RICORSO N. 77 DEL 29 settembre 2017 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 29 settembre 2017.

(GU n. 46 del 15.11.2017)

 

Ricorso ex art. 127 della Costituzione per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici e' domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi, 12;   Contro la Regione Basilicata, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 3, 4, 5, 8, 12 (indicato come 9 per errore materiale), 13, 20, 23, 26, 30, 33, 45 e 46 della legge regionale 24 luglio 2017, n. 19, recante «Collegato alla legge di stabilita' regionale 2017», come da delibera del Consiglio dei ministri in data 23 settembre 2017.

Sul B.U.R. della Regione Basilicata n. 28 del 25 luglio 2017 e' stata pubblicata la legge regionale 24 luglio 2017, n, 19, recante «Collegato alla legge di stabilita' regionale 2017», composta di n.

67 articoli.

Il Presidente del Consiglio ritiene che le disposizioni contenute negli articoli 3, 4, 5, 8, 12 (indicato come 9 per errore materiale), 13, 20, 23, 26, 30, 33, 45 e 46 siano illegittime per contrasto con diverse disposizioni costituzionali (indicate in relazione a ciascun articolo impugnato); pertanto propone questione di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127, comma l Cost. per i seguenti

 

Motivi

 

Art. 3 («Legge regionale 5 luglio 2002, n. 24» «Variante generale al piano territoriale di coordinamento del Pollino. Modifica alla Normativa Tecnica allegata al Piano Territoriale di Coordinamento del Pollino»).

1. All'art. 10 - Zona C3 Paesaggi di rilevante interesse (PI) e' aggiunto il seguente comma:   «5) zona S2 Nel Comune di Episcopia in localita' Demanio nei pressi della Strada statale n. 653 «Sinnica» nel foglio di mappa n.

15 particelle 7, 470, 562/a e' consentita la realizzazione di un distributore carburanti con annesso fabbricato per le attivita' di servizio all'impianto da realizzare con gli indici di seguito riportati:   Indice fondiario pari a 0,10 mc/mq.

Altezza massima H= 3,50 mt.».

La disposizione va a modificare (aggiungendo un comma) l'art. 10 della legge regionale n. 24/2002 (in realta' l'indicazione della legge regionale n. 24/2002, che non contiene un articolo 10, appare il frutto di un errore materiale; il riferimento corretto deve intendersi alla legge regionale n. 27/2006, anch'essa recante «Variante normativa al Piano di Coordinamento Territoriale del Pollino»), relativa alla variante al Piano Territoriale di Coordinamento del Pollino.

La disposizione si pone in contrasto con l'art. 117 Cost., in quanto non rispetta le disposizioni contenute nel Codice dei beni culturali (decreto legislativo n. 42/2004) laddove si prevede espressamente una concertazione con lo Stato.

Occorre inoltre considerare che il Piano Territoriale di coordinamento del Pollino ha valenza di piano paesistico, per il cui aggiornamento l'art. 156 del decreto legislativo n. 42/2004 prevede (comma 3) che «Le regioni e il Ministero, in conformita' a quanto stabilito dall'art. 135, possono stipulare intese, ai sensi dell'art.

143, comma 2, per disciplinare lo svolgimento congiunto della verifica e dell'adeguamento dei piani paesaggistici».

Ed infatti, in attuazione di tale disposizione e' stato sottoscritto il 14 settembre 2011 il Protocollo d'Intesa tra il MI.BAC., il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con la Regione Basilicata per la definizione congiunta del Piano Paesaggistico Regionale.

In attuazione dell'art. 5 del Protocollo e' stato poi istituito un Comitato tecnico con determina regionale n. 7502 del 19 settembre 2012.

Con la disposizione impugnata la Regione ha omesso di dare applicazione agli accordi recepiti nei provvedimenti suindicati con conseguente violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s) Cost. che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia della «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali».

E' opportuno ricordare al riguardo che la Corte ha precisato come la normativa in materia «per quanto concerne le zone soggette a vincolo paesaggistico sulla base di previsione di legge o di specifico provvedimento, non puo', in alcun modo e in nessun caso, discendere da una disposizione di legge regionale, dovendo invece, costituire oggetto di specifico accordo tra la Regione e il Ministero dei beni e delle attivita' culturali, secondo quanto previsto, in materia, dagli articoli 135, 143 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, che sanciscono il principio inderogabile della pianificazione congiunta e che risultano, nel caso, palesemente violati. Ne' la circostanza che in Liguria sia in vigore il Piano territoriale di coordinamento paesistico, adottato con delibera del Consiglio regionale 25 febbraio 1990, n. 6, e non il piano paesaggistico previsto dal codice dei beni culturali e del paesaggio, vale a giustificare la detta violazione. Cio', in quanto la disciplina regionale, anche se di dettaglio o meramente transitoria, non puo' derogare in senso peggiorativo rispetto alla disciplina statale in materia e deve garantire, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali ai - procedimenti in materia, l'effettiva ed uniforme tutela dell'ambiente (cosi' le gia' citate sentenze n. 64 del 2015, n. 197 del 2014 e n. 211 del 2013)» (sentenza n. 210/2016).

Art. 4 (Modifiche all'art. 57 della legge regionale 27 gennaio 2015, n. 4 «Collegato alla legge di stabilita' regionale 2015» e s.m.i.).

1. L'art. 57 della legge regionale 27 gennaio 2015, n. 4 aggiunto al primo capoverso della nota (l) all'art. 36 delle norme tecniche attuative del Piano territoriale paesistico del Metapontino, approvato con legge regionale 12 febbraio 1990, n. 3, e' cosi' sostituito:   «Ove le aree di cui al precedente comma non appartengano al demanio marittimo ovvero siano interessate da contestazioni da parte di soggetti privati che ne reclamino la proprieta', ovvero nei casi in cui dette aree non risultino disponibili perche' gia' adibite ad uso pubblico di parcheggio o perche' interessate da fitta vegetazione oggetto di specifica tutela ambientale regionale, la localizzazione delle strutture per la balneazione puo' essere consentita sull'arenile, in deroga a quanto stabilito all'art. 14, a condizione che:   a) le strutture abbiano caratteristiche di facile amovibilita', rispettino i parametri dimensionali e utilizzino i materiali previsti nel Piano regionale di utilizzazione delle aree demaniali marittime approvato con delib. C.R. n. 940/2005;   b) il progetto sia accompagnato da uno studio di valutazione dei rischi da mareggiate;   c) il richiedente assuma interamente a suo carico ogni responsabilita' per eventuali danni provocati da eventi meteomarini.

Le deroghe di cui al precedente capoverso sono consentite a condizione che i siti interessati abbiano quota idonea a fini di prevenzione da rischi da fenomeni meteomarini.».

La disposizione sostituisce un articolo delle Norme Tecniche attuative del Piano territoriale paesistico del Metapontino, disciplinando l'uso dell'arenile vincolato (300 mt. dalla linea di battigia) per la realizzazione di strutture per la balneazione.

Come per l'art. 3 anche in questo caso non vi e' stata alcuna concertazione con il MI.BAC., ne' e' stata seguita la procedura di cui al protocollo d'intesa 14 settembre 2011.

Da cio' la incostituzionalita' della norma per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s) Cost.

Art. 5 («Interventi edilizi in assenza o in difformita' del titolo abitativo»). - 1. In caso di interventi edilizi realizzati in assenza di idoneo titolo abitativo, o in difformita' da esso, di cui al comma 2 dell'art. 34 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, i Comuni, con motivata decisione autorizzano il completamento funzionale ai fini dell'agibilita'/abitabilita' delle opere realizzate, qualora sussistano le seguenti condizioni:   a) sia stato riconosciuto che il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile in quanto la demolizione delle opere realizzate in assenza o in difformita' dal titolo abilitativo potrebbe pregiudicare strutturalmente la restante parte delle opere esistenti e sia stata pagata la relativa sanzione;   b) il mancato completamento delle opere costituisce pregiudizio al decoro e/o alla qualita' urbana dell'area e il completamento funzionale costituisce oggetto di un apposito progetto sul quale si esprime l'ufficio tecnico comunale;   c) le opere abusive, nel caso di immobili o aree tutelate paesaggisticamente, non costituiscono elemento detrattore alla corretta fruizione del paesaggio e sia stato gia' espresso parere favorevole alla loro esecuzione o conservazione da parte delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo.

2. Le disposizioni di cui alla presente norma entrano in vigore dopo 120 giorni dalla pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione.

La disposizione si pone in contrasto con gli articoli 31, 33, 34 e 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 (recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia»).

In particolare, in base agli articoli 31 e 33 del citato decreto del Presidente della Repubblica, e' sempre prevista la demolizione o il ripristino dello stato dei luoghi in caso di interventi eseguiti in assenza o difformita' del permesso di costruire.

La sostituzione di tali sanzioni ripristinatorie con una sanzione pecuniaria, e' prevista nei soli casi di cui all'art. 33 comma 2 (1) .

La sanatoria e' invece consentita (art. 36) solo «se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda» (art. 36, comma 1).

Orbene, la disposizione impugnata si pone in contrasto con le citate disposizioni in quanto:   a) introduce nuove ipotesi in cui e' possibile sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria;   b) introduce nuove ipotesi di sanatoria degli abusi edilizi, diversi da quelli previsti dall'art. 36 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001.

La norma va quindi ad incidere sulla materia «governo del Territorio» ex art. 117, comma 3 Cost., nel cui ambito spetta alle regioni la sola adozione di una disciplina di dettaglio nel rispetto dei principi fondamentali di stabilita' delle leggi dello Stato (sentenze n. 233/2015, 102 e 277/2013).

In particolare, nella sentenza n. 233/2015 (emessa in fattispecie analoga), la Corte ha precisato che:   «In tema di condono edilizio "straordinario", la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici (integralmente sottratti al legislatore regionale: sentenze n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004), le scelte di principio sul versante della sanatoria amministrativa, in particolare quelle relative all'an, al quando e al quantum: la decisione sul se disporre, nell'intero territorio nazionale, un condono straordinario, e quindi la previsione di un titolo abilitativo edilizio straordinario; quella relativa all'ambito temporale di efficacia della sanatoria; infine l'individuazione delle volumetrie massime condonabili (nello stesso senso, sentenze n. 225 del 2012 e n. 70 del 2005).

Nel rispetto di tali scelte di principio, competono alla legislazione regionale l'articolazione e la specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale (sentenze n. 225 del 2012, n. 49 del 2006 e n. 196 del 2004).

Ne consegue che le norme impugnate si pongono in contrasto con i consolidati principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale in materia.

Esula, infatti, dalla potesta' legislativa concorrente delle regioni il potere di «ampliare i limiti applicativi della sanatoria» (sentenza n. 290 del 2009) oppure, ancora, di «allargare l'area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato» (sentenza n. 117 del 2015). A maggior ragione, esula dalla potesta' legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale».

La disposizione impugnata viola inoltre anche l'art. 117, comma 2, lettera l) Cost. che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento civile e penale, nonche' l'art. 25 comma 2 Cost. contenente una riserva di legge (statale) in materia penale; inoltre si pone anche in contrasto con l'art. 3 Cost. per irragionevolezza.

Cio' in quanto ai sensi dell'art. 45 comma 3 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 «Il rilascio in sanatoria del permesso di costruire estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti», mentre per il successivo art. 46 comma «Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione e' iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitu'».

Art. 8 («Integrazione all'art. 6 della legge regionale 7 agosto 2009, n. 25 "Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell'economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente" e s.m.i.»).

1. All'art. 6 della legge regionale 7 agosto 2009, n. 25, come sostituito dall'art. 7 della legge regionale 3 dicembre 2012, n. 25 e' aggiunto il seguente comma:   «4-bis. Sono esclusi dai divieti elencati nel precedente comma 4 i comuni che prima dell'entrata in vigore della legge erano gia' muniti di Piani paesistici e per tale casistica si applicano le norme di attuazione dei predetti piani.».

La disposizione introducendo un ulteriore comma (4-bis) all'art.

6 della legge regionale n. 25/2009 (2) , esclude dai divieti previsti dal comma 4 dell'art. 6, consentendo, per tutti i comuni che prima della legge risultavano muniti di Piani Paesaggistici, gli interventi di ampliamento, di rinnovamento nonche' gli interventi straordinari di riuso del patrimonio edilizio esistente di cui alla legge regionale n. 25/2009, precedentemente non consentiti dalla legge medesima su edifici che risultassero:   a) realizzati in assenza di titolo abilitativo;   b) ubicati in aree a vincolo di inedificabilita' assoluta previste negli strumenti di pianificazione paesaggistica ed urbanistica vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge;   c) definiti beni culturali ai sensi dell'art. 10 del decreto legislativo n. 42/2004;   d) ubicati in aree dichiarate intrasformabili per l'uso insediativo (residenziale, produttive, commerciale e del terziario) dei rispettivi piani paesistici;   e) ricadenti nelle aree indicate all'art. 142, comma l, lettera I), del decreto legislativo n. 42/2004, limitatamente alla zona I delle aree destinate a parco, di elevato interesse naturalistico e paesaggistico, e nelle aree a riserve naturali nazionali e riserve integrali regionali;   f) ubicati in ambiti a rischio idrogeologico ed idraulico come riportati nei Piani Stralcio redatti dalle Autorita' di Bacino competenti sul territorio regionale.

Anche in questo caso, al pari dell'art. 3, la norma appare illegittima per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s) Cost.

stante l'intervento unilaterale della Regione.

Art. 12 per mero errore materiale indicato come art. 9 («Integrazione all'art. 2 della legge regionale 7 agosto 2009, n. 25 "Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell'economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente"» e s.m.i.).

1. All'art. 2 della legge regionale 7 agosto 2009, n. 25 e s.m.i.

dopo il comma 7-ter e' aggiunto il seguente comma:   «7-quater. Gli interventi di ampliamento previsti dal presente articolo nel caso di pertinenze della residenza, fermo restando i limiti stabiliti dalla legge, possono essere realizzati separatamente dall'edificio principale nell'ambito del lotto fondiario. Per tale pertinenza e' consentito derogare ai limiti di distanze indicati dagli strumenti urbanistici vigenti, in attuazione dell'art. 2bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, fermo restando quanto previsto dall'art. 873 del codice civile, primo capoverso, e salvo quanto stabilito dall'art. 11, commi l e 2 della legge regionale 28 dicembre 2007, n. 28 e' possibile altresi' superare di m. 3,10 l'altezza massima consentita dagli strumenti urbanistici vigenti.».

Anche tale disposizione (indicata come art. 9 - anch'esso di modifica della legge regionale n. 25/2009 - per errore materiale chiaramente evincibile dalla delibera del C.d.M.) si pone in contrasto con l'art. 117, comma 2, lett. s) Cost. (stante l'intervento unilaterale della Regione) in quanto prevede la possibilita' di realizzazione, anche separatamente dall'edificio nell'ambito del lotto fondiario, in deroga ai limiti e distanze stabiliti dagli strumenti urbanistici, prevedendo la possibilita' di «altresi' superare di m. 3,10 l'altezza massima consentita dagli strumenti urbanistici vigenti.».

Art. 13 («Modifica all'art. 5 della legge regionale 7 agosto 2009, n. 25 "Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell'economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente" e s.m.i.»). - 1. Il comma 1-quinquies dell'art. 5 della legge regionale 7 agosto 2009, n. 25 e s.m.i. e' cosi sostituito:   «1-quinquies. Il mutamento di destinazione d'uso a residenza e' consentito per gli immobili ricompresi all'interno delle zone omogenee E, di cui al decreto ministeriale n. 1444/68, sempreche' la destinazione d'uso dell'edificio sia gia' in parte residenziale legittimamente assentita in relazione alla conduzione del fondo agricolo nella misura massima del 30% della superficie residenziale esistente. Sono consentite all'interno delle zone omogenee E, altresi', modifiche di destinazioni d'uso di edifici esistenti per piccole attivita' di rivendita e degustazione di prodotti agricoli nella misura massima di mq 200, nonche' per servizi alle popolazioni rurali. Il mutamento di destinazione d'uso e' consentito in tutte le zone il cui piano dell'autorita' di bacino ha declassificato la pericolosita' geologica prevista nei piani paesistici.».

La disposizione prevede la possibilita' di un mutamento delle destinazioni d'uso a residenza degli immobili ricompresi all'interno delle zone omogenee «E» di cui al decreto ministeriale 1444/1968.

In particolare e' previsto che il mutamento sia consentito «in tutte le zone il cui piano dell'autorita' di bacino ha declassificato la pericolosita' geologica prevista nei piani paesistici».

La disposizione appare illegittima nuovamente per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s) come nel caso precedente, ma anche per violazione dell'art. 3 Cost. (irragionevolezza) in quanto non si comprende il significato del richiamo alla «declassificazione» di cui non vengono indicati i riferimenti normativi; ne' puo' ritenersi che si tratti di concetti giuridici gia' esistenti e quindi utilizzabili dal legislatore.

Art. 20 («Modifica all'art. 2 della legge regionale 30 dicembre 2015, n. 54 "Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del decreto ministeriale 10 settembre 2010"»).

1. L'art. 2 della legge regionale 30 dicembre 2015, n. 54 e' sostituito dal seguente:   «Art. 2. - 1. I criteri e le modalita' per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio delle tipologie di impianti da fonti di energia rinnovabili (F.E.R.), sono contenuti nelle Linee guida di cui agli allegati A) e C), nonche' negli elaborati di cui all'allegato B) della presente legge e nelle Linee guida regionali per gli impianti con potenza non superiore a l MW.

2. Nel caso in cui l'impianto ricada in una zona interessata da piu' livelli di distanze (buffer) si considera sempre la distanza (buffer) piu' restrittiva.

3. Nei buffer relativi alle aree e siti non idonei e' possibile autorizzare l'installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili nel rispetto delle modalita' e prescrizioni indicate nel comma 1 del presente articolo.».

Anche per tale disposizione vale quanto detto in relazione al precedente art. 3 in quanto si tratta di un intervento unilaterale in contrasto con gli impegni assunti in tema di elaborazione del Piano Paesaggistico Regionale.

La norma introduce elementi di contrasto e contraddittorieta' con gli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo di Intesa per la elaborazione del Piano Paesaggistico Regionale, e si pone pertanto in contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera s) Cost. che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia della «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali».

La disposizione viola inoltre anche l'art. 117, comma 3, Cost. in quanto «Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la disciplina degli impianti di energia da fonti rinnovabili deve essere ricondotta alla materia di competenza legislativa concorrente della "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia", di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. (ex plurimis, sentenza n. 275 del 2012)"» (sentenza n. 189/2014).

Art. 23 («Modifica all'art. l della legge regionale 14 ottobre 2008, n. 25 "Disposizioni in materia di autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e private' e s.m.i.).

1. All'art. l, comma l della legge regionale 14 ottobre 2008, n.

25 e s.m.i. le parole «entro due anni» sono sostituite dall'espressione: «entro cinque anni».

La disposizione introduce una proroga di tre anni (da 2 a 5) dei termini per gli adeguamenti strutturali connessi alle procedure di autorizzazione, di cui alla legge regionale n. 25/2008 (3) .

In particolare la norma si riferisce alle strutture sanitarie dotate di posti letto, che gia' erogano prestazioni sanitarie in regime di ricovero ed a quelle dotate di posti residenziali per assistenza riabilitativa ai disabili psichici e psiconeuromotori, nonche' alle strutture riabilitative che erogano ai disabili psichici e psiconeuromotori prestazioni in regime ambulatoriale.

Nel disporre detta proroga, peraltro, la disposizione regionale non individua un preciso dies a quo, considerato che i termini di cui trattasi decorrono dalla data di comunicazione, da parte della competente Commissione tecnica di valutazione regionale, dell'idoneita' del piano di adeguamento.

La proroga cosi' prevista, determinando una dilazione dei termini per l'adeguamento a quelli che sono requisiti minimi richiesti alle strutture sanitarie e sociosanitarie, a garanzia della sicurezza dei cittadini, non risulta conforme alle disposizioni dettate dall'art.

8-ter, comma 4, decreto legislativo n. 502/92 in forza del quale: «L'esercizio delle attivita' sanitarie e sociosanitarie da parte di strutture pubbliche e private presuppone il possesso dei requisiti minimi, strutturali, tecnologici e organizzativi stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento ai sensi dell'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, sulla base dei principi e criteri direttivi previsti dall'art. 8, comma 4, del presente decreto»; la norma dunque richiede che la verifica del possesso dei requisiti minimi autorizzativi venga effettuata prima del rilascio dell'autorizzazione e dell'avvio di qualsivoglia attivita'.

Considerato che in base alla giurisprudenza della Corte, la competenza regionale in materia di autorizzazione e' ricompresa nella piu' generale potesta' legislativa concorrente in materia di «tutela della salute», che vincola le regioni al rispetto dei principi fondamentali fissati dalle norme statali, nel caso di specie, si ravvisa una violazione dell'art. 117, comma terzo, Cost.; ed invero, gli articoli 8, comma 4, e 8-ter, del decreto legislativo n. 502/1992 stabiliscono livelli essenziali di sicurezza e qualita' che debbono essere soddisfatti da tutte le strutture che intendono effettuare prestazioni sanitarie e la Corte costituzionale ha riconosciuto che tali disposizioni rappresentano principi fondamentali che le regioni devono garantire anche indipendentemente dal fatto che una struttura intenda o meno chiedere l'accreditamento.

Art. 26 («strutture sociosanitarie»). - 1. A decorrere dalla data di approvazione del provvedimento definitivo di Giunta regionale previsto dall'art. 21, comma l della legge regionale 14 febbraio 2007, n. 4, a tutte le strutture sociosanitarie a ciclo residenziale e semiresidenziale si applicano le disposizioni normative contenute nella legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i.

2. Le strutture sociosanitarie di cui alla legge regionale 14 febbraio 2007, n. 4 e s.m.i. che per effetto del comma 1 rientrano nel campo di applicazione della legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. e che hanno in corso, da almeno tre anni, convenzioni o contratti con Aziende sanitarie locali, stipulati previa selezione con procedure di evidenza pubblica si intendono provvisoriamente accreditate per i servizi resi in regime non residenziale, residenziale, semiresidenziale, nelle more della regolamentazione dell'accreditamento istituzionale.

3. Le strutture sociosanitarie di cui alla legge regionale 14 febbraio 2007, n. 4 e s.m.i. che per effetto del comma 1 rientrano nel campo di applicazione della legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. attive alla data di entrata in vigore della presente legge, per continuare a svolgere l'attivita', devono presentare, entro 12 mesi dall'entrata in vigore della presente legge, domanda di autorizzazione ai sensi dell'art. 15 della legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. e delle disposizioni attuative regionali corredata del piano di adeguamento.

4. Le Aziende sanitarie locali sono autorizzate a stipulare, con le strutture di cui al comma 2, convenzioni o contratti, anche in prosecuzione di quelli in corso, di durata non superiore a 18 mesi.

Fino alla scadenza dei predetti 18 mesi le tariffe stabilite dai contratti in essere restano confermate. Nelle more della regolamentazione dell'accreditamento istituzionale, sono sospese le eventuali procedure in corso per l'affidamento dei servizi di cui al comma 2.

5. La regione entro 12 mesi dall'entrata in vigore della presente legge emana i provvedimenti attuativi per la regolamentazione dell'accreditamento istituzionale dei servizi e delle strutture di cui al presente articolo.

La disposizione prevede l'applicazione della disciplina sull'autorizzazione di cui alla legge regionale n. 28/2000 a tutte le strutture sociosanitarie gia' attive ed operanti, convenzionate con il Servizio sanitario regionale, per le quali, tuttavia, non e' ancora conclusa la verifica preventiva dei requisiti minimi. In particolare, laddove consente a tali strutture gia' «attive alla data di entrata in vigore della presente legge...» di continuare a svolgere l'attivita' previa presentazione della domanda di autorizzazione, il comma 3 dell'articolo in esame si pone in contrasto con quanto previsto in materia di autorizzazione dall'art 8-ter del decreto legislativo n. 502/1992, a norma del quale il rilascio dell'autorizzazione e la verifica del possesso dei requisiti minimi precede l'esercizio di attivita' sanitarie e sociosanitarie.

L'art. 26, comma 2, prevede, inoltre, nelle more della regolamentazione dell'accreditamento istituzionale, l'applicazione di un regime di accreditamento provvisorio per le strutture sociosanitarie gia' convenzionate a seguito di procedura di evidenza pubblica, consentendo alle aziende sanitarie locali di stipulare con le stesse il relativo accordo contrattuale di durata massima di 18 mesi. In ogni caso, tali strutture devono presentare domanda di autorizzazione corredata dal piano di adeguamento ai requisiti minimi autorizzativi.

A tale riguardo si precisa che per l'«accreditamento» occorrono «requisiti ulteriori» (rispetto a quelli necessari all'autorizzazione) e l'accettazione del sistema di pagamento a prestazione (art. 8-quater del decreto legislativo n. 502/1992); come piu' volte ribadito dalla Corte (sentenza n. 361/2008), i «requisiti ulteriori» di cui all'art. 8-quater citato, necessari per l'accreditamento, hanno natura di principi fondamentali che le regioni sono tenute a rispettare.

Ne consegue che, laddove la disposizione regionale consente alle strutture di cui trattasi, per le quali non e' ancora intervenuta la verifica dei requisiti ulteriori, di stipulare convenzioni con il SSR configura un'ipotesi di accreditamento ope legis per strutture di cui viene presunta la regolarita', indipendentemente dal possesso effettivo dei requisiti predetti.

Si ravvisa, pertanto, una violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. per lesione dei principi fondamentali in materia di «tutela della salute», stabiliti dal citato art. 8-quater.

Ulteriore analoga violazione e' ravvisabile laddove il comma 2 dell'art. 26 prevede il riconoscimento dell'accreditamento provvisorio alle strutture socio-sanitarie di cui alla legge regionale n. 4/2007 in violazione dell'art. l, comma 796, lettera t), della legge n. 296/2006 (come da ultimo modificato dal comma l-bis dell'art. 7, decreto-legge n. 150/2013) secondo cui l'accreditamento provvisorio delle strutture sanitarie e socio-sanitarie, diverse da quelle ospedaliere e ambulatoriali, che consente l'erogazione delle prestazioni, deve cessare entro il 31 ottobre 2014.

Anche a tale riguardo la Corte si e' gia' espressa nel senso di ritenere che il termine finale previsto dalla legislazione statale, all'art. l, comma 796, lettera t), della legge n. 296/2006, per il passaggio dall'accreditamento provvisorio a quello definitivo, costituisce principio fondamentale della materia che le regioni sono tenute a rispettare.

Art. 30 («Norme di coordinamento e razionalizzazione»). - 1. A fine di ottimizzare la gestione delle liste di attesa per l'accesso dei cittadini alle prestazioni di specialistica ambulatoriale e ai percorsi assistenziali della medicina territoriale, le prescrizioni su ricettario del Servizio sanitario regionale e le prescrizioni su modulistica del Servizio sanitario regionale di piani terapeutici, di ausili e di presidi sanitari, comprese quelle connesse a particolari aree cliniche e patologie, sono operate da:   a) medici di Medicina generale e Pediatri di libera scelta;   b) medici di continuita' assistenziale;   c) medici delle strutture pubbliche;   d) medici operanti presso le strutture accreditate con il Servizio sanitario regionale pubbliche e private.

Alle Aziende sanitarie regionali e' affidata l'immediata attuazione di quanto disposto al presente comma, anche attraverso l'adozione di apposite linee guida.

2. Al fine di migliorare l'integrazione tra le strutture accreditate del Servizio sanitario regionale, ferme restanti le disposizioni di cui all'art. 4, comma 7 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 in materia di incompatibilita', le strutture sanitarie private accreditate con il Servizio sanitario nazionale possono altresi' avvalersi:   a) dell'opera di medici in rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale, sempre che questa rientri nell'ambito di accordi e/o protocolli di intesa stipulati con le Aziende del Servizio sanitario regionale di dipendenza;   b) dell'opera di medici in rapporto con altre strutture private accreditate con il Servizio sanitario nazionale. Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogate le norme in contrasto con quanto disposto al presente comma.

3. L'art. 4 della legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 s.m.i. e' cosi' sostituito:   «Art. 4 (Strutture soggette ad autorizzazione). - 1. La realizzazione di strutture sanitarie e l'esercizio di attivita' sanitarie, sono subordinate al rilascio delle autorizzazioni di cui all'art. 8-ter del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229. La presente disposizione vale anche per le strutture e le attivita' sociosanitarie.

Sono soggette ad autorizzazione tutte le strutture pubbliche e private che esercitano attivita' sanitaria, compresi i servizi sanitari ed i presidi diagnostici curativi e riabilitativi annessi agli stabilimenti termali, nonche' i servizi ambulatoriali decentrati delle case di cura private.

2. L'autorizzazione all'esercizio di attivita' sanitarie e', altresi', richiesta per gli studi medici e di altre professioni sanitarie, ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessita' o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, nonche' per le strutture esclusivamente dedicate ad attivita' diagnostiche, svolte anche a favore di soggetti terzi.

3. Non sono soggette ad autorizzazione ai sensi della presente legge:   a) gli studi medici, singoli o associati, o di altre professioni sanitarie individuate dai regolamenti del Ministro della sanita', in attuazione dell'art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche ed integrazioni ovvero quelle strutture in cui il medico o le o le altre professioni sanitarie esercitano la propria attivita' attraverso procedure che non comportino rischio per la sicurezza dei pazienti;   b) le strutture sanitarie destinate in via sperimentale o definitiva a sede delle Unita' Territoriali di Assistenza Primaria (UTAP).

4. La giunta regionale emana direttive per la specificazione dei casi di cui al comma precedente.».

La disposizione disattende il principio generale di unicita' del rapporto di lavoro del personale medico con il SSN, sancito dall'art.

4, comma 7, della legge n. 412/1991, a norma del quale:   «Con il Servizio sanitario nazionale puo' intercorrere un unico rapporto di lavoro. Tale rapporto e' incompatibile con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, e con altri rapporti anche di natura convenzionale con il Servizio sanitario nazionale. Il rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale e' altresi' incompatibile con l'esercizio di altre attivita' o con la titolarita' o con la compartecipazione delle quote di imprese che possono configurare conflitto di interessi con lo stesso. [ ...] L'esercizio dell'attivita' libero-professionale dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale e' compatibile col rapporto unico d'impiego, purche' espletato fuori dall'orario di lavoro all'interno delle strutture sanitarie o all'esterno delle stesse, con esclusione di strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. Le disposizioni del presente comma si applicano anche al personale di cui all'articolo 102 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 [...]».

La portata del principio generale dell'unicita' del rapporto di lavoro con il SSN e' stata in plurime occasioni esaminata dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sentenze nn. 2430/2003 e 4463/2004), che ha chiarito come il principio in questione debba essere inteso estensivamente, essendo proprio «sia dei rapporti di lavoro alle dipendenze di strutture pubbliche o private in qualsiasi maniera convenzionate, sia dei rapporti libero-professionali in regime di convenzione, sia dell'esercizio di attivita' professionale, ancorche' autonoma, presso una struttura privata convenzionata. Si tratta di un principio che ha carattere oggettivo ed assoluto, per cui il divieto di svolgere attivita' professionale in strutture convenzionate opera ancorche' l'attivita' sia svolta stabilendo un rapporto diretto con il paziente o in un'unita' operativa non convenzionata della stessa struttura, nonche' in strutture convenzionate in discipline diversa da quella nella quale il medico presta servizio» (Cfr. Cons. Stato, sentenza n. 2430/2003).

Nel senso che l'incompatibilita' derivante dal divieto di cui sopra e' assoluta ed opera nei confronti di qualsiasi altra attivita', depone anche la finalita' della norma diretta a «garantire la massima efficienza e funzionalita' operativa al servizio sanitario pubblico» (in tal senso, Corte costituzionale sentenza n. 457/1993).

Al riguardo, si osserva, altresi', come la ratio giustificativa del divieto recato dall'art 4, comma 7, della citata legge n.

412/1991, possa rinvenirsi anche nel comma l dell'art 98 Cost., che giustifica, appunto, un divieto - poi diversamente specificato dal legislatore quanto alle fattispecie concrete e alle conseguenze sul rapporto di pubblico impiego - allo svolgimento di rapporti idonei ad inficiare il principio dell'«esclusivo servizio della Nazione» che appare caratterizzare, con connotati di rilievo ordinamentale, la natura stessa del rapporto di lavoro di cui trattasi. Ed infatti, l'art. 4, comma 7, della citata legge n. 412/91 svolge una funzione di valorizzazione del perseguimento dei fini di pubblico interesse - cui l'Amministrazione pubblica e' istituzionalmente preposta -, che potrebbe, essere inficiato dalla compresenza di altri rapporti, suscettibili di determinare una concorrente tensione, nella persona del dipendente, verso interessi quanto meno «diversi» dall'interesse collettivo, che viene postulato di esclusiva riferibilita' per il soggetto incardinato nella pubblica amministrazione.

Occorre infine rilevare come l'art. l, comma 5, della legge n.

662/1996 dispone che le incompatibilita' previste dall'art. 4, comma 7, della legge n. 412/1991 si riferiscono anche alle strutture sanitarie private accreditate.

Alla luce di quanto sopra esposto, l'art. 30, comma 2, della legge regionale in esame, laddove sembra consentire una duplicita' di rapporti che, invece, l'art 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991 intende chiaramente scongiurare, viola il principio di unicita' del rapporto del personale medico del SSN, che si pone, nella materia concorrente della tutela della salute di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., quale principio fondamentale, in quanto costituisce un elemento tra i piu' caratterizzanti nella disciplina del rapporto di lavoro con il personale sanitario, nonche' della stessa organizzazione sanitaria, posto, peraltro, a presidio dell'efficienza e della funzionalita' operativa del servizio sanitario pubblico.

Ai medesimi rilievi di incostituzionalita', a maggior ragione, si giunge a voler individuare il pertinente titolo di competenza nella materia di competenza esclusiva statale «della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» di cui all'art. 117, comma secondo, lettera m) Cost., tenuto conto che il contemporaneo esercizio da parte di un medico presso piu' strutture private accreditate potrebbe spiegare effetti negativi sulla qualita' dell'attivita' assistenziale erogata e, al contempo, impedire l'effettivo espletamento della funzione ausiliaria rispetto alle strutture pubbliche che i soggetti accreditati sono chiamati a svolgere (cfr., in tal senso, Corte costituzionale sentenza n. 457 del 23 dicembre 1993).

Art. 33 («Mobilita' interregionale attiva»). - 1. In riferimento alle prestazioni erogate in mobilita' attiva interregionale dalle strutture sanitarie accreditate e contrattualizzate con il Servizio sanitario regionale, coerentemente con quanto definito in sede di Conferenza delle regioni, anche ai fini della sottoscrizione degli accordi interregionali per la compensazione della mobilita' sanitaria, non sono computabili per il raggiungimento dei tetti di spesa le seguenti prestazioni:   a) relativamente alle attivita' di ricovero, i DRG di alta complessita';   b) relativamente alle attivita' di specialistica ambulatoriale (ex art. 25 della legge n. 833/1978), le prestazioni trasferite da regime ospedaliero a regime ambulatoriale e quelle considerabili salva-vita definite critiche dal Piano nazionale di Governo delle liste di attesa per il triennio 2010-2012 (punto 3.1 del Piano, intesa Stato-regioni del 28 ottobre 2010).

La disposizione (relativa alla mobilita' regionale interattiva in materia sanitaria), con riferimento all'esclusione dai tetti di spesa delle prestazioni di alta complessita', si pone in contrasto con la legislazione nazionale, in quanto ai sensi dell'articolo l, comma 574, della legge n. 208/2015, le regioni possono programmare l'acquisto di prestazioni di assistenza ospedali era di alta specialita', nonche' di prestazioni erogate da parte degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) a favore di cittadini residenti in regioni diverse da quelle di appartenenza ricomprese negli accordi per la compensazione della mobilita' interregionale le prestazioni in deroga ai limiti previsti, ma al fine di garantire, in ogni caso, invarianza del effetto finanziario connesso alla deroga di cui al periodo precedente, le stesse devono provvedere ad adottare misure alternative, volte, in particolare, a ridurre le prestazioni inappropriate di bassa complessita' erogate in regime ambulatoriale, di pronto soccorso, in ricovero ordinario e in riabilitazione e lungodegenza, acquistate dagli erogatori privati accreditati, in misura tale da assicurare il rispetto degli obiettivi di riduzione di cui al decreto-legge n. 95/2012.

Il predetto obiettivo finanziario puo' essere anche assicurato attraverso misure alternative a valere su altre aree della spesa sanitaria. Nella legge in esame non si rinvengono le modalita' di compensazione.

Inoltre, con l'articolo in esame, si dispone, prima di qualsiasi accordo di confine sottoscritto, una deroga alla produzione di prestazioni rese in mobilita'. Si rileva al riguardo che, ai sensi del decreto ministeriale n. 70/2015, i posti letto riservati alla mobilita' attiva sono gia' compresi nella programmazione regionale che peraltro deve essere approvata ai sensi dell'articolo l, comma 541, lettera e), della legge n. 208/2015, dal Tavolo di verifica degli adempimenti e dal Comitato LEA, e qualsiasi modifica potra' avvenire solo a seguito di accordi di confine gia' stipulati, al fine di garantire la compatibilita' a livello nazionale.

Con riferimento all'esclusione delle altre tipologie di prestazioni dal tetto di spesa, la norma si pone in contrasto con la legislazione vigente, in quanto non sono previste tali esclusioni, passibili di determinare oneri aggiuntivi e non coperti.

Per quanto esposto l'art. 33 e' in contrasto con i principi fondamentali di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, poiche' viola il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria quale principio di coordinamento della finanza pubblica, nonche' con l'art. 81, terzo comma della Costituzione sotto il profilo della mancata copertura finanziaria.

Art. 45 («Modifica all'art. 6 della legge regionale 27 ottobre 2014, n. 30 "Misure per il contrasto della diffusione del gioco d'azzardo patologico (G.A.P.)" e s.m.i.»).

1. All'art. 6, comma 2 della legge regionale 27 ottobre 2014, n.

30 e s.m.i., dopo le parole «nel caso di ubicazioni in un raggio», sopprimere la parola «non».

2. Il precedente comma non comporta nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio regionale.

La disposizione modifica l'art. 6, comma 2, della legge regionale n. 30/2014 in materia di autorizzazione all'esercizio delle sale da gioco e all'istallazione di apparecchi da gioco entro la distanza di 500 metri dai luoghi sensibili. Tale disposizione risulta non in linea con quanto stabilito dall'articolo l, comma 936, della legge 28 dicembre 2015, n. 201, in base alla quale in sede di conferenza unificata sono definite le caratteristiche dei punti di vendita ove si raccoglie gioco pubblico, nonche' i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell'ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di eta'. Le intese raggiunte in conferenza unificata sono recepite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti.

La norma in esame e' pertanto illegittima per contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera h) della Costituzione in materia di ordine e sicurezza.

Art. 46 («Modifica all'art. 76 della legge regionale 27 gennaio 2015, n. 5 "Legge di stabilita' regionale 2015"»).

1. All'art. 76 della legge regionale 27 gennaio 2015, n. 5 dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente:   «1-bis. In deroga a quanto stabilito dall'art. 34 della legge regionale 2 febbraio 2006, n. l, possono altresi' essere rilasciate concessioni demaniali marittime provvisorie e stagionali ai comuni o alle Associazioni di volontariato che svolgono opere e/o attivita' in favore di disabili intellettivi e motori e delle loro famiglie al fine di realizzare strutture stagionali attrezzate per l'accoglienza e il godimento del mare.».

2. All'art. 76 della legge regionale 27 gennaio 2015, n. 5 il comma 2 e' cosi' sostituito:   «2. Alla autorizzazione e/o concessione demaniale di cui al comma l e 1-bis provvede il dirigente del competente ufficio demanio a richiesta degli interessati e previa verifica delle condizioni necessarie per potersi impiantare le strutture di che trattasi nel numero massimo di una per ogni comune qualora non vi siano stabilimenti balneari gia' adeguati all'accoglienza dei disabili.».

La disposizione modifica l'art. 76 della legge regionale n.

5/2015, aggiungendo il comma 1-bis secondo cui: «In deroga a quanto stabilito dall'art. 34 della legge regionale n. 1/2006, possono altresi' essere rilasciate concessioni demaniali marittime provvisorie e stagionali ai comuni o alle Associazioni di volontariato che svolgono opere e/o attivita' in favore di disabili intellettivi e motori e delle loro famiglie al fine di realizzare strutture stagionali attrezzate per l'accoglienza e il godimento del mare».

La norma, non contemplando espressamente procedure selettive per l'individuazione del soggetto titolare delle concessioni demaniali marittime in argomento - verosimilmente di carattere turistico-ricreativo, come desumibile in base al precedente comma l del medesimo art. 76 e all'art. 34 della richiamata legge regionale n. 11/2006 - non appare in linea con l'art. 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, essendo il demanio marittimo considerato «risorsa scarsa».

Pertanto, la norma in rassegna si pone in contrasto con l'art.

117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost., in relazione, rispettivamente, agli obblighi posti dai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e alla materia della tutela della concorrenza.

(1) Art. 32 comma 2: «Qualora, sulla base di motivato accertamento  dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei  luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile  dell'ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio  dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla  realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data  di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla  legge 27 luglio 1978, n. 392, e con riferimento all'ultimo costo  di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato  alla data di esecuzione dell'abuso, sulla base dell'indice ISTAT  del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non  tenuti all'applicazione della legge medesima, del parametro  relativo all'ubicazione e con l'equiparazione alla categoria A/1  delle categorie non comprese nell'art. 16 della medesima legge.

Per gli edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la  sanzione e' pari al doppio dell'aumento del valore venale  dell'immobile, determinato a cura dell'agenzia del territorio».

(2) L'art. 6, comma 4, della legge regionale n. 25/2009 cosi'  dispone: « 4. Gli interventi di cui agli articoli 2, 3 e 5 non  sono, altresi', consentiti su edifici che risultino: a)  realizzati in assenza di titolo abilitativo; b) ubicati in aree a  vincolo di inedificabilita' assoluta previste negli strumenti di  pianificazione paesaggistica ed urbanistica vigenti alla data di  entrata in vigore della presente legge; c) definiti beni  culturali ai sensi dell'art. 10 del decreto legislativo n.

42/2004; d) ubicati in aree dichiarate intrasformabili per l'uso  insediativo (residenziale, produttive, commerciale e del  terziario) dei rispettivi piani paesistici; e) ricadenti nelle  aree indicate all'art. 142 comma l, lettera f), del decreto  legislativo n. 42/2004, limitatamente alla zona l delle aree  destinate a parco, di elevato interesse naturalistico e  paesaggistico, e nelle aree a riserve naturali nazionali e  riserve integrali regionali; f) ubicati in ambiti a rischio  idrogeologico ed idraulico come riportati nei Piani Stralcio  redatti dalle Autorita' di Bacino competenti sul territorio  regionale».

(3) L'art. l, comma l, della legge regionale n. 25/2008 ora cosi'  dispone: «Allo scopo di consentire il completamento dei processi  di adeguamento connessi alle procedure di autorizzazione di cui  alla legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. le strutture  sanitarie dotate di posti letto, che erogano prestazioni  sanitarie in regime di ricovero e quelle dotate di posti  residenziali per assistenza riabilitativa ai disabili psichici e  psiconeuromotori, e per quelle strutture riabilitative che  erogano ai disabili psichici e psiconeuromotori prestazioni in  regime ambulatoriale, fatto salvo il possesso dei requisiti  minimi generali di cui al decreto del Presidente della Repubblica  14 gennaio 1997, devono eseguire gli adeguamenti di cui all'art.

15, comma 6, lettera a) della legge regionale 5 aprile 2000, n.

28 e s.m.i., entro cinque anni dalla data di comunicazione da  parte della Commissione Tecnica Aziendale della adeguatezza del  progetto esecutivo con relativo cronoprogramma vincolante per  l'ultimazione dei lavori di adeguamento ai requisiti previsti  dalla normativa vigente».

 

P.Q.M.

 

Si chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimi e conseguentemente annullare gli articoli 3, 4, 5, 8, 12, 13, 20, 23, 26, 30, 33, 45 e 46 della legge regionale Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 per i motivi illustrati nel presente ricorso.

Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno:   1. estratto della delibera del Consiglio dei ministri 23 settembre 2017.

Roma, 25 settembre 2017

L'Avvocato dello Stato: De Bellis