RICORSO N. 81 DEL 13 OTTOBRE 2017 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 13 ottobre 2017.

(GU n. 48 del 29.11.2017)

 

Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato c.f.: 80224030587; fax 06/96514000 e PEC: roma@mailcert.avvocaturastato.it, presso i cui uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12, manifestando la volonta' di ricevere le comunicazioni all'indirizzo PEC: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it;   Nei confronti della Regione Abruzzo, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 4, 5 e 7 della legge Regionale Abruzzo n. 40 del 1° agosto 2017, recante «Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d'uso e contenimento dell'uso del suolo, modifiche alla legge regionale n.

96/2000 ed ulteriori disposizioni», pubblicata nel B.U.R. n. 85 del 9 agosto 2017, giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 6 ottobre 2017.

Con la legge regionale n. 40 del 1° agosto 2017 indicata in epigrafe, che consta di nove articoli, la Regione Abruzzo ha emanato le disposizioni in tema di «Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d'uso e contenimento dell'uso del suolo, modifiche alla legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni»; e, in particolare, disciplina il recupero dei vani e locali accessori e seminterrati, situati in edifici esistenti o collegati direttamente ad essi, da destinare ad uso residenziale, direzionale, commerciale o artigianale.

E' avviso del Governo che, con le norme denunciate in epigrafe, la Regione Abruzzo abbia ecceduto dalla propria competenza in violazione della normativa costituzionale, come si confida di dimostrare in appresso con l'illustrazione dei seguenti

 

Motivi

 

1. L'art. 4, della legge Regione Abruzzo n. 40/2017 viola l'art. 117, comma secondo, lett. s), della Costituzione, in riferimento agli articoli 6, comma 3; 12, e 65, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; e viola l'art. 117 comma 3, della Costituzione.

1.1. L'art. 4 della legge regionale n. 40/2017 citata individua i requisiti tecnici degli interventi di recupero.

Al comma 4, prevede che «... il recupero dei vani e locali di cui all'art. 2, comma 1, e ammesso anche in deroga ai limiti e prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti, ovvero in assenza dei medesimi».

La disposizione, pertanto, determina l'elusione dell'obbligo di sottoporre a valutazione ambientale strategica, o almeno alla relativa verifica di assoggettabilita', ai sensi degli articoli 6, comma 3, e 12 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, contenente le «Norme in materia ambientale».

L'art. 6, comma 3, «Oggetto della disciplina», infatti, prevede che «Per i piani e i programmi di cui al comma 2 che determinano l'uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al comma 2, la valutazione ambientale e' necessaria qualora l'autorita' competente valuti che producano impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni di cui all'art. 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilita' ambientale dell'area oggetto di intervento».

A sua volta, l'art. 12 predetto disciplina la «verifica di assoggettabilita'» alla VAS di tali piani o programmi e delle loro modifiche.

Inoltre, potendo determinare una deroga alle disposizioni degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali che recepiscono la pianificazione di bacino, l'art. 4, comma 4, citato comporta l'elusione della norma di cui all'art. 65, «Valore, finalita' e contenuti del piano di bacino distrettuale», del decreto legislativo n. 152 del 2006 citato (sulla cui valenza cfr. la sentenza n. 254 del 2010, punto 5. del Considerato in diritto).

Tale norma, al comma 4, prevede che «Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonche' per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi di sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque non in contrasto, con il Piano di bacino approvato.».

Va sottolineato che la giurisprudenza costituzionale e' costante nell'affermare che la tutela dell'ambiente rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato e che, pertanto, le disposizioni legislative statali adottate in tale ambito funzionano come un limite alla disciplina che le Regioni, anche a statuto speciale, e le Province Autonome dettano in altre materie o settori di loro competenza. (sentenze n. 197 del 2014, punto 3.2. del Considerato in diritto; n. 199 del 2014, punto 5.2.1. del Considerato in diritto).

1.2. L'art. 4, della legge regionale n. 40/2017 citata, inoltre, contrasta con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di governo del territorio di cui all'art. 117, comma 3, della Costituzione; principi finalizzati, appunto, come ha chiarito la dottrina piu' attenta, a orientare la legislazione regionale nel perseguimento di interessi di carattere unitario, cosicche' la produzione normativa regionale non puo' che risentire delle scelte legislative compite a livello centrale. L'art. 4 citato eccede, pertanto, la competenza regionale concorrente in materia.

L'art. 2, comma 4, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, infatti, prevede che i «comuni, nell'ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all'art. 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, disciplinano l'attivita' edilizia».

Il testo unico dell'edilizia, quindi, ha ricondotto la competenza regolamentare dei comuni in materia urbanistica all'autonomia statutaria e normativa prevista dall'art. 3 del testo unico degli enti locali, decreto del Presidente della Repubblica 18 agosto 2000, n. 267, la cui definizione si completa alla luce del riconoscimento costituzionale dell'autonomia comunale in base all'art. 114 della Costituzione della relativa potesta' regolamentare di cui art. 117, comma 6, della Costituzione.

La norma regionale impugnata, inoltre, viola anche le norme di cui agli articoli 4 e 7 della legge urbanistica, che attribuiscono ai comuni la pianificazione urbanistica e gli interventi relativi alle disposizioni d'uso degli immobili.

Sotto un altro profilo, l'art. 4, comma 4, nel consentire gli interventi di recupero anche «in assenza» degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali, si pone in contrasto con i principi stabiliti dalla normativa statale di cui all'art. 9, «Attivita' edilizia in assenza di pianificazione urbanistica», del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 citato - che individua l'attivita' edilizia realizzabile in assenza di strumentazione urbanistica (generale e attuativa) ed in relazione al quale le leggi regionali possono introdurre unicamente limiti piu' restrittivi - violando l'art. 117, comma 3, della Costituzione, con riferimento alla materia «governo del territorio» (sentenza n. 84 del 2017, punto 7. Del Considerato in diritto).

Alla luce delle precedenti considerazioni, l'art. 4 della legge regionale n. 40/17 citata si pone in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato al «tutela dell'ambiente» e con l'art. 117, comma 3 della Costituzione in materia di governo del territorio, con riferimento alla richiamata normativa interposta di cui agli articoli 6, comma 3, 12 e 65 del decreto legislativo n.

152/2006 citato e al testo unico in materia edilizia citato e alla legge urbanistica citata.

2. L'art. 5, viola l'art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione, in riferimento all'art. 65, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

L'art. 5, nell'individuare «Disposizioni applicative ed ambiti di esclusione», prevede, al comma 2, che la legge «trova applicazione diretta sul territorio comunale con valenza prevalente ai regolamenti edilizi vigenti», salvo che negli ambiti o per gli immobili esclusi dai Comuni in ragione di particolari motivi di carattere ambientale, storico, artistico, urbanistico ed architettonico.

L'applicazione della norma «e' comunque esclusa nelle aree soggette a vincoli di inedificabilita' assoluta dagli atti di pianificazione territoriale ovvero nelle aree ad elevato rischio geologico o idrogeologico».

Si prevede, inoltre, all'ultimo comma, che «Per motivate esigenze derivanti da eventi alluvionali, sismici, geologici o idrogeologici, i Comuni possono aggiornare gli ambiti di esclusione anche successivamente alla decorrenza del termine di cui al comma 1 [90 giorni]».

La disposizione presenta profili di illegittimita' per violazione dell'art. 117, comma secondo, lett. s), della Costituzione, in riferimento all'art. 65, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006 citato.

La disciplina regionale, nel consentire la riconversione in destinazione d'uso residenziale di vani accessori, puo', infatti, determinare un incremento del carico abitativo incompatibile con le prescrizioni del piano di bacino volte a tutelare dal rischio idrogeologico.

La norma regionale, in particolare, esclude dall'ambito di applicazione della legge soltanto le aree soggette a vincolo di inedificabilita' assoluta (e, quindi, non quelle in cui il piano di bacino si limita a vietare l'incremento del carico urbanistico).

Inoltre, la predetta norma regionale vieta la riconversione solo nelle aree «ad elevato rischio idrogeologico», quando, invece, per ragioni di pubblica incolumita', simili interventi dovrebbero essere vietati in tutte le aree a rischio (Moderato (R1), Medio (R2), Elevato (R3), Molto elevato (R4).

Va, poi, osservato che la limitazione contenuta nel citato art. 5 si applicherebbe solo nelle aree con vincoli di inedificabilita' assoluta, che, in genere, nelle normative dei piani di assetto idrogeologico (PAI), sono, appunto, quelle a rischio molto elevato R4 e, inoltre, alcune autorita' di bacino non hanno perimetrato le aree a rischio, ma solo quelle di pericolosita'.

Il territorio della Regione Abruzzo e' compreso in diverse Autorita' di bacino (Autorita' di bacino del fiume Tevere, Autorita' di bacino Interregionale del fiume Tronto, Autorita' di bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno, Autorita' dei bacini di Rilievo Regionale dell'Abruzzo e del bacino Interregionale del fiume Sangro), oggi Autorita' di bacino distrettuale dell'Appennino Centrale e Autorita' di bacino distrettuale dell'Appennino Meridionale.

Le norme adottate dalle predette Autorita' in genere non consentono l'utilizzo dei piani interrati.

Va, infatti, rilevato che spetta alla Regione perimetrare le aree di rischio e che, sebbene la legge preveda che i comuni possano introdurre alcune limitazioni agli interventi di recupero, l'eventuale assenza, negli Enti locali di professionalita' e conoscenze adeguate a gestire l'estrema complessita' e novita' dei fenomeni in atto, puo' comportare un concreto pregiudizio alle esigenze di tutela dal rischio idrogeologico sottese alla disciplina statale in materia.

Alla luce delle precedenti considerazioni, l'art. 5 della legge regionale n. 40/2017 citata si pone in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la «tutela dell'ambiente», con riferimento alla norma interposta di cui all'art. 65, comma 4, del decreto legislativo n. 152/2006 citato.

3. L'art. 7 viola l'art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione, in riferimento all'art. 22, commi 1, lett. d), e 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394.

L'art. 7 disciplina l'applicazione del Piano Demaniale marittimo regionale sulle aree della Riserva Naturale Pineta Dannunziana.

In particolare, tale disposizione prevede la prevalenza del «Piano Marittimo regionale, ovvero di quello comunale di recepimento», su ogni altra legislazione e/o normativa anche di tipo sovraordinato o ambientale, assunte in epoca antecedente alla pianificazione regionale approvata con deliberazione del Consiglio 24 febbraio 2015, n. 20.

La disposizione presenta profili di incostituzionalita' per violazione dell'art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione, in riferimento all'art. 22, commi 1, lett. d), e 6, della legge n. 394 del 1991, «Legge quadro sulle aree protette».

Premesso che la disciplina in materia di aree protette, sia statali che regionali, contenuta nella legge n. 394 del 1991 citata, rientra nella competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente, si osserva che la Regione non puo' derogare alle norme statali, ma solo «determinare, sempre nell'ambito delle proprie competenze, livelli maggiori di tutela» (sentenze n. 193 del 2010; n. 61 del 2009; n. 44 del 2011, punto 4.2. del Considerato in diritto); senza compromettere il punto di equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuato dalla norma dello Stato (sentenza n. 197 del 2014, punto 3.2. del Considerato in diritto, citata).

La giurisprudenza costituzionale ha precisato che «la disciplina statale delle aree protette, che inerisce alle finalita' essenziali della tutela della natura attraverso la sottoposizione di porzioni di territorio soggette a speciale protezione», risponde a tali finalita' per mezzo di due differenti tipi di strumenti: la regolamentazione sostanziale delle attivita' che possono essere svolte in quelle aree, come le «limitazioni all'esercizio della caccia» (sentenza n. 315 del 2010, punto 3.1. del Considerato in diritto; n. 44 del 2011 citata; n. 74 del 2017), e la «predisposizione di strumenti programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attivita' svolte nei parchi, alle esigenze di protezione della flora e della fauna» (sentenza n. 387 del 2008; n. 44 del 2011 citata).

L'art. 7 della legge regionale n. 40/2017 citata contiene profili di contrasto con strumenti dell'uno e dell'altro tipo tra quelli predisposti dalla legislazione statale.

In particolare, prevedendo che il Piano Marittimo regionale, ovvero quello comunale di recepimento siano prevalenti «su ogni altra legislazione e/o normativa anche di tipo sovraordinato o ambientale», la disposizione viola l'art. 22, comma 1, lett. d), della legge n.

394 del 1991 citata, che include tra i principi destinati a governare le aree protette regionali quello secondo il quale le attivita' svolte nelle medesime siano governate in base a regolamenti adottati in conformita' al precedente art. 11 della legge n. 394 del 1991 citata.

Appare, infatti, evidente che la dichiarata prevalenza della pianificazione citata rispetto alla normativa a carattere ambientale ne determina la prevalenza anche sul regolamento dell'area protetta adottato in base alla stessa normativa a carattere ambientale.

Per analoghe ragioni deve ritenersi violato il successivo comma 6 dell'art. 22. Tale disposizione prevede che «Nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali l'attivita' venatoria e' vietata, salvo eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti prelievi ed abbattimenti devono avvenire in conformita' al regolamento del parco o, qualora non esista, alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilita' e sorveglianza dell'organismo di gestione del parco e devono essere attuati dal personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate scelte con preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco, previ opportuni corsi di formazione a cura dello stesso Ente».

La dichiarata prevalenza del Piano Marittimo regionale, ovvero di quello comunale di recepimento, rispetto alla normativa ambientale e', quindi, in grado di comportare anche la deroga a tali previsioni.

Occorre ribadire che la disciplina delle aree protette rientra nella competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente prevista dall'art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione. Tale disciplina, enunciando la normativa - quadro in tale settore, «detta i principi fondamentali della materia, ai quali la legislazione regionale e' chiamata ad adeguarsi, assumendo, quindi, anche i connotati di normativa interposta (sentenze n. 212 del 2014, punto 4. del Considerato in diritto», che richiama le sentenze n. 14 del 2012; n. 108 del 2005 e n. 282 del 2000).

Alla luce delle precedenti considerazioni, l'art. 7 della legge regionale n. 40/17 citata si pone in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato al «tutela dell'ambiente» con riferimento alla norma interposta di cui all'art. 22, commi 1, lett.

d), e 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 citata.

 

P.Q.M.

 

Si conclude perche' gli articoli 4, 5 e 7 della legge regionale Abruzzo n. 40 del 1° agosto 2017, recante «Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d'uso e contenimento dell'uso del suolo, modifiche alla legge regionale n.

96/2000 ed ulteriori disposizioni», indicati in epigrafe, siano dichiarati costituzionalmente illegittimi.

Si produce l'attestazione della deliberazione del Consiglio dei ministri del 6 ottobre 2017.

Roma, 9 ottobre 2017

Il Vice Avvocato generale dello Stato: Palmieri