RICORSO N. 87 DEL 28 DICEMBRE 2018 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 28 dicembre 2018.

(GU n. 5 del 30.1.2019)

 

Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato c.f. 80224030587, fax 06/96514000 e PEC roma@mailcert.avvocaturastato.it presso i cui uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12, manifestando la volonta' di ricevere le comunicazioni all'indirizzo PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it nei confronti della Regione Lazio, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 3; 5, comma 1, lettera g); 5 comma 1, punto 2, lettera h); 5, comma 1, lettera i); 5, comma 1, punto 2, lettera l), e numero 7; 5, comma 6, lettera c); 20; 24; 32; 33; 79; e 84 della legge regionale 22 ottobre 2018, n. 7, pubblicata nel BUR n. 86 del 23 ottobre 2018, recante «Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale», giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 21 dicembre 2018.

Con la legge regionale n. 2 del marzo 2017 indicata in epigrafe, che consta di ottantanove articoli, la Regione Lazio ha emanato le «Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale».

In particolare:   l'art. 3 recante modifiche alle leggi regionali 28 ottobre 2002, n. 39, «Norme in materia di gestione delle risorse forestali» e successive modifiche e alla legge regionale 13 febbraio 2009, n. 1 «Disposizioni urgenti in materia di agricoltura. Elenco dei soggetti assegnatari di terreni ARSIAL» viola l'art. 117, comma 3, con riferimento all'art. 10 della legge n. 363/2000;   l'art. 5, comma 1, numero 2, lettera g), della legge regionale n. 7/2018 citata viola gli articoli 97 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione con riferimento all'art. 25, comma 2, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, legge quadro sulle aree protette;   l'art. 5, comma 1, lettera h), viola l'art. 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione;   l'art. 5, comma 1, numero 2, lettera i), viola l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione e si pone in contrasto con l'art. 13 della legge n. 394/1991 citata;   l'art. 5, comma 1, lettera l), punto n. 7, viola l'art. 117, lettera s), della Costituzione e si pone in contrasto con l'art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991 citata;   l'art. 20 viola l'art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione;   l'art. 24 viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione;   l'art. 32 viola l'art. 117, comma 2, lettera h), della Costituzione;   l'art. 33, comma 1, lettera a), viola l'art. 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione;   l'art. 79 viola l'art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione;   l'art. 84 viola l'art. 117, secondo comma, lettera l) e lettera m), della Costituzione.

E' avviso del Governo che con le norme denunciate in epigrafe la Regione Lazio abbia ecceduto dalla propria competenza in violazione della normativa costituzionale come si vuole dimostrare con l'illustrazione dei seguenti

 

Motivi

 

1. L'art. 3 della legge regionale 22 ottobre 2018, n. 7 viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione con riferimento all'art. 10 della legge n. 353/2000 (legge quadro in materia di incendi boschivi).

L'art. 3 della legge regionale n. 7/2018, contenuto nel Capo II «Disposizioni per la semplificazione in materia di ambiente, agricoltura caccia e pesca e governo del territorio», dispone, al comma 1, che «alla L.R. n. 39/2002 sono apportate le seguenti modifiche:   a) al comma 1 dell'art. 54 le parole "dagli articoli 74 e 75" sono sostituite dalle seguenti "dall'art. 74";   b) il secondo periodo del comma 3 dell'art. 58 e' soppresso;   c) dopo l'art. 67 e' inserito il seguente:   Art. 67-bis (ricostruzione di soprassuoli percorsi da incendio).

- "1. Nel rispetto di quanto previsto dall'art. 10 della legge n. 353/2000 e successive modifiche, ai fini della ricostruzione dei soprassuoli delle zone boscate e dei pascoli percorsi dal fuoco censiti nel catasto incendi di cui al comma 2 del medesimo articolo, i proprietari, gli affittuari, i locatari o i soggetti che esercitano un diritto reale di godimento sui suddetti soprassuoli possono procedere all'esecuzione di interventi a carattere selvicolturale o di ingegneria naturalistica. Nei primi quindici mesi dall'evento calamitoso, gli interventi di cui al primo periodo che non prevedono l'impiego di risorse finanziarie pubbliche essere realizzati senza l'autorizzazione di cui all'art. 45, previa comunicazione. Per i soprassuoli, compresi all'interno delle aree naturali protette regionali, si applicano le disposizioni di cui all'art. 33, comma 3, della L.R. n. 29/1997.».

Il comma 1 della norma in esame modifica, dunque, la legge regionale n. 39/2002 («Norme in materia di gestione delle risorse forestali»), introducendo l'art. 67-bis («Ricostituzione dei soprassuoli percorsi da incendio») citato, consentendo su tali soprassuoli, nel rispetto dell'art. 10 della legge n. 353/2000, «Legge quadro in materia di incendi boschivi», interventi privati a carattere silvicolturale o di ingegneria naturalistica, precisando che, nei primi quindici mesi dall'evento calamitoso, quegli interventi che non prevedano l'impiego di risorse finanziarie pubbliche possono essere realizzati previa comunicazione, senza l'autorizzazione di cui all'art. 45 della legge regionale n. 39/2002, contenente la disciplina delle utilizzazioni forestali e che rinvia al regolamento forestale in ordine alle modalita' con cui procedere a tali utilizzazioni.

Il richiamo alla legge regionale n. 39/2002 non e' conferente, perche' la predetta legge disciplina la gestione delle risorse forestali e non anche, come nel caso di specie, quelle fattispecie eccezionali quali i «territori percorsi dal fuoco».

La legge n. 353/2000 citata, legge quadro in materia di incendi boschivi, che e' normativa di principio e costituisce la norma interposta rilevante nel caso di specie, prevede che le regioni, oltre alle attivita' di previsione, prevenzione e lotta attiva, effettuino anche un controllo delle operazioni ivi poste in essere successivamente agli episodi di incendio al fine di evitare che interventi non idonei possano pregiudicare la ricostituzione del soprassuolo percorso dal fuoco evitando, altresi', operazioni di speculazione.

La disposizione regionale impugnata non e', pertanto, conforme alla normativa interposta, poiche' introduce una tutela insufficiente a evitare pregiudizi conseguenti alla ricostruzione del soprassuolo percorso dal fuoco.

L'art. 10 della legge n. 353/2000, «Divieti, prescrizioni e sanzioni», al comma 1, quarto periodo, stabilisce che «sono vietate per cinque anni, sui predetti soprassuoli, le attivita' di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica autorizzazione concessa dal Ministro dell'ambiente, per le aree naturali protette statali, o dalla regione competente, negli altri casi, per documentate situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici».

La legge statale, quindi, a prescindere dalla presenza di risorse pubbliche, obbliga in ogni caso le regioni a rilasciare i necessari atti autorizzatori.

La norma regionale de qua, che pure richiama l'art. 10 citato, introduce la possibilita' di intervenire senza autorizzazione e in base alla mera comunicazione nei primi 15 mesi dall'evento, richiedendo, dunque, solo per il periodo successivo il rilascio della previa autorizzazione.

La norma non prevede, inoltre, una clausola di salvaguardia per le fattispecie peculiari dove la tutela dell'ambiente richiede piu' alti margini di attenzione quali le aree che siano contermini a parchi naturalistici, riserve nazionali o regionali e/o zps, nonche' per situazioni ove siano riscontrabili aree di rischio idrogeologico.

Va sottolineato che i confini giuridici delle aree interessate non corrispondono alle caratteristiche di rischio e di conseguente necessita' di salvaguardia necessarie per i terreni percorsi dal fuoco. In tali contesti l'autorizzazione costituisce, come previsto dalla legge quadro n. 353 del 2000 citata, un mezzo per consentire interventi dei privati idonei a preservare le aree in parola e salvaguardare l'incolumita' pubblica.

La norma in esame risponde ad una esigenza di semplificazione, ma in tale ottica riduce i margini di salvaguardia senza bilanciare entrambe le esigenze di salvaguardia e di semplificazione. Cio' tanto piu' ove si consideri che la normativa regionale pare innestarsi su altra normativa afferente all'assegnazione a soggetti privati di terreni pubblici. La norma, pertanto, contrasta con la legge n. 353/2000 citata e viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione, che attribuisce la materia relativa al governo del territorio e quella della protezione civile alla competenza concorrente delle regioni.

Con la formula della potesta' concorrente la Costituzione stabilisce un riparto delle competenze in base al quale «spetta alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato».

L'attivita' legislativa regionale non assume la connotazione di una funzione delegata, ma, piu' esattamente, di una produzione normativa autonoma e originale nel quadro e nel contesto dei principi fondamentali della materia dettati dalla legislazione nazionale, oltre, ovviamente, ai principi di non contraddittorieta' che devono informare l'attivita' legislativa.

2. L'art. 5, comma 1, numero 2, lettera g), della legge regionale n. 7 del 2018 citata viola gli articoli 97 e 117, secondo comma, lettera s) e lettera m), della Costituzione con riferimento all'art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991 citata.

L'art. 5, comma 1, numero 2, lettera g), citato, nel modificare il comma 4 dell'art. 26 della legge regionale n. 29 del 1997, «Piano dell'area naturale protetta», introduce delle modifiche al procedimento di approvazione che risulta disciplinato nel seguente modo:   «4. Il piano adottato ai sensi dei commi precedenti e' depositato per quaranta giorni presso le sedi degli enti locali interessati e della Regione. L'ente di gestione provvede, con apposito avviso da pubblicare su un quotidiano a diffusione regionale, a dare notizia dell'avvenuto deposito e del relativo periodo. Durante questo periodo chiunque puo' prenderne visione e presentare osservazioni scritte all'ente di gestione, il quale esprime il proprio parere entro i successivi trenta giorni e trasmette il parere e le osservazioni alla Giunta regionale. Entro tre mesi dal ricevimento di tale parere la Giunta regionale, previo esame, da effettuarsi entro il limite di tre anni, della struttura regionale competente in materia di aree naturali protette, apporta eventuali modifiche ed integrazioni, pronunciandosi contestualmente sulle osservazioni pervenute e ne propone al Consiglio regionale l'approvazione. Trascorsi tre mesi dall'assegnazione della proposta di piano alla commissione consiliare competente, la proposta e' iscritta all'ordine del giorno dell'Aula ai sensi dell'art. 63, comma 3 del regolamento dei lavori del Consiglio regionale. Il Consiglio regionale si esprime sulla proposta di piano entro i successivi centoventi giorni, decorsi i quali il piano si intende approvato».

Tale modifica, nel porre una scansione temporale certa all'iter di approvazione dello strumento pianificatorio, consente lo svolgimento delle attivita' istruttorie per l'esame e valutazione dello stesso da parte del consiglio regionale, ma lascia alla giunta regionale, la possibilita' - trascorsi i termini - di pervenire all'approvazione, introducendo, di fatto, un vero e proprio meccanismo procedurale di silenzio assenso che si pone in contrasto con le disposizioni specifiche stabilite dal legislatore statale con la legge n. 394 del 1991 che all'art. 25, comma 2, espressamente prevede il «...piano per il parco e' adottato dall'organismo di gestione del parco ed e' approvato dalla regione»...

In base all'art. 25 della legge quadro sulle aree protette n. 394/1991 citata, il Piano del parco deve, dunque, essere approvato formalmente dalla Regione, con la conseguenza che il meccanismo del silenzio assenso, introdotto dalla norma regionale impugnata, disattende tale previsione normativa, ponendosi in. violazione dei principi fondamentali individuati dalla normativa statale.

La disciplina delle aree protette rientra nella competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell'ambiente» ex art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione ed e' contenuta nella legge n. 394 del 1991 citata, che, infatti, detta i principi fondamentali della materia, ai quali la legislazione regionale e' chiamata ad adeguarsi, quale normativa interposta. (sentenze n. 315 e n. 193 del 2010; n. 44, n. 269 e n. 325 del 2011; n. 14 del 2012; n. 212 del 2014 e n. 36 del 17 febbraio 2017).

L'istituto del silenzio-assenso, costituente eccezione all'obbligo dell'emanazione del provvedimento amministrativo, e' ammesso in relazione ad attivita' amministrative nelle quali sia pressoche' assente il profilo di discrezionalita', non anche nei procedimenti ad elevata discrezionalita' nell'ambito dei quali si puo' certamente ricomprendere quello di adozione del piano del parco previsto all'art. 25, comma 2 della legge n. 394 del 1991 citato (sentenza n. 408 del 1995).

Alla luce della giurisprudenza costituzionale e amministrativa deve ritenersi limitata la possibilita' il ricorso a procedure di silenzio-assenso in special modo in campo ambientale (cfr. art. 20 della legge n. 241 del 1990).

Il meccanismo di formazione tacita dell'atto di assenso strictu sensu non e' solo non rispettoso e cautelativo sotto il profilo del contemperamento degli interessi ambientali in gioco, ma consente l'emanazione, tacita, di provvedimento che prescinde da un ponderato e coerente apparato motivazionale che viola il principio di buon andamento dell'Amministrazione, principio da cui discende la necessita' di una manifestazione espressa dell'Amministrazione.

Ne consegue che il procedimento di approvazione del Piano dell'area protetta, principale strumento di governo del territorio delle are naturali protette attraverso il meccanismo del silenzio assenso introdotto con l'art. 5, lettera g), punto 2) e 3) della legge regionale 22 ottobre 2018, n. 7 citata, viola le disposizioni della n. 394 del 1991 citata (art. 25, comma 2), ponendosi in contrasto con l'art. 97 della Costituzione per il mancato rispetto del principio di buon andamento dell'amministrazione per i profili dianzi accennati; nonche' con l'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, e lettera m), quanto ai livelli minimi uniformi previsti dalla legislazione statale nell'esercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente.

3. L'art. 5, comma 1, numero 2, lettera h), della legge regionale n. 7 del 2018 citata viola l'art. 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione in relazione all'art. 4, comma 6, decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160.

L'art. 5 della legge in esame, al comma 1, punto 2, lettera h), introduce il comma 1-bis all'art. 28 della legge regionale n. 29/1997, recante «Norme generali e procedure di individuazione e di istituzione delle aree naturali protette, dei monumenti naturali e dei siti di importanza comunitaria», stabilendo che «la richiesta per la realizzazione degli interventi di cui all'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 e' presentata allo sportello unico di cui all'art. 5 del medesimo decreto. Per tali fattispecie, il nulla osta di cui al comma 1 e' reso entro sessanta giorni dal ricevimento da parte dell'ente gestore della richiesta, decorsi inutilmente i quali il titolo abilitativo si intende reso».

La norma regionale impugnata e' generica non specificando il tipo di intervento edilizio soggetto a nulla osta come previsto dalla normativa statale.

Si ricorda che il nulla osta all'intervento e' previsto per le opere ricadenti in un'area naturale protetta, mentre non riguarda anche la realizzazione di altri interventi non soggetti a titolo abilitativo che, a mente dell'art. 4, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160 citato, «Salva diversa disposizione dei comuni interessati e ferma restando l'unicita' dei canale di comunicazione telematico con le imprese da parte del SUAP, sono attribuite al SUAP le competenze dello sportello unico per l'edilizia produttiva».

La norma regionale de qua non prevede ne' distingue varie tipologie di opere edilizie ai fini del rilascio del nulla-osta e, in particolare, non prevede espressamente le modalita' di rilascio di nulla osta per «attivita' produttiva».

D'altra parte, la stessa legge regionale in esame all'art. 33, richiamando quanto gia' previsto dalla normativa statale di riferimento, prevede che sia il SUAP l'unico punto di accesso, quindi l'unico soggetto di riferimento per l'avvio e l'esercizio delle attivita' produttive.

La norma in esame si pone, dunque, in contrasto con la normativa statale citata nonche' con l'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione che riserva alla legge statale la disciplina dell'ordinamento civile; e con l'art. 117, secondo comma, lettera m), rientrando la disciplina in materia di segnalazione certificata di inizio attivita' nei livelli essenziali delle prestazioni, di cui alla citata lettera m), ai sensi dell'art. 29, comma 2-ter della legge n. 241 del 1990.

4. L'art. 5, comma 1, punto 2, lettera i), della legge regionale n. 7 del 2018 citata viola l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione in relazione all'art. 13 della legge n. 394/1991 citata.

L'art. 5, comma 1, numero 2, lettera i), della legge regionale n. 7 del 2018 citata, introduce all'art. 31 (Sviluppo delle attivita' agricole) della legge regionale n. 29 del 1997 il comma 1-bis: «1-bis. Sono consentiti e non rientrano negli obblighi di cui all'art. 28 le ricorrenti pratiche di conduzione delle aziende agricole che non comportino modificazioni sostanziali del territorio ed in particolare:   a) la manutenzione ordinaria del sistema idraulico agrario e del sistema infrastrutturale aziendale esistenti;   b) l'impianto o l'espianto delle colture arboree e le relative tecniche utilizzate;   c) l'utilizzo delle serre stagionali non stabilmente infisse al suolo;   d) il transito e la sosta di mezzi motorizzati fuori dalle strade statali, provinciali, comunali, vicinali gravate dai servizi di pubblico passaggio e private per i mezzi collegati all'esercizio delle attivita' agricole di cui al presente articolo;   e) l'ordinamento produttivo ed i relativi piani colturali promossi e gestiti dall'impresa agricola;   f) la raccolta e il danneggiamento della flora spontanea derivanti dall'esercizio delle attivita' aziendali di cui all'art. 2 della l.r. n. 14/2006».

La norma esclude dall'obbligo del nulla osta di cui all'art. 28 della legge citata interventi e attivita' che possono arrecare impatti, anche notevoli, sull'ambiente naturale, consentendone la realizzazione/svolgimento in tutte le zone dell'area protetta, anche in zona A di riserva integrale, senza stabilire alcuna modalita' di' verifica e controllo sugli stessi.

Tale previsione si pone in contrasto con l'art. 13 della legge n. 394 del 1991 citata, che prevede il rilascio di nullaosta da parte del soggetto gestore per le attivita' e gli interventi consentiti in area protetta, al fine di verificare la loro coerenza con la disciplina di tutela, o con gli strumenti di pianificazione e regolamentari ove vigenti, e la loro sostenibilita' ambientale rispetto alle finalita' istitutive.

La norma viola, pertanto l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione che riserva allo Stato la disciplina della tutela dell'ambiente.

D'altronde il successivo art. 28 della legge regionale n. 7/2018 citata richiama correttamente come riferimento normativo proprio l'art. 13 della legge n. 394/1991 citata.

5. L'art. 5, comma 1, punto 2, lettera l) punto n. 7 della legge regionale n. 7 del 2018 citata viola l'art. 117, lettera s), della Costituzione in relazione agli articoli 22, 23 e 25 comma 2, della legge n. 394 del 1991 citata.

L'art. 5, comma 1, punto 2, lettera i), punto 7, citato reca talune modifiche al comma 2-bis dell'art. 31 (Sviluppo delle attivita' agricole) della legge regionale n. 29 del 1997: «2-bis. Per favorire lo svolgimento delle attivita' di cui al presente articolo i soggetti di cui all'art. 57 e 57-bis della l.r. n. 38/1999 possono presentare il PUA, redatto secondo le modalita' ivi previste, nel rispetto delle forme di tutela di cui alla presente legge. Il PUA redatto secondo le modalita' della l.r. n. 38/1999, previa indicazione dei risultati che si intendono perseguire, puo' prevedere la necessita' di derogare alle previsioni del piano dell'area naturale protetta redatto ai sensi dell'art. 26, comma 1, lettera f) ad esclusione delle normative definite per le zone di riserva integrale».

La disposizione, come modificata, consente che il PUA possa derogare alle previsioni del piano dell'area protetta, con cio' ponendosi in contrasto con l'art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991 citata, secondo il quale il piano dell'area protetta regionale, con valore anche di piano paesistico e urbanistico, «sostituisce i piani paesistici e i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello».

La previsione di cui al successivo comma 2-ter della legge citata che prevede, per l'approvazione del PUA, che sia acquisito in Conferenza di servizi il parere dell'ente gestore dell'area protetta, non consente di superare tale contrasto e cio' in quanto tale strumento non e' comparabile e, dunque, non puo' essere sostitutivo, della complessa e partecipata procedura tecnico-amministrativa prevista per l'approvazione del piano dell'area protetta dalla legge n. 394 del 1991 citata, nonche' dalla stessa legge in esame, all'art. 26, commi 2, 3 e 4.

Alla luce di quanto fin qui rappresentato e della normativa comunitaria e interna in cui si colloca la tutela, deriva il contrasto della norma regionale impugnata con l'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, poiche' la disciplina introdotta riduce in peius i livelli minimi uniformi di tutela previsti dalla legislazione statale nell'esercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente.

La legge 6 dicembre 1991, n. 394 citata (Legge quadro sulle aree protette) e' espressione dell'esercizio della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione (sentenze n. 44 del 2011; n. 315 e n. 20 del 2010).

Le regioni, pertanto, nell'ambito di aree protette, possono determinare maggiori livelli di tutela, ma non derogare alla legislazione statale (sentenze n. 44 del 2011, n. 193 del 2010, n. 61 del 2009 e n. 232 del 2008).

In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che «il territorio dei parchi, siano essi nazionali o regionali; ben (possa) essere oggetto di regolamentazione da parte, della Regione, in materie riconducibili ai commi terzo e quarto dell'art. 117 Cost., purche' in linea con il nucleo minimo di salvaguardia del patrimonio naturale, da ritenere vincolante per le regioni» (sentenze n. 232 del 2008, punto 5. del Considerato in diritto; e 44 del 2011 gia' citata).

Nell'ambito, quindi, delle materie di competenza, le regioni trovano un limite negli standard di tutela fissati a livello statale.

Questi, tuttavia, non impediscono al legislatore regionale di adottare discipline normative che prescrivano livelli di tutela dell'ambiente piu' elevati, i quali «implicano logicamente il rispetto degli standard adeguati e uniformi fissati nelle leggi statali» (sentenze n. 315 del 2010; in tal senso sentenze n. 66 del 2018; n. 74 del 2017; n. 267 del 2016 e n. 149 del 2015).

La legge quadro n. 394 del 1991 citata, per costante affermazione giurisprudenziale, e' ricondotta alla materia ambientale e detta i principi fondamentali cui le regioni sono tenute ad adeguarsi. (sentenze n. 74 e n. 36 del 2017).

Lo standard minimo uniforme di tutela nazionale si estrinseca nella predisposizione da parte degli enti gestori delle aree protette «di strumenti programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attivita' svolte nei parchi alle esigenze di protezione» dell'ambiente e dell'ecosistema (sentenze n. 171 del 2012; nello stesso senso, le sentenze n. 74 del 2017; n. 263 e n. 44 del 2011; n. 387 del 2008).

Sono, dunque, il regolamento (art. 11) e il piano per il parco (art. 12), nonche' le misure di salvaguardia adottate nelle more dell'istituzione dell'area protetta (articoli 6 e 8), gli strumenti attraverso i quali tale valutazione di rispondenza deve essere compiuta a tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.

La legge n. 394 del 1991 citata non si limita, dunque, a dettare standard minimi uniformi atti a tutelare soltanto i parchi e le riserve naturali nazionali - istituiti ai sensi dell'art. 8 della legge quadro (rispettivamente, con decreto del Presidente della Repubblica e con decreto del Ministro dell'ambiente) - ma impone anche un nucleo minimo di tutela del patrimonio ambientale rappresentato dai parchi e dalle riserve naturali regionali, che vincola il legislatore regionale nell'ambito delle proprie competenze (sentenze n. 74 e n. 36 del 2017 citate; n. 212 del 2014; n. 171 del 2012; n. 325, n. 70 e n. 44 del 2011 citate).

Anche in relazione alle aree protette regionali, invero, il legislatore statale ha predisposto un modello fondato sull'individuazione del loro soggetto gestore, ad opera della legge regionale istitutiva (art. 23), sull'adozione, «secondo criteri stabiliti con legge regionale in conformita' ai principi di cui all'art. 11, di regolamenti delle aree protette» (art. 22, comma 1, lettera d, peraltro significativamente ed espressamente ricompreso tra i «principi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali»), nonche' su un piano per il parco tramite il quale siano attivate le finalita' del parco naturale regionale (art. 25).

Per altro verso, puo' senz'altro riconoscersi che il legislatore statale ha previsto, per le aree naturali protette regionali, un quadro normativo meno dettagliato di quello predisposto per le aree naturali protette nazionali, di talche' le regioni hanno un margine di discrezionalita' tanto in relazione alla disciplina delle stesse aree protette regionali quanto sul contemperamento tra la protezione di queste ultime e altri interessi meritevoli di tutela. Cio' non toglie, tuttavia, che l'esistenza di un regolamento e di un piano dell'area protetta, cui devono conformarsi le attivita' svolte all'interno del parco o della riserva, oltre che costituzionalmente necessarie, devono garantire la conforme corrispondenza ai canoni previsionali inderogabili imposti dalla normativa nazionale, essendo manifestazione di quello standard minimo di tutela che il legislatore statale ha individuato nell'esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» e che, come osservato, le regioni possono ampliare con un aumento di tutela, ma non, appunto, derogare in peius.

6. L'art. 5, comma 6, lettera c), della legge regionale n. 7 del 2018 citata viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione in relazione agli articoli 36 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001.

L'art. 5, comma 6, lettera c), citato («Modifiche alle leggi regionali 6 ottobre 1997, n. 29 "Norme in materia di aree naturali protette regionali", 13 gennaio 2005, n. 1 "Norme in materia di polizia locale" e 22 dicembre 1999, n. 38 "Norme sul governo del territorio", e successive modifiche»), disciplina aspetti connessi alla ricostruzione nei territori dell'Italia Centrale dagli eventi sismici dell'agosto 2016 e del 2017.

Il comma 6, lettera c), di tale disposizione modifica la legge regionale n. 38/1999 («Norme sul governo del territorio»), inserendo, di seguito all'art. 57 («Piani di utilizzazione aziendale») ed all'art. 57-bis («PUA per le attivita' integrate e complementari»), un nuovo art. 57-ter («Definizione di edifici legittimi esistenti»), il cui comma 1 stabilisce che, per «le finalita' dei predetti articoli 57 e 57-bis, per edifici legittimi esistenti "si intendono anche quelli realizzati in assenza di titolo abilitativo in periodi antecedenti alla data di entrata in vigore della legge 6 agosto 1967, n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150) ovvero che siano stati oggetto di accertamento di conformita', da parte dei responsabili dell'abuso, ai sensi degli articoli 36 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001».

Ai sensi dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), le regioni hanno potesta' legislativa concorrente in materia edilizia, da esercitarsi nei limiti dei principi fondamentali desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico stesso, che contengono una disciplina molto articolata e dettagliata.

Fra tali principi come individuati dalla giurisprudenza costituzionale, si annovera la gradualita' dei titoli abilitativi indicati nel medesimo Testo Unico, con il conseguente divieto di introdurne di diversi ed ulteriori; l'inderogabilita' della disciplina per l'attivita' edilizia in assenza di pianificazione urbanistica (art. 9); la definizioni delle categorie di interventi edilizi previste all'art. 3, con particolare riguardo alla distinzione fra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione, e di ristrutturazione edilizia pesante, da un lato, e le ipotesi di ristrutturazione edilizia leggera e degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria) dall'altro (sentenza 23 gennaio 2011, n. 309).

Ulteriori ambiti di autonomia regionale sono stati riconosciuti dal decreto-legge 13 giugno 2013, n. 69, convertito con la legge 9 agosto 2013, che, aggiungendo al Testo Unico l'art. 2-bis, ha previsto che le regioni possano stabilire - con leggi e regolamenti - disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, potendo cioe' disciplinare i limiti della densita' edilizia, dell'altezza, della distanza fra fabbricati e potendo dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attivita' collettive, al verde e ai parcheggi nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali.

Ora, ai sensi degli articoli 36 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, richiamati nella novella regionale, fino all'irrogazione delle prescritte sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso edilizio o l'attuale proprietario dell'immobile, in caso di interventi realizzati in assenza del permesso di costruire o in difformita' o in assenza o in difformita' della D.I.A. e dell'accertamento di conformita', possono conseguire il permesso in sanatorio (c.d. accertamento in conformita'), qualora l'intervento abusivo risulti conforme alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente al momento di realizzazione del medesimo e al momento di presentazione della relativa istanza, secondo il principio della doppia conformita'.

L'attribuzione della qualifica legale, da parte della legge regionale in commento, di «edificio legittimo esistente» ai manufatti per i quali si siano verificate le teste' descritte condizioni, ancorche' per le sole finalita' connesse ai piani di utilizzazione aziendale in agricoltura ed ai piani di utilizzazione agronomica (PUA) per le attivita' integrate e complementari, si pone in contrasto con i predetti principi fondamentali della materia, consentendo alla autonomia regionale di effettuare tale qualificazione non ammissibile.

Tale disposizione contrasta con la legislazione statale sopra richiamata e viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione, che attribuisce la materia relativa al governo del territorio e quella della protezione civile alla competenza concorrente delle regioni.

7. L'art. 20 della legge regionale n. 7 del 2018 citata viola l'art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione in relazione all'art. 31 del regio decreto n. 1604 del 1931.

L'art. 20 citato recante «Modifiche alla legge regionale 7 dicembre 1990, n. 87 "Norme per la tutela del patrimonio ittico e per la disciplina dell'esercizio della pesca nelle acque interne del Lazio» e successive modifiche, prevede che il rilascio e il rinnovo della qualifica di guardia giurata ittica volontaria puo' essere riconosciuto a coloro che abbiano riportato condanne per reati puniti con la sola pena pecuniaria.

Va rilevato che il regio decreto n. 1604 del 1931, all'art. 31, dispone che gli agenti giurati addetti alla sorveglianza sulla pesca nelle acque interne, devono possedere i requisiti previsti dall'art. 138 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza per le guardie particolari giurate. Tale disposizione prevede, tra gli altri, il requisito del «non avere riportato condanna per delitto».

L'art. 20 impugnato si pone, pertanto, in palese contrasto con la citata disciplina statale, atteso che la pena pecuniaria, cui si riferisce la norma in esame, ben potrebbe essere una multa per un reato contravvenzionale, ossia la sanzione penale prevista per le fattispecie che configurano ipotesi delittuose.

Tale disposizione viola, dunque, l'art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione in materia di ordine pubblico e sicurezza.

8. L'art. 24 della legge regionale n. 7 del 2018 citata viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione.

L'art. 24 («Misure urgenti in favore delle aree colpite dagli eventi sismici del 2016. Modifiche alla legge regionale 22 dicembre 1999, n. 39 "Norme sul governo del territorio" e successive modifiche») disciplina aspetti connessi alla ricostruzione nei territori dell'Italia Centrale dagli eventi sismici dell'agosto 2016 e del 2017.

Ai sensi dei commi da 1 a 8 di tale disposizione, nei comuni di cui agli allegati 1 e 2 del decreto-legge n. 189/2016, che presentino una percentuale superiore al cinquanta per cento di edifici dichiarati inagibili con esito E rispetto agli edifici esistenti alla data dell'evento sismico, ai proprietari di immobile dichiarato inagibile, e' consentita l'installazione di strutture temporanee ed amovibili, sul medesimo sito o su altro terreno di proprieta' ubicato nello stesso comune con qualsiasi destinazione urbanistica, senza necessita' di alcun titolo abilitativo ad eccezione della previa autorizzazione comunale; la finalita' della previsione e' «scongiurare fenomeni di abbandono del territorio».

Il decreto-legge n. 189/2016, al Capo I-bis «Strutture provvisorie di prima emergenza» e, in particolare, all'art. 4-bis «Disposizioni in materia di strutture e moduli abitativi provvisori» aveva gia' previsto la disciplina per individuare soluzioni che consentissero, «nelle more della fornitura di diverse soluzioni abitative, un'adeguata sistemazione alloggiativa delle popolazioni, in un contesto comprensivo di strutture a supporto che garantissero il regolare svolgimento della vita della comunita' locale, assicurando anche il presidio di sicurezza del territorio», e cio' con la finalita' di fronteggiare l'aggravarsi delle esigenze abitative nei territori delle Regioni Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo colpite dagli eventi sismici. Stante la normativa emergenziale dettata a livello nazionale per la ricostruzione dei territori colpiti dagli eventi sismici iniziati il 24 agosto 2016, la correlata disciplina regionale puo' intervenire esclusivamente quale normativa di dettaglio di quest'ultima ove si renda necessario completare la disciplina statale. Infatti, in ragione del perdurante stato di emergenza, gli eventi calamitosi di cui si e' detto assurgono ad un livello sovraregionale che ne testimonia l'interesse nazionale in quanto incidente su interessi e pubblici e collettivi di piu' ampia portata rispetto a quelli afferenti al territorio regionale.

La normativa regionale appare, quindi, non conforme alla normativa statale.

Ai sensi, poi, del comma 9 dell'art. 24 della legge regionale n. 7/2018 citata, nel corpo della sopra richiamata legge regionale n. 38/1999, viene introdotto un nuovo art. 49-bis («Progetti di ricostruzione nei territori colpiti dal sisma»), il cui comma 2, lettera b), inserisce un nuovo comma 3-ter all'art. 55; in forza di tale nuovo comma, ai fini della ricostruzione degli edifici legittimi o legittimati, esistenti alla data del sisma nelle zone agricole dei comuni delle regioni colpite dal sisma, sono consentiti gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportano modificazioni della sagoma, di cui all'art. 3, comma 1, lettera e), e dell'art. 10, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001.

Il richiamato decreto-legge n. 69/2013, all'art. 30, ha modificato il Testo Unico sull'edilizia anche per quanto attiene al rispetto della sagoma negli interventi di ristrutturazione, abolito dal provvedimento; in base alle modifiche introdotte, per gli interventi di demolizione e ristrutturazione e per le varianti a permesso di costruire, concernenti immobili situati all'interno delle parti storiche degli insediamenti urbani, l'operativita' della disposizione sul rispetto della sagoma e' condizionata ad una delibera comunale che indichi le aree in cui non e' utilizzabile la S.C.I.A., ma e' comunque richiesto il permesso di costruire.

La circostanza che l'innovazione legislativa contenuta nella legge regionale de qua si riferisca alle zone agricole, e non a quelle urbane, proprio per la ragione sopra esposta, ossia che a livello statale cio' e' consentito solo per i centri storici, costituisce violazione della normativa statale.

Tale disposizione contrasta con la legislazione statale sopra richiamata e viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione, che attribuisce la materia relativa al governo del territorio e quella della protezione civile alla competenza concorrente delle regioni.

9. L'art. 32 della legge regionale n. 7 del 2018 citata viola l'art. 117, comma 2, lettera h), della Costituzione in relazione all'art. 50, comma 5, del TUEL decreto legislativo n. 267/2000.

L'art. 32 citato attribuisce al comune la competenza a stabilire limiti e condizioni agli orari di apertura e chiusura dei pubblici esercizi «per gravi e urgenti motivi relativi all'ordine pubblico, alla sicurezza».

L'art. 50, comma 5, del TUEL (decreto legislativo n. 267/2000), come modificato con decreto-legge n. 14/2017, convertito con modificazioni dalla legge n. 48/2017, pur consentendo al Sindaco di intervenire (con ordinanza contingibile e urgente) in materia di orari di vendita, riconosce tale facolta' esclusivamente per i casi di «urgente necessita' di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilita' urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillita' e del riposo dei residenti», e non gia' per ragioni di tutela dell'ordine pubblico e alla sicurezza, riservata alle autorita' di pubblica sicurezza.

Pertanto, appare evidente che la disposizione regionale impugnata si pone in contrasto con la normativa statale citata e viola l'art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione in materia di ordine pubblico e sicurezza.

10. L'art. 33, comma 1, lettera a), viola l'art. 117, secondo comma, lettere l) e m) della Costituzione.

L'art. 33 citato introduce l'art. 4-bis alla legge regionale n. 33 del 1999 («Disciplina relativa al settore commercio»). Il citato art. 4-bis, al comma 3, prevede che: «Ai fini della presentazione e verifica formale della segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA), i soggetti interessati possono avvalersi della agenzia per le imprese in conformita' alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 159».

Ai sensi dell'art. 5, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 160 del 2010, la verifica formale della SCIA spetta esclusivamente al SUAP. All'Agenzia per le imprese e' attribuita la funzione di rilascio di una semplice dichiarazione di conformita' della SCIA comprensiva della verifica sia formale sia sostanziale «che costituisce titolo autorizzatorio per l'esercizio dell'attivita' e per l'avvio immediato dell'intervento dichiarato» (art. 6, decreto del Presidente della Repubblica n. 160 del 2010).

A cio' si aggiunga che il decreto del Presidente della Repubblica n. 159 del 2010 («Regolamento recante i requisiti e le modalita' di accreditamento delle agenzie per le imprese, a norma dell'art. 38, comma 4. del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»), citato dalla disposizione in esame, non contiene alcuna menzione della verifica formale in capo alle Agenzie per le imprese, poiche' concerne la sola disciplina dei requisiti per l'accreditamento delle stesse.

L'art. 33 in esame si pone, pertanto, in contrasto con la normativa statale richiamata nonche' con l'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione che riserva alla legge statale la disciplina dell'ordinamento civile; e con l'art. 117, secondo comma, lettera m), atteso che la disciplina in materia di segnalazione certificata di attivita' attiene ai livelli essenziali delle prestazioni di cui alla citata lettera m).

11. L'art. 79 della legge regionale n. 7 del 2018 citata si pone in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione.

L'art. 79 prevede interventi regionali anche a favore di soggetti vittime di estorsione, stabilendo, pero', che «la struttura regionale competente comunica all'ufficio del Governo competente in materia di iniziative antiracket ed antiusura gli indennizzi concessi ai sensi del presente articolo».

La normativa statale di cui alle leggi n. 44/1999 e n. 108/1996 in materia di attivita' di contrasto a fenomeni di estorsione e usura prevede l'istituzione del Comitato di solidarieta' per le vittime dell'estorsione e dell'usura, presso il Ministero dell'interno.

La legge 23 febbraio 1999, n. 44 stabilisce, all'art. l che «ai soggetti danneggiati da attivita' estorsive e' elargita una somma di denaro a titolo di contributo al ristoro del danno patrimoniale subito, nei limiti e alle condizioni stabiliti dalla presente legge».

Per quanto concerne l'usura, la legge n. 108/1996 prevede la concessione in favore delle vittime di un mutuo senza interessi da restituire in rate decennali.

Occorre, altresi', specificare che, ai sensi della legge di conversione 12 novembre 1999, n. 414, e' sancita, all'art. 12, comma 1-bis, la non cumulabilita' con precedenti risarcimenti o rimborsi a qualunque titolo da parte di altre Amministrazioni pubbliche ed e' prevista, all'art. 16, comma 2-bis, la revoca totale o parziale, dell'elargizione al sopravvenire di tale risarcimento o rimborso ovvero di un rimborso assicurativo. Infatti, le citate norme statali sono essenzialmente dirette a scongiurare ogni possibile sovrapposizione rispetto ad analoghi benefici eventualmente previsti dalle legislazioni regionali a favore delle vittime del racket.

La disposizione regionale crea, invero, una duplicazione di benefici a ristoro del medesimo evento dannoso, violando, quindi, il principio del buon andamento dell'azione amministrativa della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione; e l'art. 117, secondo comma, lettera h) in materia di ordine pubblico e sicurezza.

Sul punto le attribuzioni regionali devono piu' correttamente ricondursi alla realizzazione degli interventi, gia' previsti quali, ad esempio, le azioni di sostegno psicologico, di assistenza e tutela in favore di vittime o potenziali vittime, comprensivi di consulenza aziendale finalizzata al miglioramento della gestione economico-finanziaria dell'impresa volta a consentire l'accesso al credito ordinario, la promozione e il sostegno dell'associazionismo di settore, la promozione di attivita' di comunicazione e pubblicazione sui servizi offerti alle famiglie e alle piccole aziende, la promozione di studi, ricerche, attivita' sensibilizzazione sui temi in argomento.

La norma impugnata, nel prevedere, genericamente, un distinto intervento regionale per il contrasto all'estorsione ed all'usura si pone, pertanto, in palese contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione che riserva allo Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza.

12. L'art. 84 della legge regionale n. 7 del 2018 citata viola l'art. 117, secondo comma, lettera l) e lettera m), della Costituzione.

L'art. 84, comma 1, lettera b), introduce l'art. 4-bis alla legge regionale n. 30 del 1998 («Disposizioni in materia di trasporto pubblico locale») prevedendo che «L'inizio del servizio e' subordinato alla preventiva segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA) (...) presentata all'ente territoriale nel cui territorio il servizio e' svolto, secondo i criteri di cui agli articoli 3 e 10, comma 2.».

Il rinvio agli articoli 3 e 10, comma 2, della legge regionale n. 30/1998 relativi, rispettivamente, alla classificazione dei servizi di trasporto pubblico locale in comunali, provinciali e regionali e alle funzioni conferite al riguardo ai comuni non e' conferente.

In particolare, quanto al richiamo all'art. 3, il comune e' l'ente territoriale di competenza a cui deve essere presentata la SCIA e, quanto all'art. 10, comma 2, si osserva che tale disposizione ha ad oggetto le funzioni conferite al comune, relativamente ai servizi di linea comunali, il cui esercizio attiene a regimi amministrativi diversi dalla SCIA.

L'art. 84 si pone, pertanto, in contrasto con la normativa statale citata; nonche' con l'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che riserva alla legge statale la disciplina dell'ordinamento civile; e con l'art. 117, secondo comma, lettera m), atteso che la disciplina in materia di segnalazione certificata di inizio attivita', ai sensi dell'art. 29, comma 2-ter della legge n. 241 del 1990, attiene ai livelli essenziali delle prestazioni di cui alla citata lettera m).

 

P.Q.M.

 

Si conclude perche' gli articoli 3; 5, comma 1, lettera g); 5, comma 1, lettera h); 5, comma 1, lettera i), punto 7; 5, comma 6, lettera e); 20; 24; 32; 33; 79 e 84 della legge Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 citata siano dichiarati costituzionalmente illegittimi.

Con l'originale notificato del presente ricorso si depositeranno:   1. Estratto della determinazione del Consiglio dei ministri assunta nella riunione del 21 dicembre 2018 e della relazione allegata al verbale;   2. Copia della legge impugnata della Regione Lazio n. 7 del 2018.

Roma, 24 dicembre 2018

Il Vice Avvocato generale dello Stato: Palmieri

L'Avvocato dello Stato: Morici