RICORSO N. 7 DEL 23 GENNAIO 2018 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 23 gennaio 2018.

(GU n. 8 del 21.2.2018)

 

Ricorso ai sensi dell'art. 127 della Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, nei cui uffici domicilia in Roma dei Portoghesi, 12;   Contro la Regione Liguria, in persona del Presidente in carica per l'impugnazione della legge regionale della Liguria 10 novembre 2017, n. 26, pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Liguria n. 16 del 15 novembre 2017, rubricata «Disciplina delle concessioni demaniali marittime per finalita' turistico ricreative», in relazione ai suoi articoli 2, comma 2 e 4, comma 1.

La legge regionale della Liguria n. 26 del 2017 ha ad oggetto, come indicato nel suo art. 1, comma 1, la disciplina, nel territorio ligure, del «rilascio delle concessioni demaniali marittime per finalita' turistico ricreative al fine di favorire le attivita' imprenditoriali e il turismo costiero nel rispetto dei principi della gestione integrata della fascia, della tutela della concorrenza e delle liberta' di stabilimento».

Cio', sempre a stare a quanto dichiarato nell'art. 1, comma 1, «in conformita' con la normativa statale vigente» e «(n)elle more del procedimento di revisione del quadro normativo di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalita' turistico ricreative di competenza dello Stato previsto all'art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative) convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25 (1) ».

Obiettivo della legge, enunciato nel comma 2 dell'art. 1, e' la previsione di «adeguate garanzie per la conservazione del diritto alla continuita' delle concessioni in atto», al fine di «tutelare l'organizzazione sociale delle aree costiere, garantire la continuita' aziendale delle attivita' che operano sulla base di un titolo concessorio attualmente vigente, assicurare la tutela del legittimo affidamento dei titolari di concessioni demaniali attualmente operanti in forza dei rapporti gia' instaurati e pendenti in base all'art. 1, comma 18, del decreto-legge n. 194/2009, convertito dalla legge n. 25/2010 e mantenere il livello attuale di presidio delle aree demaniali marittime nelle more dell'entrata in vigore della nuova disciplina».

Nel quadro di tali obiettivi, l'art. 2 della legge regionale, rubricato «Concessioni demaniali vigenti», dopo avere dichiarato, al comma 1, che e' «tutelato il principio del legittimo affidamento delle imprese balneari titolari di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico ricreativo, in essere ovvero rilasciate anteriormente al 31 dicembre 2009, con la conservazione del diritto alla continuita' aziendale», al comma 2 stabilisce quanto segue:   «Alle concessioni di beni demaniali marittimi con finalita' turistico ricreative, ad uso pesca, acquacoltura e attivita' produttive ad essa connesse, e sportive, nonche' quelle destinate a approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto, attualmente vigenti, e' riconosciuta l'estensione della durata della concessione di trenta anni dalla data di entrata in vigore della presente legge».

Il successivo art. 4, intitolato «Durata della concessione demaniale marittima», al comma 1, prevede quanto segue:   «La durata della nuova concessione demaniale marittima non deve limitare la libera concorrenza oltre il tempo necessario a garantire l'ammortamento degli investimenti materiali e immateriali, nonche' un'equa remunerazione dei capitali investiti. In ogni caso la durata della concessione per finalita' turistico ricreative non puo' essere inferiore a venti anni e superiore a trenta anni».

Nella seduta del 12 gennaio 2018, il Consiglio dei ministri ha deliberato di impugnare la legge regionale in esame, in relazione ai suoi articoli 2, comma 2 e 4, comma 1.

Tali disposizioni sono illegittime per i seguenti

 

Motivi

 

1) In relazione all'art. 117, comma primo, della Costituzione, violazione dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. In relazione all'art. 117, comma secondo, lettera e), della Costituzione violazione della potesta' legislativa esclusiva dello Stato nella materia della «tutela della concorrenza».

Prima di entrare nel merito delle censure che si andranno a proporre, sembra opportuno, da un lato, ripercorrere le vicende normative che hanno caratterizzato l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alle contestazioni che la Commissione europea ha formulato nell'ambito della procedura d'infrazione n. 2008/4908 e, dall'altro lato, dare conto delle circostanze che caratterizzano il procedimento pregiudiziale di cui alle cause riunite C-458/14, Promoimpresa, e C-67/15, Melis e a., originate da rinvio disposto da due tribunali amministrativi regionali italiani, che e' stato recentemente definito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea.

Quanto alla procedura di infrazione, essa fu avviata nel febbraio del 2009 dalla Commissione europea, la quale censurava il fatto che in Italia l'attribuzione delle concessioni demaniali marittime per finalita' ricreative si basasse su un sistema di preferenza per il concessionario uscente, se non addirittura di puro e semplice rinnovo automatico della concessione gia' assentata.

La Commissione ha quindi chiesto di modificare le disposizioni normative nazionali che producevano tale effetto, ossia l'art. 37 del codice della navigazione e l'art. 01, comma 2, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 - le quali prevedevano, rispettivamente, il c.d.

diritto d'insistenza del concessionario uscente e il rinnovo automatico delle concessioni sessennali - cosi' da passare a un sistema basato su concessioni per le quali fosse prevista una durata massima, da attribuire mediante procedure di evidenza pubblica.

Nella prima fase della procedura, le contestazioni della Commissione si sono appuntate sulla contrarieta' del regime nazionale alle norme del diritto primario dell'Unione e, in particolare, all'art. 43 dell'allora Trattato CE (ora art. 49 del TFUE), in materia di liberta' di stabilimento, in ragione della barriera all'ingresso che tale regime introduceva nei confronti delle imprese (anche) dell'Unione europea, alle quali non era concessa la possibilita', alla scadenza della concessione, di prendere il posto del vecchio gestore.

L'interpretazione, come noto, e' stata condivisa da codesta Corte costituzionale, nella sentenza n. 180 del 2010, che - occupandosi di una legge delle Regione Emilia-Romagna che attribuiva ai titolari di concessioni demaniali marittime il diritto a una proroga della durata della concessione fino a un massimo di 20 anni - ha dichiarato che simili previsioni determinano una «ingiustificata compressione dell'assetto concorrenziale del mercato della gestione del demanio marittimo, (...), violando il principio di parita' di trattamento (detto anche «di non discriminazione»), che si ricava dagli articoli 49 e ss. del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in tema di liberta' di stabilimento, favorendo i vecchi concessionari a scapito degli aspiranti nuovi». Tale indirizzo e' stato, poi, ribadito in diverse successive della Corte relative ad altre leggi regionali, come ad esempio la n. 340 del 2010, la n. 213 del 2011 e la n. 171 del 2013 relative ad altre leggi regionali (l'ultima delle quali proprio a una legge della Regione Liguria, che prefigurava la proroga di concessioni demaniali in essere).

Per superare le contestazioni della Commissione, e' stata inserita, nell'art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009 n. 194 (c.d. «mille proroghe»), una disposizione che ha abrogato l'art. 37, comma 2, del codice della navigazione (ossia la norma che prevedeva il diritto d'insistenza), nel contempo prorogando le concessioni in essere al 31 dicembre 2015, onde consentire, nelle more di tale scadenza, l'adozione di una normativa che disciplinasse l'affidamento delle concessioni attraverso procedure di evidenza pubblica (la disposizione e' stata riportata nella nota a pie' di pagina 1, sia pure nelle versione successivamente modificata).

In fase di conversione del decreto-legge, in questa stessa disposizione fu, tuttavia, inserito dal Parlamento un inciso che faceva salva l'applicabilita' del disposto dell'art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 400 del 1993, il quale prevedeva un meccanismo di rinnovo automatico delle concessioni sessennali.

La circostanza ha impedito la chiusura della procedura d'infrazione.

La Commissione europea ha infatti comunicato, il 5 maggio 2010, una lettera di c.d. «messa in mora complementare» con cui, oltre ad agganciare l'incompatibilita' della normativa dell'Unione anche all'art. 12 della direttiva 2006/123/CE (c.d. «Direttiva Servizi» o «Bolkestein»), entrata nel frattempo in vigore (28 dicembre 2009), ha chiesto di correggere l'art. 1, comma 18, del decreto «mille proroghe», espungendo il rinvio al meccanismo di rinnovo automatico previsto dal citato decreto-legge n. 400/1993.

Nella lettera di messa in mora complementare, la Commissione - oltre a ribadire la contrarieta' al Trattato dei meccanismi di proroga automatica o di preferenza del concessionario uscente - ha messo in evidenza che l'art. 12 della direttiva Bolkestein prescrive che, qualora il numero di «autorizzazioni» disponibili per l'esercizio di un'attivita' economica sia limitato per via della scarsita' delle risorse naturali o delle capacita' tecniche utilizzabili, queste siano assentite attraverso procedure di selezione che assicurino imparzialita' e trasparenza e prevedano un'adeguata pubblicita' dell'avvio della sua procedura e del suo svolgimento. Questo articolo vieta inoltre, al secondo paragrafo, il rinnovo automatico di tali autorizzazioni o l'attribuzione di qualsiasi «vantaggio» al titolare uscente o a persone che si trovino in particolari rapporti con esso (2) .

Per «autorizzazione», secondo le definizioni contenute nella direttiva, deve intendersi «qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un'autorita' competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all'accesso ad un'attivita' di servizio o al suo esercizio». La definizione, pertanto, si attaglia a qualsiasi attivita' economica il cui svolgimento postuli l'emissione di una decisione di un'attivita' pubblica. In tale nozione, a giudizio della Commissione, doveva ricomprendersi anche l'attivita' turistico-balneare, considerato che il suo esercizio e' condizionato dal previo rilascio di una concessione sui beni del demanio marittimo.

Per superare definitivamente le contestazioni della Commissione, e' stato quindi approvato, in seno alla legge 15 dicembre 2011, n.

217 (legge comunitaria 2010), un art. 11 («Modifiche al decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494. Procedura d'infrazione n. 2008/4908. Delega al Governo in materia di concessioni demaniali marittime»), che ha eliminato ogni rinvio al regime del rinnovo automatico delle concessioni (3) .

Cio' ha consentito l'archiviazione della procedura di infrazione, avvenuta con decisione della Commissione del 27 febbraio 2012.

L'art. 11 della legge comunitaria 2010 conferiva anche una delega legislativa per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, ma il relativo termine di quindici mesi e' spirato senza che la delega fosse esercitata.

Cio' si deve essenzialmente al fatto che, con l'art. 34-duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (inserito dalla legge di conversione n. 221 del 17 dicembre 2012), il termine di durata delle concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo in essere e' stato prorogato al 31 dicembre 2020.

La proroga ope legis ha costituito oggetto dei rinvii pregiudiziali disposti da due tribunali amministrativi regionali (il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia e il Tribunale amministrativo regionale della Sardegna) che, in sintesi, si sono interrogati sulla compatibilita' della detta proroga con i principi stabiliti nel Trattato e nel diritto derivato dell'Unione europea (segnatamente, nell'art. 12 della direttiva Bolkestein).

In data 14 luglio 2016 e' stata depositata la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (in prosieguo, la «sentenza Promoimpresa»).

Ai fini che qui rilevano, la sentenza si segnala per avere confermato che, in linea di principio, le concessioni demaniali in questione rientrano nel campo di applicazione della direttiva 2006/123/CE e, in particolare, del suo art. 12 (pur residuando, nei casi di specie, un apprezzamento di fatto - rimesso al giudice nazionale - circa la natura «scarsa», o meno, della risorsa attribuita in concessione (4) ).

In particolare, essa ha ritenuto che le concessioni possono «essere qualificate come «autorizzazioni», ai sensi delle disposizioni della direttiva 2006/123, in quanto costituiscono atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorita' nazionali al fine di poter esercitare la loro attivita' economica» (cfr. punto 41 della sentenza).

La Corte di giustizia ha, peraltro, anche affermato che l'eventuale inapplicabilita' delle disposizioni della direttiva non esimerebbe le autorita' concedenti dall'affidare le concessioni che abbiano un interesse transfrontaliero certo - che siano, cioe', tali da poter ragionevolmente suscitare l'interesse economico di un operatore economico situato in un altro Stato membro dell'Unione - nel rispetto delle regole fondamentali del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e, in particolare, del principio di non discriminazione (5) .

Da ultimo, la sentenza chiarisce che una disparita' di trattamento tra i concessionari esistenti e gli operatori economici che aspirano alla concessione puo', a determinate condizioni, «essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale, in particolare dalla necessita' di rispettare il principio della certezza del diritto», tuttavia poi escludendo che, nei due casi di specie, potesse farsi questione di tutela del legittimo affidamento, giacche' le concessioni controverse erano state affidate in un'epoca in cui gli interessati non potevano legittimamente confidare sulla stabilita' dei rapporti concessori in misura maggiore di quanto consentito dai principi del diritto dell'Unione.

All'indomani del deposito della sentenza della Corte di giustizia - la quale, nella sostanza, chiariva che era passibile di disapplicazione la proroga al 2020 delle concessioni esistenti, disposta dall'art. 34-duodecies del decreto-legge n. 179 del 2012 - il Parlamento, senza abrogare tale disposizione, e' intervenuto inserendo, in sede di conversione del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, un comma 3-septies all'art. 25, del seguente tenore: «Nelle more della revisione e del riordino della materia in conformita' ai principi di derivazione europea, per garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l'interesse pubblico all'ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuita', conservano validita' i rapporti gia' instaurati e pendenti in base all'art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25» (6) .

Successivamente, in data 15 febbraio 2017, il Governo ha presentato al Parlamento un disegno di legge recante «Delega al Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo».

Il progetto di legge e', pero', decaduto con la fine della legislatura.

Merita, infine, richiamare alcune piu' recenti pronunce di codesta Corte, le sentenze n. 40 e n. 157 del 2017, nelle quali - in linea di continuita' con tutta la precedente giurisprudenza in materia (cfr. le citate sentenze nn. 180, 233 e 340 del 2010, n. 213 del 2011 e n. 171 del 2013) - si e' confermato che la disciplina dei criteri e delle modalita' di affidamento delle concessioni, nel cui contesto «particolare rilevanza (...) assumono i principi della libera concorrenza e della liberta' di stabilimento, previsti dalla normativa comunitaria e nazionale», investe un ambito di competenze riservate alla legislazione statale e interviene in un settore nel quale insistono principi di derivazione europea, che la legislazione nazionale deve rispettare.

Nel descritto quadro, l'art. 2, comma 2, della legge regionale impugnata stabilisce, come si e' visto, una proroga di trenta anni delle concessioni demaniali marittime «attualmente vigenti».

Dalla premessa che precede si colgono, a tutta evidenza, gli aspetti di contrarieta' di tale previsione con il diritto dell'Unione europea e, in particolare, con l'art. 12 della direttiva servizi, nella quale sono declinati i principi della liberta' di stabilimento nel settore terziario (7) .

Si e' visto, infatti, che il par. 2 di tale articolo impedisce di attribuire al prestatore uscente qualsiasi vantaggio. E tale regola e' stata riprodotta nel decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, con cui la direttiva e' stata trasposta nell'ordinamento interno. L'art.

16, comma 4, di tale decreto legislativo stabilisce, nell'esercizio della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, che «(n)ei casi di cui al comma 1» - ossia nei casi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attivita' di servizi sia limitato - «il titolo e' rilasciato per una durata limitata e non puo' essere rinnovato automaticamente, ne' possono essere accordati vantaggi al prestatore uscente o ad altre persone, ancorche' giustificati da particolari legami con il primo».

Tali principi sono manifestamente violati dall'attribuzione indiscriminata ai concessionari esistenti di una proroga di trenta anni.

L'intervento regionale determina, insomma, una ingiustificata e insuperabile barriera all'ingresso dei nuovi entranti nel mercato, in conclamata violazione della giurisprudenza della Corte di giustizia - la quale, come si e' visto, ha reputato illegittima anche una proroga limitata al 2020 - peraltro ripetutamente anticipata dalla giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, a partire dalla citata sentenza n. 180 del 2010 (nella quale era stata reputata illegittima una proroga sino a un massimo di venti anni).

Ne' tale giurisprudenza puo' essere aggirata con l'argomento della situazione di legittimo affidamento nel quale verserebbero i concessionari esistenti, alla quale allude l'art. 2, comma 1, della legge regionale.

La citata sentenza Promoimpresa - che, come si e' visto, contiene alcune, ben delimitate, aperture in tal senso - ha chiarito che la circostanza che nell'ordinamento interno, fino al 31 dicembre 2009, fosse previsto il diritto di insistenza e/o il rinnovo automatico della concessione ogni sei anni, non e' sufficiente a costituire un legittimo affidamento in capo a tutti i concessionari esistenti.

Secondo la Corte di giustizia dell'Unione europea l'unico affidamento tutelabile e' quello che si e' costituito sulla base di una situazione conforme al diritto dell'Unione: altro e' avere ottenuto una concessione priva di interesse transfrontaliero certo in un periodo antecedente alla scadenza della direttiva Bolkestein (situazione che, come si e' visto, non ha rilievo per l'ordinamento dell'Unione), altro e' avere ottenuto una concessione che, invece, aveva tale portata o averla ottenuta dopo l'armonizzazione realizzata dalla direttiva.

Ne consegue che il titolare di una concessione di interesse transfrontaliero certo, sia pure assentita prima dell'entrata in vigore della direttiva servizi, non poteva legittimamente confidare sui vantaggi conferiti, in violazione dei Trattati europei, dalla norma nazionale; d'altra parte, il titolare di una concessione assentita dopo la scadenza della direttiva Bolkestein (28 dicembre 2009) non potrebbe invocare il legittimo affidamento neanche in assenza di tale interesse transfrontaliero certo, perche' l'armonizzazione realizzata dalla direttiva rende irrilevante la verifica in concreto di tale interesse.

Si vede, quindi, come la questione dell'esistenza di una situazione di legittimo affidamento andrebbe verificata caso per caso.

La legge regionale, per converso, ancora la sussistenza di un legittimo affidamento alla mera attuale esistenza di una concessione (l'art. 2, comma 1, la estende a tutte le concessioni «in essere», l'art. 2, comma 2, concede la proroga a tutte le concessioni «attualmente vigenti»), finendo per riconoscere tale condizione, in maniera indiscriminata, in capo a tutti i concessionari attualmente operanti.

Ma, al di la' dei profili di contenuto dell'intervento regionale, e' chiaro come esso contrasti innanzi tutto con l'esigenza di garantire la parita' di trattamento e l'uniformita' delle condizioni del mercato sull'intero territorio nazionale: esigenza che solo la legge statale puo' assicurare, nell'esercizio della competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza (competenza che, pertanto, risulta manifestamente violata dalla legge regionale).

E questa stessa esigenza impone che sia sempre la legge statale a stabilire se tutelare il legittimo affidamento dei concessionari, in quale casi farlo, in quale misura e con quali forme.

Sul punto sembra sufficiente rinviare alla radicata e gia' citata giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte.

Per concludere, appare evidente che andra' dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2, della legge regionale impugnata, oltre che - considerata la intima connessione con tale disposizione - del comma 1 del medesimo articolo, nella parte in cui dispone che e' tutelato il legittimo affidamento del concessionario «con la conservazione del diritto alla continuita' aziendale» e del successivo comma 3, nella parte in cui demanda ai comuni di comunicare ai titolari delle concessioni demaniali «l'estensione della durata della concessione demaniale per trenta anni».

2) In relazione all'art. 117, comma secondo, lettera e), della Costituzione violazione della potesta' legislativa esclusiva dello Stato nella materia della «tutela della concorrenza».

L'art. 4, comma 1, della legge regionale impugnata riguarda l'affidamento di nuove concessioni demaniali marittime e stabilisce che, quando queste abbiano finalita' turistico ricreative, esse non potranno avere durata inferiore a venti anni, ne' superiore a trenta.

La disciplina concernente il rilascio delle concessioni su beni demaniali marittimi interseca una pluralita' di settori materiali, attribuiti alla competenza sia statale che regionale (si confronti, per tutte, la sentenza n. 40 del 2017).

Alle regioni sono attribuite, dall'art. 105, comma 2, lettera l) del decreto legislativo n. 112 del 1998, competenze amministrative inerenti al rilascio delle concessioni in uso di beni del demanio marittimo. Le relative funzioni sono esercitate, di regola, dai comuni, ai sensi dell'art. 42 del decreto legislativo n. 96 del 1999, rispetto ai quali le regioni mantengono poteri di indirizzo (cfr.

art. 11, comma 6, della legge n. 217 del 2011 - legge comunitaria 2010 - come modificato dall'art. 34-quater, comma 1, lettera a, del decreto-legge n. 179 del 2012).

La titolarita' dei relativi beni demaniali permane in capo allo Stato, non avendo avuto ancora attuazione, attraverso gli specifici decreti del Presidente del Consiglio dei ministri volti all'individuazione dei singoli beni, l'art. 3, comma 1, lettera a) della legge n. 42 del 2009, che ha prefigurato il trasferimento alle regioni di tali beni.

Secondo la costante giurisprudenza della Corte, «i criteri e le modalita' di affidamento delle concessioni demaniali marittime devono essere stabiliti nell'osservanza dei «principi della libera concorrenza e della liberta' di stabilimento, previsti dalla normativa comunitaria e nazionale» (sentenza n. 213 del 2011, da ultimo ribadita dalla citata sentenza n. 40 del 2017); ambiti da ritenersi estranei, in via di principio, alle possibilita' di intervento legislativo delle Regioni» (cosi' la piu' recente pronuncia della Corte che si e' occupata della materia, la sentenza n. 157 del 2017, da cui si e' tratta la ricostruzione normativa che precede).

Tra i criteri di affidamento delle concessioni rientra anche l'elemento della durata, che dunque non spetta alla legge regionale determinare nei suoi limiti minimi o massimi.

Alle regioni e agli enti locali puo', semmai, spettare - nell'esercizio delle predette funzioni amministrative - l'individuazione in concreto della durata della singola concessione, in ragione delle caratteristiche del singolo lotto oggetto di selezione.

Questa, in effetti, era stata anche la scelta del legislatore nazionale, nella richiamata delega - poi non esercitata - conferita dall'art. 11 della legge 15 dicembre 2011, n. 217 (ivi si demandava al legislatore delegato, al comma 2 lettera a, di «stabilire limiti minimi e massimi di durata delle concessioni, entro i quali le regioni fissano la durata delle stesse in modo da assicurare un uso rispondente all'interesse pubblico nonche' proporzionato all'entita' degli investimenti»).

E' chiaro, infatti, che l'elemento della durata minima o massima delle concessioni e' aspetto in grado di incidere sulla concorrenza e sulle condizioni del mercato, che spetta al legislatore statale definire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, nell'esercizio dell'invocato titolo di competenza esclusiva.

Per tali ragioni, e indipendentemente dal merito della scelta operata dal legislatore regionale, anche l'art. 4, comma 1, della legge regionale si dimostra costituzionalmente illegittimo.

(1) Questo comma, come modificato dall'art. 34-duodecies, comma 1,  del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con  modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, dall'art. 1,  comma 547, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 e, infine,  dall'art. 1, comma 291, della legge 27 dicembre 2013, n. 147,  stabilisce quanto segue: «Ferma restando la disciplina relativa  all'attribuzione di beni a regioni ed enti locali in base alla  legge 5 maggio 2009, n. 42, nonche' alle rispettive norme di  attuazione, nelle more del procedimento di revisione del quadro  normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni  demaniali marittimi lacuali e fluviali con finalita'  turistico-ricreative, ad uso pesca, acquacoltura ed attivita'  produttive ad essa connesse, e sportive, nonche' quelli destinati  a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla  nautica da diporto, da realizzarsi, quanto ai criteri e alle  modalita' di affidamento di tali concessioni, sulla base di  intesa in sede di Conferenza Stato-regioni ai sensi dell'art. 8,  comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che e' conclusa nel  rispetto dei principi di concorrenza, di liberta' di  stabilimento, di garanzia dell'esercizio, dello sviluppo, della  valorizzazione delle attivita' imprenditoriali e di tutela degli  investimenti, nonche' in funzione del superamento del diritto di  insistenza di cui all'art. 37, secondo cometa, secondo periodo,  del codice della navigazione, il termine di durata delle  concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente  decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 e' prorogato fino  al 31 dicembre 2020, fatte salve le disposizioni di cui all'art.

03, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400,  convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n.

494. All'art. 37, secondo comma, del codice della navigazione, il  secondo periodo e' soppresso».

(2) Si riporta, per maggior comodita' di lettura dei Giudicanti,  anche il testo dell'art. 12 della direttiva servizi, rubricato  «Selezione tra diversi candidati»: «1. Qualora il numero di  autorizzazioni disponibili per una determinata attivita' sia  limitato per via della scarsita' delle risorse naturali o delle  capacita' tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una  procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti  garanzie di imparzialita' e di trasparenza e preveda, in  particolare, un'adeguata pubblicita' dell'avvio della procedura e  del suo svolgimento e completamento. 2. Nei casi di cui al  paragrafo 1 l'autorizzazione e' rilasciata per una durata  limitata adeguata e non puo' prevedere la procedura di rinnovo  automatico ne' accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a  persone che con tale prestatore abbiano particolari legami. 3.

Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati  membri possono tener conto, nello stabilire le regole della  procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di  obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei  lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione  dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di  altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al diritto  comunitario». La disposizione e' stata recepita nell'ordinamento  nazionale dall'art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n.

59, il quale dispone quanto segue: «1. Nelle ipotesi in cui il  numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata  attivita' di servizi sia limitato per ragioni correlate alla  scarsita' delle risorse naturali o delle capacita' tecniche  disponibili, le autorita' competenti applicano una procedura di  selezione tra i candidati potenziali ed assicurano la  predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai  propri ordinamenti, dei criteri e delle modalita' atti ad  assicurarne l'imparzialita', cui le stesse devono attenersi. 2.

Nel fissare le regole della procedura di selezione le autorita'  competenti possono tenere conto di considerazioni di salute  pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della  sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione  dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di  altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al diritto  comunitario. 3. L'effettiva osservanza dei criteri e delle  modalita' di cui al comma 1 deve risultare dai singoli  provvedimenti relativi al rilascio del titolo autorizzatorio. 4.

Nei casi di cui al comma 1 il titolo e rilasciato per una durata  limitata e non puo' essere rinnovato automaticamente, ne' possono  essere accordati vantaggi al prestatore uscente o ad altre  persone, ancorche' giustificati da particolari legami con il  primo».

(3) Si riporta, di seguito, il testo originario dell'art. 11 della  legge comunitaria 2010: «1. Al fine di chiudere la procedura di  infrazione n. 2008/4908 avviata ai sensi dell'art. 258 del  Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonche' al fine  di rispondere all'esigenza degli operatori del mercato di  usufruire di un quadro normativo stabile che, conformemente ai  principi comunitari, consenta lo sviluppo e l'innovazione  dell'impresa turistico-balneare-ricreativa: a) il comma 2  dell'art. 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400,  convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n.

494, e successive modificazioni, e' abrogato; b) al comma 2-bis  dell'art. 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400,  convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n.

494, e successive modificazioni, le parole: «di cui al comma 2»  sono sostituite dalle seguenti: «di cui al comma 1»; c) all'art.

03, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400,  convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n.

494, le parole: «Ferme restando le disposizioni di cui all'art.

01, comma 2,» sono soppresse ed e' aggiunto, in fine, il seguente  periodo: «Le disposizioni del presente comma non si applicano  alle concessioni rilasciate nell'ambito delle rispettive  circoscrizioni territoriali dalle autorita' portuali di cui alla  legge 28 gennaio 1994, n. 84». 2. Il Governo e' delegato ad  adottare, entro quindici mesi dalla data di entrata in vigore  della presente legge, su proposta del Ministro per i rapporti con  le regioni e per la coesione territoriale, di concerto con i  Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, dell'economia e  delle finanze, dello sviluppo economico, per la semplificazione  normativa, per le politiche europee e per il turismo, previa  intesa da sancire in sede di Conferenza unificata di cui all'art.

8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive  modificazioni, un decreto legislativo avente ad oggetto la  revisione e il riordino della legislazione relativa alle  concessioni demaniali marittime secondo i seguenti principi e  criteri direttivi: (...). 3. - 6. (...)»

(4) Cfr., in particolare, il punto 43 della decisione: «Per quanto  riguarda, piu' specificamente, la questione se dette concessioni  debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni  per via della scarsita' delle risorse naturali, spetta al giudice  nazionale verificare se tale requisito sia soddisfatto. A tale  riguardo, il fatto che le concessioni di cui ai procedimenti  principali siano rilasciate a livello non nazionale bensi'  comunale deve, in particolare, essere preso in considerazione al  fine di determinare se tali aree che possono essere oggetto di  uno sfruttamento economico siano in numero limitato».

(5) Cfr. il punto 65 della sentenza: «(...) qualora siffatta  concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, la sua  assegnazione in totale assenza di trasparenza ad un'impresa con  sede nello Stato membro dell'amministrazione aggiudicatrice  costituisce una disparita' di trattamento a danno di imprese con  sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate  alla suddetta concessione. Una siffatta disparita' di trattamento  e', in linea di principio, vietata dall'art. 49 TFUE».

(6) Si deve qui segnalare che alcune prime decisioni di merito hanno  ritenuto passibile di disapplieazione anche tale disposizione, in  quanto, in buona sostanza, essa riprodurrebbe l'effetto censurato  dalla Corte di giustizia nella sentenza Promoimpresa e a., ossia  quello della proroga automatica dei titoli, in assenza di  qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati: in  questo senso si sono pronunciati il Tribunale amministrativo  regionale del Lazio, nella sentenza n. 5573 del 2017, e il  Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, nelle  sentenze nn. 153 e 959 del 2017. Di contrario avviso il Tribunale  amministrativo regionale della Campania (sent. n. 911 del 2017).

Si veda anche la sentenza n. 608 del 2017 del Tribunale  amministrativo regionale della Toscana, che valorizza la proroga  «ponte» disposta dall'art. 24, comma 3-septies, del decreto-legge  n. 113 del 2016.

(7) L'art. 2, comma 2, della legge regionale non si riferisce,  invero, al solo settore dei servizi: vi rientrano, in effetti,  anche concessioni del settore produttivo, rispetto alle quali e'  dubbia l'applicabilita' della direttiva Bolkestein (le  concessioni a «uso pesca, acquacoltura e attivita' ad esse  connesse»). Valgono, per tale settore, i principi sulla liberta'  di stabilimento di cui all'art. 49 Trattato sul funzionamento  dell'Unione europea, di cui l'art. 12 della direttiva Bolkestein  costituisce, in buona sostanza, mera codificazione nel settore  dei servizi: le considerazioni svolte, nel testo, a proposito  delle disposizioni della direttiva possono, quindi, intendersi -  mutatis mutandis - al diritto primario dell'Unione, anche perche'  la disposizione regionale non consente di discernere tra  situazioni di interesse transfrontaliero e situazioni che ne  siano prive.

 

P.Q.M.

 

Si confida che codesta Ecc.ma Corte vorra' dichiarare l'illegittimita' degli articoli 2, comma 2 e 4, comma 1 della legge regionale della Liguria 10 novembre 2017, n. 26.

Si produrra' copia autentica della deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2018, con l'allegata relazione.

Roma, 13 gennaio 2018

L'Avvocato dello Stato: Fiorentino