RICORSO N. 31 DEL 25 FEBBRAIO 2019 (DELLA REGIONE MOLISE)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 25 febbraio 2019.

(GU n. 10 del 6.3.2019)

 

Ricorso per la Regione Molise, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore dott. Donato Toma, con sede in Campobasso, via Genova, n. 11, cod. fisc. 00169440708, giusta procura speciale alle liti in calce al presente atto e in forza della delibera della Giunta regionale della Regione Molise n. 10 del 24 gennaio 2019 rappresentata e difesa dall'avv. prof. Massimo Luciani del Foro di Roma (cod. fisc. LCNMSM52L23H501G, fax. 06.90236029, posta elettronica certificata massimoluciani@ordineavvocatiroma.org), con domicilio eletto presso il suo studio in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, n. 9,   contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato nella cui sede in 00186 Roma, via dei Portoghesi, n. 12, e' domiciliato ex lege, per la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 25-septies del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, recante «Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria», convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, pubbl. in Gazzetta Ufficiale 18 dicembre 2018, n. 293.

 

Fatto

 

Premessa. - L'odierna quaestio impone di ricostruire, seppur sinteticamente, l'evoluzione della normativa in materia di commissariamenti delle regioni in piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario.

Le specifiche vicende della Regione Molise sono peraltro gia' note a codesta ecc.ma Corte, per essere state richiamate nel ricorso per conflitto d'attribuzione proposto da questo ente nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri per l'annullamento della delibera del Consiglio dei ministri del 7 dicembre 2018.

In questa sede, dunque, ci si limitera' a richiamarne solo gli aspetti rilevanti ai fini dell'auspicata dichiarazione d'illegittimita' costituzionale della norma indicata in epigrafe.

1. - L'art. 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nel testo precedente le modifiche apportate dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 (su cui v. subito infra) disponeva, per quanto qui rileva, che:  i) «Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per i rapporti con le regioni, decorsi i termini di cui al comma 78, accerta l'adeguatezza del piano presentato anche in mancanza dei pareri delle citate Struttura tecnica e Conferenza. [...] In caso di riscontro negativo, ovvero in caso di mancata presentazione del piano, il Consiglio dei ministri, in attuazione dell'articolo 120 della Costituzione, nomina il presidente della regione commissario ad acta per la predisposizione, entro i successivi trenta giorni, del piano di rientro e per la sua attuazione per l'intera durata del piano stesso [...]» (comma 79);   ii) «Qualora il presidente della regione, nominato commissario ad acta per la redazione e l'attuazione del piano ai sensi dei commi 79 o 83, non adempia in tutto o in parte all'obbligo di redazione del piano o agli obblighi, anche temporali, derivanti dal piano stesso, indipendentemente dalle ragioni dell'inadempimento, il Consiglio dei ministri, in attuazione dell'articolo 120 della Costituzione, adotta tutti gli atti necessari ai fini della predisposizione del piano di rientro e della sua attuazione.[...]» (comma 84, primo periodo);   iii) «In caso di dimissioni o di impedimento del presidente della regione il Consiglio dei ministri nomina un commissario ad acta, al quale spettano i poteri indicati nel terzo e quarto periodo del comma 83 fino all'insediamento del nuovo presidente della regione o alla cessazione della causa di impedimento. Il presente comma si applica anche ai commissariamenti disposti ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto-legge l° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e successive modificazioni» (comma 84-bis).

1.1. - Orbene, tra i commissariamenti disposti ai sensi dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007 - rientra anche quello che interessa da circa un decennio la Regione Molise. Giova infatti segnalare che il decreto-legge n. 159 del 2007 all'art. 4 - rubricato «Commissari ad acta per le regioni inadempienti» - prevede al primo comma che, «qualora nel procedimento di verifica e monitoraggio dei singoli Piani di rientro [...] si prefiguri il mancato rispetto da parte della regione degli adempimenti previsti dai medesimi Piani, in relazione alla realizzabilita' degli equilibri finanziari nella dimensione e nei tempi ivi programmati», il Presidente del Consiglio dei ministri, con la procedura di cui all'art. 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, «diffida la regione ad adottare entro quindici giorni tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi previsti nel Piano».

La stessa norma, al comma 2, dispone che, qualora la regione «non adempia alla diffida di cui al comma 1, ovvero gli atti e le azioni posti in essere, valutati dai predetti Tavolo e Comitato, risultino inidonei o insufficienti al raggiungimento degli obiettivi programmati, il Consiglio dei ministri, [...], nomina un commissario ad acta per l'intero periodo di vigenza del singolo Piano di rientro».

Non solo. Anche dopo l'inizio della gestione commissariale, e sempre «al fine di assicurare la puntuale attuazione del piano di rientro», il Consiglio dei ministri puo' nominare «uno o piu' subcommissari di qualificate e comprovate professionalita' ed esperienza in materia di gestione sanitaria, con il compito di affiancare il commissario ad acta nella predisposizione dei provvedimenti da assumere in esecuzione dell'incarico commissariale».

Quanto al rapporto tra commissario e sub-commissario, sempre l'art. 4, comma 2, in esame stabilisce che «i subcommissari svolgono attivita' a supporto dell'azione del commissario: essendo il loro mandato vincolato alla realizzazione di alcuni o di tutti gli obiettivi affidati al commissario con il mandato commissariale».

Com'e' evidente, dunque, la gestione commissariale disegnata dall'art. 4, comma 2, ha una struttura tendenzialmente duale. Il subcommissario, infatti, rappresenta la componente squisitamente tecnica, mentre il commissario - da individuarsi nella persona del presidente della regione interessata - costituisce l'elemento di raccordo politico-decisionale con l'istituzione regionale.

Quanto agli oneri derivanti dalla gestione commissariale essi sono - stando sempre al menzionato art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007 - «a carico della regione interessata».

1.2. - In questo quadro normativo si inseriva la legge 23 dicembre 2014, n. 190, che ha introdotto il principio dell'incompatibilita' tra la nomina a commissario ad acta e l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento.

L'art. 1, comma 569, della legge n. 190 del 2014 - nel testo in vigore fino al 18 dicembre 2018 - disponeva infatti che «la nomina a commissario ad acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario, effettuata ai sensi dell'articolo 2, commi 79, 83 e 84, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, e' incompatibile con l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento» e che «il commissario deve possedere un curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalita' ed esperienza di gestione sanitaria anche in base ai risultati in precedenza conseguiti».

La norma, conseguentemente, apportava le seguenti modifiche ai menzionati commi 79, 83, 84 e 84-bis, dell'art. 2 della legge n. 191 del 2009:   «a) al comma 79, alinea:  1) al terzo periodo, le parole: "il presidente della regione" sono sostituite dalla seguente: "un";  2) al quarto periodo, le parole: "presidente quale" sono soppresse»;   «b) al secondo periodo dell'alinea del comma 83, le parole: «il presidente della regione o un altro soggetto» sono sostituite dalla seguente: "un"»;   «c) al comma 84, le parole: "presidente della regione, nominato" sono soppresse e le parole: "ai sensi dei commi 79 o 83," sono sostituite dalle seguenti: ", a qualunque titolo nominato,"»;   «d) il comma 84-bis e' sostituito dal seguente:  "84-bis. In caso di impedimento del presidente della regione nominato commissario ad acta, il Consiglio dei ministri nomina un commissario ad acta, al quale spettano i poteri indicati nel terzo e nel quarto periodo del comma 83, fino alla cessazione della causa di impedimento"» (qui, come si vede, a parte l'eliminazione della fattispecie delle dimissioni, veniva meno, rispetto alla versione precedente, il riferimento all'applicazione ai commissariamenti disposti ex art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007).

1.3. - Successivamente, pero', l'art. 1, comma 395, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, stabiliva che «le disposizioni di cui al comma 569 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190» - citato al paragrafo precedente - «non si applicano alle regioni commissariate ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222».

Per tali regioni, infatti, «il Comitato e il Tavolo tecnico [...], con cadenza semestrale, in occasione delle periodiche riunioni di verifica, predispongono [...] una relazione ai Ministri della salute e dell'economia e delle finanze, da trasmettere al Consiglio dei ministri, con particolare riferimento al monitoraggio dell'equilibrio di bilancio e dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, anche al fine delle determinazioni di cui all'articolo 2, comma 84, della legge 23 dicembre 2009, n. 191».

1.4. - In forza del citato art. 1, comma 395, della legge n. 232 del 2016, dunque, per le regioni commissariate ai sensi dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007 - tra le quali era appunto la Regione Molise - non trovava applicazione nessuna delle disposizioni di cui al menzionato art. 1, comma 569, della legge n. 190 del 2014.

Per l'effetto in tali regioni:   la nomina a commissario ad acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione del piano di rientro non era «incompatibile con l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento» (art. 1, comma 569, primo periodo);   il commissario non doveva necessariamente «possedere un curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalita' ed esperienza di gestione sanitaria anche in base ai risultati in precedenza conseguiti» (art. 1, comma 569, secondo periodo).

Non solo. Alle regioni commissariate ai sensi dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007 non si applicavano neppure le altre previsioni del menzionato art. 1, comma 569, modificative dell'art. 2, commi 79, 83, 84 e 84-bis.

Tali disposizioni, dunque, valevano, si', ma nel testo vigente prima delle modifiche apportate dal citato art. 1, comma 569, sicche', come gia' segnalato al par. 1, stabilivano che:   i) il Consiglio dei ministri nominasse commissario ad acta il presidente della regione;   ii) solo in caso di dimissioni o di impedimento del presidente della regione il Consiglio dei ministri potesse nominare un commissario ad acta fino all'insediamento del nuovo presidente della regione o alla cessazione della causa di impedimento.

2. - Nella Gazzetta Ufficiale n. 293 del 18 dicembre 2018 stata pubblicata la legge 17 dicembre 2018, n. 136, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, recante «Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria» (hinc inde anche «decreto fiscale»).

L'art. 25-septies del decreto-legge n. 119 del 2018, rubricato «Disposizioni in materia di commissariamenti delle regioni in piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario», e' stato introdotto proprio in sede di conversione e ha disposto quanto segue:   «1. All'articolo 1, comma 395, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, sono apportate le seguenti modificazioni:  a) il primo periodo e' soppresso;  b) al secondo periodo, le parole: «per le medesime regioni» sono sostituite dalle seguenti: «per le regioni commissariate ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, 222».

2. Al comma 569 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, sono apportate le seguenti modificazioni:  a) nell'alinea, al primo periodo, le parole: «e successive modificazioni,» sono sostituite dalle seguenti: «ovvero ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, »;  b) nell'alinea, il secondo e il terzo periodo sono sostituiti dal seguente: «Il commissario ad acta deve possedere qualificate e comprovate professionalita' nonche' specifica esperienza di gestione sanitaria ovvero aver ricoperto incarichi di amministrazione o direzione di strutture, pubbliche o private, aventi attinenza con quella sanitaria ovvero di particolare complessita', anche sotto il profilo della prevenzione della corruzione e della tutela della legalita'.»;  c) la lettera d) e' sostituita dalla seguente:   «d) il comma 84-bis e' abrogato».

3. Le disposizioni di cui al primo e al secondo periodo del comma 569 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, come modificato dal comma 2 del presente articolo, si applicano anche agli incarichi commissariali in atto, a qualunque titolo, alla data di entrata in vigore del presente decreto. Conseguentemente il Consiglio dei ministri provvede entro novanta giorni, secondo la procedura di cui all'articolo 2, comma 79, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, alla nomina di un commissario ad acta per ogni regione in cui si sia determinata l'incompatibilita' del commissario, il quale resta comunque in carica fino alla nomina del nuovo commissario ad acta».

2.1. - Gli effetti dell'articolo in esame, con specifico riferimento alla Regione Molise, sono i seguenti.

Anzitutto l'art. 25-septies, comma 1, ha reintrodotto anche per le regioni commissariate ai sensi dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007 - come appunto l'odierna ricorrente - l'incompatibilita' fra la nomina a commissario ad acta e l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione.

In secondo luogo, l'art. 25-septies, comma 2, ha introdotto il principio - vincolante anche per le regioni commissariate ai sensi dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007 - che il commissario ad acta «deve possedere qualificate e comprovate professionalita' nonche' specifica esperienza di gestione sanitaria ovvero aver ricoperto incarichi di amministrazione o direzione di strutture, pubbliche o private, aventi attinenza con quella sanitaria ovvero di particolare complessita', anche sotto il profilo della prevenzione della corruzione e della tutela della legalita'».

Lo stesso comma 2 ha altresi' abrogato il comma 84-bis dell'art. 2 della legge n. 191 del 2009, norma, quest'ultima, dalla quale discendeva chiaramente la necessaria coincidenza tra commissario ad acta e presidente della regione, derogabile esclusivamente nell'ipotesi dell'impedimento o delle dimissioni di quest'ultimo.

Infine, il comma 3 dell'art. 25-septies ha disciplinato l'efficacia temporale della modifica introdotta, disponendo ch'essa si applica, retroattivamente, «anche agli incarichi commissariali in atto, a qualunque titolo, alla data di entrata in vigore del presente decreto».

Per di piu', la norma ha imposto al Consiglio dei ministri di provvedere «entro novanta giorni [...] alla nomina di un commissario ad acta per ogni regione in cui si sia determinata l'incompatibilita' del commissario, il quale resta comunque in carica fino alla nomina del nuovo commissario ad acta».

L'art. 25-septies del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, e' lesivo degli interessi e delle attribuzioni costituzionali della Regione Molise, che ne chiede la declaratoria d'illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di

 

Diritto

 

Premessa. - Occorre in limine segnalare che «la disciplina dei piani di rientro dai deficit di bilancio in materia sanitaria e' riconducibile a un duplice ambito di potesta' legislativa concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.: tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica» (Corte cost., sentt. nn. 278 del 2014 e 266 del 2016).

La previsione normativa di che trattasi tocca pertanto un campo certamente coperto da attribuzioni regionali costituzionalmente garantite.

Come - si confida - si dimostrera', l'art. 25-septies del decreto-legge n. 119 del 2018 non solo interseca, ma lede irrimediabilmente le prerogative costituzionali della Regione Molise, operando una gravissima compressione delle sue competenze legislative e amministrative negli ambiti materiali suindicati, compressione - si badi - ulteriore rispetto a quella che gia' discende dal suo «status» di regione commissariata in Piano di rientro.

L'incidenza nella sfera di competenza regionale a opera di una norma che modifica i criteri di nomina del commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo nel settore sanitario e', dunque, autoevidente e le censure che appresso si esporranno lamentano anzitutto la diretta violazione delle attribuzioni costituzionali riconosciute alla regione nelle materie «tutela della salute» e «coordinamento della finanza pubblica» ex articoli 117, comma 3, e 118 Cost., anche quando, in una con questi, saranno invocati altri parametri costituzionali.

1. - Violazione dell'art. 77 Cost. in riferimento alle attribuzioni costituzionali riconosciute alla regione nelle materie «tutela della salute» e «coordinamento della finanza pubblica» ex articoli 117, comma 3, e 118 Cost., nonche' in riferimento al principio di leale collaborazione. L'orientamento di codesta ecc.ma Corte e' costante nel ritenere che «le regioni possono impugnare un decreto-legge per motivi attinenti alla pretesa violazione del medesimo art. 77, "ove adducano che da tale violazione derivi una compressione delle loro competenze costituzionali" (sentenza n. 6 del 2004)» (sent. n. 22 del 2012).

Nel caso di specie la patente violazione dell'art. 77 Cost. - di cui appresso si dira' - non concerne l'intero decreto-legge, ma solo la norma di cui in epigrafe, e ridonda certamente in violazione del riparto di competenze tra lo Stato e la Regione Molise. Attraverso l'illegittimo inserimento dell'art. 25-septies nel decreto-legge n. 119 del 2018, lo Stato non solo ha impiegato uno strumento improprio, ammesso dalla Costituzione in presenza di condizioni qui - invece - carenti, ma ha vincolato la ricorrente (commissariata ai sensi dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007) senza il rispetto delle procedure collaborative fra lo Stato e le regioni che, come e' noto, sono da osservare anche nell'esercizio della funzione legislativa (sent. n. 251 del 2016). L'impiego dello strumento (che dovrebbe essere straordinario) del decreto-legge ha invece impedito qualunque forma di interlocuzione sia con la regione ricorrente, sia con la Conferenza Stato-Regioni.

1. - Come anticipato, la disciplina qui censurata e' stata introdotta dalla legge n. 136 del 2018, di conversione del decreto-legge n. 119 del 2018.

Nel testo di quest'ultimo, emanato dal Presidente della Repubblica e pubblicato in Gazzetta Ufficiale 23 ottobre 2018, n. 247, non v'era infatti alcuna traccia della norma de qua ne', tantomeno, di altre disposizioni lato sensu riconducibili al tema del commissariamento delle regioni in piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario.

Va in limine precisato, peraltro, che l'innesto dell'art. 25-septies nel corpo del c.d. «decreto-fiscale» rappresenta solo l'ultimo di una serie di tentativi del Governo - sin li' falliti - tesi a introdurre, indifferentemente dentro questo o quel decreto-legge, il divieto di cumulo dell'incarico commissariale con quello istituzionale anche nelle regioni in piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario commissariate ai sensi dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007.

Costituisce fatto notorio che il predetto divieto era stato inizialmente inserito, nel settembre 2018, nello schema di decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109 (recante «Disposizioni urgenti per la citta' di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze»), per poi essere stralciato dal testo definitivo.

Circa un mese dopo, nello «Schema di decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili» (13 ottobre 2018, ore 17,30), figurava una norma, l'art. 24 (rubricato proprio «Disposizioni in materia di commissariamenti delle regioni in piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario»), di tenore pressoche' identico all'art. 25-septies qui censurato.

Anche in questo caso, pero', la norma veniva stralciata dal decreto-legge prima dell'emanazione.

Nondimeno, nel dicembre 2018, in sede di conversione del medesimo decreto-legge n. 119 del 2018, la 6ª Commissione del Senato ha riproposto, pel tramite dell'emendamento 25.0.100, proprio l'introduzione della norma corrispondente all'attuale art. 25-septies del decreto-legge n. 119 del 2018.

Nell'emendamento, peraltro, si proponeva di modificare «anche il titolo del decreto-legge, in relazione alla materia cosi' introdotta». Affermazione, quest'ultima, palesemente confessoria dell'assoluta estraneita' della materia dei commissariamenti delle regioni in piano di rientro rispetto al contenuto proprio del decreto-legge n. 119 del 2018.

Tanto premesso circa il tortuoso iter della norma qui censurata, e' possibile illustrare le ragioni - invero autoevidenti - della violazione dell'art. 77 Cost.

1.1. - Anzitutto la norma impugnata viola l'art. 77 Cost. a causa della sua patente estraneita' rispetto alla materia disciplinata dalle altre disposizioni del decreto-legge in cui e' stata, del tutto inopinatamente, inserita.

Per costante insegnamento di codesta ecc.ma Corte costituzionale, «ogni disposizione introdotta in sede di conversione deve essere collegata ad una dei contenuti gia' disciplinati dal decreto-legge, ovvero alla ratio dominante del provvedimento originario considerato nel suo complesso». Per l'effetto, «l'inserimento di norme eterogenee rispetto all'oggetto o alla finalita' del decreto-legge determina la violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost.», violazione che «non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessita' e urgenza, giacche' esse, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del 2010), ma scaturisce dall'uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione attribuisce ad esso, con speciali modalita' di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012)» (sent. n. 154 del 2015).

Ora, e' ben evidente che l'art. 25-septies non ha alcuna connessione con i contenuti gia' disciplinati nel decreto-legge n. 119 del 2018 ne', peraltro, si inscrive coerentemente nel disegno complessivo del predetto decreto-legge. La stessa storia (del fallimento) dei tentativi del suo inserimento in decreti legge ripetutamente succedutisi nel tempo dimostra la natura strutturale dell'intervento e la sua estraneita' alla normazione primaria d'urgenza.

1.1.1. - Quanto ai contenuti, sia sufficiente considerare che il decreto-legge n. 119 del 2018 (recante «Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria»), nel testo presentato per la conversione al Senato, constava di due Titoli: il Titolo I, dedicato alle «Disposizioni in materia fiscale» (contenente norme in materia di pacificazione fiscale, contrasto all'evasione, etc.), e il Titolo II, contenente «Disposizioni finanziarie urgenti», che constava di soli 7 articoli, nessuno dei quali aveva minimamente a che vedere con il commissariamento delle regioni in piano di rientro dal deficit sanitario.

Orbene, dopo la fase di conversione, sia il contenuto che la struttura del decreto-legge in parola risultano invero trasfigurati.

Nel Titolo II - ribattezzato «Disposizioni finanziarie urgenti e disposizioni in materia sanitaria» - figurano, nel testo convertito, 29 articoli, di cui ben 22 introdotti con la legge di conversione.

Tra di essi figura anche l'art. 25-septies qui gravato, che disciplina un oggetto che, pacificamente, non ha nulla a che vedere con le altre disposizioni del decreto-legge n. 119 del 2018.

1.1.2. - Quanto alle finalita', va detto che il decreto-legge n. 119 del 2018, in premessa, da' conto della «straordinaria necessita' ed urgenza di prevedere misure per esigenze fiscali e finanziarie indifferibili».

A meno di non voler ridurre tale enunciazione a mera clausola di stile, bisogna constatare che la norma qui censurata non puo' in alcun modo essere ascritta fra le misure che rispondono a esigenze «fiscali» o «finanziarie», per di piu' indifferibili.

L'art. 25-septies, infatti, ha interamente riformato - con interventi mirati - la disciplina dei commissariamenti disposti ai sensi dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007 per le regioni in piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario.

Trattasi dunque di una normativa «a regime», che opera una scelta di sistema del tutto svincolata dalle contingenze (tantomeno fiscali o finanziare) del momento. Prova ne e' il fatto che circa due mesi prima lo stesso testo era stato inserito nello schema di un altro decreto-legge e lo stesso era accaduto con lo schema del medesimo decreto fiscale.

Non solo. Si consenta di anticipare quanto meglio si dira' infra, cioe' che risulta davvero paradossale che un decreto-legge inteso a far fronte a esigenze fiscali e finanziarie contenga una norma - qual e' quella qui impugnata - che anziche' razionalizzare la spesa pubblica l'aumenta.

E' infatti evidente che preferire a priori a chi sia gia' titolare di un incarico istituzionale presso la regione un soggetto esterno vuol dire imporre «a regime» alla regione commissariata un'ulteriore spesa, necessaria per remunerare, oltre al sub-commissario, anche il commissario ad acta.

1.2. - Si confida, quindi, di aver dimostrato che la norma qui gravata e' del tutto estranea all'oggetto e alle finalita' del decreto-legge n. 119 del 2018.

Orbene, e' fuor di dubbio che il vincolo di omogeneita' non riguarda solo il decreto-legge, ma anche la legge di conversione e che l'introduzione, in sede di conversione, di norme eterogenee configura una manifesta violazione dell'art. 77 Cost.

Codesta ecc.ma Corte, sin dalla sent. n. 22 del 2012 (e da li' costantemente), ha chiarito come «l'esclusione della possibilita' di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all'oggetto e alle finalita' del testo originario non risponda soltanto ad esigenze di buona tecnica normativa, ma sia imposta dallo stesso art. 77, secondo comma, Cost., che istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione, peculiare rispetto a quello ordinario».

Cio', ovviamente, non vuol dire che le Camere non possano apportare emendamenti al testo del decreto-legge. Nondimeno, «cio' che esorbita [...] dalla sequenza tipica profilata dall'art. 77, secondo comma, Cost., e' l'alterazione dell'omogeneita' di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario».

Ebbene: come visto, cio' e' proprio quanto si verifica nel caso di specie, atteso che l'art. 25-septies non ha nulla a che vedere ne' con l'oggetto ne' con le finalita' del provvedimento originario, dal quale, peraltro, era stato addirittura stralciato prima dell'emanazione.

2. - Violazione degli articoli 3 e 97 Cost. Violazione del principio di leale collaborazione ex articoli 117 e 118 Cost., e degli articoli 117, comma 3, 118 e 120 Cost. La disciplina introdotta dall'art. 25-septies del decreto-legge n. 119 del 2018 e' altresi' costituzionalmente illegittima in quanto apertamente in contrasto col principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost, e con quelli di buon andamento della pubblica amministrazione ex 97 Cost. e di leale collaborazione tra Stato e regioni (che presidia specificamente l'esercizio dei poteri sostituivi).

2.1. - Codesta ecc.ma Corte, in una risalente pronuncia, ha statuito il principio, tuttora ben saldo, che «il giudizio di ragionevolezza, [...], si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sent. n. 1130 del 1988).

Nel caso di specie non v'e' dubbio che una riforma della disciplina dei commissariamenti delle regioni in Piano di rientro dal deficit sanitario puo' avere un unico scopo: rendere quanto piu' rapido ed efficiente possibile il perseguimento degli obiettivi del piano medesimo e, quindi, l'uscita dal commissariamento. E' parimenti indubbio che il perseguimento di detto scopo necessita di un continuo confronto con l'amministrazione della regione commissariata.

Come e' stato affermato dalla Conferenza delle Regioni e delle Provincie autonome con Nota 2018/104/SRFS/C7, tale confronto istituzionale e operativo assicura «continuita' e forza all'azione di risanamento» rispetto al deficit sanitario, in quanto garantisce «il massimo raccordo possibile tra la programmazione regionale, l'azione amministrativa e la scelta del commissario». Solo in questo modo, infatti, le esigenze correlate ai vincoli di bilancio possono essere conciliate con quelle di opportuna allocazione dei servizi sui territori, attraverso una programmazione pienamente consapevole delle risorse finanziarie, organizzative e di personale del sistema sanitario regionale.

Tutto cio' considerato circa le esigenze da soddisfare e le condizioni concretamente esistenti, e' fuor di dubbio che ragionevole e' solo un intervento che agevola, o quantomeno consente, il confronto istituzionale e operativo costante tra l'amministrazione della regione commissariata e la struttura commissariale medesima.

Cio' vuol dire che tra l'una e l'altra deve necessariamente sussistere un elemento di raccordo, in grado di garantire la coerenza della programmazione regionale con le esigenze di bilancio che la struttura commissariale e' tenuta a perseguire.

In difetto di un simile elemento di raccordo, viceversa, il sistema di commissariamento non puo' operare correttamente, assicurando il buon andamento della macchina amministrativa.

2.2. - Orbene, venendo all'art. 25-septies del decreto-legge n. 119 del 2018, e' di piana evidenza che, rispetto agli scopi e alle circostanze esistenti, i mezzi prescelti dal legislatore sono non soltanto sproporzionati, ma addirittura dannosi.

La previsione di un'assoluta incompatibilita' del mandato commissariale con lo svolgimento di qualsivoglia incarico istituzionale in ambito regionale, per giunta applicabile retroattivamente anche nelle regioni in cui il commissariamento e' gia' in atto, e' infatti irragionevole e contraddittoria con la finalita' del piano di rientro e dello stesso commissariamento della sanita' regionale.

Essa, infatti, preclude al Governo l'affidamento dell'incarico commissariale proprio a quei soggetti che, in ragione della titolarita' di funzioni in ambito regionale, possono garantire il continuo confronto tra la struttura commissariale, l'amministrazione regionale e il territorio amministrato.

Confronto che - come rilevato supra - e' necessario ai fini dell'attuazione degli obiettivi del Piano di rientro.

Per tali ragioni la norma, oltre a essere senz'altro irragionevole, e dunque violativa dell'art. 3 Cost., e' altresi' in contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost., giacche' disegna «a regime» la struttura commissariale come entita' assolutamente slegata dall'istituzione regionale. Cosi' facendo il legislatore, anziche' rendere piu' efficiente l'attivita' della struttura commissariale, finisce per depotenziarla.

Non sfugge, infatti, che - a differenza di quanto il legislatore dimostra di ritenere -l'obiettivo del risanamento finanziario e' assai piu' difficile da raggiungere per una struttura priva di un elemento di raccordo con l'istituzione regionale che non per una gestione commissariale che in se' concentra sia una componente tecnica che una piu' prettamente istituzionale.

Giova sin d'ora ribadire - a scanso di equivoci - che tale insistenza sulla necessita' di un elemento di raccordo non incide minimamente sul principio dell'ovvia separazione dei ruoli - di commissario ad acta e di titolare di incarico istituzionale pur svolti dalla medesima persona fisica. Come codesta ecc.ma Corte ha in numerose occasioni ricordato, tale separazione e' cosi' netta che la stessa legge regionale non puo' sovrapporre le funzioni ascrivibili all'uno e all'altro, in ipotesi attribuendo al presidente pro tempore (ove nominato commissario), in quanto tale, compiti riservati al commissario.

Ed e' bene anche sgombrare un altro possibile equivoco: l'incarico commissariale a un titolare di funzioni in seno alla regione ben potrebbe essere inopportuno, ma l'inopportunita' dovrebbe essere accertata e motivata di volta in volta, non data astrattamente (e irragionevolmente) per presupposta una volta per tutte.

2.3. - Occorre insistere. Non e' chi non veda come la norma si fondi su un vero e proprio pregiudizio negativo circa la (in)capacita' e l'(in)idoneita' dei soggetti provenienti dall'amministrazione regionale allo svolgimento dell'incarico commissariale.

In buona sostanza, dunque, il legislatore muove dall'assunto che la concentrazione dell'incarico commissariale e di quello istituzionale sia sempre e comunque causa delle inefficienze nella gestione della sanita' regionale. Da tale postulato - senza effettuare alcun tipo di bilanciamento della pluralita' di interessi in gioco - fa discendere sempre e comunque il divieto di cumulo tra incarico commissariale e ogni altro incarico istituzionale.

Il divieto, quindi:   ha il perimetro piu' ampio che possa immaginarsi, atteso che la norma non esclude dal ventaglio dei «nominabili» il titolare di questo o quell'incarico istituzionale, ma - giova ribadirlo - chiunque sia titolare di qualsiasi incarico istituzionale;   opera in maniera indiscriminata, senza tener conto della specifica situazione in cui versa il percorso di risanamento della regione commissariata.

Ebbene, la norma gravata:   i) viola il combinato disposto degli articoli 3 e 97 Cost., istituendo una presunzione iuris et de iure di inidoneita' dei titolari di funzioni regionali e rendendo problematico il funzionamento dell'amministrazione, a causa dell'inevitabile difetto di coordinamento fra struttura commissariale e apparato regionale;   ii) conseguentemente, determina, senza alcuna valida ragione di rilievo costituzionale, un'ulteriore compressione delle competenze amministrative della regione nelle materie «tutela della salute» e «coordinamento della finanza pubblica», in patente violazione, oltre che del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., anche degli articoli 117, comma 3, e 118 Cost.;   iii) sopprime, senza perseguire alcun interesse meritevole di tutela, un meccanismo di fruttuosa collaborazione tra Stato e regioni, in patente violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., degli articoli 117, comma 3, 118 Cost., e del principio di leale collaborazione ex art. 117 Cost.

2.4. - Si confida di aver dimostrato che la disciplina censurata e' interamente costruita su un irragionevole automatismo legislativo, che impedisce al Consiglio dei ministri di effettuare una valutazione in concreto e basata sui dati del sistema sanitario regionale circa l'idoneita' e l'opportunita' della nomina a commissario ad acta di un soggetto che assicuri il necessario confronto con l'amministrazione regionale attraverso la coincidenza, in capo alla medesima persona, di un incarico istituzionale presso la regione.

Come tutti gli automatismi legislativi, ripetutamente stigmatizzati dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale (v., ex multis, sentt. nn. 303 del 1996 e 329 del 2007), anche quello imposto dall'art. 25-septies del decreto-legge n. 119 del 2018 determina irrazionalita' e inefficienze, connesse all'aprioristica esclusione di una possibilita' di scelta, che non si puo' nemmeno vagliare, nonostante sia - per le ragioni gia' accennate - la piu' ragionevole a disposizione.

La norma e' dunque violativa dell'art. 3 Cost. anche per il profilo specifico dell'assenza di un (anche minimo) margine di apprezzamento del caso concreto e anche per tale ragione dev'essere dichiarata costituzionalmente illegittima.

Tale e' infatti la conseguenza che discende dalla piana applicazione alla fattispecie de qua dei principi enunciati da codesta ecc.ma Corte costituzionale in tema di c.d «presunzioni insuperabili» e «automatismi sanzionatori».

Principi, questi, senz'altro estensibili - sia pure mutatis mutandis - al caso in esame. Valga il vero.

Nella sent. n. 329 del 2007 codesta ecc.ma Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost., di una norma «nella parte in cui, facendo discendere automaticamente dalla dichiarazione di decadenza il divieto di concorrere ad altro impiego nell'amministrazione dello Stato, non prevede[va] l'obbligo dell'amministrazione di valutare il provvedimento di decadenza dall'impiego, [...], al fine della ponderazione della proporzione tra gravita' del comportamento e divieto di concorrere ad altro impiego nell'amministrazione dello Stato».

Nella sent. n. 76 del 2017 codesto ecc.mo Collegio ha ribadito tale orientamento in materia di trattamento sanzionatorio della donna che sia madre di un minore, alla quale sia impedito ope legis l'accesso alle c.d. «modalita' agevolate di espiazione della pena».

In quel caso - ha rilevato la sentenza citata - venivano a collidere «l'interesse del minore con le esigenze di difesa sociale sottese alla necessaria esecuzione della pena inflitta al genitore in seguito alla commissione di un reato». L'equo bilanciamento di tali interessi, secondo codesta ecc.ma Corte, «puo' realizzarsi attraverso regole legali che determinano, in astratto, i limiti rispettivi entro i quali i diversi principi possono trovare contemperata tutela». Ove invece «il legislatore, tramite il ricorso a presunzioni insuperabili, nega in radice l'accesso della madre alle modalita' agevolate di espiazione della pena e, cosi', impedisce al giudice di valutare la sussistenza in concreto, nelle singole situazioni, delle ricordate esigenze di difesa sociale, non si e' piu' in presenza di un bilanciamento tra principi, che si traduce nella determinazione di una ragionevole regola legale: si e' al cospetto dell'introduzione di un automatismo basato su indici presuntivi, il quale comporta il totale sacrificio dell'interesse del minore». Nello stesso senso si possono citare, ex plurimis, le sentt. 31 del 2012 sulla perdita della potesta' genitoriale ex art. 569 del codice penale; 239 del 2014 sulla concessione della detenzione domiciliare speciale per le detenute madri; 76 del 2016 sul c.d. «ravvedimento collaborativo».

Ebbene: e' di piena evidenza che la norma impugnata reca una presunzione insuperabile d'inidoneita' dei titolari di incarichi istituzionali a svolgere l'incarico commissariale.

L'inspiegabile preclusione di ogni valutazione del caso concreto rende quindi la norma in irrimediabile contrasto con l'art. 3 Cost. anche per tale profilo, che inevitabilmente ridonda sulle competenze regionali sia legislative che amministrative in materia di «tutela della salute» e di «coordinamento della finanza pubblica».

2.5. - V'e', pero', anche un altro profilo di patente illegittimita' costituzionale della norma indicata in epigrafe, diverso da (benche' connesso con) quello di ragionevolezza.

L'art. 25-septies del decreto-legge n. 119 del 2018 risulta infatti in aperto contrasto con il principio di proporzionalita', pure desumibile dall'art. 3 Cost.

Nella sent. n. 1 del 2014 codesta ecc.ma Corte ha osservato che «il test di proporzionalita' utilizzato da questa Corte come da molte delle giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte di giustizia dell'Unione europea per il controllo giurisdizionale di legittimita' degli atti dell'Unione e degli stati membri, richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalita' di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra piu' misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi».

Ebbene: la norma qui impugnata non supera detto test di proporzionalita'.

Nel caso di specie, infatti, ammesso pure che la misura prescelta sia appropriata al perseguimento degli obiettivi (quod non!), essa:   i) non e' certamente quella meno pregiudizievole, atteso che, anzi, comprime al massimo le attribuzioni costituzionali della regione commissariata, estromettendo in ogni caso l'istituzione regionale dalla struttura commissariale;   ii) impone un onere evidentemente sproporzionato rispetto al perseguimento degli obiettivi di rientro, giacche' stabilisce il medesimo divieto di cumulo di incarico commissariale e istituzionale per qualunque regione, senza valutare, in forza della specifica situazione, se la sostituzione con un soggetto esterno sia in alcuni casi addirittura dannosa.

Per l'effetto, il commissario ad acta titolare di altro incarico istituzionale presso la regione sara' de plano sostituito con un soggetto esterno tanto in una regione in cui si stia dando puntuale adempimento agli obiettivi del Piano di rientro, quanto in un'altra in cui il dissesto sia stato aumentato da una gestione commissariale inefficiente e irresponsabile.

3. - Violazione, per altro profilo, del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., del principio del buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., del principio di leale collaborazione e di sussidiarieta', degli articoli 117, comma 3, 118 e 120 Cost. La previsione dell'incompatibilita' e' illegittima anche per un diverso profilo, specificamente connesso alla disciplina costituzionale dell'esercizio dei poteri sostitutivi.

A tal proposito, codesta ecc.ma Corte, nella sent. n. 171 del 2015 (richiamata anche dalla piu' recente sent. n. 56 del 2018, ma espressiva di un consolidato orientamento), ha affermato che l'art. 120 Cost. impone allo Stato di esercitare i poteri sostitutivi nel rispetto di limiti precisi, in quanto essi:   «devono essere attivati solo in caso di accertata inerzia della regione o dell'ente locale sostituito»;   «devono rispettare il principio di leale collaborazione all'interno di un procedimento nel quale l'ente sostituito possa far valere le proprie ragioni»;   «devono conformarsi al principio di sussidiarieta'».

Ebbene: e' di piana evidenza che l'art. 25-septies del decreto-legge n. 119 del 2018 non rispetta nessuno di tali paradigmi.

Anzitutto - come ampiamente argomentato al par. 2 - nel caso di specie si vieta di cumulare l'incarico istituzionale e quello, commissariale senza verificare se tale misura sia, nel caso specifico, proporzionata e necessaria e, soprattutto, se tale necessita' derivi dalla «accertata inerzia della regione» nel dare attuazione al piano di rientro. La norma in questione non prevede, infatti, alcuna fase di accertamento dell'inerzia della regione commissariata o di altre specifiche circostanze che rendano ragionevole e/o opportuno non concentrare in un unico soggetto l'incarico commissariale e quello istituzionale. La considerazione e' tanto piu' importante quanto piu' si rifletta sul fatto che la naturale alternanza di maggioranze politiche puo' determinare un cambio radicale alla guida delle regioni, con la conseguenza che e' illogico far gravare sui nuovi governi regionali eventuali inadempienze dei vecchi. Parimenti assente e' la previsione di una fase di confronto con la regione interessata che, nel rispetto del principio di leale collaborazione, le consenta quantomeno di esporre le ragioni che rendono preferibile la scelta di trattenere in capo a un soggetto titolare di incarico istituzionale anche il ruolo di commissario ad acta. Nulla di tutto cio', invece, e' previsto dalla norma censurata.

Neppure puo' dirsi rispettato, peraltro, il principio di sussidiarieta', atteso che, nel caso di specie, la scelta piu' ragionevole - i.e. il conferimento dell'incarico commissariale a un soggetto in grado di garantire un costante coordinamento operativo con l'istituzione regionale - sarebbe stata anche quella piu' «prossima» al soggetto sostituito.

A piu' forte ragione, dunque, la norma avrebbe dovuto indicare le circostanze - emergenti da una valutazione del caso concreto - in presenza delle quali il Governo poteva disattendere la regola della prossimita' che, nel caso di specie, si salda con quella della ragionevolezza, efficienza e (come subito appresso si dira') economicita' della decisione pubblica.

Ora, di piana evidenza che l'inosservanza della disciplina costituzionale in materia di esercizio dei poteri sostitutivi si riflette immediatamente sulle attribuzioni conferite alla regione dagli articoli 117, comma 3, Cost. (con specifico riferimento alla materia «tutela della salute») e all'art. 118 Cost.

La regione, infatti, finisce per non avere alcun ruolo all'interno della struttura commissariale, benche' il principio di leale collaborazione e l'art. 120 Cost. impongano che le regioni «direttamente interessat[e] dall'esercizio del potere sostitutivo siano specificamente e individualmente coinvolt[e] in modo da poter far valere le proprie ragioni».

Tanto, anche - e ancora una volta - in ispregio del principio di buon andamento della pubblica amministrazione sancito all'art. 97 Cost.

4. - Violazione degli articoli 81 e 97 Cost., in riferimento agli articoli 117, comma 3, e 118 Cost, nonche' in riferimento al principio di leale collaborazione. L'art. 25-septies del decreto-legge n. 119 del 2018 viola altresi' gli artt. 81 e 97 Cost., in riferimento alle attribuzioni costituzionali riconosciute alla regione nelle materie «tutela della salute» e «coordinamento della finanza pubblica» ex articoli 117, comma 3, e 118 Cost., nonche' in riferimento al principio di leale collaborazione.

4.1. - Come segnalato in narrativa, stando a quanto previsto dall'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007, gli oneri derivanti dalla gestione commissariale sono «a carico della regione interessata».

La norma qui censurata impone la nomina di un commissario esterno, il quale, ovviamente, dovra' essere remunerato. Pertanto, mentre nella vigenza della precedente normativa l'esborso a carico delle regioni riguardava la sola spesa per il sub-commissario esterno - atteso che l'incarico di commissario ad acta era svolto dal presidente della regione senza oneri ulteriori -, ora, in forza della norma indicata in epigrafe, la regione commissariata risulta gravata di una spesa aggiuntiva.

Il punto non e' di poco conto. Una regione sottoposta a Piano di rientro, com'e' noto, e' soggetta a vincoli finanziari assai stringenti che si risolvono, inevitabilmente, in una compressione della sua autonomia legislativa. Compressione che codesta ecc.ma Corte costituzionale ha dimostrato di ritenere inevitabile, rilevando persino che «l'illegittimita' costituzionale della legge regionale sussiste anche quando l'interferenza e' meramente potenziale e, dunque, a prescindere dal verificarsi di un contrasto diretto con i poteri del commissario incaricato di attuare il piano di rientro (sentenza n. 110 del 2014)» (sentenza n. 227 del 2015)» (sent. n. 14 del 2017).

Tutto cio' considerato, desta serie perplessita' il fatto che una regione tenuta ad astenersi da tutti gli interventi non previsti dal Piano che possano aggravare il disavanzo sanitario regionale (cfr. Corte cost., sent. n. 104 del 2013) e tenuta a tutelare «gli interessi della collettivita' amministrata [...] entro i limiti imposti dal legislatore nel delicato periodo del risanamento» (Corte cost., sent. n. 117 del 2018), possa essere onerata di spese ulteriori in virtu' di un puro e semplice automatismo legislativo.

Il tutto - si badi - senza disporre di strumenti per dimostrare al Governo la preferibilita', nel caso specifico, della nomina di un soggetto «interno» all'istituzione regionale.

Tanto, per il semplice fatto che la norma non prevede neppure la possibilita', per il Governo, di vagliare, tra piu' soluzioni possibili, quella migliore per la concreta condizione della regione interessata.

4.2. - Alla luce di quanto sin qui osservato emerge con chiarezza, anzitutto, che l'esigenza di contenimento della spesa pubblica riconducibile al disposto di cui all'art. 81 Cost. e' apertamente frustrata dalla norma qui censurata, che impone del tutto irragionevolmente un considerevole aumento della spesa pubblica regionale.

Non solo. Il legislatore non ha fornito alcuna indicazione delle ragioni che rendevano necessario abbandonare un modello economicamente piu' vantaggioso per le finanze pubbliche, in favore di un altro che impone alla regione nuovi oneri (e' superfluo ricordare che nella relazione al d.d.l. di conversione del decreto-legge n. 119 del 2018 l'articolo in questione neppure compare).

Tanto - si badi - per il semplice fatto che tali ragioni non sussistevano e che i maggiori oneri a carico della regione costituiscono semplicemente l'effetto dell'aprioristico pregiudizio negativo del legislatore nei confronti della concentrazione dell'incarico commissariale e di quello di presidente pro tempore della Giunta regionale.

L'art. 25-septies del decreto-legge n. 119 del 2018 si pone dunque in contrasto, oltre che con l'art. 81 Cost., anche con l'art. 97 Cost., poiche' risulta disatteso il criterio di economicita' ivi indicato, «secondo cui l'azione delle pubbliche amministrazioni deve perseguire i propri obiettivi, garantendo il buon andamento e l'imparzialita' con il minimo dispendio di risorse» (Corte cost., sent. n. 133 del 2016).

5. - Con specifico riferimento all'art. 25-septies, comma 3, del decreto-legge n. 119 del 2018.

Violazione del legittimo affidamento. Come gia' segnalato in narrativa, la norma censurata ha previsto, al terzo comnia, che «Le disposizioni di cui al primo e al secondo periodo del comma 569 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, come modificato dal comma 2 del presente articolo, si applicano anche agli incarichi commissariali in atto, a qualunque titolo, alla data di entrata in vigore del presente decreto». Per l'effetto, la norma ha disposto che «il Consiglio dei ministri provvede entro novanta giorni, secondo la procedura di cui all'articolo 2, comma 79, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, alla nomina di un commissario ad acta per ogni regione in cui si sia determinata l'incompatibilita' del commissario, il quale resta comunque in carica fino alla nomina del nuovo commissario ad acta».

La previsione in esame determina dunque un'applicazione sostanzialmente retroattiva della previsione d'incompatibilita'.

5.1. - Orbene, tale disposizione, in aggiunta a quanto illustrato nei precedenti paragrafi, comporta la cessazione automatica del mandato commissariale in corso, senza una previa e concreta verifica:   i) dello stato di avanzamento del piano di rientro;   ii) della capacita' e dell'idoneita' del commissario gia' nominato quanto al proseguimento dell'azione di risanamento;   iii) dell'opportunita' (se non addirittura della necessita') di attribuire l'incarico commissariale a una persona che sia gia' titolare di incarico istituzionale presso la regione.

Da tanto discende che l'applicazione dell'art. 25-septies, comma 3, del decreto-legge n. 119 del 2018 equivale a un intervento sostitutivo nei confronti delle regioni del tutto discrezionale, gravemente contraddittorio rispetto alla giurisprudenza costituzionale, la quale ha affermato che «il potere sostitutivo [...] lungi dal potere essere azionato ad libitum, si fonda su un presupposto, di solito da individuarsi nell'inerzia o nell'inadempimento da parte del sostituito» (sent. Corte cost., n. 152 del 2015).

Anche tale previsione, dunque, risulta violativa del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., del principio di buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., degli articoli 117, comma 3, 118 e 120 Cost., e del principio di leale collaborazione ex art. 117 Cost.

5.2. - A tali parametri, peraltro, deve aggiungersi quello della tutela del legittimo affidamento, che determina l'illegittimita' costituzionale delle leggi che impingono retroattivamente in situazioni giuridiche consolidate senza essere sorrette da una stringente ragione che giustifichi la compressione del diritto alla conservazione dello status quo ante a fronte di capricciosi interventi legislativi operanti in praeterito tempore.

Il principio del legittimo affidamento costituisce infatti un «principio connaturato allo Stato di diritto» (cosi' Corte cost., sent. n. 103 del 2013), che tutela le situazioni soggettive consolidatesi sulla base di atti - provenienti da organi amministrativi, legislativi o giudiziari -, che abbiano generato nei destinatari un'aspettativa di stabilita'. La legittima aspettativa di continuita' e' stata quindi frustrata senza alcuna ragione giustificativa.

Com'e' noto, secondo la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, di recente ribadita nella sent. n. 154 del 2017:   «il valore del legittimo affidamento nella certezza dei rapporti giuridici - la cui nozione appare sovrapponibile a quella maturata in ambito europeo, «stante la sostanziale coincidenza degli indici sintomatici della lesione del principio dell'affidamento elaborati nella giurisprudenza di questa Corte e in quella delle Corti europee» (sentenze n. 16 del 2017 e n. 203 del 2016) - trova copertura costituzionale nell'art. 3 Cost.», ma non «in termini assoluti e inderogabili»;   difatti, da un lato, «la posizione giuridica che da' luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio deve risultare adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per un periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento»;   dall'altro, «interessi pubblici sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a incidere in senso sfavorevole anche su posizioni consolidate - con il limite della proporzionalita' dell'incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti (sentenza n. 56 del 2015) - o su assetti regolatori precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n. 216 del 2015)».

Ebbene: nel caso di specie l'applicazione retroattiva della norma impugnata colpisce in modo indiscriminato tutti gli «incarichi commissariali in atto», senza operare alcuna distinzione in punto di durata dell'incarico medesimo e/o di durata del commissariamento.

  P.Q.M.

 

La Regione Molise, come in epigrafe rappresentata e difesa, chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia:   accogliere il presente ricorso;   per l'effetto, dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 25-septies del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, recante «Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria», convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, pubbl. in Gazzetta Ufficiale 18 dicembre 2018, n. 293.

Si deposita copia conforme all'originale della delibera della Giunta regionale della Regione Molise n. 10 del 24 gennaio 2019 di conferimento dell'incarico defensionale.

Roma, 15 febbraio 2019

Avv. Prof. Luciani