto ministeriale n. 70/2015, citato, dispone: «9.1.5 punti di primo intervento (PPI) esclusivamente a seguito della riconversione dell'attivita' di un ospedale per acuti in un ospedale per la post-acuzie oppure in una struttura territoriale, potrebbe rendersi necessario prevedere, per un periodo di tempo limitato, il mantenimento nella localita' interessata di un punto di primo intervento, operativo nelle 12 ore diurne e presidiato dal sistema 118 nelle ore notturne (...) la funzione dei punti di primo intervento e' la trasformazione in postazione medicalizzata del 118 entro un arco temporale predefinito, implementando l'attivita' territoriale al fine di trasferire al sistema dell'assistenza primaria le patologie a bassa gravita' e che non richiedono trattamento ospedaliero secondo protocolli di appropriatezza condivisi tra 118, DEA, hub o spoke di riferimento e distretto, mantenendo rigorosamente separata la funzione di urgenza da quella dell'assistenza primaria. Nei punti di primo intervento non e' prevista l'osservazione breve del paziente».

La modifica introdotta dalla norma impugnata contrasta, pertanto, con la normativa costituzionale sotto un duplice profilo.

Sotto un primo profilo l'art. 34, comma 3, novellato, introduce nella regione un sistema di assistenza difforme da quello previsto dalla normativa statale.

E' principio affermato che rientrano nella competenza in materia di «livelli essenziali di prestazioni», di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, anche le norme che contengono un riferimento trasparente agli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera indicati nel decreto ministeriale n. 70/2015 (sentenza n. 231 del 2017) «la determinazione di tali standard deve, infatti, essere garantita, con carattere di generalita', a tutti gli aventi diritto», e la relativa competenza, «avendo carattere trasversale, e' idonea ad investire tutte le materie rispetto alle quali il legislatore statale deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di determinate prestazioni, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (Sentenze n. 125/2015, n. 11/2014, n. 207, n. 203 e n. 164 del 2012)» (cfr. sentenza n. 192 del 2017).

Sotto altro profilo l'art. 34, comma 3, novellato, incide anche sull'organizzazione sanitaria e, pertanto, sulla materia «tutela della salute» (sentenza n. 54 del 2015), interferendo con l'ambito funzionale e operativo, definito dallo Stato proprio allo scopo di garantire la qualita' e l'adeguatezza delle specifiche prestazioni (sentenza n. 207 del 2010).

La norma impugnata, pertanto, eccede dalla competenza legislativa attribuita al Friuli-Venezia Giulia in materia di «assistenza sanitaria ed ospedaliera» dall'art. 5, n. 16) dello statuto speciale, che attribuisce competenze in tema «igiene sanita' assistenza sanitaria e ospedaliera recupero dei minorati fisici» (art. 5, n. 16) e viola i principi fondamentali in materia di tutela della salute di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione.

E', infatti, principio affermato che, in ambito sanitario, anche per le regioni a statuto speciale si profila violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, (ex plurimis sentenza n. 126/2017) in quanto la competenza legislativa concorrente in materia di «tutela della salute», assegnata alle regioni ordinarie dall'art. 117, terzo comma, Cost., dopo la riforma costituzionale del 2001, e' «assai piu' ampia» di quella attribuita dagli statuti speciali in materia di «assistenza sanitarie e ospedaliera» (cfr. ex plurimis sentenza n. 162 del 2007; nello stesso senso, sentenze n. 134/2006 e n. 270/2005).

L'art. 34, comma 3 della legge regionale n. 17/2014 come novellato dall'art. 74 impugnato viola l'art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione contrastando con il decreto ministeriale n. 70/2015 in relazione a livelli essenziali delle prestazioni, e l'art. 117, terzo comma, in materia di tutela della salute interferendo con l'organizzazione sanitaria dettata dalla normativa statale a tutela della adeguatezza delle specifiche prestazioni.

4. L'art. 88 della legge regionale n. 9 del 2019 viola gli articoli 3 e 117, comma 2, lettera m) della Costituzione e il principio di ragionevolezza in relazione dell'art. 11, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150.

L'art. 88 della legge regionale n. 9 del 2019 aggiunge all'art. 77 della legge regionale 9 agosto 2005, n. 18, recante «Norme regionali per l'occupazione, la tutela e la qualita' del lavoro», il comma 3-quinquies che dispone:   «3-quinquies al fine di favorire il riassorbimento delle eccedenze occupazionali determinatesi sul territorio regionale in conseguenza di situazioni di crisi aziendale, gli incentivi di cui al comma 3-bis possono essere concessi esclusivamente a fronte di assunzioni, inserimenti o stabilizzazioni occupazionali riguardanti soggetti che, alla data della presentazione della domanda di incentivo, risultino residenti continuativamente sul territorio regionale da almeno cinque anni».

L'art. 77, come novellato dalla norma impugnata, subordina il riconoscimento dell'incentivo occupazionale, dalla stessa norma previsto, alla residenza del lavoratore in regione da almeno cinque anni.

La disposizione e' incostituzionale sotto molteplici profili.

Sotto un primo profilo viola l'art. 3 della Costituzione che sancisce che la Repubblica riconosce il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo il diritto.

La norma regionale impugnata, infatti, nel subordinare il riconoscimento di incentivi alle imprese all'assunzione di soggetti residenti continuativamente sul territorio della regione da almeno cinque anni, limita irragionevolmente il diritto all'incentivo, e attua una violazione indiretta del diritto al lavoro, riconosciuto a tutti indistintamente, di fatto riservandolo solo alla categoria dei residenti quinquennali e ponendosi in conflitto con le molteplici attivita' statali volte alla promozione delle condizioni per facilitare l'ingresso nel mondo lavorativo da riconoscersi tout court a tutti i lavoratori in palese violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 recante «Riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e politiche attive ai sensi dell'art. 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2011, n. 187 - all'art. 11 rubricato - Organizzazione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive del lavoro a livello regionale e della province autonome - prevede la «- Disponibilita' di servizi e misure di politica attiva del lavoro a tutti i residenti sul territorio italiano, a prescindere dalla regione o provincia autonoma di residenza» (art. 11, comma 1, lettera c).

Del resto la possibile cumulabilita' di incentivi regionali con altri interventi contributivi previsti da leggi statali, violerebbe i principi di uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, comma 2, della Costituzione, nonche' la normativa comunitaria in tema di liberta' di circolazione, diritto di stabilimento e libera concorrenza.

Sotto altro profilo il requisito di residenza nella regione, protratto nel tempo, costituente presupposto per la concessione dell'incentivo introduce un elemento di irragionevolezza.

La norma regionale impugnata che, come detto, subordina il riconoscimento di un incentivo occupazionale al datore di lavoro all'assunzione di un lavoratore residente da almeno cinque anni nel territorio regionale, e' illegittima sotto il profilo della ragionevolezza non profilandosi alcuna connessione tra il riconoscimento di un incentivo al datore di lavoro e il requisito della residenza protratta nel tempo del lavoratore. Si puo' ben ipotizzare, a titolo esemplificativo che un soggetto non residente abbia svolto negli ultimi cinque anni, un periodo di attivita' lavorativa piu' consistente rispetto ad un altro semplicemente residente, contribuendo il primo piu' del secondo al «progresso materiale e morale della comunita' su base regionale» obiettivo che la legge regionale novellata intende perseguire. Ne consegue l'evidente irragionevolezza della disposizione.

Sotto un altro profilo la norma censurata oltre a realizzare una forma di discriminazione indiretta e contrastare con il principio di ragionevolezza, in violazione dell'art. 3 Cost., viola anche l'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, riguardante i livelli essenziali delle prestazioni. Le misure di politica attiva del lavoro, nell'alveo delle quali rientrano gli incentivi occupazionali riconosciuti ai datori di lavoro per l'assunzione di particolari categorie di lavoratori, rientrano nei «servizi che devono essere riconosciuti a tutti i residenti sul territorio italiano, a prescindere dalla regione o provincia autonoma di residenza», ai sensi dell'art. 11, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 150/2015 citato.

La norma censurata contrasta, pertanto, con la normativa interna violando gli articoli 3 e 117, comma 2, lettera m) della Costituzione e introducendo una disposizione irragionevole.

5. L'art. 107, comma 1, della legge regionale n. 9 del 2019 viola gli articoli 3, 51, comma 1, 97, 117, comma 2 , lettera l) e m) e l'art. 117, comma 3 della Costituzione in relazione alla legge 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, commi 361, 363 e 365.

L'art. 107, comma 1, lettera b) della legge regionale n. 9 del 2019 recante «Modifiche alla legge regionale n. 18/2016» modifica il comma 5 dell'art. 8 della legge regionale n. 18/2016 recante «Disposizioni in materia di sistema integrato del pubblico impiego regionale e locale» disponendo:   b) alla lettera c) del comma 5 dell'art. 8 le parole «per un numero pari ai posti messi a concorso» siano soppresse e le parole «due anni» siano sostituite dalle seguenti: «tre anni; il bando di concorso puo' prevedere un limite massimo di idonei».

La disposizione regionale prevede modalita' di utilizzazione delle graduatorie concorsuali diversa e incompatibile con quella individuata dalla normativa statale con la recente legge di riordino 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019), in particolare all'art. 1, commi 361, 363 e 365.

La norma regionale impugnata non limita, infatti, numericamente la possibilita' di utilizzo delle graduatorie e amplia il lasso di tempo di utilizzabilita' delle stesse dettando una disciplina contrastante con quella vigente nel territorio dello Stato quanto alla possibilita' di accesso agli impieghi e di impegno finanziario.

La norma impugnata, pertanto, viola i principi di uguaglianza, di imparzialita' e di buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli articoli 3, 51, primo comma, e 97, della Costituzione, e invade la competenza riservata alla legislazione statale nelle materie del diritto civile, di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere l) e m), e terzo comma, della Costituzione.

6. L'art. 108 della legge regionale n. 9 del 2019 viola l'art. 117, comma 2, lett. l) e l'art. 3 della Costituzione in relazione al decreto legislativo n. 165 /2001 disposizioni dettate dal titolo III «Contrattazione collettiva».

L'art. 108 rubricato «Modifica alla legge regionale n. 45/2017» recante «Legge di stabilita' 2018» stabilisce che il comma 22 dell'art. 11 della legge regionale n. 45/2017, citata sia cosi' sostituito «L'indennita' di cui all'art. 110, sesto comma, della legge regionale n. 53/1981 (stato giuridico e trattamento economico del personale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia) e' corrisposta anche agli autisti di rappresentanza di cui all'art. 38 del regolamento di organizzazione dell'Amministrazione regionale e degli enti regionali emanato con decreto del Presidente della regione n. 0277/2004 e all'art. 14 del regolamento di organizzazione degli Uffici n. 101/2019...».

L'art. 11, comma 22, novellato dall'art. 108, impugnato contrasta con le disposizioni contenute nel titolo III (Contrattazione collettiva e rappresentativita' sindacale) del decreto legislativo n. 165/2001 che indica le procedure da seguire in sede di contrattazione e l'obbligo del rispetto della normativa contrattuale.

A seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione e' retta dalle disposizioni del codice civile e della contrattazione collettiva e la posizione dei dipendenti regionali e' attratta dalla disciplina del trattamento economico e giuridico dei dipendenti pubblici (art. 1, comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001). Il rapporto di impiego dello stesso personale delle regioni e' regolato dalla legge dello Stato e, in virtu' del rinvio da questo operato, dalla contrattazione collettiva per cui «In relazione al riparto di competenza tra Stato e regione cio' comporta che la disciplina di tale trattamento economico e, piu' in generale di quella del rapporto di impiego pubblico, rientri nella materia "ordinamento civile" riservata alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 175 e 160 del 2017)» (sentenza n. 154 del 2019).

La regione a statuto speciale, non ha competenza in tema di trattamento economico giuridico dei dipendenti dovendo le competenze statutarie essere esercitate nel rispetto «delle norme fondamentali delle riforme economiche e sociali» (art. 4 dello Statuto legge 31 gennaio 1963, art. 1).

La norma impugnata viola, pertanto, l'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile (contratti collettivi).

La norma viola anche il principio di eguaglianza fra i cittadini di cui all'art. 3 della Costituzione introducendo per i soli residenti nella regione un trattamento economico differenziato rispetto a quello dei residenti nelle altre regioni.

7. L'art. 109 della legge regionale n. 9 del 2019 viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione in relazione all'art. 35-bis decreto-legge n. 13/2018 convertito in legge n. 132/2019 e all'art. 33 del decreto-legge n. 34/2019 convertito in legge 20 agosto 2019, n. 58.

L'art. 109 rubricato «Personale della polizia locale» dispone:   «In relazione al permanere delle particolari esigenze operative e funzionali connesse e conseguenti al processo di riassetto delle autonomia locali, ai fini delle assunzioni di personale della polizia locale da parte delle UTI e dei comuni della regione, gli enti medesimi continuano ad applicare l'art. 56, comma 20-ter della legge regionale n. 18/2016 per l'anno 2019 nonche' con riferimento alle procedure concorsuali gia' avviate nell'anno 2018 e non ancora concluse alla data di entrata in vigore della presente legge».

La norma prevede quanto alle assunzioni della polizia locale alle Unioni territoriali intercomunali e ai comuni della regione continui ad applicarsi l'art. 56, comma 20-ter della legge regionale n. 10/2016 che prevede la possibilita' di procedere ad assunzioni oltre il 100% della spesa relativa al personale di ruolo sostenuta nell'anno precedente.

Per l'anno 2019 il limite della spesa relativo al personale di ruolo appartenente alla polizia locale cessato nell'anno precedente e' determinato dall'art. 35-bis del decreto-legge n. 13 del 2018 convertito dalla legge n. 132 del 2019 in base al quale i comuni che nel triennio 2016-2018 hanno rispettato gli obiettivi dei vincoli di finanza pubblica possono, in deroga alle disposizioni di cui all'art. 1, comma 228, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, assumere a tempo indeterminato personale di polizia locale, nel limite della spesa sostenuta per detto personale nell'anno 2016 e fermo restando il conseguimento degli equilibri di bilancio. Le cessazioni nell'anno 2018 del predetto personale non rilevano ai fini del calcolo delle facolta' di assunzione del restante personale.

La norma regionale si pone in contrasto con la richiamata normativa statale.

Sotto altro profilo la norma impugnata contrasta con l'art. 33 del decreto-legge n. 34/2019 che subordina le facolta' di assunzione al rispetto al ricorrere di requisiti di sostenibilita' finanziaria non fissate nella norma regionale.

Le menzionate disposizioni statali sono norme di principio il cui superamento comporta una lesione dei principi stabiliti dall'art. 117, comma terzo, della Costituzione, nell'ottica del coordinamento della finanza pubblica, cui la regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non puo' derogare.

8. L'art. 112, comma 1 della legge regionale n. 9 del 2019 contrasta con gli articoli 117, comma 2, lettera l) e 3 della Costituzione in relazione all'art. 30, comma 2-quinquies del decreto legislativo n. 165/2001.

L'art. 112 rubricato «Trattamento economico del personale trasferito per mobilita' dalle province» al comma 1, dispone:   «in relazione al processo di superamento delle province e del conseguente trasferimento di funzioni alla regione, e in un'ottica di coerenza del sistema, il trattamento economico di cui al comma 1 dell'art. 50 della legge regionale n. 10 del 2016 (modifiche a disposizioni concernenti gli enti locali contenute 1/2006, 26/2014, 18/2007, 9/2009, 19/2013, 34/2015, 18/2015, 3/2016, 13/2015, 23/2017, 2/2016 e 27/2012) si applica anche nei confronti del personale trasferito dalle province alla regione, successivamente all'entrata in vigore della medesima legge regionale, mediante mobilita' volontaria di comparto; il trattamento compete a decorrere dalla data di trasferimento alla regione».

La norma prevede anche per il personale trasferito dalle province alla regione mediante mobilita' comparto volontaria il mantenimento della retribuzione individuale di anzianita' o il maturato economico in godimento all'atto del trasferimento.

L'art. 30, comma 2-quinquies, del decreto legislativo n. 165 del 2001 disciplina il trattamento giuridico economico spettante al dipendente trasferito per mobilita' disponendo che «Salvo diversa previsione, a seguito dell'iscrizione nel ruolo dell'amministrazione di destinazione, al dipendente trasferito per mobilita' si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione».

In contrasto con la richiamata normativa statale di principio la norma regionale impugnata consente l'applicazione di benefici riconducibili ad istituti giuridici quali la Ria ed il maturato economico, giustificati in caso di mobilita' obbligatoria nel caso di trasferimento di funzioni, anche in ipotesi di mobilita' volontaria.

A seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione e' retta dalle disposizioni del codice civile e della contrattazione collettiva e la posizione dei dipendenti regionali e' attratta dalla disciplina del trattamento economico e giuridico dei dipendenti pubblici (art. 1, comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001).

Il rapporto di impiego dello stesso personale delle regioni e' regolato dalla legge dello Stato e, in virtu' del rinvio da questo operato, dalla contrattazione collettiva per cui «In relazione al riparto di competenza tra Stato e regione cio' comporta che la disciplina di tale trattamento economico e, piu' in generale di quella del rapporto di impiego pubblico, rientri nella materia "ordinamento civile" riservata alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 175 e 160 del 2017)» (sentenza n. 154 del 2019).

La regione a statuto speciale, non ha competenza in tema di trattamento economico giuridico dei dipendenti dovendo le competenze statutarie essere esercitate nel rispetto «delle norme fondamentali delle riforme economiche e sociali» (art. 4 dello statuto legge 31 gennaio 1963, art. 1).

La norma impugnata viola, pertanto, l'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile (contratti collettivi).

La norma viola anche il principio di eguaglianza fra i cittadini di cui all'art. 3 della Costituzione introducendo per i soli residenti nella regione un trattamento economico differenziato rispetto a quello dei residenti nelle altre regioni.

La disciplina statale richiamata costituisce una regolazione uniforme a cui deve attenersi tutta la pubblica amministrazione il cui rapporto di lavoro e' stato contrattualizzato ed in quanto tale riconducibile alla materia dell'«ordinamento civile» riservata alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato.

Cio' posto, la disposizione regionale eccede dalle competenze regionali violando gli articoli 117, secondo comma, lettera l), e 3 della Costituzione.

 

P.Q.M.

 

Per i suesposti motivi si conclude perche' gli articoli 14, 45, 74, 88, 107, 108, 109 e 112 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9 dell'8 luglio 2019 recante «Disposizioni multisettoriali per esigenze urgenti del territorio regionale» siano dichiarati costituzionalmente illegittimi.

Con l'originale notificato del presente ricorso si depositano:   1) estratto della determinazione del Consiglio dei ministri assunta nella riunione del 5 settembre 2019 e della relazione allegata al verbale;   2) copia della legge impugnata della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9 dell'8 luglio 2019.

Roma, 6 settembre 2019

L'Avvocato dello Stato: Morici