RICORSO N. 19 DEL 23 FEBBRAIO 2017 (DELA REGIONE VENETO)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 23 febbraio 2017.

(GU n. 14 del 05.04.2017)

 

Ricorso proposto dalla Regione Veneto (c.f. 80007580279 - P. IVA 02392630279), in persona del presidente della giunta regionale dott.

Luca Zaia (c.f. ZAILCU68C27C957O), autorizzato con delibera della giunta regionale n. 131 del 7 febbraio 2017 (all. 1), rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti Ezio Zanon (c.f.

ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof. Luca Antonini (c.f. NTNLCU63E27D869I) del Foro di Milano e Luigi Manzi (c.f. MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Confalonieri, n. 5 (per eventuali comunicazioni: fax 06/3211370, posta elettronica certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org);   Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;   per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge n. 232 dell'11 dicembre 2016, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 297 del 21 dicembre 2016 - Suppl.

Ordinario n. 57:   1) art. 1, comma 42, lettera a);   2) art. 1, comma 85;   3) art. 1, comma 140;   4) art. 1, comma 269, 270 e 272;   5) art. 1, comma 271;   6) art. 1, comma 275;   7) art. 1, comma 390;   8) art. 1, comma 392;   9) art. 1, comma 395 e 396;   10) art. 1, comma 527;   11) art. 1, comma 528;   12) art. 1, comma 615;   13) art. 1, comma 627.

 

Motivi

 

1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 42, lettera a), per violazione degli articoli 3, 97 e 119 della Costituzione.

L'art. 1, comma 42, lettera a), proroga al 2017 la sospensione - gia' disposta per il 2016 dal comma 26 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 - dell'efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni comunali, per la parte in cui aumentano i tributi e le addizionali attribuite ai medesimi enti rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015.

Si precisa che con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 17 del 2016, pubbl. nella Gazzetta Ufficiale del 20 aprile 2016 n. 16, la regione Veneto ha gia' impugnato l'art. 1, comma 26, della legge di bilancio 2016.

In relazione alla proroga ora disposta con l'art. 1, comma 42, lettera a) si aggravano le medesime censure, poiche' il contesto di riferimento che aveva indotto all'impugnativa non si e' sostanzialmente modificato.

La disposizione ora impugnata, infatti, blocca, per quanto qui interessa, il potere delle Regioni di aumentare le aliquote dei tributi e delle addizionali rispetto a quelle deliberate, entro la data del 30 luglio 2015, per l'esercizio 2015.

Al contempo, pero', i) l'art. 1, al comma 392, riduce il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre lo Stato per il 2016 (si veda, il punto sub 8 del presente ricorso), ii) diverse altre disposizioni, inoltre, determinano una riduzione del gettito dei tributi propri regionali derivati, vuoi perche' modificano direttamente le discipline delle basi imponibili di tributi come l'Irap (art. 1, comma 21), vuoi perche' modificano la disciplina di tributi statali come l'Irpef che pero' incidono sul gettito dell'addizionale Irpef, come nel caso dalla introduzione dell'Iri (art. 1, comma 547), l'imposta sul reddito dell'imprenditore, che si applica a imprenditori individuali soggetti all'Irpef e di conseguenza incide al ribasso sull'addizionale regionale.

Da una parte, dunque, il legislatore statale impedisce alle Regioni di aumentare le aliquote relative a tutti i tributi propri, dall'altra riduce il finanziamento del Fondo sanitario e rimodula al ribasso le basi imponibili dei tributi propri derivati regionali.

E' evidente che in questo contesto normativo le Regioni si trovano a dover garantire il servizio sanitario regionale, anche con prestazioni aggiuntive (i nuovi LEA che appaiono sottostimati nell'impatto finanziario), con risorse statali ridotte e insufficienti, venendo nel contempo private, in violazione dell'art.

119 della Costituzione, della possibilita' di esercitare un autonomo sforzo fiscale.

Ma vi e' di piu'.

A tale situazione gia' critica, si aggiunge la previsione, da parte dell'art. 1, comma 475, di pesanti sanzioni per il caso di mancato conseguimento di un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali da parte dell'ente ai sensi dell'art. 1, comma 466.

Tra queste: il divieto di «impegnare spese correnti», di «ricorrere all'indebitamento per gli investimenti», di «procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione», ecc.

E' questo dunque il contesto complessivo all'interno del quale deve essere considerata la norma impugnata.

Lo scrivente patrocinio evidentemente non ignora che il blocco provvisorio dell'aumento delle addizionali e dei tributi propri derivati, in recedenti occasioni, non e' stato ritenuto illegittimo dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (sentenze nn. 381/2004, 284/2009 e 298/2009).

E' dirimente pero' evidenziare che tale valutazione, relativa peraltro a un blocco giustificato dall'imminenza di riforme fondamentali (patto di stabilita' e federalismo fiscale), non riguardava, come invece nel caso di specie, la proroga di un blocco (che tende quindi ad assumere un carattere permanente) gia' disposto senza un particolare motivo se non quello, meramente politico (con cio' violando l'autonomia della politica impositiva regionale), di «contenere il livello complessivo della pressione tributaria» (cosi' recita l'art. 26 della legge di stabilita' 2016, prorogato con la disposizione qui impugnata).

Inoltre, quella valutazione si inseriva in contesti normativi radicalmente diversi da quello attuale, in cui non solo non si prefigurava i) un definanziamento del Fondo sanitario e ii) un obbligo di garanzia di nuovi LEA con un finanziamento evidentemente sottostimato, ma dove, soprattutto, iii) nell'ambito del Patto di stabilita' interno alle Regioni veniva solo imposto un mero tetto di spesa, che, sebbene sanzionato in termini analoghi a quello attuale, rimaneva del tutto indifferente (riguardando solo il versante della spesa e non quello dell'entrata) rispetto alla possibilita' di un autonomo sforzo fiscale regionale.

Ora, invece, con il superamento del Patto di stabilita' interno alle Regioni e' imposto un pareggio contabile di bilancio, il cui mancato conseguimento - che comporta sanzioni come il divieto dell'indebitamento per la spesa di investimento - potrebbe trovare direttamente causa nell'irragionevole blocco dell'autonomia fiscale regionale, che appunto preclude alle Regioni la possibilita' di pareggiare il bilancio attraverso un proprio sforzo fiscale.

Si configura, in conclusione, con tutta evidenza una situazione normativa profondamente diversa da quella in altre occasioni giudicata non illegittima dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte.

Nella attuale situazione normativa, la disposizione impugnata, che impedisce un autonomo sforzo fiscale, consentendo alla Regione solo la possibilita' di ridurre la spesa, in cio' incidendo sui servizi erogati ai cittadini, risulta quindi irragionevole e mancante di proporzionalita' con una conseguente violazione dell'art. 3 Cost.

e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost. che ridonda chiaramente, per quanto e' - sopra detto, sull'autonomia finanziaria regionale di cui all'art. 119 Cost., anche direttamente violata dalla norma impugnata.

A tale ultimo riguardo si fa riserva fornire dimostrazione contabile dell'irragionevole e rilevante incidenza della disposizione in parola.

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 85, per violazione dell'articoli 117, terzo comma, della Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione del principio di leale collaborazione.

L'art. 1, comma 85 dispone, nell'ambito del piano di investimenti immobiliari di cui all'art. 65, legge n. 153/1969 (piano triennale degli investimenti per il triennio 2016-2018), che l'INAIL destini 100 milioni di euro per la realizzazione di nuove strutture scolastiche.

La norma prevede che le Regioni dichiarino la propria disponibilita' ad aderire all'operazione per la costruzione di nuove strutture scolastiche, facendosi carico del canone di locazione, comunicandola formalmente alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Struttura di missione per il coordinamento e impulso nell'attuazione di interventi di riqualificazione dell'edilizia scolastica (SMES), entro il termine perentorio del 20 gennaio 2017, secondo modalita' individuate e pubblicate nel sito internet istituzionale della medesima Struttura.

Successivamente alla ricezione delle dichiarazioni di disponibilita' delle Regioni, la medesima disposizione prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca e con il Ministro dell'economia e delle finanze, siano: i) individuate le Regioni ammesse alla ripartizione, ii) assegnate le risorse disponibili e iii) stabiliti i criteri di selezione dei progetti.

La disposizione che qui si impugna e' riconducibile alla materia «edilizia scolastica», la quale, per esplicito riconoscimento di codesta ecc.ma Corte, si trova all'incrocio di piu' ambiti competenziali, quali il «governo del territorio», «l'energia» e la «protezione civile», tutti rientranti nella potesta' legislativa concorrente di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. (sent. n. 62 del 2013).

Il comma censurato, quindi, se, da un lato, destina risorse in un ambito materiale riconducibile alla competenza regionale concorrente, dall'altro, non prevede alcuna forma di concertazione con le Regioni, ne' ai fini dell'adozione dei criteri di selezione dei progetti ammessi alla ripartizione, ne' riguardo alla determinazione dei canoni di locazione, in cio' traducendosi in un onere indeterminato a carico delle regioni che vi aderiscono con conseguente possibile lesione patrimoniale delle stesse.

Al riguardo, e' opportuno premettere quanto ha recentemente statuito codesta ecc.ma Corte con la sentenza n. 284 del 2016 vertente su una analoga fattispecie.

Chiamata a pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 153, legge n. 107/2015, che disponeva che con decreto del Ministro dell'istruzione (d'intesa con la Struttura di missione per il coordinamento e impulso nell'attuazione di interventi di riqualificazione dell'edilizia scolastica, istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) fossero ripartite le risorse previste nell'ambito degli investimenti immobiliari di cui al piano di impiego dei fondi disponibili dell'INAIL per la costruzione di scuole innovative (ex art. 65, legge n. 153/1969), questa Corte ha stabilito che: ««nelle materie di competenza concorrente, allorche' vengono attribuite funzioni amministrative a livello centrale allo scopo di individuare norme di natura tecnica che esigono scelte omogenee su tutto il territorio nazionale improntate all'osservanza di standard e metodologie desunte dalle scienze, il coinvolgimento della conferenza Stato Regioni puo' limitarsi all'espressione di un parere obbligatorio (sentenze n. 265 del 2011, n. 254 del 2010, n.

182 del 2006, n. 336 e n. 285 del 2005)» (sentenza n. 62 del 2013).»   «Nel caso di specie» - prosegue la sentenza - «tale coinvolgimento regionale non e' previsto e la disposizione impugnata, di conseguenza, va dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministro che provvede alla ripartizione delle risorse sia adottato sentita la Conferenza Stato Regioni.» (sent. n. 284 del 2016).

La disposizione impugnata, invece, non prevede alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni: non solo un'intesa, ma nemmeno un mero parere.

Da cio' deriva che essa risulta lesiva dell'art. 117, terzo comma e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 140, per violazione degli articoli 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione del principio di leale collaborazione.

L'art. 1, comma 140, prevede l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, di un Fondo con una dotazione di 1.900 milioni di euro per l'anno 2017, 3.150 milioni per l'anno 2018, 3.500 milioni per l'anno 2019 e 3.000 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2032.

Il suddetto Fondo e' destinato a finanziare interventi nei seguenti settori:   a) trasporti, viabilita', mobilita' sostenibile, sicurezza stradale, riqualificazione e accessibilita' delle stazioni ferroviarie;   b) infrastrutture, relative alla rete idrica e alle opere di collettamento, fognatura e depurazione;   c) ricerca;   d) difesa del suolo e dissesto idrogeologico, nonche' risanamento ambientale e bonifiche;   e) edilizia pubblica, compresa quella scolastica;   f) attivita' industriali ad alta tecnologia e sostegno alle esportazioni;   g) informatizzazione dell'amministrazione giudiziaria;   h) prevenzione del rischio sismico;   i) riqualificazione urbana e sicurezza delle periferie delle citta' metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia;   j) eliminazione delle barriere architettoniche.

La disciplina relativa all'utilizzo del suddetto fondo e' rimesso a uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con i Ministri interessati, in relazione ai programmi presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato.

Gli schemi di decreto sono trasmessi alle Commissioni parlamentari competenti per materia, le quali esprimono il proprio parere entro trenta giorni dalla data dell'assegnazione; decorso tale termine, i decreti possono essere adottati anche in mancanza di tale parere.

Tali decreti individuano gli interventi da finanziare nonche' i relativi importi.

La norma prevede, inoltre, che i predetti provvedimenti, ove necessario, indichino le modalita' di utilizzo dei contributi, sulla base di criteri di economicita' e contenimento della spesa, anche attraverso operazioni finanziarie con oneri di ammortamento a carico del bilancio dello Stato, con la Banca europea per gli investimenti (BEI), con la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB), con la Cassa depositi e prestiti S.p.A. e con i soggetti autorizzati all'esercizio dell'attivita' bancaria, compatibilmente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica.

In questi termini il Fondo e' destinato a finanziare programmi presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato, ma che intervengono anche in settori che investono direttamente le competenze concorrenti delle Regioni, senza pero' prevedere alcun coinvolgimento delle Regioni interessate.

In particolare, gli interventi finanziabili incidono e/o interferiscono, salvo quello inerente alla informatizzazione dell'amministrazione giudiziaria, su materie sicuramente di competenza concorrente come la «ricerca scientifica e tecnologica», «grandi reti di trasporto e di navigazione», «governo del territorio», «protezione civile», «edilizia scolastica».

E' evidente quindi che l'intervento normativo statale struttura, abilitando le amministrazioni centrali a presentare i relativi progetti, un'avocazione in sussidiarieta' della funzione amministrativa e delle modalita' di finanziamento relative a materie rimesse alla competenza concorrente delle Regioni.

Tuttavia tale intervento normativo disattende completamente i presupposti che soli, secondo la consolidata giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale, rendono legittima la suddetta chiamata in sussidiarieta': «la allocazione al superiore livello statale di attribuzioni spettanti alle Regioni, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, presuppone che siano previste adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni al fine di tutelare le istanze regionali costituzionalmente garantite in un ambito che involge indubbiamente profili di competenza concorrente (sentenza n. 303 del 2003, alla quale ha fatto seguito una giurisprudenza costante; sentenza n. 16 del 2010)» (cosi' sentenza n. 92 del 2011).

Pertanto, dal momento che in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con cui sono individuati gli interventi da finanziare, i relativi importi e, se necessario, le modalita' di utilizzo dei contributi, non e' previsto alcun coinvolgimento delle Regioni, si determina la violazione degli articoli 117, terzo comma, 118 e 119 Cost. nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 269, 270 e 272, per violazione degli articoli 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

L'art. 1, comma 269, ai fini della gestione delle risorse del fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio di cui all'art. 18, decreto legislativo n. 68/2012, prevede che ciascuna Regione razionalizzi l'organizzazione degli enti erogatori dei servizi per il diritto allo studio mediante l'istituzione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di un unico ente erogatore dei medesimi servizi. La disposizione impugnata assicura negli organi direttivi dell'ente erogatore una rappresentanza degli studenti. Sono fatti salvi, in ogni caso, i modelli di sperimentazione di cui all'art. 12, decreto legislativo n. 68/2012 (modelli nella gestione degli interventi per la qualita' e l'efficienza del sistema universitario, per cui il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca puo' stipulare protocolli e intese sperimentali con le Regioni e le province autonome, sentiti il Consiglio nazionale degli studenti universitari - CNSU, il Consiglio nazionale di alta formazione artistica e musicale - CNAM e la Conferenza dei rettori delle universita' - CRUI, anche con l'attribuzione di specifiche risorse nei limiti delle proprie disponibilita' di bilancio).

Il successivo comma 270 qualifica poi la norma citata quale principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.

Il successivo comma 272 prevede, inoltre, che le risorse del fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, di cui all'art. 18, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, siano attribuite direttamente al bilancio del suddetto unico ente regionale erogatore dei servizi per il diritto allo studio, entro il 30 settembre di ogni anno, disponendo poi che nelle more della razionalizzazione da parte di ciascuna Regione dell'organizzazione degli enti erogatori dei servizi per il diritto allo studio (prevista dal precedente comma 269), le risorse siano comunque trasferite agli enti regionali erogatori, previa indicazione, da parte di ciascuna Regione, della quota da trasferire a ciascuno di essi.

In via preliminare, e' opportuno richiamare la costante giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte in materia di autoqualificazione normativa: al fine di individuare la materia cui ascrivere le norme impugnate, la definizione data dallo stesso legislatore e' priva di carattere precettivo e vincolante, dovendosi invece fare riferimento all'oggetto della disciplina in questione (ex multis sentenze n. 188 del 2014, nn. 200 e 164 del 2012, 182 del 2011, 247 del 2010). Il comma 270, pertanto, nel definire la materia di cui al comma 269 all'interno del coordinamento della finanza pubblica, non assume alcun valore prescrittivo.

La norma contenuta nel comma 269, del resto, non puo' essere comunque inquadrata all'interno dei principi fondamentali del coordinamento finanziario. Secondo costante giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, il legislatore statale puo' limitare l'autonomia di spesa degli enti territoriali al fine di garantire l'equilibrio complessivo dei conti pubblici (ex multis, sentenze n. 43 del 2016, n. 236 del 2013, n. 182 del 2011, n. 207 e n. 128 del 2010). Tali vincoli, tuttavia, «possono considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscono un "limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa (sentenza n. 182 del 2011, nonche' sentenze n. 297 del 2009, n. 289 del 2008 e n. 169 del 2007"» (sentenza n. 236 del 2013).

La norma de qua, invece, al fine di razionalizzare gli enti del diritto allo studio, impone a tutte le Regioni la creazione di un unico ente adibito all'erogazione dei relativi servizi (prevedendo poi al comma 272 che al bilancio di tale ente vengano direttamente attribuite le risorse del fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio). Essa quindi non si limita a fissare un limite complessivo di spesa oppure obiettivi generali di risparmio, ma introduce una precisa norma di dettaglio, in violazione quindi degli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost. sul coordinamento della finanza pubblica, che incide direttamente sulle competenze residuali delle Regioni in materia di «organizzazione amministrativa regionale» e di «diritto allo studio», non lasciando alcuno spazio per l'esercizio della relativa autonomia legislativa e amministrativa, violando quindi anche l'art. 117, quarto comma e 118 della Costituzione.

Al riguardo occorre richiamare quanto precisato dalla sentenza n.

236 del 2013, avente ugualmente ad oggetto la soppressione o l'accorpamento di enti, agenzie o organismi degli enti territoriali da parte del legislatore statale. Le norme ivi censurate (art. 9, commi 1-6, decreto-legge n. 95 del 2012) disponevano che Regioni, Province e comuni sopprimessero o accorpassero enti, agenzie e organismi riducendone gli oneri finanziari in misura non inferiore al 20 per cento. In quel caso, codesta ecc.ma Corte ha ricondotto le relative disposizioni all'interno dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, specificando pero' - e' dirimente considerarlo - che esse, «dopo aver indicativamente previsto la possibilita' di una soppressione o di un accorpamento degli "enti, agenzie e organismi comunque denominati", limita[vano] il contenuto inderogabile della disposizione al risultato di una riduzione del 20 per cento dei costi del funzionamento degli enti strumentali degli enti locali. In sostanza, l'accorpamento o la soppressione di taluni di questi enti [poteva] essere lo strumento, ma non il solo per ottenere l'obiettivo di una riduzione del 20 per cento dei costi» (1) (v. punti 3.3 e 7.1 del Considerato in diritto).

Il contenuto inderogabile della norma qui censurata, invece, prescrive la creazione di un unico ente, senza nemmeno indicare specifici obiettivi di contenimento dei costi di funzionamento, ma facendo esclusivo riferimento ad una alquanto generica razionalizzazione dell'organizzazione di tali enti. Si evidenzia, inoltre, ad ulteriore dimostrazione della lesione dell'autonomia regionale, che tale disposizione non ha carattere transitorio, ma impone una modifica definitiva all'assetto e all'organizzazione dei servizi per il diritto allo studio, senza concedere alle Regioni alcuna possibilita' di autonome modulazioni.

Non tenendo conto delle peculiarita' territoriali e delle diverse modalita' di erogazione dei servizi, la disposizione si pone in contrasto, di conseguenza, anche con i principi di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., e di buon andamento dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.), la cui lesione ridonda sulle competenze regionali, ex art. 117, quarto comma, in materia di «organizzazione amministrativa regionale» e di «diritto allo studio». Le disposizioni censurate, infatti, finalizzate a realizzare un livellamento organizzativo, impongono alle Regioni l'obbligo di adeguarsi al nuovo modello, rinunciando ai precedenti sistemi anche quando, come nel caso della Regione Veneto, presentano caratteristiche di eccellenza sotto il profilo organizzativo, gestorio e finanziario. Cio' comporta, di conseguenza, un grave detrimento in termini di efficienza amministrativa.

Sul punto, del resto, la Regione Veneto aveva gia' manifestato, in sede di Conferenza Stato-Regioni e Province autonome (2) (all.

2), la propria contrarieta' alla creazione di un unico ente, che compromette l'efficacia, l'efficienza e l'economicita' dell'attuale modello organizzativo regionale, basato sulla necessita' di assicurare, in una realta' regionale policentrica con una distribuzione articolata delle sedi universitarie in piu' capoluoghi di provincia con organizzazioni universitarie diversificate, mediante tre Aziende regionali, una distribuzione capillare dei servizi di diritto allo studio all'interno del territorio.

Le norme impugnate, inoltre, nonostante l'evidente ricaduta sulle competenze regionali in materia di «organizzazione amministrativa regionale» e di «diritto allo studio» non prevedono, a ulteriore differenza della fattispecie decisa da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 236 del 2013, alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni, in violazione quindi del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

La giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte e' costante nel ritenere che il principio di leale collaborazione impone la previsione di una intesa sia nei casi della c.d. «attrazione in sussidiarieta'» statale di funzioni pertinenti a materie di competenza regionale o concorrente o di interventi normativi in settori in cui vi e' una connessione indissolubile tra materie di diversa attribuzione, senza la possibilita' di rinvenirne una sicuramente prevalente.

Infatti, come ribadito nella sentenza n. 21 del 2016, «deve, pertanto, trovare applicazione il principio generale, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n.

1 del 2016), per cui, in ambiti caratterizzati da una pluralita' di competenze, qualora non risulti possibile comporre il concorso di competenze statali e regionali mediante un criterio di prevalenza, non e' costituzionalmente illegittimo l'intervento del legislatore statale, «purche' agisca nel rispetto del principio di leale collaborazione che deve in ogni caso permeare di se' i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2014, n. 237 del 2009, n. 168 e n. 50 del 2008) e che puo' ritenersi congruamente attuato mediante la previsione dell'intesa» (sentenza n. 1 del 2016)».

Peraltro, come precisato da codesta ecc. ma Corte nella sentenza n. 251 del 2016 «un'analoga esigenza di coinvolgere adeguatamente le Regioni e gli enti locali nella forma dell'intesa e' stata riconosciuta anche nella diversa ipotesi della attrazione in sussidiarieta' della funzione legislativa allo Stato, in vista dell'urgenza di soddisfare esigenze unitarie, economicamente rilevanti, oltre che connesse all'esercizio della funzione amministrativa. In tal caso, l'esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale - e giustificare la deroga al riparto di competenze contenuto nel Titolo V - «solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'» (sentenza n.

303 del 2003; di recente, sentenza n. 7 del 2016)».

Nella stessa pronuncia si evidenzia, inoltre, si e' precisato «La' dove, tuttavia, il legislatore ... si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessita' del ricorso all'intesa».

I commi 269, 270 e 272 si pongono quindi in violazione degli articoli 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 271, per violazione dell'art. 117, quarto comma della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

L'art. 1, comma 271 disciplina la determinazione dei fabbisogni finanziari regionali per l'assegnazione delle risorse derivanti dal fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio, nelle more dell'emanazione del decreto interministeriale di cui all'art. 7, comma 7, del decreto legislativo n. 68 del 2012, deputato a definire l'importo della borsa di studio per gli studenti universitari e i criteri e le modalita' di riparto di tale fondo integrativo.

La norma impugnata specifica che le disposizioni ivi contenute sono volte a consentire che l'assegnazione delle risorse del medesimo fondo (incrementato di 50 milioni a decorrere dal 2017, ai sensi del comma 268) avvenga in misura proporzionale al fabbisogno finanziario delle Regioni, a norma dell'art. 18, commi 1, lettera a) e comma 3, decreto legislativo n. 68 del 2012.

Nello specifico, il comma censurato dispone che, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio, il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, determini, con proprio decreto, i fabbisogni finanziari regionali. Il suddetto decreto e' emanato previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, che si esprime entro sessanta giorni dalla data di trasmissione, decorsi i quali il decreto puo' essere comunque adottato.

In questi termini la norma impugnata introduce una particolare disciplina relativa a un fondo statale vincolato nella materia assegnata alla competenza regionale residuale «diritto allo studio».

E' opportuno premettere che tale materia non compare ne' tra quelle di competenza esclusiva statale ne' tra quelle concorrenti, e che codesta ecc.ma Corte, pur non avendo avuto l'occasione di esprimersi direttamente sul relativo inquadramento, ne ha riconosciuto la pertinenza alla competenza regionale in diversi obiter dicta (sentenze n. 61 del 2011, 299 e n. 134 del 2010). Del resto non sussistono oramai dubbi sull'attribuzione della competenza in subiecta materia alla potesta' regionale residuale, come confermato dallo stesso legislatore statale che, con il decreto legislativo n. 68 del 2012, ha definito un sistema integrato di strumenti e servizi in cui lo Stato ha competenza esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, mentre le Regioni hanno competenza residuale in materia di diritto allo studio (v. in particolare art. 3, comma 2, decreto legislativo n. 68 del 2012). Quest'ultime, d'altronde, insieme alle Universita' hanno svolto funzioni attive in quest'ambito quantomeno a partire dal decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977. Nel caso specifico del Veneto, la vigente legge regionale (l.r. n. 8 del 1998) dispone che gli interventi finalizzati all'attuazione del diritto allo studio siano gestiti dalle tre Aziende regionali per il diritto allo studio universitario, prevedendo che la gestione degli interventi riguardanti l'erogazione delle borse di studio possa essere affidata alle Universita' previa stipula di apposita convenzione con la Regione   Nello specifico il fondo vincolato statale a cui si riferisce la norma impugnata e' stato istituito dal decreto legislativo n. 68 del 2012 e concorre, assieme al gettito derivante dall'importo della tassa regionale per il diritto allo studio e alle risorse proprie delle Regioni, alla copertura del fabbisogno finanziario necessario affinche' quest'ultime possano garantire l'erogazione delle borse di studio agli studenti universitari in possesso dei requisiti (art. 18, comma 1, decreto legislativo n. 68 del 2012). I criteri e le modalita' di riparto di tale fondo, a norma dell'art. 18, comma 4, decreto legislativo n. 68 del 2012, devono essere definiti con il decreto di cui all'art. 7, comma 7, dello stesso decreto legislativo, ovvero con un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economica e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, sentito il Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU). medesimo decreto interministeriale dovrebbe definire anche l'importo della borsa di studio, nonche' i requisiti di eleggibilita' per l'accesso alle borse di studio; esso, infine, dovrebbe essere aggiornato con cadenza triennale (art. 7, comma 7, decreto legislativo n. 68 del 2012).

Tale decreto interministeriale, tuttavia, non risulta ad oggi emanato e l'ultimo riparto delle risorse del fondo, relativo alle risorse disponibili nel 2015, e' stato operato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 ottobre 2016 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 1° dicembre 2016 n. 281), sulla base dei criteri di cui all'art. 16 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 aprile 2001 e dei dati trasmessi dalle Regioni (3) .

Il legislatore statale, mediante le disposizioni qui censurate, ha quindi stabilito che il fabbisogno finanziario delle Regioni sia ora definito con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa acquisizione di un mero parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, da rilasciare entro sessanta giorni al termine dei quali il decreto puo' essere comunque emanato.

La disposizione contrasta evidentemente con l'art. 117, quarto comma e con il principio di leale collaborazione, di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, per i motivi di seguito illustrati.

Il comma 271, innanzitutto, introduce una disposizione di fatto elusiva e/o contraddittoria del coerente percorso previsto dall'art.

7, comma 7, del decreto legislativo n. 68 del 2012, il quale, per giungere a una definizione del fabbisogno finanziario delle Regioni rispettosa della relativa autonomia, aveva previsto la necessaria intesa in sede di Conferenza permanente per la definizione dell'importo della borsa e dei criteri e modalita' di riparto del fondo integrativo statale. La norma de qua, invece, dispone l'assunzione di un semplice parere, che non puo' ritenersi una sufficiente forma di raccordo con le Regioni. La disciplina di tale fondo vincolato, infatti, riguarda indubbiamente la materia «diritto allo studio», spettante alla potesta' residuale delle Regioni.

Codesta ecc.ma Corte, del resto, ha piu' volte «dichiarato costituzionalmente illegittime norme che disciplinavano i criteri e le modalita' ai fini del riparto o della riduzione di fondi e trasferimenti destinati ad enti territoriali, nella misura in cui, rinviando a fonti secondarie di attuazione, non prevedevano «a monte» lo strumento dell'intesa con la Conferenza unificata non solo in caso di intreccio di materie, riconducibili alla potesta' legislativa statale e regionale (ex plurimis, sentenza n. 168 del 2008), ma anche in caso di potesta' legislativa regionale residuale (ex plurimis, sentenze n. 27 del 2010; nonche', in specifico riferimento al trasporto pubblico locale, n. 222 del 2005), affermando costantemente la necessita' dell'intesa (tra le tante, sentenze n. 182 e n. 117 del 2013)» (sentenza n. 273 del 2013, punto 5.2. del Considerato in diritto).

Inoltre, come recentemente statuito nella sentenza n. 251 del 2016, «Il parere come strumento di coinvolgimento delle autonomie regionali e locali non puo' non misurarsi con la giurisprudenza di questa Corte che, nel corso degli anni, ha sempre piu' valorizzato la leale collaborazione quale principio guida nell'evenienza, rivelatasi molto frequente, di uno stretto intreccio fra materie e competenze e ha ravvisato nell'intesa la soluzione che meglio incarna la collaborazione (di recente, sentenze n. 21 e n. 1 del 2016)» (sentenza n. 251 del 2016, punto 3 del Considerato in diritto).

Peraltro, anche in caso di attrazione in sussidiarieta' della funzione legislativa allo Stato, e' emersa l'esigenza di coinvolgere adeguatamente le Regioni nella forma dell'intesa (idem).

Di conseguenza, con riferimento al caso di specie, la norma impugnata si pone in contrasto con la competenza regionale residuale in materia di «diritto allo studio» ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. e con il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost., nella parte in cui prevede che le Regioni rendano un semplice parere anziche' prevedere una apposita intesa riguardo al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, che, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, determina i fabbisogni finanziari regionali.

6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 275, per violazione dell'art. 117, quarto comma, e 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

L'art. 1, comma 275, disciplina la procedura per l'assegnazione delle borse di studio per il merito e la mobilita', stabilendo che entro il 30 aprile di ogni anno, la «Fondazione Art. 34» (4) , sentita la Conferenza Stato-Regioni, bandisce almeno 400 borse di studio nazionali, ciascuna del valore di 15.000 euro annui, destinate a studenti capaci, meritevoli e privi di mezzi, finalizzate a favorirne l'immatricolazione e frequenza a corsi di laurea, o di laurea magistrale a ciclo unico nelle universita' statali, o a corsi di diploma accademico di primo livello nelle istituzioni statali dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM), anche aventi sede diversa da quella della residenza anagrafica del nucleo familiare dello studente.

Tale disposizione introduce quindi forme di sostegno al diritto allo studio affidando l'erogazione di borse di studio nazionali alla «Fondazione Articolo 34», gia' «Fondazione per il merito», istituita dall'art. 9, comma 3, decreto-legge n. 70 del 2011 (ma sinora mai entrata in funzione). Obiettivo della Fondazione, ai sensi della disposizione da ultimo citata, e' quello di realizzare gli obiettivi di interesse pubblico del Fondo per il merito, a sua volta istituito dall'art. 4 della legge n. 240 del 2010.

Trattandosi di un intervento rientrante nella materia di competenza residuale regionale concernente il «diritto allo studio» (cfr. le gia' citate sentenze di codesta ecc.ma Corte costituzionale nn. 61 del 2011, 299 e 134 del 2010), la disciplina delle relative modalita' di erogazione deve necessariamente prevedere una sede adeguata di coinvolgimento delle Regioni, segnatamente nella forma dell'intesa.

Come recentemente statuito nella sentenza n. 251 del 2016, infatti: «Il parere come strumento di coinvolgimento delle autonomie regionali e locali non puo' non misurarsi con la giurisprudenza di questa Corte che, nel corso degli anni, ha sempre piu' valorizzato la leale collaborazione quale principio guida nell'evenienza, rivelatasi molto frequente, di uno stretto intreccio fra materie e competenze e ha ravvisato nell'intesa la soluzione che meglio incarna la collaborazione (di recente, sentenze n. 21 e n. 1 del 2016)» (sentenza n. 251 del 2016, punto 3 del Considerato in diritto).

E' opportuno precisare, peraltro, che in altre occasioni il legislatore statale ha correttamente previsto la necessita' dell'intesa in caso di nonne aventi ad oggetto il sostegno al diritto allo studio. Infatti, l'art. 59, comma 11, del decreto-legge n. 69 del 2013, ad esempio, aveva disposto quanto segue: «Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e' adottato un Piano nazionale per il merito e la mobilita' degli studenti universitari capaci, meritevoli e privi di mezzi, che definisce la tipologia degli interventi e i criteri di individuazione dei beneficiari».

La lesione delle attribuzioni regionali da parte della norma censurata e', peraltro, aggravata dalle previsioni contenute nel comma 283, ai sensi del quale gli studenti percettori di tale borsa nazionale sono esonerati dal pagamento della tassa regionale per il diritto allo studio. Il gettito derivante dalla riscossione di tale tassa, come noto, e' infatti interamente devoluto all'erogazione delle borse di studio regionali (art. 3, comma 23, legge n. 549 del 1995).

La previsione di qualsiasi forma di esonero incide quindi inevitabilmente sulla copertura del fabbisogno finanziario delle Regioni necessario per garantire l'erogazione delle borse stesse, comportando di conseguenza un aggravio sul bilancio regionale.

A maggior ragione, pertanto, la disposizione contenuta nel comma 275 deve necessariamente prevedere il coinvolgimento delle Regioni nella forma dell'intesa in sede di Conferenza permanente.

La norma impugnata, quindi, escludendo l'intesa e prevedendo che sia solamente sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, viola in questo modo gli articoli 117, quarto comma, 119 Cost. e il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 390, per violazione degli articoli 3, 97, 117, terzo comma, 118, 119 e 120 della Costituzione.

L'art. 1, comma 390 modifica la nozione di disavanzo ai fini dell'individuazione dei casi in cui sussista l'obbligo di adozione ed attuazione di un piano di rientro per le aziende ospedaliere o ospedaliero-universitarie, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e gli altri enti pubblici che eroghino prestazioni di ricovero e cura.

L'art. 1, comma 524, lettera a), legge n. 208/2015, prima della novella operata dal comma che qui si impugna, faceva riferimento alla sussistenza di un disavanzo tra i costi ed i ricavi pari o superiore al 10 per cento dei medesimi ricavi o pari, in valore assoluto, ad almeno 10 milioni di euro.

Il comma che qui si censura sostituisce il parametro del 10 per cento con quello del 7 per cento e riduce da 10 a 7 milioni il parametro in valori assoluti, introducendo quindi un criterio ancora piu' stringente di selezione degli enti chiamati a predisporre il predetto piano di efficientamento.

Si precisa che la Regione Veneto ha gia' impugnato avanti codesta ecc.ma Corte, con ricorso iscritto al reg. ric. n. 19/2016, la disciplina di cui all'art. 1, commi 524, 525, 526, 527, 528, 529, 531, 532, 533, 534, 535 e 536, della legge n. 208/2015.

Tale complesso normativo, in cui si inserisce la modifica qui impugnata, mentre non presenta profili di criticita' costituzionale in relazione alle Regioni assoggettate a piano di rientro, si dimostra infatti chiaramente lesivo dell'autonomia regionale nella misura in cui pretende di applicarsi anche alle Regioni, come il Veneto, in equilibrio finanziario.

Il presupposto della applicazione dei piani di rientro, infatti, e' sempre stato - a partire dall'art. 1, comma 180, della legge n.

311/2004 e nelle successive evoluzioni: legge n. 266/2005 (art. 1, commi 278 e 281), legge n. 296/06 (art. 1, comma 796, lettera b), decreto-legge n. 159/2007 (art. 4), legge n. 191/2009 (art. 2, commi 80 e 95) - una situazione di grave disavanzo dell'intero comparto della spesa sanitaria di una determinata Regione, che, comportando il rischio del mancato rispetto dei vincoli di stabilita' interni ed esterni, impone la necessita' di un accordo con lo Stato al fine di vincolare la Regione interessata sia al rientro dalla situazione di disavanzo, sia alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza.

E' solo in presenza del presupposto di una grave situazione di disavanzo nella complessiva spesa sanitaria di una determinata Regione che la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte ha legittimato l'inevitabile compressione dell'autonomia regionale che deriva dalla imposizione di un piano di rientro, le cui disposizioni spesso risultano molto piu' dettagliate di quanto dovrebbe essere proprio delle norme di principio. E' solo quindi per il rischio che il disavanzo si ripercuota sull'intero sistema finanziario nazionale che il vincolo solidaristico, che lega tutti gli enti che compongono uno Stato unitario, impone a ciascuno di essi di accettare limitazioni della propria sfera di competenza per non pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi comuni e il rispetto dei vincoli finanziari imposti a livello sia nazionale che europeo.

In assenza di una situazione di grave disavanzo finanziario o addirittura in presenza di una situazione di certificato (dallo stesso Stato) equilibrio finanziario (come nel caso della Regione Veneto: si veda l'all. 3, pag. 20) e addirittura nel caso di una Regione, come il Veneto, scelta dallo stesso Ministero della salute come una delle cinque Regioni benchmarck al fine dell'applicazione dei costi standard nella sanita', ai sensi dell'art. 27 del decreto legislativo n. 68/2011 (5) , mancano, invece, del tutto i presupposti (con violazione anche dell'art. 120 Cost.) per cui il legislatore statale e' autorizzato ad intromettersi nella gestione della spesa sanitaria regionale fino ad imporre l'adozione di piani di rientro, specificando, come fa la norma qui impugnata, in modo arbitrario i livelli di scostamento tra costi e ricavi e gli altri parametri rivolti a vincolare singoli enti del Servizio sanitario regionale.

In questo caso la menomazione della competenza regionale altera gravemente l'equilibrio complessivo assicurato dalla Regione, all'interno della quale possono esistere, in presenza di adeguate ragioni, particolari e singole situazioni di Aziende ospedaliere in disavanzo (si noti bene) non inefficiente, ma giustificato, da decisioni rimesse alla autonomia politica regionale, le quali sono anche chiamate a rispondere a specifiche situazioni demografiche o epidemiologiche locali, come nel caso della citta' di Venezia, dove si riscontra la piu' alta eta' media d'Italia.

La norma impugnata, in quanto applicabile anche alle Regioni non sottoposte a piano di rientro e peraltro inasprendo i criteri relativi all'individuazione di enti sanitari (arbitrariamente supposti) inefficienti concretezza quindi un inefficace tentativo di spending review, privo di fondamento e disposto in violazione del principio di proporzionalita'. E cio' dal momento che difetta la stessa legittimita' dello scopo delle normative che pretendono di applicarsi anche a Regioni in equilibrio finanziario, rispetto alle quali manca completamente il presupposto che, invece, ha sempre legittimato l'imposizione di piani di rientro.

Difettano poi anche la connessione razionale e la necessita', dal momento che sconvolgendo la programmazione regionale in materia di tutela della salute non e' detto che la misura comporti un efficientamento qualitativo e quantitativo della spesa sanitaria; piuttosto, e' molto probabile, o addirittura certo in determinati casi come quello proposto, il contrario.

E' quindi del tutto evidente la mancanza, nella disposizione impugnata, degli standard minimi richiesti dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale per la legittimita' costituzionale delle norme statali di coordinamento della finanza pubblica. Come infatti e' stato messo in rilievo in molteplici occasioni se il legislatore statale puo' «con una disciplina di principio, legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti», tuttavia «questi vincoli possono considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscono un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»» (sentenze n. 217 del 2012, n. 182 del 2011, nonche' sentenze n. 297 del 2009, n. 289 del 2008 e n. 169 del 2007) e «siano rispettosi del canone generale della ragionevolezza e proporzionalita' dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato» (sentenza n. 22 del 2014).

Nel caso di specie, invece, viene meno il rispetto di quello «spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale» (ex plurimis sentenza n. 182 del 2011) che costituisce la condizione necessaria perche' il coordinamento della finanza pubblica non si traduca in una menomazione, irragionevole e non proporzionata al fine, dell'autonomia politica della Regione e della sua capacita' di programmazione.

Ne deriva che la norma impugnata, introducendo addirittura nozioni piu' stringenti di quelle originariamente disposte dall'art.

1, comma 524, lettera a), della legge n. 208/2015, determina una violazione degli articoli 3 e 97 che ridonda sulle competenze costituzionalmente garantite alla Regione in termini di autonomia amministrativa, legislativa, e programmatoria in materia di tutela della salute, di cui agli articoli 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione, in ogni caso anche direttamente lesi, per quanto sopra evidenziato, dalla disposizione impugnata.

8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 392, per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, nonche' degli articoli 5, lettera g), della legge costituzionale n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013.

L'art. 1, comma 392, dispone una riduzione, rispetto a quanto stabilito nell'intesa sancita l'11 febbraio 2016 dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, del livello di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato.

Tale intesa, in attuazione dell'art. 1, comma 680, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, aveva stabilito un livello di finanziamento pari a 113.063 milioni di euro per il 2017 e 114.998 milioni per il 2018 (all. 4, pag. 6, sotto la voce anni 2017 e successivi).

Tale livello di finanziamento viene ora stabilito in 113.000 milioni di euro per il 2017 e 114.000 milioni per il 2018, mentre viene fissato a 115.000 milioni quello per il 2019.

Rispetto a quanto stabilito dalla richiamata Intesa viene quindi rivisto in diminuzione, nel biennio 2017-2018, di oltre un miliardo di euro il livello di finanziamento statale, senza che sia stata prevista o attuata una nuova Intesa con le Regioni.

Si precisa, peraltro, che la regione Veneto con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 17 del 2016 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 aprile 2016 n. 16 ha impugnato l'art. 1, comma 568, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 che gia' derogava al Patto per la salute 2014- 2017 (6) .

Cio' premesso, e' opportuno precisare che il fabbisogno sanitario nazionale standard era stato sempre determinato sulla base di un sistema di accordi tra Stato e Regioni, recepiti annualmente in disposizioni di legge.

Tale prassi era conforme al riparto costituzionale delle competenze in materia di tutela della salute e allo schema costituzionale che ne governa il finanziamento, posto che la responsabilita' dell'erogazione dei servizi sanitari ricade sulle Regioni, costituendo la voce prevalente dei rispettivi bilanci (la spesa sanitaria impegna, infatti, circa l'80% dei bilanci regionali).

Fin dal 3 agosto 2000 - quindi prima ancora dell'entrata in vigore della riforma costituzionale del Titolo V - si era infatti consolidata la prassi di prevedere «un accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni, di valenza triennale, in merito alla spesa e alla programmazione del Servizio sanitario nazionale, finalizzato a migliorare la qualita' dei servizi, a promuovere l'appropriatezza delle prestazione e a garantire l'unitarieta' del sistema» (cosi' il Ministero competente descrive il Patto per la Salute (7) ).

Tale prassi e' stata completamente disattesa con la disposizione impugnata (e prima ancora, per altri aspetti, derogata con la legge di stabilita' 2016), in riferimento alla quale nemmeno e' stato piu' sancito, in sostituzione dell'ultimo ormai scaduto, un Patto per la Salute per il triennio 2017-2019: si tratta quindi di una prassi del tutto inedita nella storia repubblicana recente.

La norma impugnata, quindi, perviene, per la prima volta nella legislazione italiana dell'ultimo quindicennio, alla determinazione completamente unilaterale da parte statale, senza nessuna forma di intesa, accordo o patto, del livello di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato.

Questo nonostante la competenza in materia di «tutela della salute» di cui all'art. 117, III comma, Cost, sia di tipo concorrente e costituisca il principale settore dell'azione legislativa, amministrativa e anche fiscale delle Regioni.

Questo nonostante, inoltre, sia di carattere concorrente anche la competenza relativa al coordinamento della finanza pubblica: anche ai sensi dell'art. 119, II comma, Cost. lo Stato, infatti, deve limitarsi alla fissazione dei principi fondamentali.

La mancanza di un accordo, o comunque la violazione unilaterale dell'intesa sancita in data 11 febbraio 2016, si pone quindi in radicale contrasto con gli articoli 5 e 120 Cost. e in particolare con i criteri stabiliti, da ultimo, da codesta Ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza n. 251 del 2016: non si tratta, infatti, di una misura di contenimento della spesa regionale generica, cui applicare semplicisticamente i criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale sulla prevalenza della funzione di coordinamento della finanza pubblica, bensi' della riduzione della spesa relativa a quella particolarissima materia che e' la tutela della salute. E' innegabile, in relazione ad essa, che il legislatore statale sia tenuto al pieno rispetto del principio di leale collaborazione e debba prevedere «adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a difesa delle loro competenze».

Infatti - ha precisato la suddetta pronuncia - se «[e'] pur vero ...

che il principio di leale collaborazione non si impone al procedimento legislativo» la' dove, tuttavia, il procedimento legislativo «incid[e] su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessita' del ricorso all'intesa».

Quest'ultima si impone, dunque, «quale cardine della leale collaborazione» (cosi' sempre la stessa sentenza n. 251 del 2016) anche e soprattutto in un ambito particolarissimo come quello considerato, pena il venir meno di ogni sostanziale contenuto dell'autonomia regionale, data la rilevanza quantitativa e qualitativa che la materia tutela della salute assume nel sistema regionale.

Peraltro, data la propria genesi, la norma impugnata difetta del tutto di un'adeguata istruttoria sulla sostenibilita' del definanziamento (in violazione quindi degli articoli 3 e 97 Cost.) e sulla adeguatezza delle risorse stanziate, essendo mancato completamente un adeguato confronto preventivo con le Regioni, chiamate a garantire sui territori, tramite i propri modelli organizzativi e la propria programmazione, il diritto alla salute.

Si determina pertanto, in assenza della suddetta concertazione, una compromissione di quell'inviolabile diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost. (degradato quindi sullo stesso piano di altri interessi in violazione di quanto disposto da codesta ecc.ma Corte con la sentenza n. 275 del 2016: «[e'] la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione») che la spesa sanitaria regionale e' diretta a tutelare.

La norma, infatti: i) determina una contrazione delle risorse (dal 2012 il finanziamento della sanita' si e' ridotto di circa 30 miliardi di euro) a fronte di un aumento delle prestazioni da erogare (conseguenti alla definizione dei nuovi LEA ); ii) riduce sia in termini assoluti, sia rispetto al tendenziale di crescita (ad esempio, il Def 2014 prevedeva 118,680 miliardi per il 2017 e 121,316 per il 2018 (8) ), il previsto livello di finanziamento della principale competenza attribuita alle Regioni.

E' evidente, quindi, in questo caso che l'esercizio della funzione statale di coordinamento della finanza pubblica e' avvenuto anche in violazione «del canone generale della ragionevolezza e proporzionalita' dell'intervento normativo» (sent. n. 22 del 2014), perche', d'un tratto (9) , senza adeguata preventiva concertazione e senza che sia intervenuto alcun processo di riorganizzazione sostanziale delle funzioni assegnate alle Regioni, e' stato rideterminato il livello di finanziamento statale.

Al riguardo, come affermato da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 10 del 2016, non resta che ricordare che: «in assenza di adeguate fonti di finanziamento a cui attingere per soddisfare i bisogni della collettivita' di riferimento in un quadro organico e complessivo, e' arduo rispondere alla primaria e fondamentale esigenza di preordinare, organizzare e qualificare la gestione dei servizi a rilevanza sociale da rendere alle popolazioni interessate.

In detto contesto, la quantificazione delle risorse in modo funzionale sproporzionato alla realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione vigente diventa fondamentale canone e presupposto del buon andamento dell'amministrazione, cui lo stesso legislatore si deve attenere puntualmente».

Altrimenti l'art. 3 della Costituzione risulta anche «violato sotto il principio dell'eguaglianza sostanziale a causa dell'evidente pregiudizio al godimento dei diritti conseguente al mancato finanziamento dei relativi servizi. Tale profilo di garanzia presenta un carattere fondante nella tavola dei valori costituzionali» (sent.

n. 10/2016).

E' quindi di tutta evidenza come tali violazioni degli articoli 3, 97 e 32 Cost. ridondino in una ingente compromissione dell'autonomia regionale nell'ambito, quello della tutela della salute, che, in termini quantitativi, maggiormente impegna l'azione legislativa e amministrativa regionale.

Si tratta, peraltro, i) di una riduzione di carattere sostanzialmente permanente (in contrasto con quanto stabilito dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale sul carattere necessariamente transitorio delle norme che impongono obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica: ex plurimis le sentenze n. 65 del 2016, n. 218 e n. 189 del 2015; nello stesso senso, sentenze n.

44 del 2014, n. 236 e n. 229 del 2013, n. 217, n. 193 e n. 148 del 2012, n. 182 del 2011), ii) attuata, inoltre, - e cio' dimostra ulteriormente la violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalita' di cui all'art. 3 Cost. - con un taglio meramente lineare sul comparto regionale genericamente considerato e quindi senza alcuna considerazione ne' dei costi standard di cui agli articoli da 25 a 32 del decreto legislativo n. 68 del 2011, ne' dei livelli di spesa di Regioni virtuose che hanno gia' raggiunto elevati livelli di efficienza nella gestione della sanita'.

La norma, quindi, e' anche destinata ad incidere in modo permanente e indiscriminato non solo sulle realta' inefficienti, dove puo' ritenersi esista ancora una possibilita' di razionalizzazione, ma anche su quelle realta' efficienti, dove minimo e' il livello di spreco e quindi estremamente complessa la possibilita' di una ulteriore razionalizzazione della spesa senza mettere a repentaglio la garanzia del diritto alla salute.

Queste, come la Regione Veneto, risultano quindi indebitamente penalizzate, dal momento che nessuna considerazione e' stata effettuata, essendo mancata la necessaria adeguata concertazione, della propria capacita', eppure certificata dallo Stato, di mantenere l'equilibrio finanziario e nel contempo rispettare l'erogazione dei Lea.

Per quanto detto, la determinazione unilaterale da parte dello Stato del livello di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale realizza una arbitraria violazione del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost., e, per irragionevolezza e difetto di proporzionalita', degli articoli 3, 32 e 97 Cost., che ridonda in una violazione delle competenze regionali, anche autonomamente considerate, di cui agli articoli 117, III (tutela della salute), 118 (riguardo alla programmazione sanitaria) e 119 della Costituzione (riguardo alla autonomia impositiva). E' infatti di tutta evidenza come tali violazioni ridondino in una ingente compromissione dell'autonomia regionale nell'ambito che, come detto, in termini quantitativi, maggiormente impegna l'azione legislativa, amministrativa e fiscale delle Regioni.

A tale ultimo riguardo si fa riserva fornire dimostrazione contabile dell'irragionevole e rilevante incidenza della disposizione in parola.

Ma non solo.

La norma, determinando uno scollamento tra un livello di finanziamento che viene pesantemente ridotto e la necessita' di garantire i livelli essenziali, si pone altresi' in contrasto, con ricaduta sulla autonomia costituzionalmente garantita alla Regione, con quanto stabilisce l'art. 5, comma 1, lettera g), della legge costituzionale n. 1 del 2012 e l'art. 11 della legge n. 243 del 2012 sulla necessita' del concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti sociali nelle fasi avverse del ciclo economico.

Se infatti esistono fasi avverse del ciclo economico che impongono una restrizione del livello del finanziamento del SSN cui concorre lo Stato (si e' detto che dal 2012 il livello del finanziamento si e' ridotto di circa 30 miliardi di euro), e' altrettanto evidente che nel contempo si imporrebbe perlomeno l'attivazione (che non e' avvenuta) del meccanismo previsto dalle suddette disposizioni.

Va aggiunto, infine, a ulteriore dimostrazione della violazione del principio di leale collaborazione e del difetto di istruttoria, che nessun coinvolgimento e' avvenuto della (pur istituita: la prima convocazione e' avvenuta il 10 ottobre 2013) Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, il cui coinvolgimento nella definizione della manovre di finanza pubblica e' invece imposto dall'art. 5, comma 1, della legge n. 42 del 2009 (che attua il precetto costituzionale di leale collaborazione): «a) la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento;» e poi ribadito dall'art. 33 del decreto legislativo n. 68 del 2011 che la definisce quale «organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica fra comuni, province, citta' metropolitane, regioni e Stato».

9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 395 e 396, per violazione degli articoli 3, 97, 117, terzo comma, 119 e 120 della Costituzione.

L'articolo 1, con i commi 395 e 396, introduce modifiche ai criteri per la nomina del commissario ad acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario.

Nello specifico, il comma 395 esclude, a decorrere dall'entrata in vigore della stessa legge di bilancio 2017, l'applicazione della disciplina di cui all'art. 1, comma 569, della legge n. 190 del 2014 alle Regioni commissariate ai sensi dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007.

In linea con tale disposizione, il successivo comma 396 abroga il comma 570 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014, che invece estendeva la disciplina prevista dal comma 569 della medesima legge anche ai commissariamenti disposti ai sensi dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007.

In sostanza, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio 2017, con riguardo al commissariamento delle Regioni per i casi di inadempimento - successivo a diffida da parte del Governo - delle misure previste dal piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario, non trovera' piu' applicazione la disciplina, di cui all'art. 1, comma 569, della legge di stabilita' 2015, che prevedeva appositi requisiti per la nomina a commissario ad acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario.

Il citato comma 569, infatti, prevedeva, in conformita' a quanto stabilito dal p.to 12, lett. a) e p.to 3) del Patto per la Salute 2014- 2016, che tale nomina a commissario ad acta fosse i) incompatibile con l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la Regione soggetta a commissariamento (ivi compresa la carica di Presidente della Regione) e che il commissario dovesse possedere ii) un curriculum attestante «qualificate e comprovate professionalita' ed esperienza di gestione sanitaria anche in base ai risultati in precedenza conseguiti» (art.

1, comma 569, legge di stabilita' 2015).

In questo modo la norma, anche abrogando tale requisito di professionalita', rimette in vigore la prassi dei cd. «Governatori Commissari» che e' stata una delle principali cause delle inefficienze, sia in termini di disavanzi, sia in termini di insufficiente garanzia del Lea, nella gestione della sanita' di alcune Regioni.

Assegnare poteri di commissario della sanita' al Presidente di una Regione che non adempia i) alla diffida governativa funzionale a conseguire gli obiettivi del piano di rientro ovvero ii) che non abbia adottato atti idonei o sufficienti al raggiungimento degli obiettivi programmati (tali sono i presupposti per il commissariamento indicati dall'art. 4, comma 2, del decreto-legge n.

159 del 2007), si pone in evidente contrasto con i principi di ragionevolezza, proporzionalita' e buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione, nonche' in contrasto con un corretto esercizio del potere sostitutivo del Governo di cui all'art. 120 Cost.

E' opportuno ricordare, riguardo alla efficacia delle disposizioni ora abrogate, che la Corte dei conti ha recentemente attestato che «il successo dei Piani di rientro e' evidente dal punto di vista economico finanziario», mettendo in evidenza come «il complesso delle regioni in Piano ha registrato una drastica riduzione delle passivita'. Cio' non ha impedito di conseguire significativi miglioramenti anche nella qualita' dei servizi e nella garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni» (Corte dei Conti, sezioni riunite in sede di controllo, Rapporto 2016 sul coordinamento della finanza pubblica, marzo 2016, p. 255).

Le norme impugnate, inoltre, si pongono in contrasto anche con il principio di eguaglianza, dal momento che, al contrario, nelle situazioni efficienti, dove e' garantito sia l'equilibrio finanziario sia la garanzia dei Lea, altre disposizioni statali tendono alla espropriazione dei poteri regionali, come nel caso: i) dell'art. 1, comma 390 della legge n. 232 del 2016 qui impugnato; ii) del complesso normativa di cui ai commi 524, 525, 526, 527, 528, 529, 531, 532, 533, 534, 535 e 536, della legge n. 208/2015; iii) degli articoli 1, 2, 6 e 9 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, recante «Attuazione della delega di cui all'art. 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria».

Situazioni tra loro profondamente diverse sono quindi irragionevolmente trattate in modo uguale, alimentando un processo di centralizzazione delle funzioni nelle realta' regionali efficienti e al contrario, irragionevolmente, riducendo il controllo statale in quelle inefficienti.

La lesione delle richiamate disposizioni costituzionali ridonda sulla autonomia regionale ai sensi degli articoli 117, terzo comma e 119 Cost.

Infatti, a motivo dell'inefficienza di alcune Regioni (pero' non debitamente assoggettate al controllo sostitutivo statale), il legislatore statale ricorre a misure generalizzate, quali quelle in precedenza ricordate, che risultano restrittive dell'autonomia legislativa e organizzativa regionale.

Inoltre, la Regione Veneto, partecipa al livello di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato; pertanto l'inefficienza di alcune Regioni conseguente alla mancanza di un adeguato esercizio del potere sostitutivo statale ha inevitabilmente una ricaduta sulla quota di risorse disponibili per la Regione stessa.

10) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 527, per violazione degli articoli 3, 117, secondo, terzo comma, 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

L'art. 1, comma 527, protrae al 2020 il periodo temporale di vigenza dell'obbligo per le Regioni di assicurare il contributo alla finanza pubblica di cui all'art. 46 del decreto-legge n. 66/2014.

In particolare, in forza della suddetta modifica le Regioni sono tenute ad assicurare, per ciascuno degli anni dal 2015 al 2020, un contributo alla finanza pubblica pari a 750 milioni di euro annui (ai sensi dell'art. 46, comma 6, primo periodo, decreto-legge n. 66/2014, cosi' come modificato dal comma 527 dell'art. 1 della legge n.

232/2016 qui impugnato) (10) .

Sempre per gli anni 2015-2020, e' richiesto, inoltre, alle Regioni un contributo aggiuntivo pari a 3.452 milioni di euro annui (ai sensi dell'art. 46, comma 6, terzo periodo, decreto-legge n.

66/2014, cosi' come modificato dal comma 527 dell'art. 1 della legge n. 232/2016, qui impugnato)» (11)   E' opportuno precisare che il successivo comma 528 proroga al 2020 anche il contributo richiesto alle Regioni dall'art. 1, comma 680, legge n. 208/2015, sicche' la misura dei contributi alla finanza pubblica richiesti alle Regioni ed alle Province autonome e prorogati al 2020 dai commi 527 e 528 in esame, ammonta pertanto a complessivi 7.682 milioni di euro, come risulta anche dalla relazione tecnica (12) .

Al riguardo si deduce quanto segue.

1. E' preliminare, innanzitutto, ribadire che il contributo delle Regioni a statuto ordinario gia' previsto dall'art. 46, comma 6, del decreto-legge n. 66/2014 - stabilito inizialmente in 750 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017 - era stato esteso anche al 2018 ed incrementato di 3.452 milioni di euro dalla legge di stabilita' per il 2015 (cfr. art. 1, comma 398, della legge n.

190/2014).

Il comma 681 della legge di stabilita' per il 2016 aveva poi esteso anche al 2019 tali contributi.

Occorre precisare che la Regione Veneto ha impugnato le disposizioni di cui all'art. 46, comma 6, del decreto-legge n.

66/2014 e all'art. 1, comma 398, della legge n. 190/2014.

Con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 17 del 2016 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 aprile 2016 n. 16 ha poi impugnato l'art. 1, commi 680, 681 e 682, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (13) .

Su tale ultimo ricorso codesta ecc.ma Corte non si e' ancora pronunciata, mentre ha deciso i precedenti ricorsi con le pronunce nn. 65 e 141 del 2016, respingendo le censure della Regione.

E' proprio da queste due pronunce, tuttavia, che, di fronte all'ennesima proroga della manovra di taglio alla spesa regionale del 2014, che emerge la evidente violazione degli articoli 117, terzo comma e 119 Cost. da parte dell'art. 1, comma 527, qui impugnato.

2. Nella sentenza n. 141 del 2016, infatti, in riferimento alla semplice proroga del termine di cui all'art. 46, comma 6, del decreto-legge n. 66/2014 di un solo anno (ovvero al 2018) disposta dal «comma 398 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014» si precisa, con molta chiarezza, che: «la declaratoria di non fondatezza della questione, nei termini in cui e' stata prospettata, non impedisce a questa Corte di segnalare che il costante ricorso alla tecnica normativa dell'estensione dell'ambito temporale di precedenti manovre, mediante aggiunta di un'ulteriore annualita' a quelle originariamente previste, finisce per porsi in contrasto con il canone della transitorieta', se indefinitamente ripetuto.

Il ricorso a tale tecnica normativa potrebbe, infatti, prestare al canone della transitorieta' un ossequio solo formale, in assenza di plausibili e riconoscibili ragioni che impediscano in concreto al legislatore di ridefinire e rinnovare complessivamente, secondo le ordinarie scansioni temporali dei cicli di bilancio, il quadro delle relazioni finanziarie tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali, alla luce di mutamenti sopravvenuti nella situazione economica del Paese.»   3. Riguardo all'art. 1, comma 527, e' evidente che, di fronte alla terza proroga consecutiva della stessa manovra in origine legata a un ambito triennale e di fronte all'assenza di plausibili e riconoscibili ragioni che hanno impedito al legislatore di ridefinire e rinnovare complessivamente, secondo le ordinarie scansioni temporali dei cicli di bilancio (triennali) il quadro delle relazioni finanziarie tra lo Stato e le Regioni, il legislatore statale ha sostanzialmente violato il canone della transitorieta' richiesto, ai sensi degli articoli 117, terzo comma e 119 Cost., dalla giurisprudenza costituzionale (ex multis, tra le piu' recenti, sentenze n. 65 del 2016, n. 218 e n. 189 del 2015; nello stesso senso, sentenze n. 44 del 2014, n. 236 e n. 229 del 2013, n. 217, n.

193 e n. 148 del 2012, n. 182 del 2011).

Gia' nelle sentenze nn. 43 e 64 del 2016 era stato, peraltro, ribadito con estrema chiarezza che: «Sotto quest'ultimo profilo questa Corte ha gia' posto in evidenza la natura necessariamente pluriennale delle politiche di bilancio, che vengono scandite per mezzo della legge di stabilita' lungo un arco di tempo di regola triennale (sentenze n. 178 del 2015 e n. 310 del 2013) ... Percio' questa Corte deve ripristinare la legalita' costituzionale riconducendo la disposizione impugnata ad un corrispondente periodo transitorio di efficacia, visto che esso e' connaturato alle caratteristiche dell'intervento legislativo in cui la norma e' collocata, e si desume percio' direttamente ed inequivocabilmente da quest'ultimo» (sent. n. 43 del 2016).

Per cui, si e' affermato (sent. n. 64 del 2016): «Le disposizioni restrittive della spesa regionale devono dunque operare per un periodo di tempo definito, in quanto necessarie a fronteggiare una situazione contingente» e si e' espressamente evidenziato che «il decreto-legge n. 66 del 2014 e' intervenuto a correggere i conti pubblici con riferimento al triennio considerato dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2014), che, salvo espresse disposizioni contrarie, si riferisce agli anni dal 2014 al 2016».

E' quindi evidente come si sia ormai in presenza, a seguito del raddoppio del termine triennale originario previsto dalla manovra del 2014, nonostante la formale fissazione di un termine finale (ora il 2020), proprio di quel «costante ricorso alla tecnica normativa dell'estensione dell'ambito temporale di precedenti manovre» stigmatizzato, ma ignorato dal legislatore statale, dalla sentenza n.

141 del 2016 che determina la violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. (che ridonda in un pesante vulnus per l'autonomia regionale dato l'evidente impatto sulla stessa della proroga del taglio) e degli articoli 117, terzo comma e 119 Cost. per difetto sostanziale del canone della transitorieta' della misura statale di coordinamento della finanza pubblica.

E' quindi del tutto elusiva di questa giurisprudenza la tecnica normativa adottata dal legislatore statale consistente nel fissare, in origine, un termine triennale ai tagli, continuando poi ad estenderlo, di anno in anno, con successivi interventi normativi: tale tecnica, infatti, rende tamquan non esset quel limite temporale che costituisce la condizione di legittimita' costituzionale dell'intervento statale di coordinamento della finanza pubblica.

I limpidi e ricorrenti enunciati della giurisprudenza costituzionale sono stati quindi banalmente e sostanzialmente elusi dal legislatore statale semplicemente aggiungendo di volta in volta un'annualita' a manovre originariamente disposte per un arco di tempo limitato.

In tal modo, anziche' con tutta la ponderazione, le motivazioni e l'assunzione di responsabilita' che sarebbero state necessarie per introdurre una nuova manovra, il legislatore statale con un intervento normativo di poche parole ha inciso «a ripetizione» su quella capacita' di spesa degli enti regionali dove si concentra ormai, dalla riforma costituzionale del 2001, la quota prevalente dei servizi e dei diritti dello Stato sociale.

E' opportuno, peraltro, ricordare da ultimo che codesta ecc. ma Corte costituzionale gia' in altre occasioni ha censurato tecniche normative dirette ad eludere un necessario carattere (in quel caso) di «provvisorieta'», come ad esempio nella sentenza n. 360 del 1995 relativa alla prassi della reiterazione dei decreti -legge, dichiarata, per proprio per questo motivo, costituzionalmente illegittima.

4. Peraltro, nel considerare l'illegittimita' della tecnica normativa adottata dal legislatore statale, occorre precisare che essa e' anche intervenuta in assenza della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti relativi all'assistenza sociale (i cd. Liveas), mai (a differenza dei Lea relativi alla sanita') determinati.

A questo riguardo e' opportuno precisare che nella ricordata sentenza n. 65 del 2016 codesta ecc.ma Corte, pur rigettando l'impugnativa della Regione Veneto, aveva precisato «Nel dichiarare non fondata la questione, questa Corte osserva, peraltro, che non erra la Regione ricorrente nel sottolineare l'utilita' della determinazione, da parte dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., dei livelli essenziali delle prestazioni per i servizi concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (in tal senso, gia' sentenza n. 273 del 2013). Un tale intervento, che deve svolgersi "attraverso moduli di leale collaborazione tra Stato e Regione" (sentenza n. 297 del 2012), offrirebbe, infatti, alle Regioni un significativo criterio di orientamento nell'individuazione degli obiettivi e degli ambiti di riduzione delle risorse impiegate, segnando il limite al di sotto del quale la spesa - sempreche' resa efficiente - non sarebbe ulteriormente comprimibile».

Ne' in relazione alla proroga disposta con la legge di stabilita' per il 2015, ne' in quella poi sancita con la legge di bilancio per il 2016, ne' tantomeno con quella prevista dalla norma impugnata, tuttavia, il legislatore statale, nonostante il monito di questa ecc.ma Corte, si e' preoccupato, in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera p), di stabilire un benche' minimo intervento normativo diretto a definire i cd. Liveas.

Posto che l'art. 119, quarto comma, Cost. imporrebbe allo Stato di garantire agli enti territoriali «risorse sufficienti a finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite» (che si situano in gran parte nell'ambito dei diritti sociali), la mancata definizione dei Liveas, che interessano tutta la materia di competenza residuale regionale dell'assistenza sociale, ha consentito allo Stato di sottrarsi «tranquillamente» a questa responsabilita', risultando poi libero di praticare tagli lineari «al buio», con una tecnica di proroga a ripetizione, a prescindere da un qualsiasi parametro di adeguatezza.

Senza assumersi la responsabilita' politica e costituzionale di una riduzione dei livelli essenziali a seguito del venir meno delle risorse disponibili, lo Stato ha infatti scelto invece la strada di non definirli in materie come l'assistenza sociale (i Liveas), e dall'altro di perpetrare un sistema di tagli lineari, in cio' venendo meno ad un corretto esercizio di quella funzione di coordinamento della finanza pubblica che e' invece richiesto dagli articoli 117, terzo comma e 119 Cost.

Ne consegue che l'esercizio della funzione statale di coordinamento della finanza pubblica e' avvenuto quindi anche in violazione «del canone generale della ragionevolezza e proporzionalita' dell'intervento normativo» (sentenze nn. 22 del 2014 e 236 del 2013).

Appare utile, peraltro, ricordare che codesta ecc.ma Corte, sempre nella sentenza n. 65 del 2016, ha limpidamente precisato «che interventi statali, i quali modifichino repentinamente l'equilibrio del rapporto tra autocoordinamento regionale e supplenza statale nel delicato settore dei contributi regionali alla finanza pubblica, restano ovviamente soggetti allo stretto scrutinio di questa Corte, se e in quanto investita del relativo giudizio».

5. Nel caso di specie, quindi, le disposizioni di cui all'art. 1, comma 527 si concretizzano: i) in misure che di fatto assumono un carattere sostanzialmente permanente; ii) in un catalogo di tagli meramente lineari che riguardano l'intero comparto delle Regioni ordinarie senza che sia definito alcun criterio effettivo di sostanziale riforma.

Esse inoltre determinano l'impossibilita' per la Regione di offrire un adeguato livello di servizio rispetto ai bisogni della popolazione.

Come ha precisato a piu' riprese la Corte dei conti «le manovre di finanza pubblica degli ultimi anni testimoniano di provvedimenti che, all'ombra del federalismo, rappresentano vere e proprie "incursioni" della politica fiscale nazionale, dettate, piu' che da logiche di coordinamento fra livelli di Governo, dal coinvolgimento delle Autonomie locali nello sforzo di consolidamento dei conti pubblici.» (14)   Stante quanto esposto, risulta evidente che le disposizioni impugnate travalicano quindi la funzione del «coordinamento» della finanza pubblica e si concretizzano in misure di indiscriminato «contenimento», cosi' risultando pero' prive degli indispensabili elementi di razionalita', proporzionalita', efficacia e sostenibilita' che dovrebbero quantomeno informare la funzione di coordinamento della finanza pubblica.

Come affermato da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 188 del 2015 in relazione al sotto finanziamento regionale di funzioni provinciali (ed e' logico ritenere che i tagli disposti in tal modo alle Regioni compromettano la loro capacita' di garantire adeguati trasferimenti agli altri enti locali): «le possibilita' di ridimensionamento incontrano tuttavia dei limiti... Una dotazione finanziaria cosi' radicalmente ridotta, non accompagnata da proposte di riorganizzazione dei servizi o da eventuale riallocazione delle funzioni a suo tempo trasferite, comporta dunque una lesione del principio in considerazione» (cfr., inoltre, sent. n. 10/2016).

6. Va aggiunto, infine, quale motivo di violazione del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost., che nessun coinvolgimento e' avvenuto, ne' e' previsto della (pur istituita: la prima e unica convocazione e' avvenuta il 10 ottobre 2013) Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, il cui coinvolgimento nella definizione della manovre di finanza pubblica e' imposto dall'art. 5, comma 1, della legge n. 42 del 2009 (in attuazione del principio costituzionale di leale collaborazione): «a) la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento;» e poi ribadito dall'art. 33 del decreto legislativo n. 68 del 2011 che la definisce quale «organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica fra comuni, province, citta' metropolitane, regioni e Stato».

11) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 528, per violazione dell'art. 119 della Costituzione.

L'art. 1, comma 528, modifica l'art. 1, comma 680, legge n.

208/2015 che detta la disciplina riguardante un ulteriore contributo che le Regioni e le Province autonome sono tenute ad assicurare alla finanza pubblica. Segnatamente:   i) estende al 2020 l'obbligo di assicurare il contributo alla finanza pubblica stabilito all'art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015, e ivi quantificato in 5.480 milioni di euro.

ii) sempre modificando il comma 680 dell'art. 1 della legge di stabilita' 2016, introduce la possibilita' di prevedere versamenti al bilancio dello Stato da parte delle Regioni interessate, in sede di rideterminazione dei livelli di finanziamento e delle modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato, qualora non fosse raggiunta l'intesa in seno alla Conferenza permanente sul riparto dei tagli e sugli ambiti di spesa coinvolti.

In questo caso, a differenza di quanto dedotto in relazione al comma 527, l'estensione al 2020 del periodo temporale in cui le Regioni sono tenute ad assicurare il loro contributo alla finanza pubblica stabilito all'art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015, avviene per la prima volta.

Da questo punto di vista, quindi, la fattispecie sembra ricalcare, appunto a differenza della proroga disposta dall'art. 1 comma 527, la fattispecie decisa da codesta ecc.ma Corte con la sentenza n. 141 del 2016 nel senso della non fondatezza.

Tuttavia, la disposizione impugnata non si limita ad una semplice proroga, ma specifica che la rideterminazione dei livelli di finanziamento degli ambiti individuati e delle modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato effettuata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, in caso di mancata intesa, possa prevedere anche versamenti da parte delle Regioni interessate al bilancio dello Stato.

In tal modo, la norma aggiunge un elemento innovativo che non e' stato considerato nella sentenza n. 141 del 2016, dove lo scrutinio di costituzionalita' riguardava disposizioni che «impongono alle Regioni semplicemente una riduzione di spesa»: con la novella introdotta dal comma 528 i criteri sussidiari applicabili dallo Stato in caso di mancata intesa non impongono piu' una semplice limitazione della spesa regionale, attraverso la «rideterminazione dei livelli di finanziamento», ma trasformano la Regione in una sorta di esattore dello Stato, essendo la stessa chiamata a riversare allo Stato risorse proprie.

In questo caso, a differenza della fattispecie esaminata nella richiamata pronuncia, il disposto obbligo di riversare al bilancio dello Stato la spesa non effettuata si pone in contrasto con l'art.

119 Cost. in base al principio affermato da codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza n. 79/2014 in relazione all'illegittimita' di un «obbligo di restituzione di risorse gia' acquisite, che vengono assicurate all'entrata del bilancio dello Stato, senza alcuna indicazione circa la loro destinazione».

12) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 615, per violazione dell'art. 117, quarto comma della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

L'art. l, commi da 613 a 615, istituisce un Piano strategico nazionale della mobilita' sostenibile, incrementando le risorse attribuite al Fondo di cui all'art. 1, comma 866, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 finalizzato all'acquisto, alla riqualificazione elettrica o al noleggio dei mezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale ed estendendo le finalita' del Fondo stesso.

Nello specifico, ai sensi del comma 613, il Piano e' destinato al rinnovo del parco autobus dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, alla promozione e al miglioramento della qualita' dell'aria con tecnologie innovative, in attuazione degli accordi internazionali nonche' degli orientamenti e della normativa dell'Unione europea. Nell'ambito del Piano si prevede inoltre un programma di interventi finalizzati ad aumentare la competitivita' delle imprese produttrici di beni e servizi nella filiera dei mezzi di trasporto pubblico su gomma e dei sistemi intelligenti per il trasporto, «attraverso il sostegno agli investimenti produttivi finalizzati alla transizione verso forme produttive piu' moderne e sostenibili, con particolare riferimento alla ricerca e allo sviluppo di modalita' di alimentazione alternativa, per il quale e' autorizzata la spesa di 2 milioni di euro per l'anno 2017 e di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019».

Ai sensi del successivo comma 614, a valere sulle risorse da ultimo indicate nel comma 613, il Ministero dello sviluppo economico, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, puo' immediatamente stipulare convenzioni con l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa-Invitalia e con dipartimenti universitari specializzati nella mobilita' sostenibile, al fine di predisporre analisi e studi riguardanti i costi e i benefici degli interventi, nonche' i relativi fabbisogni territoriali.

A norma del comma 615, infine, il Piano e' approvato entro il 30 giugno 2017 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Infine, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (da adottare entro il 31 dicembre 2017), sono disciplinati, in coerenza con il Piano strategico nazionale, gli interventi (di cui al comma 613, ultimo periodo) per la competitivita' delle imprese produttrici di beni e servizi nella filiera dei mezzi di trasporto pubblico su gomma e dei sistemi intelligenti per il trasporto.

Nessuna forma di concertazione con le Regioni, invece, e' stata prevista.

In questi termini, pertanto, il comma 615 e' costituzionalmente illegittimo, dal momento che, sebbene finalizzato al rinnovo del parco autobus dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, nonche' alla promozione e al miglioramento della qualita' dell'aria con tecnologie innovative, non prevede alcuna forma di concertazione delle Regioni ne' in relazione alla approvazione del Piano strategico nazionale della mobilita' sostenibile, ne' all'emanazione del decreto del Ministro dello sviluppo economico con cui sono disciplinati gli interventi di cui al comma 613, ultimo periodo.

Sebbene la materia «mobilita' sostenibile» sia ascrivibile anche alla materia «ambiente», secondo la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale e' comunque necessario un coinvolgimento regionale, dal momento che l'intervento statale incide chiaramente nella materia del trasporto pubblico locale, di competenza residuale regionale ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.

Nella sentenza n. 142 del 2008, avente ad oggetto la legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1121, 1122 e 1123, della legge n.

296 del 2006 (legge di stabilita' 2007) che istituiva un Fondo per la mobilita' sostenibile si e', infatti, affermato: «...poiche' il Fondo in esame produce effetti anche sull'esercizio delle attribuzioni regionali in materia di trasporto pubblico locale affinche' esso si svolga nei limiti della sostenibilita' ambientale, si giustifica l'applicazione del principio di leale collaborazione (sentenze n. 63 del 2008; n. 201 del 2007; n. 285 del 2005), che deve, in ogni caso, permeare di se' i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (sentenza n. 50 del 2008), Nel caso in esame, invece, i commi 1122 e 1123 dell'art. 1 non tengono conto di detto parametro, attribuendo al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, senza alcun coinvolgimento regionale, il potere di stabilire, di concerto con il Ministro dei trasporti, la destinazione delle risorse del Fondo, e di prevedere la quota, non inferiore al cinque per cento, da destinare agli interventi per la valorizzazione e lo sviluppo della mobilita' ciclistica. Le necessarie forme di leale collaborazione, avendo riguardo agli interessi implicati e alla peculiare rilevanza di quelli connessi all'ambito materiale rimesso alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato, possono, d'altro canto, dirsi adeguatamente attuate mediante la previa acquisizione del parere della Conferenza unificata, competente in materia secondo la legislazione vigente, in sede di adozione del decreto ministeriale di destinazione delle risorse del Fondo. Da cio' consegue che i predetti commi devono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi nella parte in cui non prevedono che il decreto ministeriale sia emanato previa acquisizione del parere della Conferenza unificata» (sent. n. 142 del 2008, p.to 5 del Considerato in diritto).

Posto che la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale ha ravvisato una competenza legislativa regionale residuale a disciplinare i profili del trasporto pubblico locale che non siano strumentali a garantire la concorrenza (sentenze n. 325 del 2010, n. 307 del 2009, n. 272 del 2004), e che si e' in presenza nel caso di specie «di interessi distinti, che corrispondono alle diverse competenze legislative dello Stato e delle Regioni», che «risultano inscindibili l'una dall'altra, inserite come sono in un unico progetto», il legislatore puo' superare «lo scrutinio di legittimita' costituzionale se rispetta il principio di leale collaborazione, avviando le procedure inerenti all'intesa con Regioni e enti locali nella sede della Conferenza unificata» (sentenza n. 215 del 2016).

Il comma 615, in quanto non prevede alcuna forma di coinvolgimento regionale, si pone quindi in violazione degli articoli 117, quarto comma, Cost. e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

13) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 627, per violazione degli articoli 117, terzo comma e 119 della Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione del principio di leale collaborazione.

L'art. 1, comma 627, istituisce nello stato di previsione del Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo il Fondo nazionale per la rievocazione storica, con una dotazione di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019.

Tale fondo e' finalizzato alla promozione di eventi, feste e attivita', nonche' alla valorizzazione di beni culturali attraverso la rievocazione storica. Ad esso possono accedere direttamente Regioni, Comuni, nonche' istituzioni culturali e associazioni di rievocazione. Per queste ultime (istituzioni culturali e associazioni di rievocazione) e' richiesto il riconoscimento attraverso l'iscrizione in appositi albi, tenuti dai Comuni, ovvero l'operativita' da almeno dieci anni.

L'accesso alle risorse avviene in base a criteri da determinare con decreto del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, che deve essere emanato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge.

In questi termini la norma impugnata istituisce un fondo a destinazione vincolata pianamente riconducibile all'ambito delle materie «valorizzazione dei beni culturali» e «promozione e organizzazione di attivita' culturali» che sono incluse dall'art.

117, terzo comma, Cost. tra quelle di competenza legislativa concorrente.

Al riguardo occorre ricordare che codesta ecc.ma Corte costituzionale ha precisato che «e' necessario che restino inequivocabilmente attribuiti allo Stato, ai fini della tutela, la disciplina e l'esercizio unitario delle funzioni destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale nonche' alla loro protezione e conservazione; mentre alle Regioni, ai fini della valorizzazione, spettino la disciplina e l'esercizio delle funzioni dirette alla migliore conoscenza, utilizzazione e fruizione di quel patrimonio (sentenza n. 194 del 2013)». (sent. n. 140 del 2015).

La disposizione impugnata, quindi, se, da un lato, istituisce un fondo statale a destinazione vincolata in un ambito materiale riconducibile alla competenza regionale concorrente, dall'altro non prevede alcuna forma di concertazione con le Regioni ai fini dell'adozione del decreto del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo diretto a determinare i criteri determinati di accesso al fondo stesso.

In questi termini, nella misura in cui non e' prevista, al riguardo, l'intesa con le Regioni, risulta violato l'art. 119 della Costituzione e il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, dal momento che la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale e' costante nel ritenere che solo la previsione di un'intesa nell'ambito della Conferenza unificata varrebbe a rendere costituzionalmente legittimo, in virtu' del processo di concertazione e condivisione, un fondo a destinazione vincolata (in tal senso, sentt. nn. 16 del 2010, 79 del 2011, 201 del 2007, 219 del 2005 e 50 del 2005).

Infatti, codesta ecc.ma Corte «ha dichiarato costituzionalmente illegittime norme che disciplinavano i criteri e le modalita' ai fini del riparto o della riduzione di fondi e trasferimenti destinati ad enti territoriali, nella misura in cui, rinviando a fonti secondarie di attuazione, non prevedevano "a monte" lo strumento dell'intesa con la Conferenza unificata non solo in caso di intreccio di materie, riconducibili alla potesta' legislativa statale e regionale (ex plurimis, sentenza n. 168 del 2008), ma anche in caso di potesta' legislativa regionale residuale (ex plurimis, sentenze n. 27 del 2010; nonche', in specifico riferimento al trasporto pubblico locale, n. 222 del 2005), affermando costantemente la necessita' dell'intesa (tra le tante, sentenze n. 182 e n. 117 del 2013)» (sent. n. 273 del 2013).

L'assenza di una qualsivoglia forma di leale collaborazione - peraltro prevista in situazioni analoghe dalla legislazione statale (15) - rende quindi evidente la violazione degli articoli 117, terzo comma e 119 Cost. e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

(1) Sentenza Corte costituzionale n. 236 del 2013, punto 3.3. del  Considerato in diritto; tale punto si riferisce nello specifico  agli enti locali, mentre il successivo punto 7.1. della pronuncia  tratta delle norme relative agli enti strumentali delle Regioni,  ribadendone la natura di principi di coordinamento della finanza  pubblica in quanto lasciavano «alle Regioni, nell'esercizio delle  loro competenze, il piu' ampio spazio di autonomia per adeguarsi  ai principi stabiliti dal comma 1 [dell'art. 9, decreto-legge n.

95/2012 oggetto di impugnazione]».

(2) Conferenza Stato-Regioni e Province autonome, Parere sul disegno  di legge recante Bilancio di previsione dello Stato per l'anno  finanziario 2017,17 novembre 2016, p. 41.

(3) Cosi' si precisa in Servizio studi di Camera e Senato, legge di  Bilancio 2017 Schede di Lettura AS 2611 - Sezione I normativa,  dicembre 2016, p. 290.

(4) La «Fondazione Art. 34», gia' Fondazione per il merito di cui  all'art. 9, comma 3, decreto-legge n. 70/2011 (legge n.

106/2011), assume, con il comma 273 dell'art. 1 della legge n.

232/2016, la nuova denominazione di «Fondazione Art. 34» con  riferimento all'art. 34 della Costituzione. Tale Fondazione e'  istituita per la realizzazione degli obiettivi di interesse  pubblico del Fondo per il merito di cui all'art. 4, legge n.

240/2010 nonche' con lo scopo di promuovere la cultura del merito  e della qualita' degli apprendimenti nel sistema scolastico e nel  sistema universitario. Per il raggiungimento dei propri scopi la  Fondazione instaura rapporti con omologhi enti ed organismi in  Italia e all'estero. Puo' altresi' svolgere funzioni connesse con  l'attuazione di programmi operativi cofinanziati dai Fondi  strutturali dell'Unione europea, ai sensi della normativa  comunitaria.

(5) Emerge, infatti, dalla nota metodologica del Ministero della  salute del 21 giugno 2013, applicativa della delibera del  Consiglio dei ministri 11 dicembre 2012, recante «Definizione dei  criteri di qualita' dei servizi erogati, appropriatezza ed  efficienza per la scelta delle regioni di riferimento ai fini  della determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel  settore sanitario», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie  generale, n. 135 dell'11 giugno 2013, che le Regioni benchmarck  sono state identificate nelle regioni Veneto, Emilia Romagna,  Lombardia, Marche e Umbria.

(6) Tale norma, infatti, ha ridotto, in deroga a quanto stabilito dal  Patto per la Salute 2014-2016, il fabbisogno sanitario nazionale  standard per il 2016 fissandolo in 111.000 milioni di euro,  quando era invece stato precedentemente stabilito, dalla legge di  bilancio 2015 (commi 167 e 556, dell'art. 1, legge n. 190/2014) e  dal c.d. decreto-legge Enti territoriali (art. 9-septies,  decreto-legge n. 78/2015), che il livello di finanziamento del  Servizio sanitario nazionale (SSN) cui concorre lo Stato per il  2016 fosse fissato in 113.097 milioni di euro. Nel ricorso, la  norma e' stata impugnata per violazione per violazione degli  articoli 3, 32, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 della  Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli  articoli 5 e 120 della Costituzione, nonche' degli articoli 5,  lettera g), della legge costituzionale n. 1 del 2012 e 11 della  legge n. 243 del 2013.

(7) Cfr.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6jsp?id=1299&area=progra  mmazioneSanitariaLea &menu=vuoto

(8) Cfr. a pag. 45 del documento rinvenibile in  http://www.dt.tesoro.it/modules/documenti_it/analisi_programmazio  ne/documenti_programmatici/DEF_Sezione_II_-_Analisi_e_tendenze_de  lla_finanza_pubblica.pdf

(9) Appare utile ricordare che Codesta ecc.ma Corte, nella sentenza  n. 65 del 2016, ha limpidamente precisato «che interventi  statali, i quali modifichino repentinamente l'equilibrio del  rapporto tra autocoordinamento regionale e supplenza statale nel  delicato settore dei contributi regionali alla finanza pubblica,  restano ovviamente soggetti allo stretto scrutinio di questa  Corte, se e in quanto investita del relativo giudizio».

(10) Il medesimo art. 46, comma 6, decreto-legge n. 66/2014 demanda  la definizione degli ambiti di spesa e degli importi di ciascuna  Regione alle Regioni medesime in sede di auto coordinamento, che  formulano a tal fine una proposta da recepire con intesa in sede  di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni  e le province autonome di Trento e di Bolzano. La Conferenza  Stato-Regioni e' chiamata a sancire detta intesa entro il 31  gennaio di ciascun anno (si veda il combinato disposto dei commi  680 e 682 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015). Qualora non  si pervenga alla predetta intesa entro i termini prescritti,  entro i successivi venti giorni, con decreto del Presidente del  Consiglio dei ministri, da adottarsi, previa deliberazione del  Consiglio dei ministri, i richiamati importi sono assegnati ad  ambiti di spesa ed attribuiti alle singole Regioni. A tal fine  il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e' chiamato  a tener anche conto del Pil e della popolazione residente e a  rideterminare i livelli di finanziamento degli ambiti  individuati e le modalita' di acquisizione delle risorse da  parte dello Stato.

(11) Anche in questo caso, per la definizione degli ambiti di spesa e  degli importi, nel rispetto dei livelli essenziali di  assistenza, si rinvia ad una proposta delle Regioni in sede di  auto coordinamento da recepire con intesa sancita dalla  Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e  le Province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio  di ciascun anno (si veda il combinato disposto dei commi 680 e  682 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015). A seguito della  predetta intesa sono rideterminati i livelli di finanziamento  degli ambiti individuati e le modalita' di acquisizione delle  risorse da parte dello Stato. Anche in questo caso di mancato  raggiungimento dell'intesa entro il prescritto termine, la  definizione degli ambiti di spesa e degli importi dei contributi  delle singole regioni e' demandata al decreto del Presidente del  Consiglio dei ministri.

(12) Dal totale dei contributi di cui sopra, la cui somma  ammonterebbe a 9.682 milioni di euro, va infatti sottratta la  cifra corrispondente al risparmio realizzato in modo permanente  con il taglio per 2.000 milioni di euro del finanziamento del  Servizio sanitario nazionale (stabilito dagli articoli da 9-bis  a 9-septies del decreto-legge 78/2015, in attuazione dell'Intesa  in Conferenza Stato-Regioni del 25 febbraio 2015).

(13) Per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, terzo e quarto  comma, 118, 119 Cost., del principio di leale collaborazione di  cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, nonche' degli  articoli 5, lettera g), della legge costituzionale n. 1 del 2012  e 11 della legge n. 243 del 2013.

(14) Corte dei conti, Rapporto 2016 sul coordinamento della finanza  pubblica, marzo 2016, p. 93.

(15) Si osservi poi che, come viene peraltro messo in luce dal  Dossier Schede di Lettura legge di Bilancio 2017 redatto a cura  del Servizio studi di Camera e Senato (Servizio studi di Camera  e Senato, legge di Bilancio 2017 Schede di Lettura AS 2611 -  Sezione I normativa, dicembre 2016, p. 683), il legislatore  statale, con legge n. 239/2005, ha correttamente previsto  l'intesa con la Conferenza unificata nella procedura di adozione  dei decreti ministeriali recanti criteri e modalita' di  erogazione dei contributi alle attivita' dello spettacolo dal  vivo (cfr. art. 1, comma 2, legge n. 239/2005). E la necessita'  dell'intesa era stata rilevata anche dalla Commissione Affari  costituzionali del 25 novembre 2016 che, pur avendo espresso  parere favorevole, aveva formulato, sul punto, una precisa  condizione (Cfr. la condizione sub lettera l), Parere della I  Commissione permanente (Affari costituzionali, della Presidenza  del Consiglio e interni), Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio).

 

P.Q.M.

 

La Regione del Veneto chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge n. 232 dell'11 dicembre 2016, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 297 del 21 dicembre 2016 - Suppl. ordinario n. 57:   art. 1, comma 42, lettera a), per violazione degli articoli 3, 97 e 119 della Costituzione;   art. 1, comma 85, per violazione dell'articoli 117, terzo comma, della Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione del principio di leale collaborazione;   art. 1, comma 140, per violazione degli articoli 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione del principio di leale collaborazione;   art. 1, commi 269, 270 e 272, per violazione degli articoli 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione;   art. 1, comma 271, per violazione dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione;   art. 1, comma 275, per violazione degli articoli 117, quarto comma, 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione;   art. 1, comma 390, per violazione degli articoli 3, 97, 117, terzo comma, 118, 119 e 120 della Costituzione;   art. 1, comma 392, per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, nonche' degli articoli 5, lettera g), della legge costituzionale n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013;   art. 1, commi 395 e 396, per violazione degli articoli 3, 97, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione;   art. 1, comma 527, per violazione degli articoli 3, 117, secondo e terzo comma, 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione;   art. 1, comma 528, per violazione dell'art. 119 della Costituzione;   art. 1, comma 615, per violazione degli articoli 117, quarto comma e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione;   art. 1, comma 627, per violazione degli articoli 117, terzo comma e 119 della Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione del principio di leale collaborazione.

Si depositano:   1. delibera della giunta regionale n. 131 del 7 febbraio 2017, di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale;   2. Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Parere sul disegno di legge recante Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017, 17 novembre 2016.

3. Esiti del controllo sulla spesa sanitaria della Regione Veneto da parte del Tavolo Governativo: certificazione dell'equilibrio finanziario.

4. Intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano in merito all'attuazione della legge 28 dicembre 2015, n. 208 recante: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016 (art. 1, commi 680, 682 e 683), 11 febbraio 2016.

Treviso-Venezia-Roma, 14 febbraio 2017

Avv. Zanon - avv. prof. Antonini - avv. Manzi