RICORSO N. 64 DEL 4 GIUGNO 2019 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 4 giugno 2019.

(GU n. 28 del 10.7.2019)

 

Ricorso ex art. 127 Cost. nell'interesse del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato (codice fiscale 80224030587), presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e' ope legis domiciliato (numero fax 06.96.51.40.00, indirizzo PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) nei confronti della Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 1, comma 2; 2, comma 1; 4; 5; 6, commi 1 e 2 lettera k); 7; 9, commi 1 e 2 lettera d) ed e); 10, comma 2; 13, comma 1; 16, commi 1 e 3; 17, comma 2; 20, commi 2 e 3; della legge regionale Puglia 28 marzo 2019, n. 14, recante il «Testo unico in materia di legalita', regolarita' amministrativa e sicurezza», pubblicata sul B.U.R. Puglia n. 36 del 1° aprile 2019 in virtu' della deliberazione del Consiglio dei ministri in data 20 maggio 2019.

La legge regionale Puglia n. 14/2019 presenta diversi e concorrenti profili di contrasto con la Costituzione e con il riparto di competenze tra Stato e regioni ivi delineato, nei termini specificati nei motivi che seguono.

 

Premessa.

 

A titolo di premessa il Presidente del Consiglio ribadisce che, come chiarito da codesta Corte costituzionale nella sentenza n. 35/2012, «La promozione della legalita', in quanto tesa alla diffusione dei valori di civilta' e pacifica convivenza su cui si regge la Repubblica, non e' attribuzione monopolistica, ne' puo' divenire oggetto di contesa tra i distinti livelli di legislazione e di Governo: e' tuttavia necessario che misure predisposte a tale scopo nell'esercizio di una competenza propria della Regione, per esempio nell'ambito dell'organizzazione degli uffici regionali, non costituiscano strumenti di politica criminale, ne', in ogni caso, generino interferenze, anche potenziali, con la disciplina statale di prevenzione e repressione dei reati (sentenza n. 55 del 2001; da ultimo, sentenza n. 325 del 2011)».

Anche nel presente ricorso non e' in discussione la possibilita' per le regioni di promuovere la cultura della legalita'. Sono in discussione la natura e la portata applicativa dei mezzi giuridici e amministrativi predisposti dalla legge regionale impugnata. Tali mezzi, appunto per la loro natura e portata, in piu' punti si pongono infatti come strumenti diretti di politica criminale e generano interferenze, anche potenziali, con la disciplina statale della prevenzione e repressione dei reati, invadendo tale competenza e rendendo impossibile l'ulteriore, e fondamentale, competenza statale esclusiva attribuita dall'art. 118, comma 3 Cost. riguardo al coordinamento fra Stato e regioni in materia di ordine e sicurezza pubblica.

A questo riguardo e' ancora opportuno ribadire in premessa che, sempre alla stregua della sentenza n. 35/2012, «l'ordine pubblico e la sicurezza, ai fini del riparto della competenza legislativa, hanno per oggetto le «misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico» (sentenza n. 407 del 2002; in seguito, ex plurimis, sentenze n. 35 del 2011, n. 226 del 2010, n. 50 del 2008, n. 222 del 2006, n. 428 del 2004).».

Ne consegue che rientra certamente nella competenza regionale la disciplina di misure e attivita' che «in ragione delle loro rilevate caratteristiche e della loro complessiva finalita', non sono suscettibili di una teorica collocazione nell'ambito della nozione di «sicurezza pubblica», quale e' delineata dalla giurisprudenza di questa Corte (v. sentenze n. 313 del 2003 e n. 407 del 2002) e rispetto a cui, gia' prima della riforma del titolo V della parte II della Costituzione, «la riserva allo Stato riguarda le funzioni primariamente dirette a tutelare beni fondamentali, quali l'integrita' fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene che assume prioritaria importanza per l'esistenza stessa dell'ordinamento» (v. sentenza n. 290 del 2001).

Al di la', cioe', dell'ampiezza della nozione di sicurezza e ordine pubblico - quale settore di competenza riservata allo Stato, in contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale e locale - e' la stessa natura dell'attivita' conoscitiva, in se' estranea a tale orizzonte di competenza, ad escludere la possibilita' che la normativa oggetto di censura incida sull'assetto della competenza statale.» (cosi' la sentenza n. 105/2006).

In sostanza, quindi, rientreranno nella competenza legislativa regionale solo le attivita' e le misure (a) strettamente riferibili alla materia «polizia amministrativa regionale e locale»; e, (b) con riferimento alla materia delle «misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico», essenzialmente le attivita' e misure di carattere conoscitivo e di studio.

Debbono invece escludersi dalla competenza legislativa regionale le attivita' e le misure che, anche potenzialmente, siano idonee a produrre un impatto con le attivita' e misure regolatorie, organizzative, operative attuate dallo Stato e in base alla legge statale, nella materia della prevenzione e repressione dei reati di qualsiasi natura e del mantenimento dell'ordine pubblico. Impatto che, essenzialmente, potra' consistere nella (anche potenziale) sovrapposizione o interferenza delle attivita' e misure previste dalla legge regionale con le attivita' e misure contemplate dalla legge statale; come appunto avviene per effetto della legge regionale impugnata, secondo quanto si illustrera' nei motivi che seguono.

A proposito del raccordo tra le competenze statali e quelle regionali nella materia della prevenzione e repressione dei reati, va poi tenuto presente il quadro delineato dal decreto-legge n. 14/2017, convertito in legge n. 48/2017, che «disciplina, anche in attuazione dell'art. 118, terzo comma, della Costituzione, modalita' e strumenti di coordinamento tra Stato, regioni e province autonome di Trento e Bolzano ed enti locali in materia di politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata.» (art. l, comma 1); sicurezza integrata che l'art. 1, comma 2, definisce come «l'insieme degli interventi assicurati dallo Stato, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali, nonche' da altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze e responsabilita', alla promozione e all'attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunita' territoriali.».

Come si vede, anche l'attuazione dell'art. 118, comma 3 Cost. fa salvi i limiti reciproci delle competenze statali e regionali in materia di sicurezza.

In tale ambito, che e' quello nel quale intende muoversi la legge regionale impugnata (tuttavia incorrendo nelle illegittimita' qui denunciate), ai necessari interventi per garantire la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica riservati in via esclusiva allo Stato, si affiancano misure che puntano al miglioramento della vivibilita' del territorio e, piu' in generale, al benessere delle comunita' locali, che coinvolgono anche le regioni nel rispetto delle attribuzioni tra i diversi livelli di Governo, cosi' come ripartite dalla Costituzione.

Segnatamente, nel piu' ampio genus delle politiche di sicurezza che si coordinano ai sensi dell'art. 118, comma 3 Cost., occorre distinguere le cosiddette «politiche criminali», orientate alla prevenzione e repressione dei reati, e la cui disciplina e' riservata in via esclusiva alla legislazione statale; dagli interventi di carattere social-preventivo che, muovendo dall'analisi dei fenomeni di devianza e di degrado che emergono nel tessuto socio-economico, mirano al contenimento dei fattori criminogeni in contesti di illegalita' diffusa, e che possono essere regolamentati anche dalla legislazione regionale.

Sulla base di queste premesse generali, che investono tutte le disposizioni regionali qui impugnate e vanno integrate nelle censure specificamente dedotte in merito a ciascuna disposizione impugnata, si svolgono quindi i seguenti

 

Motivi

 

1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, e dell'art. 2, comma 1, della legge regionale per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera h, della Costituzione.

Gli articoli 1, comma 2, e 2, comma 1, della legge regionale in esame violano la competenza legislativa dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza (ex articolo 117, comma secondo, lettera h, della Costituzione) nella parte in cui ricomprendono tra i principi e le finalita' della legge ogni «intervento necessario per contrastare qualsiasi fenomeno di infiltrazione del crimine organizzato» e l'insieme di «azioni volte alla prevenzione ed al contrasto non repressivo della criminalita' organizzata».

Si tratta, invero, di principi e finalita' indicati in modo eccessivamente generico ed ampio, che riguardano di conseguenza anche attivita' da ricondurre nell'alveo della politica criminale, sottratta come tale alla cognizione del legislatore regionale nei sensi illustrati in premessa.

Segnatamente, per quanto riguarda i principi indicati all'art. 1, la legge regionale solo al comma 1 recita che la Regione Puglia «in armonia con i principi costituzionali, nel rispetto delle competenze dello Stato e in conformita' con l'ordinamento comunitario, concorre allo sviluppo dell'ordinata e civile convivenza della comunita' regionale pugliese e alla crescita della coscienza democratica attraverso un sistema integrato ...», mentre al comma 2 non e' altrettanto rispettosa della competenza statale laddove prevede che la Regione medesima «promuove e sostiene ogni intervento necessario per contrastare qualsiasi fenomeno di infiltrazione del crimine organizzato nel tessuto sociale ed economico regionale e rimuoverne le cause», atteso che tali interventi non sono limitati a quelli rientranti nella competenza regionale prevedendosi la possibilita' per la Regione di intervenire mediante l'adozione di «ogni intervento» per prevenire «qualsiasi fenomeno» di infiltrazione del crimine organizzato, e quindi anche quelli rientranti nell'attivita' di tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza rimessi allo Stato.

In relazione all'art. 2, inoltre, laddove, al comma 1, indica quale finalita' dell legge quella di disciplinare «l'insieme delle azioni volte alla prevenzione e al contrasto non repressivo alla criminalita' organizzata», utilizzando il riferimento allo «insieme» delle «azioni volte alla prevenzione» e «contrasto non repressivo», indica in modo eccessivamente ampio le competenze regionali poiche', come detto, la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica riservati allo Stato non comportano un'attivita' esclusivamente repressiva, riguardando anche l'attivita' di prevenzione dei reati rientrante nella cosiddetta «politica criminale», con la conseguenza che la norma invade la competenza statale per difetto di una puntuale definizione delle finalita' demandate all'ambito regionale e, nella misura in cui esclude dagli interventi regionali solo quelli repressivi, implica una chiara rivendicazione della competenza a disciplinare e attuare interventi preventivi; che invece, come detto, e come e' pacifico, fanno parte integrante della materia riservata alla legislazione statale esclusiva.

Ne' questa genericita' degli articoli 1 e 2 e' elisa dalla definizione degli interventi prevista all'art. 3, perche' tale enumerazione non e' tassativa, e le stesse definizioni di prevenzione primaria, secondaria e terziaria ivi contenute, sono suscettibili, per la loro aspecificita', di essere lette in senso eccessivamente ampio per effetto della mancanza di una puntuale definizione dei principi e delle finalita' di cui agli articoli 2 e 3.

2. Illegittimita' costituzionale degli articoli 4 e 5 della legge regionale per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera h, della Costituzione.

I vizi recati dalla disciplina di cui agli articoli 1 e 2 censurati ridondano anche sugli articoli 4 e 5, che prevedono gli strumenti regionali della «concertazione» e del «piano regionale integrato» per l'attuazione delle finalita' connesse alla legge in oggetto.

In particolare l'art. 4, prevede, che la Regione favorisce il metodo della concertazione quale strumento strategico per la «programmazione e l'attuazione degli interventi di cui alla presente legge»; l'art. 5 prevede, inoltre, l'adozione di un piano regionale integrato volto al contrasto della criminalita' organizzata per programmare gli interventi per la «attuazione delle finalita' della presente legge».

Si tratta di strumenti, connotati anche dalla democrazia partecipativa, che la disciplina regionale prevede in via generale per tracciare le linee degli interventi per il contrasto alla criminalita' organizzata e mafiosa sul territorio regionale, al fine di dare «attuazione» ai principi e alle finalita' della legge riguardanti, come censurato, ogni «intervento necessario per contrastare qualsiasi fenomeno di infiltrazione del crimine organizzato» (art. 1) e l'insieme di «azioni volte alla prevenzione ed al contrasto non repressivo della criminalita' organizzata» (art. 2).

Ne consegue, in via derivata, una invasione della competenza statale anche sotto tali aspetti attuativi per la esposta eccessiva genericita' ed ampiezza che caratterizza l'ambito di azione di questi strumenti regionali di contrasto alla criminalita', che sono peraltro all'evidenza inefficaci per l'assolvimento dei compiti prettamente statali di tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico, e potrebbero tradursi fattori di interferenza con il pieno esercizio delle funzioni amministrative statali in materia.

3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 1 e 2 lettera k) della legge della Regione Puglia n. 14/2019 per violazione dell'art 117, comma 2, lettera h) e lettera 1) della Costituzione.

L'art. 6 della legge Regione Puglia n. 14/2019 istituisce la Fondazione antimafia sociale - Stefano Fumarulo e dispone.

«1. La Regione, per promuovere e coordinare le iniziative di cui alla presente legge, promuove la costituzione della «Fondazione antimafia sociale - Stefano Fumarulo», per il contrasto non repressivo alla criminalita' organizzata e per contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel tessuto sociale ed economico.

2. La Fondazione antimafia sociale:   a) raccoglie e valorizza la produzione scientifica elaborata da Stefano Fumarulo in relazione allo studio del fenomeno mafioso, delle sue interrelazioni con i sistemi economici, politici, culturali e la azioni dell'antimafia sociale;   b) cura la raccolta e l'analisi delle norme in vigore, la documentazione sulla presenza della criminalita' organizzata e mafiosa presente nel territorio regionale, con l'obiettivo specifico di analizzare e studiare evoluzione, modalita' e strumenti operativi, al fine di rendere efficaci gli interventi di contrasto della criminalita' mafiosa e corruttiva che hanno una ricaduta sull'economia del tessuto regionale;   c) promuove relazioni con organismi analoghi attivi sul territorio nazionale e negli Stati aderenti all'Unione europea al fine di raccogliere informazioni, dati, documentazione, pubblicazioni, studi e ricerche scientifiche relative alle diverse esperienze sul tema;   d) partecipa, in accordo con le altre strutture regionali connesse alle tematiche trattate, alla redazione della proposta di Piano regionale integrato di cui all'art. 5;   e) cura la raccolta di informazioni sull'analisi predittiva in materia di sicurezza urbana per il miglioramento delle politiche di prevenzione in materia di sicurezza, protezione del cittadino e fenomeni di disordine urbano, in virtu' delle richieste di maggiore sicurezza provenienti dalla cittadinanza;   f) assicura la valorizzazione e il costante monitoraggio dell'attuazione, coerente e coordinata, delle iniziative di cui alla presente legge e la condivisione sistematica dei risultati e delle attivita', di concerto con le competenti commissioni regionali;   g) cura la raccolta, la conservazione e la diffusione delle storie di vita delle vittime innocenti del terrorismo e delle mafie, tra le nuove generazioni al fine di rafforzare l'identita' collettiva che si alimenta attraverso il ricordo come impegno civico contro le forme di omerta';   h) propone azioni idonee a rafforzare gli interventi di prevenzione e contrasto, con particolare attenzione alle misure per la trasparenza nell'azione amministrativa e nel settore dei servizi, lavori e forniture e nel settore edile e delle costruzioni a committenza sia pubblica sia privata, attraverso l'attivita' dell'Osservatorio legalita' che monitora il fenomeno del crimine mafioso e organizzato nel territorio regionale, di cui all'art. 7;   i) predispone una relazione annuale sulla propria attivita', propone interventi volti a favorire la conoscibilita', anche attraverso la rete internet, dei presidi di trasparenza e legalita', adottati nei settori economici e amministrativi ritenuti particolarmente esposti alle infiltrazioni criminali. In particolare, la Fondazione antimafia sociale, svolge attivita' di impulso per l'attuazione della normativa regionale attivando strumenti di analisi e proponendo soluzioni;   j) collabora alla costruzione di percorsi di ricerca storica, antropologica, sociologica, pedagogica, economica, giuridica e statistica per l'evoluzione, e le azioni di prevenzione e contrasto adottate dalla Repubblica, le modalita' di azione delle organizzazioni criminali. Incoraggia interventi a favore delle scuole di ogni ordine e grado e delle universita', per rendere i giovani consapevoli dei danni che la corruzione e le mafie procurano all'economia legale;   k) predispone, d'intesa con l'Agenzia dei beni confiscati, la banca dati dei beni confiscati alla criminalita' organizzata esistenti sul territorio regionale, accessibile a tutti; nella banca dati devono essere individuati, attraverso la georeferenziazione, tutti i beni ed videnziate, oltre alle generalita' del soggetto destinatario della confisca, anche la natura, l'estensione, il valore, la destinazione d'uso dei singoli beni. In caso di concessione del bene a terzi, indipendentemente dalla finalita' perseguita, nella banca dati devono essere inseriti anche i dati identificativi del terzo concessionario, la descrizione della tipologia dell'attivita' svolta sul bene, gli estremi dell'atto di concessione, la durata e la data di scadenza;   l) formula, nelle materie di propria competenza e anche su propria iniziativa, osservazioni e pareri su progetti di legge.

3. La Giunta Regionale emana gli atti amministrativi al fine di formalizzare e rendere operativa la istituzione della Fondazione, e disciplina le modalita' organizzative e individua le strutture della Regione chiamate a collaborare all'esercizio delle funzioni attribuite alla Fondazione antimafia sociale.

4. La Fondazione antimafia sociale, nel rispetto della normativa vigente in materia di riservatezza, rende disponibili i dati e le informazioni relativi alla propria attivita' attraverso la loro pubblicazione su un portale dedicato.».

La disposizione in esame, in termini generali, viola il riparto di competenze legislative tra Stato e regioni in materia di ordine pubblico e sicurezza in primo luogo laddove promuove la costituzione della fondazione «per il contrasto non repressivo alla criminalita' organizzata e per contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel tessuto sociale ed economico».

Tali attivita' sono da ricomprendere nell'ambito della politica criminale sottratta alla competenza del legislatore regionale.

Si e' visto nella premessa che esulano dalla competenza regionale le attivita' e le misure che presentino un impatto, anche potenziale, sulle attivita' e misure di carattere regolatorio, organizzativo, operativo dettate dalla legge statale nel campo della prevenzione e repressione dei reati. Tali attivita' e misure rientrano integralmente nella competenza esclusiva statale ex art. 117, comma 2, lettera h) Cost.

Non vi e' dubbio che costituire un ente (tra l'altro, di natura incerta, non essendo chiaro, in particolare in base a quanto dispone il comma 3 dell' art. 6, se la costituenda «Fondazione antimafia sociale Stefano Fumarulo» sia un ente pubblico o una persona giuridica privata) preposto alle «iniziative ... per il contrasto non repressivo alla criminalita' organizzata e per contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel tessuto sociale ed economico» (cosi l'art. 6, comma 1), sia una misura di carattere concretamente organizzativo e operativo nel campo della prevenzione e della repressione della criminalita'.

Il fatto che le funzioni dell'ente siano enunciate nel comma 1 in termini cosi ampi e generici non evita, e anzi essenzialmente determina, il vizio di illegittimita' costituzionale qui denunciato.

Uno spettro cosi' ampio di attivita', potenzialmente estese a qualsiasi forma di prevenzione della criminalita', posto che le sole forme di contrasto escluse sono quelle «non repressive», implica la rivendicazione della competenza regionale ad intervenire attivamente, appunto, nel campo della prevenzione della criminalita'; il che, come si e' visto in premessa, certamente esula dalla competenza regionale e fa part integrante della materia riservata in esclusiva allo Stato.

Questa considerazione e' confermata dalla specificazione delle funzioni attribuite all'ente, che si trova nel comma 2. Tali funzioni, al di la' dell'apparente analiticita' con cui sono descritte, presentano un oggetto particolarmente ampio, per lo meno in potenza.

E' il caso, in particolare, della previsione del comma 2, lettera h), che attribuisce all'ente un potere di proposta (non si specifica diretta a chi, e quindi potenzialmente anche ad organi dello Stato), di «azioni idonee a rafforzare gli interventi di prevenzione e di contrasto» della criminalita' organizzata, con riferimento particolare alla trasparenza dell'azione amministrativa e ai settori edile e delle commesse pubbliche; e precisa che cio' avverra' attraverso l'Osservatorio legalita' di cui all'art. 7, del pari qui impugnato con il motivo che segue.

Non vi e' dubbio che la proposta di azioni, cioe' di provvedimenti concreti, idonee al rafforzamento della prevenzione del crimine organizzato invada in modo immediato il perimetro delle attivita' operative di prevenzione di tale crimine; attivita' indiscutibilmente riservate allo Stato.

La previsione dell'art. 6, comma 2, lettera h), e' quindi viziata dalla medesima illegittimita' che colpisce l'art. 7, con cui sta in connessione inscindibile. Sicche' essa andra' dichiarata illegittima in via conseguenziale.

Del pari viziata e', poi, la previsione di cui all'art. 6, comma 2, lettera k), secondo cui la costituenda fondazione predispone, d'intesa con l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata (ANBSC), una banca dati dei beni confiscati alla criminalita' organizzata esistenti sul territorio regionale, accessibile a tutti.

Al riguardo va osservato che la violazione dell'art. 117, comma 2 lettera h e' di particolare rilievo in quanto e' pacifico che la prevenzione della criminalita' organizzata compete allo Stato ex art. 117, comma 2, lettera h), ed e' stata disciplinata, essenzialmente, dal codice antimafia (decreto legislativo n. 159/2011).

La predisposizione di una banca dati dei beni confiscati alla criminalita' organizzata nel territorio pugliese si sovrappone all'analoga struttura operante presso l'ANBSC in base a precise disposizioni di legge.

Invero, la normativa di cui al decreto legislativo n. 159/2011 (Codice antimafia), con apposita sezione dedicata al funzionamento dell'ANBSC, e con precise disposizioni che regolamentano i rapporti dell'Agenzia con l'Autorita' giudiziaria, ha imposto l'adozione di un sistema informativo funzionale al necessario raccordo tra i soggetti a vario titolo interessati al processo di gestione e destinazione di beni sottoposti a misura ablatoria.

L'entrata in vigore del decreto del Presidente della Republica n. 233/2011, emanato in attuazione delle disposizioni di cui all'art. 113, comma 1, lettera c) del Codice antimafia, ha regolamentato la disciplina dei flussi informativi necessari per l'esercizio dei compiti attribuiti all'Agenzia, da effettuarsi per via telematica a cura dell'Autorita' giudiziaria.

Per ottemperare alle prescrizioni normative ora richiamate, nel 2013 l'ANBSC si e' dotata della banca dati ReGIO, connessa tramite cooperazione applicativa, concertata con il Ministero della giustizia, con i sistemi informativi del Ministero della giustizia.

La cooperazione applicativa nasce al fine dell'instaurazione di un passaggio diretto di dati tale da consentire la conoscenza da parte dell'ANBSC dell'insieme dei beni confiscati nell'ambito di ogni singolo procedimento giudiziario (penale o prevenzione) che possa consentire all'ANBSC di svolgere la propria azione di competenza nelle fasi che la vedono responsabile della gestione e della destinazione dei beni.

L'ANBSC ha ideato e rilasciato la piattaforma telematica «OpenReGIO» ai fini della riorganizzazione ed innovazione dei processi operativi di competenza dell'ANBSC, anche mediante la creazione di un rapporto diretto e basato sul web con i coadiutori, le prefetture, l'Agenzia del demanio, gli enti territoriali, il mondo delle associazioni.

L'accesso ai dati, secondo i vari livelli di sicurezza predisposti in relazione alle caratteristiche dell'utente e' regolamentato da apposito disciplinare di funzionamento sottoposto all'attenzione dell'AGID e del Garante per la protezione dei dati personali.

La piattaforma e' stata implementata con dati analitici e documentali. Cio' ha permesso di re-inventariare ex novo tutti i procedimenti giudiziari in carico all'Agenzia ed i beni confiscati ancora in gestione.

Inoltre, l'ANBSC intende rafforzare e pubblicare in chiave «open data» (dati aperti) tutto il proprio patrimonio informativo ostensibile, negli anni accumulato dai diversi attori che nel corso delle diverse vigenze legislative detenevano la responsabilita' della gestione e/o destinazione dei beni confiscati (amministratori giudiziari, Demanio, prefetture, Agenzia del demanio, ANBSC).

Il principio dei dati aperti rilasciati dalle pubbliche amministrazioni in forme disaggregate, tali da poter essere correlati con altri archivi di dati e liberi da ogni vincolo al riutilizzo, fa parte del piu' ampio principio dell'amministrazione aperta o open government; vale a dire un modello di amministrazione che cerca di rendere procedimenti e decisioni piu' trasparenti e aperti alla partecipazione dei cittadini.

Coerentemente quindi con i principi dell'open government ed in coerenza anche con le iniziative governative in materia, tra cui, da ultimo, l'Agenda digitale ed il piano di crescita digitale, l'ANBSC sta operando per creare tutte le precondizioni necessarie alla pubblicazione, in formato open, di tutte le informazioni relative ai beni confiscati, alla loro destinazione ed alloro riutilizzo.

L'iniziativa, che nella fase iniziale ha riguardato le sole aziende sequestrate e confiscate perverra', alla sua conclusione (programmata per il corrente anno 2019), alla pubblicazione in formato open di ogni altra informazione riguardante le altre tipologie di beni, quali beni mobili registrati, beni finanziari, beni immobili (fabbricati e terreni), beni mobili di pregio.

L'evidente sovrapposizione della ipotizzata banca dati regionale a quanto le norme statali e l'azione amministrativa dell'ANSBC prevedono e attuano, rende palese l'incompetenza della Regione in materia. Incompetenza che, comunque, sussisterebbe anche senza la illustrata sovrapposizione, poiche' la banca dati dei beni confiscati costituisce uno strumento indispensabile per l'efficiente e, in particolare, unitario svolgimento dei compiti dell'ANSBC e degli altri soggetti istituzionali (autorita' giudiziaria, prefetture, enti locali) preposti ad applicare il codice antimafia, specificamente nella parte relativa alle misure di prevenzione patrimoniale. La banca dati in questione non puo', quindi, essere gestita che dall'Agenzia nazionale e avere estensione nazionale. Ogni frammentazione territoriale interferirebbe con l'azione di prevenzione dei fenomeni mafiosi, notoriamente non limitati a determinate aree del paese.

Sotto altro aspetto, il comma 2, lettera k) dell'art. 6 e' illegittimo perche' il codice antimafia all'art. 112, comma 4, lettera m), dispone che ANBSC, previo parere motivato del Comitato consultivo di indirizzo, possa sottoscrivere convenzioni o protocolli con le pubbliche amministrazioni, regioni, enti locali, ordini professionali, enti ed associazioni per le finalita' indicate dal codice stesso. Ma, da un lato, cio' implica che l'iniziativa di tali convenzioni debba provenire dall'ANSBC, e che comunque l'oggetto delle convenzioni sia l'azione di competenza dell'Agenzia stessa; laddove la disposizione in esame prevede che l'iniziativa dell'intesa provenga dalla ipotizzata Fondazione regionale e, soprattutto, che l'oggetto dell'intesa siano le funzioni della Fondazione stessa, e non dell'Agenzia.

E' palese come la norma, in questa parte, venga a condizionare l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia, prevedendo che questa operi a supporto di un ente esterno assumendo vincoli convenzionali finalizzati ad agevolare l'azione di quest'ultimo e non le finalita' istituzionali dell'Agenzia.

Dall'altro lato, dal contenuto del citato art. 6, come gia' avvertito, non si evince la natura della Fondazione in esame. In particolare, il comma 3 dell'art. 6 non prevede che l'attivita' della Fondazione sia finanziata dal bilancio regionale, ne' quali siano e come siano composti gli organi della Fondazione, che non sono indicati dalla legge regionale e dovranno essere individuati, senza alcun criterio preventivamente fissato dalla legge, da generici «atti amministrativi» della Giunta regionale.

Cio' non consente di qualificare la Fondazione come ente pubblico regionale, e, anzi, depone per la sua natura di soggetto di diritto privato. Il che ulteriormente interferisce con le funzioni pubbliche dell'Agenzia, che sotto il decisivo aspetto della individuazione e catalogazione dei beni confiscati non possono, evidentemente, essere condivise con privati. Cio' che e' confermato dalla qualita' prevalentemente pubblica dei soggetti con i quali, ai sensi del citato 112, comma 4, lettera m) del codice antimafia, l'Agenzia puo' stipulare convenzioni.

La violazione del riparto di competenze in materia di ordine pubblico e sicurezza e' infine di tutta evidenza nella prevista menzione nella ipotizzata banca dati delle «generalita' del soggetto destinatario della confisca».

Tale disposizione si sovrappone agli obblighi di pubblicazione specificamente previsti dall'art. 48, comma 3, lettera c), del Codice antimafia ai sensi del quale «gli enti territoriali provvedono a formare un apposito elenco dei beni confiscati ad essi trasferiti, che viene aggiornato con cadenza mensile. L'elenco, reso pubblico nel sito internet istituzionale dell'ente, deve contenere i dati concernenti la consistenza, la destinazione e l'utilizzazione dei beni nonche', in caso di assegnazione a terzi, i dati identificativi del concessionario e gli estremi, l'oggetto e la durata dell'atto di concessione.».

Oltre alla violazione dell'art. 117, comma 2, lettera h), sotto il profilo della sovrapposizione alle funzioni degli enti locali ora ricordate, in questa parte la disposizione confligge anche con l'art. 117, comma 2, lettera l) Cost., nella parte in cui, attribuendo alla legislazione statale esclusiva la disciplina dell'ordinamento civile, attribuisce a tale competenza esclusiva la disciplina sulla tutela dei dati personali. La pubblicazione accessibile a tutti, nella ipotizzata banca dati regionale, delle generalita' del soggetto destinatario della confisca, incide infatti, palesemente, sulla tutela di dati personali (per giunta, di natura «sensibile»), dei quali viene prevista la indiscriminata divulgazione.

Nella parte in cui prevede, invece, la divulgazione dei dati identificativi dei concessionari dei beni confiscati, la norma regionale si sovrappone alla previsione statale appena riportata, che assegna tale competenza ai comuni.

4. Illegittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge della Regione Puglia n. 1412019 per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera h della Costituzione.

L'art. 7 dispone l'istituzione, in seno alla Fondazione di cui all'art. 6 ora esaminato, dell'Osservatorio legalita'.

Secondo l'art. 7,   1. La Fondazione di cui all'art. 6 istituisce, quale struttura interna, l'Osservatorio legalita'.

2. L 'Osservatorio e' composto da sette componenti:   a) cinque componenti, di cui due in rappresentanza delle minoranze consiliari, nominati dal Consiglio regionale;   b) un componente designato dal direttore dell'Ufficio scolastico regionale, in rappresentanza delle istituzioni scolastiche;   c) un componente designato dall'assessore regionale competente, in rappresentanza del mondo delle associazioni che svolgono attivita' di educazione alla legalita' e contrasto alla criminalita'.

3. I componenti dell'Osservatorio devono essere soggetti di riconosciuta esperienza nel campo del contrasto dei fenomeni di stampo mafioso e della criminalita' organizzata sul territorio pugliese nonche' della promozione della legalita' e della trasparenza e assicurare indipendenza di giudizio e azione rispetto alla pubblica amministrazione e alle organizzazioni politiche. Non possono far parte dell'Osservatorio e, se gia' nominati decadono, coloro i quali siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per i reati previsti nei titoli II e III del libro secondo del codice penale.

4. L'Osservatorio e' organismo consultivo in materia di contrasto e di prevenzione dei fenomeni di criminalita' organizzata e di stampo mafioso, nonche' di promozione della cultura della legalita', a supporto della Giunta regionale, della commissione consiliare competente, nonche' degli altri organismi consiliari.

5. L'Osservatorio redige una relazione annuale sull'attivita' svolta da inviare al Presidente della Regione e al Presidente del Consiglio regionale. L'Osservatorio inoltre predispone documentazione, aperta alla fruizione dei cittadini, sui fenomeni connessi al crimine organizzato e mafioso, con specifico riguardo al territorio regionale, al fine di favorire iniziative di carattere culturale, per la raccolta di materiali e per la diffusione di conoscenze in materia mediante apposita pubblicazione sui siti internet della Regione e del Consiglio regionale.

6. L'incarico di componente dell'Osservatorio e' svolto a titolo gratuito».

La disposizione viola l'art. 117, comma 2, lettera g) e lettera h) Cost.

Nel prevedere l'instaurazione in seno alla Fondazione di un osservatorio di legalita', definito genericamente come organismo consultivo in materia di contrasto e di prevenzione dei fenomeni di criminalita' organizzata e di stampo mafioso la norma regionale genera sovrapposizioni e interferenze con gli organismi statali deputati ad intervenire sulle materie di ordine e sicurezza pubblica.

Al riguardo codesta Corte costituzionale ha sancito il principio secondo cui «le forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono compiti e attribuzioni di organi dello Stato non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni; nemmeno l'esercizio della loro potesta' legislativa: esse debbono trovare il loro fondamento e il loro presupposto in leggi statali che le prevedono o le consentano, in accordi tra gli enti interessati» (sent. n. 134/2004).

Sotto questo profilo, nella parte in cui prevede la partecipazione all'Osservatorio di un componente designato dal direttore dell'Ufficio scolastico regionale (comma 2, lettera b)), la disposizione in esame viola, quindi, l'art. 117, comma 2, lettera g) Cost., che riserva alla competenza statale esclusiva l'organizzazione degli organi dello Stato. Infatti, con tale disposizione la legge regionale unilateralmente impone un obbligo di partecipazione ad un organismo regionale ad un organo statale quale l'Ufficio scolastico regionale.

Ma piu' in generale, nella parte in cui configura l'Osservatorio come uno strumento preposto a supportare la Giunta e il Consiglio regionali nell'attivita' di «contrasto e di prevenzione dei fenomeni di criminalita' organizzata e di stampo mafioso» (comma 4), la disposizione invade la competenza statale esclusiva in materia di ordine e sicurezza pubblica (art. 117, comma 2, lettera h)).

La previsione di strutture attivamente operanti nel campo del contrasto e prevenzione suddetti interferisce infatti in modo diretto con la competenza statale esclusiva a disciplinare tali attivita'.

Ne' potrebbe obiettarsi che il comma 4 limita l'azione dell'Osservatorio a funzioni consultive della Giunta e del Consiglio regionali. La consulenza alla Giunta e al Consiglio in relazione all'azione di prevenzione e contrasto della criminalita' organizzata presuppone, infatti, la rivendicazione da parte del legislatore regionale della competenza degli organi regionali ad intervenire direttamente in tale campo (l'azione di contrasto e di prevenzione), che invece esula dalle competenze della Regione.

La genericita' del riferimento ad ogni possibile azione di contrasto e di prevenzione dimostra il carattere invasivo della previsione qui impugnata, che potrebbe essere ricondotta a legittimita' costituzionale solo se specificasse in modo chiaro e tassativo (il che non fa) gli ambiti in cui la Giunta e il Consiglio, e i loro eventuali organi di consulenza, possono intervenire riguardo ai fenomeni di criminalita' organizzata; e lo facesse precisando che si tratta di ambiti che escludono del tutto qualsiasi azione diretta di contrasto e di prevenzione.

5. Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1 e comma 2, lettera d) ed e) della legge della Regione Puglia n. 14/2019 per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera h della Costituzione.

L'art. 9 della legge regionale n. 14/2019 dispone «Interventi per la promozione di politiche locali per la legalita' e il contrasto al crimine organizzato e mafioso».

Esso prevede:   «1. La Regione Puglia valorizza il ruolo degli enti locali nel perseguimento degli obiettivi della presente legge e adotta specifiche iniziative per valorizzare e diffondere le migliori politiche locali per la trasparenza, la legalita' e il contrasto al crimine organizzato e mafioso.

2. La Regione istituisce, con apposito regolamento da emanare entro il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un rating di buone prassi degli enti locali in materia di antimafia sociale, finalizzato a riconoscere e valorizzare le migliori iniziative attuate dagli enti locali per il perseguimento degli obiettivi della presente legge, con particolare riferimento a:   a) pubblicazione dell'anagrafe degli eletti e di altre informazioni tese a garantire la piena trasparenza patrimoniale degli amministratori;   b) attuazione, a livello locale, del rating di legalita' per le imprese, previsto dal decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita');   c) la migliore attuazione delle disposizioni di legge in materia di trasparenza e anticorruzione;   d) promozione della conoscenza e del riuso sociale dei beni confiscati alla criminalita' organizzata;   e) attuazione di iniziative di contrasto al gioco d'azzardo e alla proliferazione delle sale da gioco in aree sensibili delle citta'.

3. La Regione Puglia promuove specifiche azioni formative rivolte ad amministratori, dirigenti e funzionari degli enti locali sui temi della prevenzione e del contrasto civile alle infiltrazioni della criminalita' organizzata e mafiosa, del riuso sociale dei beni confiscati, della diffusione della cultura della legalita' e della responsabilita'. In particolare, la Regione Puglia promuove azioni formative rivolte agli agenti di polizia locale per diffondere e implementare competenze specialistiche di lettura e monitoraggio delle dinamiche presenti sul territorio, al fine di accrescere la capacita' di prevenzione e contrasto dei fenomeni criminali, volte a diffondere la cultura dell'etica pubblica e a prevenire la corruzione e gli altri reati contro la pubblica amministrazione nell'ambito della programmazione dell'offerta formativa rivolta al personale.

La disposizione quanto al comma 1 viola l'art. 117, comma 2, lettera h) Cost., ancora una volta perche' prevede l'interferenza diretta della Regione nelle «politiche locali» finalizzate al «contrasto al crimine organizzato e mafioso». La previsione che la Regione adotti «specifiche iniziative» volte ad attuare politiche locali di contrasto al crimine organizzato e mafioso implica infatti, per il suo carattere aperto e indeterminato, per lo meno la possibilita' (si e' visto in premessa che e' sufficiente una interferenza anche meramente potenziale con le competenze statali) che la Regione adotti misure di carattere immediatamente organizzativo o operativo tese ad attuare il suddetto contrasto. Il che, con ogni evidenza, impinge nella competenza statale esclusiva in materia, e crea il pericolo, nella delicata materia, di interferenze e contrasti tra Stato e Regione.

Ancora una volta va rilevato che la genericita' del riferimento ad ogni possibile iniziativa di politica locale di contrasto e di prevenzione dimostra il carattere invasivo della previsione qui impugnata, che potrebbe essere ricondotta a legittimita' costituzionale solo se specificasse in modo chiaro e tassativo (il che non fa) gli ambiti in cui tali iniziative sono previste; e lo facesse precisando che si tratta di ambiti che escludono del tutto qualsiasi azione diretta di contrasto e di prevenzione.

Quanto al comma 2, lettera e), l'art. 9 invade la competenza statale in materia di ordine e sicurezza pubblica nella parte in cui prevede azioni della Regione nel campo del «riuso sociale dei beni confiscati alla criminalita' organizzata».

Invero, il codice antimafia contiene una disciplina esaustiva dell'impiego e destinazione dei beni confiscati alla criminalita' organizzata. Tale fase, successiva all'adozione ed esecuzione della misura di prevenzione, non e' meno essenziale di tali fasi preliminari. La fase dell'impiego e destinazione dei beni confiscati assicura, infatti, la definitiva fuoriuscita dei beni confiscati dal circuito dell'economia illecita, e il loro reinserimento nell'economia lecita (si pensi alle aziende confiscate) o in attivita' e progetti socialmente utili (si pensi all'impiego sociale o culturale degli immobili confiscati). In tal modo, la fase della destinazione finale dei beni confiscati concorre in modo essenziale al conseguimento dell'obiettivo proprio delle misure di prevenzione patrimoniale, che e' appunto la riconduzione dei profitti criminali all'economia lecita o all'utilita' sociale.

Anche la disciplina di tale fase costituisce, quindi, parte integrante della competenza statale esclusiva in materia di prevenzione e repressione del crimine organizzato, nella sua particolare attuazione attraverso le misure di prevenzione patrimoniale.

Ed infatti il codice antimafia, all'art. 47 comma 1, attribuisce in esclusiva all'ANBSC ogni decisione sulla destinazione dei beni immobili e dei beni aziendali confiscati. E all'art. 48, comma 3, specifica in modo analitico le destinazioni che l'Agenzia puo' assegnare a tali beni. In particolare, la lettera c) prevede che i beni in questione possano essere «c) trasferiti per finalita' istituzionali o sociali ovvero economiche, con vincolo di reimpiego dei proventi per finalita' sociali, in via prioritaria, al patrimonio indisponibile del comune ove l'immobile e' sito, ovvero al patrimonio indisponibile della provincia, della citta' metropolitana o della regione. Gli enti territoriali provvedono a formare un apposito elenco dei beni confiscati ad essi trasferiti, che viene periodicamente aggiornato con cadenza mensile.». E che «Gli enti territoriali, anche consorziandosi o attraverso associazioni, possono amministrare direttamente il bene o, sulla base di apposita convenzione, assegnarlo in concessione, a titolo gratuito e nel rispetto dei principi di trasparenza, adeguata pubblicita' e parita' di trattamento, a comunita', anche giovanili, ad enti, ad associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali, ad organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, a cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, o a comunita' terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti di cui al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonche' alle associazioni di protezione ambientale riconosciute ai sensi dell'art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, e successive modificazioni, ad altre tipologie di cooperative purche' a mutualita' prevalente, fermo restando il requisito della mancanza dello scopo di lucro, e agli operatori dell'agricoltura sociale riconosciuti ai sensi delle disposizioni vigenti nonche' agli enti parco nazionali e regionali. La convenzione disciplina la durata, l'uso del bene, le modalita' di controllo sulla sua utilizzazione, le cause di risoluzione del rapporto e le modalita' del rinnovo. I beni non assegnati a seguito di procedure di evidenza pubblica possono essere utilizzati dagli enti territoriali per finalita' di lucro e i relativi proventi devono essere reimpiegati esclusivamente per finalita' sociali. Se entro due anni l'ente territoriale non ha provveduto all'assegnazione o all'utilizzazione del bene, l'Agenzia dispone la revoca del trasferimento ovvero la nomina di un commissario con poteri sostitutivi.».

La lettera d) del comma 3 dell'art. 48 prevede, poi, che i beni confiscati possano essere «d) trasferiti prioritariamente al patrimonio indisponibile dell'ente locale o della regione ove l'immobile e' sito, se confiscati per il reato di cui all'art. 74 del citato testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, qualora richiesti per le finalita' di cui all'art. 129 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica. Se entro due anni l'ente territoriale destinatario non ha provveduto alla destinazione del bene, l'Agenzia dispone la revoca del trasferimento ovvero la nomina di un commissario con poteri sostitutivi».

Come si vede, la legge statale, anche con finalita' di coordinamento ex art. 118, comma 3 Cost., disciplina in modo particolarmente analitico tutte le forme di destinazione o riuso sociale dei beni confiscati, e incentra tale disciplina, in particolare, sul ruolo degli enti territoriali.

A fronte di cio', e' evidente come manchi qualsiasi spazio per un intervento legislativo e amministrativo regionale che tenda, a sua volta, come intende fare il comma 2, lettera d), qui in esame, a disciplinare il riuso sociale dei beni in questione da parte degli enti locali.

Quanto alla lettera e) del comma 2 dell'art. 9 della legge regionale impugnata, nella parte in cui prevede che la Regione determini le buone prassi in materia di iniziative degli enti locali nel contrasto al gioco d'azzardo e alla proliferazione delle sale da gioco, invade a sua volta un campo interamente e analiticamente disciplinato dalla legge statale, sempre in attuazione della competenza esclusiva ex art. 117, comma 2, lettera h), attesa la stretta correlazione intercorrente tra la disciplina del gioco d'azzardo e la prevenzione e repressione della criminalita' organizzata.

Invero, le disposizioni del testo unico del 1931 in materia di pubblica sicurezza sono state piu' volte aggiornate nel corso degli anni: ad esempio la legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006, art. 1, commi 525 ss), al fine di contrastare i fenomeni di illegalita' connessi alla distribuzione on line dei giochi con vincite in denaro, attribuisce in particolare all'Azienda autonoma Monopoli di Stato la puntuale regolamentazione del settore (vedi ad esempio il decreto 27 luglio 2011) e l'inibizione dei siti web privi delle autorizzazioni previste, o che svolgono attivita' in contrasto con la disciplina vigente. Il decreto-legge n. 98 del 2011 (convertito nella legge n. 111 del 2011), nel ribadire il divieto di partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori di 18 anni, inasprisce le sanzioni, di natura pecuniaria ovvero di sospensione dell'esercizio o di revoca in caso di commissione di tre violazioni nell'arco di tre anni (I controlli, stando a quanto riferito dal Governo in sede di interrogazione parlamentare, sono stati circa 38.000 nel 2013 e oltre 20.000 nel 2014). Lo stesso provvedimento detta anche norme piu' severe sui requisiti dei concessionari di giochi pubblici e disposizioni per contrastare l'evasione, l'elusione fiscale e il riciclaggio (commi 20 ss.).

La legge n. 88 del 2009, art. 24, commi 12 ss (legge comunitaria per il 2008), oltre a nuovi requisiti dei soggetti che richiedono la concessione ed un inasprimento delle sanzioni, prevede l'adozione di strumenti ed accorgimenti per l'esclusione dall'accesso al gioco on line da parte di minori, nonche' l'esposizione del relativo divieto in modo visibile negli ambienti virtuali di gioco gestiti dal concessionario (comma 17, lettera e). Con il c.d. «conto di gioco» di cui al comma 19 (per la cui apertura occorre fornire il codice fiscale) si crea una sorta di autolimitazione obbligatoria per il giocatore, che stabilisce i propri limiti di spesa settimanale o mensile, con conseguente inibizione dell'accesso al sistema in caso di raggiungimento della soglia predefinita. Per i giocatori e' prevista anche la facolta' di auto-esclusione dal sito del concessionario, con conseguente impedimento ad un nuovo accesso.

L'anagrafe dei conti di gioco consente anche il monitoraggio dell'attivita' di ciascun giocatore. Con la legge n. 220 del 2010 (art. 1, commi 78 ss) viene rivisto lo schema di convenzione tipo per le concessioni per l'esercizio e la raccolta dei giochi pubblici, anche al fine di contrastare la diffusione del gioco irregolare o illegale in Italia e le infiltrazioni della criminalita' organizzata nel settore, di tutelare la sicurezza, l'ordine pubblico ed i consumatori, specie minori d'eta' (sulla legittimita' di tali restrizioni all'attivita' di organizzazione e gestione dei giochi pubblici affidati in concessione, si veda anche la sentenza di codesta Corte costituzionale n. 56 del 2015).

Un intervento piu' organico in materia e' stato effettuato con il decreto-legge n. 158 del 2012 (il c.d. decreto Balduzzi convertito nella legge n. 189 del 2012) che affronta diverse tematiche.

Con riguardo ai profili sanitari, si prevede l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia (art. 5, comma 2). In attuazione di tale disposizione, e' stato approvato il Piano d'azione nazionale.

Per contenere i messaggi pubblicitari, si vieta l'inserimento di messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro nelle trasmissioni televisive e radiofoniche nonche' durante le rappresentazioni teatrali o cinematografiche non vietate ai minori.

Sono anche proibiti i messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonche' via internet, che incitano al gioco ovvero ne esaltano la sua pratica, ovvero che hanno al loro interno dei minori, o che non avvertono del rischio di dipendenza dalla pratica del gioco. La pubblicita' deve riportare in modo chiaramente visibile la percentuale di probabilita' di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco. Per i trasgressori (sia il committente del messaggio pubblicitario sia il proprietario del mezzo di comunicazione interessato) vi e' una sanzione amministrativa da 100.000 a 500.000 euro (art. 7, commi 4 e 4-bis).

Avvertimenti sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e sulle relative probabilita' di vincita devono essere riportati su schedine e tagliandi dei giochi; su apparecchi di gioco (c.d. AWP - Amusement with prizes), cioe' quegli apparecchi che si attivano con l'introduzione di monete o con strumenti di pagamento elettronico; nelle sale con videoterminali (c.d. VLT . Video lottery terminal); nei punti di vendita di scommesse su eventi sportivi e non; nei siti internet destinati all'offerta di giochi con vincite in denaro. In caso di inosservanza di tali disposizioni e' prevista la sanzione amministrativa di 50.000 euro (art. 7, commi 5 e 6).

Il Ministero dell'istruzione segnala l'importanza del gioco del responsabile agli istituti primari e secondari ai fini dell'organizzazione di campagne informative ed educative sul tema (art. 7, comma 5-bis).

Viene ribadito il divieto di ingresso ai minori di anni 18 nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro interne alle sale Bingo, nelle aree ovvero nelle sale in cui sono installati apparecchi VLT e nei punti vendita in cui si esercita - quale attivita' principale - quella di scommesse. Il titolare dell'esercizio e' tenuto ad identificare i minori di eta' mediante richiesta di esibizione di un documento di identita', tranne nei casi in cui la maggiore eta' sia manifesta (art. 7, comma 8) (come gia' detto, per la violazione del divieto di partecipazione a giochi d'azzardo da parte dei minori il decreto-legge n. 98 del 2011, art. 24, commi 20-22, ha previsto l'applicazione di sanzioni pecuniarie e della chiusura dell'esercizio commerciale da 10 a 30 giorni).

E' prevista l'intensificazione dei controlli sul rispetto della normativa (art. 7, comma 9) ed una «progressiva ricollocazione» dei punti della rete fisica di raccolta dei punti gioco per tener conto della presenza nel territorio di scuole, strutture sanitarie e ospedaliere, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi (art. 7, comma 10), regolamenti in materia, dando luogo anche ad un forte contenzioso.

In base al decreto Balduzzi e' stato istituito infine un osservatorio per valutare le misure piu' efficaci per contrastare la diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave.

Tale Osservatorio, inizialmente istituito presso l'Agenzia delle dogane e dei monopoli e' stato successivamente trasferito al Ministero della salute ai sensi della legge n. 190 del 2014 (legge finanziaria per il 2015), che ne modifica anche la composizione, per assicurare la presenza di esperti e di rappresentanti delle regioni, degli enti locali e delle associazioni operanti in materia.

La legge di stabilita' per il 2016 (legge n. 208 del 2015) ha poi introdotto norme per sanzionare l'impiego dei c.d. totem (apparecchi che permettono di collegarsi con piattaforme per il gioco on line) ed avviare un processo di contenimento del numero delle slot machine.

Sono state poi approvate anche disposizioni limitative della pubblicita', con riferimento sia agli orari in cui sono vietati i messaggi pubblicitari nelle tv generaliste (in pratica i canali presenti dai numeri 1 a 9 del telecomando: vedi a tale riguardo il decreto ministeriale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'8 agosto 2016) sia ai contenuti dei messaggi stessi. E' stato infine attribuito alla Conferenza unificata Stato autonomie locali il compito di dettare Linee guida sulle caratteristiche dei punti di vendita ove si svolge il gioco pubblico e la loro ricollocazione territoriale; tale Intesa e' stata raggiunta nella riunione del 7 settembre 2017.

E' quindi evidente come la materia del gioco d'azzardo, dal punto di vista della sua connessione con l'ordine e la sicurezza pubblica, sia interamente disciplinata a livello statale, e come le forme di coordinamento gli enti territoriali si debbano concordare nella Conferenza unificata Stato-autonomie locali.

Cio' esclude ogni spazio per una legislazione regionale che, come quella qui in esame, intenda unilateralmente prescrivere agli enti locali prassi amministrative nel campo del contrasto al gioco d'azzardo e alla proliferazione delle sale da gioco.

Va sottolineato, in proposito, che codesta Corte costituzionale ha sempre ammesso interventi legislativi (concorrenti) delle Regioni in materia di gioco d'azzardo soltanto sulla base della competenza legislativa regionale in materia sanitaria; e quindi nel circoscritto ambito della prevenzione e cura delle ludopatie, intese esclusivamente come fenomeni patologici. Si veda, da ultimo, in questo senso la sentenza di codesta Corte n. 108/2017, relativa alla legge regionale pugliese n. 43/2013.

In particolare, secondo questa sentenza, gli interventi attuati dalla Regione con quella legge non comportavano alcuna invasione della competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordine pubblico e sicurezza». Essi, infatti, non avevano la finalita' di «contrastare il gioco illegale, ne' per disciplinare direttamente le modalita' di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti e nemmeno per individuare i giochi leciti», ma trovavano invece il loro fondamento nella materia della «tutela della salute», nella quale le regioni possono legiferare nel rispetto dei principi dettati dalla legislazione statale «per evitare la prossimita' delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente piu' esposti all'illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della «dipendenza da gioco d'azzardo»: fenomeno da tempo riconosciuto come vero e proprio disturbo del comportamento, assimilabile, per certi versi, alla tossicodipendenza e all'alcoolismo».

E' quindi evidente l'illegittimita' costituzionale di disposizioni, come quella qui in esame, che intendano intervenire nella materia con finalita' di ordine e sicurezza pubblica, e non con finalita' strettamente sanitaria.

6. Illegittimita' costituzionale dell'art. 10, commi 1 e 2 della legge della Regione Puglia n. 14/2019 per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera h) della Costituzione.

Infine, per le ragioni gia' analiticamente esposte nel motivo che precede a proposito dell'art. 9, comma 2, lettera d) della legge regionale impugnata, viola l'art. 117, comma 2, lettera h) Cost. anche l'art. 10 della legge stessa, in particolare nei commi 1 e 2.

L'art. 10 della legge regionale n. 14/2019 dispone «Interventi per la valorizzazione di beni immobili e aziende confiscati alla criminalita' organizzata e mafiosa», e nei commi 1 e 2 prevede:   «1. La Regione Puglia promuove interventi per la valorizzazione e il riuso dei beni immobili e delle aziende confiscate alla criminalita' organizzata e mafiosa allo scopo di trasformare i mezzi e i proventi dell'economia criminale in risorse per la coesione sociale della comunita', per la creazione di occupazione e per lo sviluppo sostenibile del territorio, attraverso:   a) attivita' di assistenza tecnica agli enti locali assegnatari di tali beni e sostegno a progetti per il recupero e il riuso sociale dei beni e delle aziende confiscate;   b) iniziative per la raccolta, la catalogazione e la diffusione delle informazioni relative ai beni confiscati immediatamente disponibili per progetti di riuso sociale;   c) azioni di sensibilizzazione degli enti locali territoriali per incentivare il riuso sociale dei beni confiscati iscritti nel loro patrimonio anche attraverso la concessione a organizzazioni del terzo settore con bando di evidenza pubblica; promozione di interventi formativi sul tema del riuso sociale dei beni confiscati, destinati ad amministratori e dipendenti pubblici, operatori e aspiranti imprenditori sociali;   d) promozione di eventi e iniziative per il coordinamento e la messa in rete di enti locali, associazioni, imprese sociali e altri attori protagonisti di esperienze di riuso sociale di beni confiscati;   e) sostegno a progetti per il recupero, la rifunzionalizzazione e il riuso sociale dei beni confiscati capaci di generare occasioni di crescita economica e sociale in una prospettiva di auto sostenibilita' nel tempo, anche attraverso specifiche premialita' nei bandi e nelle iniziative regionali a supporto delle organizzazioni del terzo settore;   f) erogazione di contributi per la rimozione di ostacoli che impediscano il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati;   g) azioni di coinvolgimento della comunita' locale, delle organizzazioni di categoria e degli attori sociali pubblici e privati in azioni di accompagnamento e tutoraggio dei progetti di riuso.

2. La Regione puo' riconoscere una premialita' a quei progetti le cui attivita' prevedono il riutilizzo sociale dei beni immobili e il miglior riutilizzo delle aziende confiscate, in particolare di quelle agricole, confiscati alla criminalita' organizzata e mafiosa. A tale scopo, nel rispetto della normativa vigente, la Regione promuove la stipula di intese e accordi di collaborazione con gli organi dello Stato, altri enti pubblici e privati, nonche' associazioni e soggetti che gestiscono i beni confiscati, allo scopo di coordinare e promuovere il migliore utilizzo di beni e aziende confiscate alla criminalita'.

E' palese la totale sovrapposizione di queste previsioni con quelle recate dall'art. 48 del codice antimafia illustrato nel motivo che precede.

Si richiamano, quindi, come parte integrante del presente motivo, quelle previsioni e il relativo commento.

In definitiva, la legge statale, anche con finalita' di coordinamento ex art. 118, comma 3 Cost., disciplina in modo particolarmente analitico tutte le forme di destinazione o riuso sociale dei beni confiscati, e incentra tale disciplina, in particolare, sul ruolo degli enti territoriali.

A fronte di cio', e' evidente come manchi qualsiasi spazio per un intervento legislativo e amministrativo regionale che tenda, a sua volta, come intende fare l'art. 10, commi 1 e 2 qui in esame, a disciplinare il riuso sociale dei beni in questione da parte degli enti locali.

Il comma 1 si sofferma, in particolare, sull'assistenza tecnica agli enti locali e sulla sensibilizzazione di questi in relazione al riuso dei beni confiscati (lettere a), b), c)); e sul sostegno, anche finanziario, ai progetti di riuso adottati dai vari attori sociali pubblici e privati coinvolti (lettere d), e), f) g)). Il comma 2, invece, prevede che la Regione promuova intese e convenzioni con organi pubblici, anche statali, e con altri soggetti pubblici e privati, per «promuovere il migliore utilizzo di beni e aziende confiscate alla criminalita'».

Queste previsioni chiaramente interferiscono, duplicandole o condizionandone l'attuazione, con quelle del gia' riportato art. 48, comma 3, lettera c) e d) del codice antimafia. In particolare, ci si riferisce alla parte del comma 3, lettera c) in cui la legge statale prevede che «Gli enti territoriali, anche consorziandosi o attraverso associazioni, possono amministrare direttamente il bene o, sulla base di apposita convenzione, assegnarlo in concessione, a titolo gratuito e nel rispetto dei principi di trasparenza, adeguata pubblicita' e parita' di trattamento, a comunita', anche giovanili, ad enti, ad associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali, ad organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, a cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, o a comunita' terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti di cui al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonche' alle associazioni di protezione ambientale riconosciute ai sensi dell'art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, e successive modificazioni, ad altre tipologie di cooperative purche' a mutualita' prevalente, fermo restando il requisito della mancanza dello scopo di lucro, e agli operatori dell'agricoltura sociale riconosciuti ai sensi delle disposizioni vigenti nonche' agli enti parco nazionali e regionali. La convenzione disciplina la durata, l'uso del bene, le modalita' di controllo sulla sua utilizzazione, le cause di risoluzione del rapporto e le modalita' del rinnovo. I beni non assegnati a seguito di procedure di evidenza pubblica possono essere utilizzati dagli enti territoriali per finalita' di lucro e i relativi proventi devono essere reimpiegati esclusivamente per finalita' sociali.».

L'ampiezza degli interventi di sostegno, e con cio', di orientamento, dei progetti di riuso dei beni confiscati, nonche' di promozione della stipula di convenzioni per il riuso, che l'art. 10, commi 1 e 2 della legge regionale prefigura, chiaramente rende possibile, se non certo, che gli interventi regionali possano interferire, o sostituirsi integralmente, agli interventi previsti in modo analitico dalla legge statale. E, in questo modo, rende possibile che tali interventi regionali si traducano nella vanificazione pratica della competenza statale in materia; laddove e' essenziale, per la gia' illustrata connessione organica tra il riuso dei beni confiscati e le finalita' proprie delle misure di prevenzione patrimoniale, che i poteri di destinazione, di indirizzo e di controllo degli organi dello Stato, e in particolare dell'ANBSC, in materia di riuso, conservino la propria completa estensione.

7. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge regionale Puglia n. 14/2019 - Contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost.

7.1 L'art. 13 della legge regionale Puglia n. 14/2019 e' rubricato «Sostegno psicologico e/o psichiatrico e diritto alla salute», e dispone quanto segue:   «1. Agli invalidi vittime della mafia, della criminalita' organizzata, del terrorismo, del dovere, individuati nei modi di cui alla legge n. 302/1990 e ai loro familiari conviventi e' riconosciuto il diritto all'assistenza psicologia e/o psichiatrica a carico della Regione Puglia, da esercitarsi presso le strutture sanitarie pubbliche o convenzionate.

2. Gli invalidi vittime della mafia, della criminalita' organizzata, del terrorismo e del dovere, individuati nei modi di cui alla legge n. 302/1990 e i familiari, inclusi i familiari dei deceduti, limitatamente al coniuge e ai figli e, in mancanza dei predetti, ai genitori, sono esenti dalla partecipazione alla spesa per ogni tipo di prestazione sanitaria fruita presso le strutture del Servizio sanitario nazionale o le strutture private accreditate e farmaceutica nonche' dall'obbligo di pagare la differenza tra il prezzo di rimborso dei medicinali generici e il prezzo delle specialita' medicinali, coperte da brevetto».

7.2 Tale previsione assegna, in sostanza, i benefici ivi previsti, a soggetti non ricompresi tra i beneficiari dalla normativa statale cui fa diretto riferimento, ponendo a carico del Servizio sanitario regionale (e tramite esso di quello nazionale) prestazioni che non sono ricomprese tra le cure mediche che costituiscono i livelli essenziali di assistenza (L.E.A.) stabiliti dalla normativa statale (da ultimo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017, recante «Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all 'art. 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502»), in violazione del principio del contenimento della spesa pubblica sanitaria, quale principio generale di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.

Ed infatti il decreto del Presidente della Repubblica n. 243/2006 (recante il «Regolamento concernente termini e modalita' di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici gia' previsti in favore delle vittime della criminalita' e del terrorismo, a norma dell'art. 1, comma 565, della legge 23 dicembre 2005, n. 266»), pur ai fini della progressiva estensione alle vittime del dovere dei benefici gia' previsti in favore delle vittime della criminalita' e del terrorismo, riconosce il diritto all'esenzione dal pagamento del ticket per ogni tipo di prestazione sanitaria e il diritto all'assistenza psicologica a carico dello Stato solamente alle vittime stesse e ai loro familiari superstiti (art. 4, comma 1, lettera a), n. 2, e lettera c), n. 2).

Dal tenore letterale della surrichiamata disposizione regolamentare statale si evince pertanto con chiarezza che il diritto all'esenzione dal ticket sanitario e all'assistenza psicologica e' limitato ai «familiari superstiti», nozione che, per definizione, implica il decesso della vittima della criminalita' e del terrorismo.

Tanto e' vero che la citata disposizione del decreto del Presidente della Repubblica n. 243/2006 rinvia, per il diritto all'esenzione, direttamente all'art. 15 della legge n. 302/1990, e non all'art. 9 della legge n. 206/2004, il quale include (solo questo) tra gli aventi diritto a tale beneficio anche i «familiari» degli invalidi vittime degli atti di terrorismo che non siano deceduti.

Pertanto, a tenore delle vigenti disposizioni statali, nel caso in cui l'assistito (cui sia stato riconosciuto lo status di vittima della criminalita' e del terrorismo) non sia deceduto, il diritto all'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria e il diritto all'assistenza psicologica non potrebbero essere estesi al relativo coniuge o ai relativi figli.

7.3 Orbene, l'intervento normativo della Regione Puglia, includendo tra i destinatari dei benefici de quibus anche genericamente i «familiari conviventi» dell'assistito, e non solo quelli superstiti, configura i medesimi quale livello ulteriore di assistenza (c.d. «extra-L.E.A.»).

E' parimenti configurabile come livello ulteriore di assistenza il riconoscimento a tutte le categorie di invalidi di cui sopra del diritto all'esenzione dall'obbligo di pagare la differenza tra il prezzo di rimborso dei medicinali generici e il prezzo delle specialita' medicinali coperte da brevetto.

Si ricorda, infatti, che l'art. 15 della legge n. 302/1990, prevedendo che i cittadini italiani che abbiano subito ferite o lesioni in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato di atti di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico siano esentati dal pagamento del ticket sanitario per le prestazioni sanitarie, fa riferimento ad un istituto (quello appunto del ticket sanitario) che non e' assimilabile alla differenza tra il prezzo dei medicinali generici e il prezzo delle specialita' medicinali coperte da brevetto.

Per tali ragioni si ritiene che l'art. 13 della legge regionale Puglia n. 14/2019, laddove pone a carico del Servizio sanitario pubblico prestazioni non previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017, e dunque dal decreto legislativo n. 502/1992, violi il principio del contenimento della spesa pubblica sanitaria, quale principio generale di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.

Giova d'altronde rimarcare che la Regione Puglia e' impegnata nel Piano di rientro dal disavanzo sanitario, e non puo' dunque garantire livelli di assistenza ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa statale di riferimento, oggi fissati dal richiamato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017, vigendo il divieto di effettuare spese non obbligatorie, ai sensi dell'art. 1, comma 174, della legge n. 311/2004.

Al riguardo, e' appena il caso di richiamare il principio, reiteratamente affermato da codesta Corte costituzionale, per cui «l'autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell'ambito della gestione del servizio sanitario puo' incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa», viepiu' «in un quadro di esplicita condivisione da parte delle regioni della assoluta necessita' di contenere i disavanzi del settore sanitario» (cfr. sentenze n. 104 del 2013, n. 91 del 2012 e n. 193 del 2007).

Anche sotto tale profilo emerge indiscutibile il contrasto con i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, in violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.

8. Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, commi 1 e 3, della legge regionale Puglia n. 14/2019 - Contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera h) Cost.

8.1 Lo sconfinamento delle competenze legislative regionali in quelle connesse alla potesta' punitiva dello Stato, emerge altresi' dalla lettura dell'art. 16 della legge regionale Puglia n. 14/2019, ove, al comma 1, si prevede che «nell'attuazione delle politiche di prevenzione e contrasto dei fenomeni di illegalita' in materia di tutela dell'ambiente, connessi o derivanti da attivita' criminose di tipo organizzato e mafioso, la Regione promuove la conclusione di accordi e la stipula di convenzioni con le autorita' statali operanti sul territorio regionale nel settore ambientale (...)».

Anche a voler prescindere dalla evidente vaghezza ed indeterminatezza delle modalita' attuatine di siffatta norma, e financo delle finalita' connesse alla stipula dei predetti accordi o convenzioni, i cui contenuti, se non debitamente delineati, potrebbero comportare possibili sconfinamenti nelle scelte legislative statali (ed unicamente statali) in ordine al contrasto al crimine organizzato, ed incidere sull'attivita' delle Forze di Polizia, ne risulta evidente l'interferenza con l'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. che assegna alla competenza legislativa statale esclusiva la materia dell'ordine pubblico e della sicurezza.

Occorre al riguardo ricordare che il perseguimento della tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza «e' affidato dalla Costituzione, con l'art. 117, secondo comma, lettera h), in via esclusiva allo Stato, mentre le regioni possono cooperare a tal fine solo mediante misure ricomprese nelle proprie attribuzioni» (cfr. sentenza n. 63 del 2016 e sentenza n. 35 del 2012): e la previsione regionale de qua risulta incidere indebitamente in tale settore, viepiu' allorche' richiama l'attuazione delle politiche di prevenzione e contrasto dei fenomeni di illegalita' in materia di tutela dell'ambiente», che eccedono manifestamente dall'ambito della propria competenza legislativa, appartenendo oltre tutto la tutela dell'ambiente alla competenza statale esclusiva ex art. 117, comma 2, lettera s).

8.2 Analoga censura va rivolta alla previsione del comma 3 del medesimo art. 16 della legge regionale Puglia n. 14/2019, il quale prevede che la Regione adotti «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge un atto di indirizzo per rafforzare la prevenzione e il contrasto della corruzione e degli altri fenomeni di illegalita' nel settore sanitario».

Anche in questo settore, infatti, si rientra indiscutibilmente nell'ambito della competenza esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza, sicche' nessuna competenza la Regione puo' legittimamente auto-ascriversi in termini anche solo di «indirizzo», atteso che le linee programmatiche in subiecta materia sono per l'appunto di esclusiva competenza del legislatore statale.

Pertanto, anche il comma 3 dell'art. 16 si pone in patente contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.

9. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 2, della legge regionale Puglia n. 14/2019 - Contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.

Anche l'art. 17, comma 2, della legge regionale Puglia n. 14/2019, presenta profili di illegittimita' costituzionale consimili a quelli di cui al precedente motivo di ricorso, allorche' disciplina il ricorso allo strumento dei «protocolli di legalita'».

La menzionata disposizione regionale prevede invero che la Regione Puglia possa promuovere la stipula dei «protocolli di legalita' tra prefetture e amministrazioni aggiudicatrici, per potenziare gli strumenti di prevenzione e contrasto dei fenomeni corruttivi e delle infiltrazioni mafiose, nella realizzazione di opere e prestazione di servizi, in materia urbanistica e di edilizia privata, (...) al fine di:   a) garantire la regolarita' dei cantieri e il rispetto della normativa in materia di lavoro e sicurezza dei lavoratori;   b) dare piena e concreta attuazione ai piani di prevenzione della corruzione ai sensi della legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione);   c) confrontare e condividere valutazioni e proposte tra istituzioni, associazioni e cittadini;   d) diffondere tra la cittadinanza la conoscenza dell'esistenza di misure di sostegno nazionali e regionali in favore delle vittime del reato di usura o di estorsione».

Giova in proposito specificare come l'utilizzazione dei predetti strumenti (i «protocolli di legalita'»), cosi' come previsti dall'art. 1, comma 17, della legge n. 190/2012, sia rimessa alla mera discrezionalita' della singola stazione appaltante, che puo' inserirli all'interno dei propri bandi di gara, avvisi o lettere d'invito: ed infatti la anzidetta previsione statale dispone con estrema chiarezza che «le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalita' o nei patti di integrita' costituisce causa di esclusione dalla gara».

Pertanto, la configurazione di una potesta' legislativa regionale di tal segno, in realta' incidente sugli autonomi rapporti tra prefetture ed amministrazioni aggiudicatrici, risulta lesiva del riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni, cosi' come delineato dall'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., atteso che la normativa in materia di «anticorruzione» presenta evidenti connessioni con la materia dell'ordine pubblico e della sicurezza, riservata in via esclusiva al legislatore statale.

10. Illegittimita' costituzionale dell'art. 20, commi 2 e 3, della legge regionale Puglia n. 14/2019 - Contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera Cost.

10.1 L'art. 20, commi 2 e 3, della legge regionale Puglia n. 14/2019, prevede quanto segue:   «2. La Regione e i comuni affidano alle aziende per la casa e per l'abitare le funzioni di classificazione, ripristino, assegnazione e manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio immobiliare utilizzabile o riconvertibile a uso abitativo nell'ambito di beni immobili sequestrati o confiscati ai sensi del vigente codice antimafia.

3. Per le finalita' e l'attuazione di quanto previsto al comma 2 la Regione Puglia promuove la stipula di un protocollo d'intesa con l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita'».

Anche tali previsioni si pongono in contrasto con la competenza esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., segnatamente nel settore del contrasto alla criminalita' organizzata, per come delineata nel c.d. «Codice antimafia» (decreto legislativo n. 159/2011), dalla norma pure espressamente richiamato.

Come noto, infatti, l'anzidetto Codice statale disciplina dettagliatamente la gestione dei beni sequestrati e confiscati (articoli 40 e ss.), attribuendo le relative competenze all'autorita' giudiziaria, la quale puo' avvalersi di amministratori giudiziari e dell'attivita' di ausilio e supporto dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata (di cui agli articoli 110 e ss. del medesimo decreto legislativo n. 159/2011). E' appena il caso di ricordare che, tra i compiti istituzionali dell'Agenzia nazionale appena menzionata, rientrano i seguenti (comma 2 dell'art. 110):   «b) ausilio dell'autorita' giudiziaria nell'amministrazione e custodia dei beni sequestrati nel corso del procedimento di prevenzione di cui al libro I, titolo III; ausilio finalizzato a rendere possibile, sin dalla fase del sequestro, l'assegnazione provvisoria dei beni immobili e delle aziende per fini istituzionali o sociali agli enti, alle associazioni e alle cooperative di cui all'art. 48, comma 3, ferma restando la valutazione del giudice delegato sulla modalita' dell'assegnazione;   c) ausilio dell'autorita' giudiziaria nell'amministrazione e custodia dei beni sequestrati nel corso dei procedimenti penali per i delitti di cui agli articoli 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni; ausilio svolto al fine di rendere possibile, sin dalla fase del sequestro, l'assegnazione provvisoria dei beni immobili e delle aziende per fini istituzionali o sociali agli enti, alle associazioni e alle cooperative di cui all'art. 48, comma 3, del presente decreto, ferma restando la valutazione del giudice delegato sulla modalita' dell'assegnazione;   d) amministrazione e destinazione, ai sensi dell'art. 38, dei beni confiscati, dal provvedimento di confisca emesso dalla corte di appello, in esito del procedimento di prevenzione di cui al libro I, titolo III;   e) amministrazione, dal provvedimento di confisca emesso dalla corte di appello nonche' di sequestro o confisca emesso dal giudice dell'esecuzione, e destinazione dei beni confiscati, per i delitti di cui agli articoli 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, nonche' dei beni definitivamente confiscati dal giudice dell'esecuzione;   f) adozione di iniziative e di provvedimenti necessari per la tempestiva assegnazione e destinazione dei beni confiscati, anche attraverso la nomina, ove necessario, di commissari ad acta».

10.2 La previsione regionale qui in discorso, prevede in sostanza l'assegnazione di funzioni e compiti in subiecta materia alle aziende regionali ivi indicate, proprio in relazione a beni sequestrati e confiscati a norma del ripetuto decreto legislativo n. 159/2011: aziende regionali che - merita precisare - sono le strutture regionali deputate alla edilizia pubblica e sociale, derivanti dalla trasformazione dei precedenti istituti autonomi per le case popolari, trasformazione operata dalla legge regionale Puglia n. 22/2014, e le quali - giusta l'art. 6 di tale legge regionale - «svolgono le funzioni tecnico-amministrative relative all'edilizia residenziale pubblica e sociale e subentrano nei rapporti giuridici attivi e passivi gia' facenti capo agli ex IACP».

Appare dunque indiscutibile, anche alla luce delle pregresse esperienze di normativa regionale intervenuta in materia di beni sequestrati e confiscati nella giurisprudenza costituzionale (cfr. sentenza n. 34 del 2012), che le disposizioni regionali qui in commento si pongano in frontale contrasto con la competenza legislativa statale esclusiva nel settore dell'ordine pubblico e della sicurezza (art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.).

 

P. Q. M.

 

Per tutto quanto sopra dedotto e considerato il Presidente del Consiglio dei ministri, come in epigrafe rappresentato, difeso e domiciliato, ricorre alla Ecc.ma Corte costituzionale affinche' la stessa voglia dichiarare - in accoglimento delle suesposte deduzioni - la illegittimita' costituzionale degli articoli 1, comma 2; 2, comma 1; 4; 5; 6, commi 1 e 2 lettere h) e k); 7; 9, commi 1 e 2 lettere d) ed e); 10, commi 1 e 2; 13, comma 1; 16, commi 1 e 3; 17, comma 2; 20, commi 2 e 3; della legge regionale Puglia 28 marzo 2019, n. 14, recante il «Testo unico in materia di legalita', regolarita' amministrativa e sicurezza».

Si deposita la seguente documentazione:   1) copia autentica dell'estratto del verbale relativo alla deliberazione del Consiglio dei ministri del 20 maggio 2019, con l'allegata relazione;   2) copia della legge regionale Puglia 28 marzo 2019, n. 14, recante il «Testo unico in materia di legalita', regolarita' amministrativa e sicurezza», pubblicata sul B.U.R. Puglia n. 36 del 1° aprile 2019.

 

Roma, 30 maggio 2019

Avvocati dello Stato: Aiello - Venturini - Caselli