RICORSO N. 32 DEL 4 MARZO 2015 (DELLA REGIONE CAMPANIA)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 4 marzo 2015.

(GU n. 14 dell'8.4.2015)

 

Ricorso proposto dalla Regione Campania (codice fiscale n. 80011990636), in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, On. Dott. Stefano Caldoro, rappresentata e difesa, ai sensi della delibera della Giunta regionale n. 50 del 13 febbraio 2015, giusta procura a margine del presente atto, unitamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti Maria D'Elia (codice fiscale: DLEMRA53H42F839H) e Almerina Bove (codice fiscale: BVOLRN70C46I262Z) dell'Avvocatura regionale, e dal prof. Avv. Beniamino Caravita di Toritto (codice fiscale: CRVBMN54D19H501A), del libero foro, ed elettivamente domiciliata presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione Campania sito in Roma alla via Poli n. 29 (fax: 06/42001646; pec abilitata: cdta@legalmail.it);   Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 122, 202, 224, 421, 422, 427, 552, lett. b), 554 e 580 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, avente ad oggetto "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - Serie Generale, n. 300 del 29 dicembre 2014, per violazione degli articoli 5, 114, 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, 118, 119, primo, quarto e quinto comma, 120, e 3 e 97 della Costituzione.

 

Fatto

 

Con l'art. 1, della legge n. 190 del 29 dicembre 2014, il Parlamento ha adottato "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato", ovvero la legge di stabilita' 2015, la quale, tuttavia, reca alcune disposizioni gravemente lesive dell'autonomia regionale.

In particolare, per quanto qui di interesse, il comma 122 del predetto art. 1 - che presenta criticita' analoghe a quelle gia' evidenziate con riferimento all'impugnativa della Regione degli articoli 18 e 19 del D.L. n. 91/2014 (r.r. n. 86/2014) - dispone, del tutto illegittimamente, che al finanziamento degli incentivi di cui ai commi 118 e 121 - relativi a contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro - si provveda, quanto a 1 miliardo di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni di euro per l'anno 2018, a valere sulle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie di cui alla legge n. 183/1987 gia' destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione, che risultino non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014.

Il comma 202 detta poi disposizioni per la realizzazione delle azioni relative al piano straordinario per la promozione del made in Italy e l'attrazione degli investimenti in Italia di cui all'art. 30, comma 1, del D.L. n. 133/2014. Tale disposizione stabilisce lo stanziamento, nell'ambito dello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, di ulteriori 130 milioni di euro per l'anno 2015, 50 milioni per l'anno 2016 e 40 milioni per l'anno 2017, da assegnare all'ICE - Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane.

Ancora, la norma censurata prevede, per la realizzazione delle azioni di cui al citato art. 30, D.L. n. 133/2014 relative alla valorizzazione e alla promozione delle produzioni agricole e agroalimentari italiane nell'ambito del piano di cui al medesimo art. 30, l'istituzione del Fondo per le politiche per la valorizzazione, la promozione, la tutela, in Italia e all'estero, delle imprese e dei prodotti agroalimentari, con una dotazione iniziale di 6 milioni di euro. Sempre per la realizzazione delle menzionate azioni, il comma 202 prevede poi che una quota delle risorse stanziate per l'ICE sia destinata all'Associazione delle camere di commercio italiane all'estero, e un'ulteriore quota ai consorzi per l'internazionalizzazione previsti dall'art. 42 e ss. del D.L. n. 83/2012 "per il sostegno alle piccole e medie imprese nei mercati esteri e la diffusione internazionale dei loro prodotti e servizi nonche' per incrementare la presenza e la conoscenza delle autentiche produzioni italiane presso i mercati e presso i consumatori internazionali, al fine di contrastare il fenomeno dell'Italian sounding e della contraffazione dei prodotti agroalimentari italiani".

I successivi commi 223 e 224 contengono disposizioni in materia di trasporto pubblico locale. In particolare, il comma 223 stabilisce che le risorse di cui all'art. 1, comma 83, della legge n. 147/2013, finalizzate a favorire il rinnovo dei parchi automobilistici destinati ai servizi di trasporto regionale e interregionale, sono destinate all'acquisto di materiale rotabile su gomma. Conseguentemente ed in modo del tutto lesivo delle prerogative regionali, il comma 224 stabilisce che con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato - Regioni, sono stabilite le modalita' di attuazione dei commi 223 e 227 e la ripartizione delle risorse su base regionale secondo i criteri ivi indicati.

Sotto diverso profilo, i commi da 421 a 428 dell'art. 1, l. n. 190/2014 disciplinano la progressiva riduzione della spesa dei personale sostenuta da province e citta' metropolitane, attraverso una ricollocazione del personale in mobilita' presso le amministrazioni titolari delle funzioni non fondamentali in attuazione della legge n. 56/2014 e in altre amministrazioni pubbliche.

A tal proposito, il comma 421 prevede che la dotazione organica delle citta' metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario e' stabilita, a decorrere dall'entrata in vigore della legge di stabilita' (1° gennaio 2015), in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge n. 56/2014, ridotta, rispettivamente, tenuto conto delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge n. 56, in misura pari al 30 e al 50 per cento.

Ai sensi del comma 422, tenuto conto del procedimento di riordino delle funzioni di cui alla citata legge n. 56/2014, e' individuato, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, il personale che rimane assegnato agli enti di cui al precedente comma 421 e quello da destinare alle procedure di mobilita', nel rispetto delle forme di partecipazione sindacale previste dalla normativa vigente.

Infine, il comma 427 precisa che, nelle more della conclusione delle procedure di mobilita' di cui ai commi da 421 a 428, il relativo personale rimane in servizio presso le citta' metropolitane e le province con possibilita' di avvalimento da parte delle regioni e degli enti locali, attraverso apposite convenzioni che tengano conto del riordino delle funzioni e con oneri a carico dell'ente utilizzatore. A conclusione del processo di riallocazione di cui ai commi da 421 e 425, continua erroneamente la norma, le regioni e i comuni, in caso di delega o di altre forme, anche convenzionali, di affidamento di funzioni agli enti di cui al comma 421 o ad altri enti locali, dispongono contestualmente l'assegnazione del relativo personale con oneri a carico dell'ente delegante e affidante, previa convenzione con gli enti destinatari.

Sotto profilo ancora ulteriore, il comma 554, sostituisce il comma 1-bis, dell'art. 38, del D.L. n. 133/2014 ("Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali") gia' oggetto dell'impugnativa della Regione Campania (r.r. n. 13/2015), prevedendo che "Il piano, per le attivita' sulla terraferma, e' adottato previa intesa con la Conferenza unificata". Tuttavia, del tutto illegittimamente, il comma prosegue statuendo che in caso di mancato raggiungimento dell'intesa, si provvede con le modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis, della l. n. 239 del 2004, secondo il quale "in caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa [...] entro il termine di 150 giorni dalla richiesta [...], il MISE invita le medesime a provvedere entro un termine non superiore a 30 giorni. In caso ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali interessate, lo stesso ministero rimette gli atti alla presidenza del consiglio dei ministri, la quale, entro 60 giorni dalla remissione, provvede in merito con la partecipazione della regione interessato".

Censure analoghe possono essere sollevate con riguardo al comma 552, lett. b), che introduce il comma 3-bis, all'art. 57, del D.L. n. 5/2015. Il predetto comma disciplina il caso in cui non vengano raggiunte le intese con le regioni interessate relative alle autorizzazioni per le infrastrutture energetiche strategiche rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico, stabilendo che in tale circostanza "si provvede con le modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239/2004, nonche' con le modalita' di cui all'art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241/1990".

Da ultimo, viene in rilievo il comma 580, dell'art. 1, L. n. 190/2014. In particolare, il precedente comma 579 prevede che le regioni e le province provvedano alla costituzione dei nuovi organi degli istituti zooprofilattici sperimentali entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore delle leggi regionali di riordino degli istituti, adottate in applicazione dell'art. 10, comma 1, del D.L. n. 106/2012. Il citato comma 580 stabilisce poi che, in caso di mancato rispetto del termine sopra riportato, il Ministro della salute provveda alla nomina di un commissarioad acta.

Le richiamate disposizioni della legge n. 190 del 2014 risultano gravemente lesive delle prerogative della Regione ricorrente, in quanto viziate da manifesta illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di

 

Diritto

 

1. Illegittimita' dell'art. 1, comma 122, della l. n. 190 del 2014, per contrasto con l'art. 119, quinto comma, Cost.

Come visto nella parte in "fatto", l'art. 1, comma 122, della l. n. 190/2014 prevede che al finanziamento degli incentivi previsti dai commi 118 e 121 si provveda a valere sulle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie (l. n. 183/1987) gia' destinate agli interventi del Piano Azione Coesione che non risultino ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014. In via preliminare, occorre evidenziare come le disposizioni di cui al citato comma presentino criticita' analoghe a quelle gia' evidenziate dalla Regione Campania con riferimento agli articoli 18 comma 9 e 19 comma 3, lett. a) del D.L. n. 91/2014, nonche' agli articoli 3 comma 4 lett. f) e 7, comma 9-septies del D.L. n. 133/2014 (r.r. n. 86/2014 e 13/2015).

Ebbene, in assenza di ogni indice da cui possa desumersi che le risorse indicate siano esclusivamente indirizzate a favore dei medesimi territori sottoutilizzati gia' destinatari degli interventi del Piano azione e coesione, il comma censurato si pone in aperta violazione dell'art. 119, quinto comma, Cost.

Il piano sopra menzionato si inserisce, infatti, all'interno della piu' generale politica di Azione e Coesione comunitaria, finalizzata a ridurre le disparita' in materia di sviluppo socioeconomico fra le varie Regioni europee, promuovendo la crescita di quelle meno favorite. L'azione intrapresa dalla Comunita' nel campo della politica regionale trova il suo fondamento giuridico negli artt. 158-162 contenuti nel titolo XVII del Trattato istitutivo. In particolare, l'art. 158, dopo aver affermato che la Comunita' per promuovere una crescita armoniosa del suo insieme, sviluppa e prosegue la propria azione intesa a rafforzare la sua coesione economica e sociale, chiarisce che la stessa Comunita' "mira a ridurre il divario fra le diverse regioni e il ritardo delle regioni meno favorite".

Gli Stati membri hanno dunque l'obbligo di condurre e coordinare la loro politica economica indirizzandola ad uno sviluppo equilibrato dell'intera Comunita', mentre quest'ultima contribuisce alla realizzazione di tale obiettivo attraverso l'utilizzazione coordinata dei suoi vari fondi e strumenti finanziari.

Come noto, la politica di coesione e' ripartita in cicli di programmazione della durata di sette anni, e si fonda sul principio di solidarieta' che e' alle radici dell'Unione europea.

Uno dei principali strumenti di attuazione di tale politica nel nostro ordinamento si rinviene pertanto nel Fondo per lo sviluppo e la coesione - precedentemente Fondo aree sottoutilizzate istituito con l'art. 61, della l. n. 289/2002 (legge finanziaria 2003) e cosi' rinominato ai sensi dell'art. 4, del d.lgs. n. 88/2011 - nel quale, a decorrere dal 2003, confluiscono le risorse destinate agli interventi nelle aree sottoutilizzate e sono iscritte tutte le risorse aggiuntive nazionali, destinate a finalita' di riequilibrio economico e sociale.

Tale fondo rinviene la propria ratio e disciplina nell'art. 119, comma 5, Cost., in virtu' del quale gli interventi perequativi degli squilibri economici in ambito regionale devono garantire risorse aggiuntive rispetto a quelle ordinarie ed essere rivolti a favore di aree territoriali determinate in base a criteri di differenziazione regionale (cosi' Corte cost., sent. n. 46/2013 e 284/2009).

Orbene, la legge n. 147 del 2013 (legge di stabilita' 2014) ha disposto, all'art. 1, comma 6, che "In attuazione dell'art. 119, quinto comma, della Costituzione e in coerenza con le disposizioni di cui all'art. 5, comma 2, del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, la dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione e' determinata, per il periodo di programmazione 2014/2020, in 54.810 milioni di euro. Il complesso delle risorse e' destinato a sostenere esclusivamente interventi per lo sviluppo, anche di natura ambientale, secondo la chiave di riparto 80 per cento nelle aree del Mezzogiorno e 20 per cento nelle aree del Centro-Nord. Con la presente legge si dispone l'iscrizione in bilancio dell'80 per cento del predetto importo secondo la seguente articolazione annuale: 50 milioni per l'anno 2014, 500 milioni per l'anno 2015, 1.000 milioni per l'anno 2016; per gli anni successivi la quota annuale e' determinata ai sensi dell'art. 11, comma 3, lettera e), della legge 31 dicembre 2009, n. 196".

Sempre nell'ottica della Politica di Coesione e sulla base delle menzionate previsioni, il Governo ha poi presentato alle autorita' dell'Unione europea - secondo quanto previsto dal Regolamento UE n. 1303/2013 di disciplina dei Fondi strutturali - la proposta di Accordo di partenariato per il periodo di programmazione 2014/2020, dapprima in versione provvisoria (nel mese di dicembre 2013), e quindi nel testo definitivo, in data 24 aprile 2014.

Sul testo di tale Accordo - che definisce, a livello di ciascuno Stato membro, i fabbisogni di sviluppo, gli obiettivi tematici della programmazione, i risultati attesi e le azioni da realizzare tramite l'impiego dei fondi strutturali - e' stata acquisita la preventiva intesa della Conferenza unificata, ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, la quale fa espresso riferimento alle citate risorse del FSC, nell'importo stanziato nella legge di stabilita' per l'anno 2013.

Ebbene, cosi' ricostruito il quadro normativo di riferimento, e tenuto conto degli obiettivi della piu' volte menzionata Politica di Coesione e dei relativi strumenti di attuazione, appare del tutto evidente come le previsioni di cui all'art. 1, comma 122, della l. n. 190 del 2014 siano del tutto lesive dei principi di cui all'art. 119, comma quinto, Cost.

In particolare, tali disposizioni, nella parte in cui prevedono che a copertura degli oneri correlati agli incentivi previsti dai commi 118 e 121 ci si avvalga della corrispondente riprogrammazione delle risorse del fondo di rotazione gia' destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione e non impegnate al 30 settembre 2014, determinano una riduzione del complesso delle risorse esclusivamente destinate a sostenere interventi per lo sviluppo delle aree sottoutilizzate.

Ed infatti, nella norma censurata non si riviene alcuna indicazione da cui possa desumersi che le risorse distratte per finanziare gli incentivi ai datori di lavoro siano esclusivamente indirizzate a favore dei medesimi territori sottoutilizzati, e con la medesima chiave percentuale di riparto prevista per il predetto Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (80% per le aree del Mezzogiorno e 20% per le aree del Centro-Nord).

Invero, la rideterminazione dell'ammontare delle risorse da destinare agli interventi per lo sviluppo e la coesione delle aree sottoutilizzate deve conformarsi alle previsioni del d.lgs. n. 88/2011, in base al quale questa puo' essere effettuata dalle leggi annuali di stabilita' successive a quella che ha preceduto l'avvio del ciclo pluriennale di programmazione, qualora si renda necessario soltanto "in relazione alle previsioni macroeconomiche, con particolare riferimento all'andamento del PIL, e di finanza pubblica" (art. 5) e a condizione che la nota di aggiornamento del DEF indichi i nuovi "obiettivi di convergenza economica delle aree del Paese a minore capacita' fiscale (...) valutando l'impatto macroeconomico e gli effetti, in termini di convergenza, delle politiche di coesione e della spesa ordinaria destinata alle aree svantaggiate", previa acquisizione del parere della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all'art. 5, comma 1, lett. a), della legge n. 42/2009.

Il rispetto del "principio di tipicita' delle ipotesi e dei procedimenti attinenti la perequazione regionale" (Corte Cost. sent. n. 176/2012) impone, inoltre, al legislatore statale di osservare - come normativa di attuazione dell'art. 119, quinto comma, Cost. - la legge n. 42/2009 in materia di federalismo fiscale, secondo la quale (art. 16, comma 1, lett. d)) "l'azione per la rimozione degli squilibri strutturali di natura economica e sociale a sostegno delle aree sottoutilizzate si attua attraverso interventi speciali organizzati in piani organici finanziati con risorse pluriennali, vincolate nella destinazione".

In ulteriore specificazione dei principi della richiamata legge n. 42/2009, poi, il d.lgs. n. 88/2011 stabilisce poi che la politica di riequilibrio economico e sociale e' perseguita prioritariamente con le risorse del FSC e con i finanziamenti a finalita' strutturale dell'UE "e i relativi cofinanziamenti nazionali" (art. 2, comma 1).

Alla luce di tutto quanto sopra, dunque, risulta del tutto evidente come nella riduzione delle risorse destinate agli interventi del Piano di azione e coesione lo Stato non possa legittimamente invocare il titolo competenziale relativo al coordinamento della finanza pubblica, in ragione di un'incidenza sproporzionata degli oneri derivanti dall'applicazione dell'art. 1, comma 122, della l. n. 190/2014 a danno dei territori interessati dagli interventi di perequazione e del conseguente effetto sperequativo implicito nella disposta riduzione, in mancanza di ogni indice da cui possa trarsi la conclusione che le risorse in tal modo rifinalizzate siano esclusivamente indirizzate a favore dei territori sottoutilizzati.

2. Illegittimita' dell'art. 1, commi 202 e 224 della l. n. 190 del 2014, per contrasto con gli articoli 117, quarto comma, 119, quinto comma, 5 e 120 Cost.

2.1 Come sopra visto, il comma 202 detta disposizioni per la realizzazione delle azioni relative al piano straordinario per la promozione del made in Italy e l'attrazione degli investimenti in Italia, stanziando ulteriori finanziamenti nell'ambito dello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, e istituendo un Fondo per le politiche per la valorizzazione, la promozione, la tutela, in Italia e all'estero, delle imprese e dei prodotti agricoli e agroalimentari.

La norma in questione e' costituzionalmente illegittima per violazione degli articoli 117, quarto comma, e 119 Cost.

Ed infatti, l'ambito materiale nel quale interviene la disposizione denunciata e' riconducibile all'agricoltura la quale, non annoverata tra le materie tassativamente riservate alla legislazione statale o a quella concorrente, e' implicitamente demandata alla potesta' legislativa residuale delle regioni. Appartiene dunque alla competenza legislativa residuale regionale l'adozione di misure di sviluppo e sostegno dell'agricoltura, e, in quest'ambito, la disciplina dell'erogazione di agevolazioni, contributi, finanziamenti e sovvenzioni di ogni genere.

A tal proposito, il costante e consolidato orientamento di Codesta Ecc.ma Corte ha piu' volte ribadito come "l'art. 119 della Costituzione ponga precisi limiti al legislatore statale nella disciplina delle modalita' di finanziamento delle funzioni spettanti al sistema delle autonomie.

Innanzitutto, non sono consentiti finanziamenti a destinazione vincolata, in materie e funzioni la cui disciplina spetti alla legge regionale, siano esse rientranti nella competenza esclusiva delle Regioni ovvero in quella concorrente, pur nel rispetto, per quest'ultima, dei principi fondamentali fissati con legge statale (sentenze numeri 16 del 2004 e 370 del 2003)" (Corte cost., sent. n. 423/2004).

D'altronde, ove non fossero osservati tali limiti e criteri, il ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe di divenire "uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonche' di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza" (Cosi', Corte cost., sent. n. 254/2013 e le ivi richiamate sentt. nn. 168/2008, 50/2008, 201/2007 e 118/2006).

In applicazione dei suindicati principi, pertanto, Codesta Ecc.ma Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di diverse norme con le quali, successivamente all'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, sono stati istituiti nuovi Fondi vincolati (in particolare e a titolo esemplificativo, il Fondo nazionale per il sostegno alla progettazione delle opere pubbliche delle Regioni e degli enti locali, nonche' il Fondo nazionale per la realizzazione di infrastrutture di interesse locale (sentenza n. 49 del 2004); il Fondo per la riqualificazione urbana dei comuni (sentenza n. 16 del 2004); il Fondo per gli asili nido (sentenza n. 370 del 2003), il Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva (sentenza n. 254/2013)).

Stessa sorte deve pertanto essere riservata al Fondo istituito dal comma 202 qui censurato, con il quale l'amministrazione statale attua politiche di sostegno che possono e devono essere decise e gestite esclusivamente a livello regionale, in quanto investono materie di competenza regionale piena (agricoltura), o al massimo concorrente (commercio con l'estero).

Ne' varrebbe, quale argomento idoneo a far ritenere inapplicabile al caso di specie il ricordato orientamento giurisprudenziale, sostenere che l'intervento finanziario previsto dalla norma censurata andrebbe attribuito al novero di quelli previsti dall'art. 119, quinto comma, Cost., secondo il quale e' consentita allo Stato la destinazione di risorse aggiuntive agli enti locali per l'effettuazione di interventi speciali volti, fra l'altro, alla rimozione degli esistenti squilibri economici e sociali.

Gli interventi speciali previsti dall'art. 119, quinto comma, infatti, non solo devono essere aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale (art. 119, quarto comma) delle funzioni spettanti ai comuni o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di perequazione e di garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni, ma devono essere indirizzati a determinati enti o categorie di enti (comuni, province, citta' metropolitane o regioni).

Ebbene, dalla analisi testuale della disposizione censurata non emerge alcun indice da cui desumere l'esistenza di uno specifico ambito territoriale di localizzazione dell'intervento indubbiato, rivolto, al contrario, alla generalita' delle imprese e dei prodotti agricoli e agroalimentari del Paese.

Pertanto, l'esigenza di rispettare il riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e Regioni comporta che, quando tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza delle Regioni, queste siano chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi all'interno del proprio territorio.

Ne' tantomeno potrebbe invocarsi la giurisprudenza di Codesto Ecc.mo Collegio sulla portata della "tutela della concorrenza", attribuita alla competenza esclusiva dello Stato dall'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.

Tale parametro, infatti, "evidenzia l'intendimento del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell'intero Paese; strumenti che, in definitiva, esprimono un carattere unitario e, interpretati gli uni per mezzo degli altri, risultano tutti finalizzati ad equilibrare il volume di risorse finanziarie inserite nel circuito economico. L'intervento statale si giustifica, dunque, per la sua rilevanza macroeconomica: solo in tale quadro e' mantenuta allo Stato la facolta' di adottare sia specifiche misure di rilevante entita', sia regimi di aiuto ammessi dall'ordinamento comunitario (fra i quali gli aiuti de minimis), purche' siano in ogni caso idonei, quanto ad accessibilita' a tutti gli operatori ed impatto complessivo, ad incidere sull'equilibrio economico generale" (Corte cost., sent. n. 14/2004).

Differentemente, l'esame delle norme impugnate dimostra che i finanziamenti in questione non possono rientrare in questo schema.

Questi ultimi sono, invero, del tutto inidonei ad «incidere sull'equilibrio economico generale», poiche' privi del requisito oggettivo dell'«impatto complessivo»: l'esiguita' dei mezzi economici impegnati nel quadro della manovra disposta dalle previsioni impugnate (6 milioni di euro annui fino al 2016) esclude infatti che lo strumento prefigurato abbia rilevanza macroeconomica (cfr. sent. n. 77/2005), ne' si intravede alcuna ipotetica esigenza unitaria tale da giustificare la gestione centrale del finanziamento.

In via subordinata, nella denegata ipotesi in cui Codesto Ecc.mo Collegio dovesse ritenere l'intervento istitutivo del Fondo giustificato per il suo carattere macroeconomico, e dunque per la presenza della competenza statale in materia di tutela della concorrenza, deve in ogni caso sottolinearsi l'illegittimita' della disposizione impugnata per la mancata previsione, nella regolazione e gestione del fondo, di una qualsivoglia forma di collaborazione con le Regioni.

Infatti, incidendo la norma su una materia regionale, sarebbe necessario che le funzioni statali di istituzione, gestione e regolazione da essa previste fossero svolte in modo da tener conto del punto di vista della Regione e da coordinarsi con l'azione che la Regione stessa svolge.

Codesta Ecc.ma Corte, infatti, a piu' riprese ha precisato che l'esercizio unitario che consente di attrarre insieme alla funzione amministrativa anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumono il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovvero le intese, che devono essere condotte in base al principio di leale collaborazione (Cosi', ex multis, Corte cost., sentt. nn. 182 del 2013 e 331 del 2010). Pertanto, la norma censurata e' illegittima nella parte in cui non prevede forme di cooperazione con le Regioni e di incisivo coinvolgimento delle stesse (cfr. Corte cost., sent. n. 162 del 2005), essendo del tutto evidente che l'intervento dello Stato debba rispettare la sfera di competenza spettante alle Regioni in via residuale.

2.2 Considerazioni non dissimili devono essere svolte con riferimento al comma 224, del citato art. 1, l. n. 190/2014.

Come visto nella parte in "fatto", il precedente comma 223 stabilisce che le risorse di cui all'art. 1, comma 83, della legge n. 147/2013, finalizzate a favorire il rinnovo dei parchi automobilistici destinati ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale, sono destinate all'acquisto di materiale rotabile su gomma. Conseguentemente, il comma 224 stabilisce che, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sono stabilite le modalita' di attuazione dei commi 223 e 227, e la ripartizione delle risorse su base regionale secondo i criteri ivi indicati.

Ebbene, tali disposizioni si pongono in evidente contrasto con gli articoli 117, quarto comma, e con l'art. 119 Cost.

Non e' revocabile in dubbio, infatti, che la materia del trasporto pubblico locale rientri nell'ambito delle competenze residuali delle regioni di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost., come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il d.lgs. n. 422/1997 ("Conferimento alle Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'art. 4, comma 4, della l. n. 59/1997") aveva ridisciplinato l'intero settore, conferendo alle Regioni e agli enti locali funzioni e compiti relativi a tutti i «servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalita' effettuati ed in qualsiasi forma affidati», ed escludendo solo i trasporti di pubblici di interesse nazionale.

In questo stesso testo normativo, l'art. 20, comma 5, prevede espressamente che le risorse statali di finanziamento relative all'espletamento delle funzioni conferite alle Regioni ed agli enti locali siano «individuate e ripartite» tramite decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri «previa intesa con la Conferenza permanente tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano». Come gia' ampiamente sottolineato, con riguardo ai finanziamenti statali Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che il legislatore statale non puo' porsi «in contrasto con i criteri e i limiti che presiedono l'attuale sistema di autonomia finanziaria regionale, delineato dal nuovo art. 119 della Costituzione, che non consentono finanziamenti di scopo per finalita' non riconducibili a funzioni di spettanza statale» (Corte cost., sent. n. 423 del 2004): nell'ambito del Titolo V della Costituzione non e' dunque di norma consentito allo Stato prevedere propri finanziamenti in ambiti di competenza delle Regioni, ne' istituire fondi settoriali di finanziamento delle attivita' regionali.

Eccezioni a tale divieto sono possibili, come gia' detto, soltanto nell'ambito e negli stretti limiti di quanto previsto dagli articoli 118, primo comma, 119, quinto comma, e 117, secondo comma, lett. e), Cost.

Tuttavia, il quinto comma dell'art. 119 "autorizza semplicemente lo Stato, per conseguire le molteplici finalita' ivi espressamente indicate, ad attuare due specifiche e tipizzate forme di intervento finanziario nelle materie di competenza delle Regioni e degli enti locali: o l'erogazione di risorse aggiuntive rispetto alla ordinaria autonomia finanziaria regionale o locale (modalita' questa, pero', che presuppone che lo Stato abbia dato previa attuazione legislativa a quanto previsto dai primi quattro commi dell'art. 119, cosi' garantendo a Regioni, Province e Comuni che le loro entrate finanzino «integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite»); oppure la realizzazione di «interventi speciali» «in favore di determinati Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni» (cfr. sentenza n. 16 del 2004)" (Corte cost., sent. n. 222 del 2005).

Orbene, come evidente, l'art. 1, comma 224, della legge n. 190 del 2014 non e' riconducibile a quest'ultima tipologia di intervento a sostegno della finanza regionale o locale, non essendo individuato alcun particolare ente destinatario: la norma appare pertanto illegittima poiche' interviene, finanziandolo, in un ambito di competenza regionale.

Peraltro, e' altresi' opportuno sottolineare come anche tale disposizione sia altresi' illegittima sotto il profilo dell'inadeguatezza delle procedure concertative che involvono la Regione.

Ed infatti, proprio perche' tale finanziamento interviene in un ambito di competenza regionale, la necessita' di assicurare il rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute alle Regioni impone di prevedere che queste ultime siano pienamente coinvolte nei processi decisionali concernenti il riparto dei fondi.

A tal riguardo, va dunque ritenuto insufficiente il meccanismo previsto dalla disposizione censurata, che - ai fini della emanazione del decreto ministeriale per stabilire le modalita' di attuazione dei commi 223 e 227 e la ripartizione delle risorse su base regionale secondo i criteri individuati dal comma 224 - si limita a richiedere che sia «sentita» la Conferenza Stato-Regioni, cosi' riducendo gli spazi di autonomia riconosciuti alle Regioni nel complessivo sistema di finanziamento del trasporto pubblico locale.

E' invece costituzionalmente necessario che il decreto ministeriale cui fa riferimento la disposizione impugnata sia adottato sulla base di una vera e propria intesa con la Conferenza unificata (cfr. la citata sentenza Corte cost. n. 222 del 2005), strumento che meglio corrisponderebbe alle piu' intense modalita' di leale collaborazione richieste dal costante orientamento giurisprudenziale di Codesta Ecc.ma Corte.

Alla luce di quanto sopra detto, risulta evidente come le disposizioni censurate violino altresi' il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

3. Illegittimita' dell'art. 1, commi 421, 422 e 427 della l. n. 190 del 2014, per contrasto con gli articoli 114, 117, 118, 119 e 120, nonche' con gli articoli 3, 5 e 97 Cost.

3.1 Occorre sin da subito evidenziare come le norme oggi impugnate ridondino in una grave illegittimita' per contrasto con il principio di ragionevolezza, nonche' in riferimento agli articoli 114, 117, 118, 119 e 120, e con gli articoli 5 e 97 Cost.

Come esposto nella parte in fatto, la disposizione del comma 421 prevede che la dotazione organica delle citta' metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario e' stabilita, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge n. 56/2014, ridotta, rispettivamente, tenuto conto delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge n. 56/2014, in misura pari al 30 e al 50 per cento.

In base al comma 422, il personale che - a conclusione del processo di riordino - rimane assegnato agli enti locali di area vasta (citta' metropolitane e nuove province) per lo svolgimento delle funzioni non fondamentali ad essi attribuite dallo Stato o dalle Regioni, secondo le rispettive competenze, tenuto conto dell'art. 1, comma 89, della legge n. 56/2014, e' invece personale che viene posto al di fuori della dotazione organica.

Da ultimo, secondo il comma 427 gli enti destinatari delle funzioni non fondamentali, sulla base del riordino, si avvalgono del predetto personale al di fuori della dotazione organica (che rimane in servizio presso le citta' metropolitane e le province nelle more della conclusione delle procedure di ricollocazione e mobilita') "in caso di delega o di altre forme, anche convenzionali, di affidamento di funzioni" con necessaria e contestuale "assegnazione del relativo personale con oneri a carico dell'ente delegante o affidante, previa convenzione con gli enti destinatari".

Orbene, e' del tutto evidente che le disposizioni statali impugnate incidono illegittimamente sulla sfera di competenze legislative che la Costituzione riserva alle Regioni in materia di organizzazione delle funzioni.

Ed infatti, la regolamentazione della dotazione organica degli enti locali costituisce il nucleo essenziale dell'area della macro-organizzazione delle pubbliche amministrazioni (v. Corte cost. sent. 133/1996), la cui disciplina viene affidata in primo luogo alla legge statale o regionale, sulla base delle rispettive competenze. Non e' dubbio, a questo riguardo, che il conferimento e l'organizzazione dell'esercizio delle funzioni delle citta' metropolitane e dei comuni spetti alla legge regionale, e che spetti ai regolamenti dei medesimi enti locali la "disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite" (art. 117, sesto comma, Cost.).

Ed infatti, la competenza esclusiva statale relativamente all'organizzazione degli enti locali deve limitarsi a quanto disciplinato dall'art. 117, comma 2, lettera p), Cost., che vi annovera «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane».

Codesta Ecc.ma Corte ha da tempo chiarito (da ultimo con la citata sent. n. 44/2014) come il suddetto titolo competenziale debba essere inteso nel senso che il riferimento deve ritenersi tassativamente rivolto agli Enti locali elencati all'art. 114 Cost., cosi' come tassativo e' il contesto oggettivo interessato, che si sostanzia esclusivamente nella disciplina del sistema elettorale, della forma di governo e delle funzioni fondamentali di detti enti.

Di contro, al di fuori dell'ambito materiale come ora circoscritto, la regolamentazione degli Enti locali deve essere di certo ricondotta nella competenza residuale delle Regioni ex art. 117, comma 4, Cost., e cio' anche al fine di garantire la possibilita' che la singola Regione, nel ruolo di ente rappresentativo delle diverse istanze presenti sul proprio territorio, provveda all'adozione di previsioni differenziate che tengano in adeguata considerazione le esigenze espresse dalla comunita' di riferimento, in osservanza dei principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione consacrati nell'art. 118, comma 1, Cost.

Ebbene, e' allora evidente come la competenza statale debba ritenersi circoscritta all'attribuzione delle funzioni fondamentali, mentre l'organizzazione della funzione, di cui la dotazione organica e' fondamentale strumento, "rimane attratta alla rispettiva competenza materiale dell'ente che ne puo' disporre in via regolativa" (Corte Cost., sent. n. 22 del 2014).

Ne' varrebbe, ad escludere l'illegittimita' delle previsioni impugnate, invocare esigenze di contenimento della spesa e coordinamento della finanza pubblica.

In tal senso, e' stato costantemente affermato che l'obiettivo del contenimento della spesa pubblica rientra nella finalita' generale del coordinamento finanziario (Cfr. Corte cost., sentt. n. 27 e n. 156 del 2010, n. 237 e n. 284 del 2009, n. 159 e n. 289 del 2008, n. 417 del 2005 e n. 4 del 2004), e sono stati pertanto ritenuti legittimi interventi del legislatore statale volti ad imporre alle regioni vincoli alle politiche di bilancio - anche se indirettamente incidenti sull'autonomia regionale di spesa, a salvaguardia dell'equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, e del perseguimento degli obblighi comunitari (cfr. sentt. n. 237 e n. 284 del 2009).

Altrettanto consolidato, tuttavia, e' il principio secondo cui il sopra citato titolo competenziale sia tale da escludere che un intervento statale possa spingersi sino a dettare un disciplina di carattere meramente ordinamentale, potendosi muovere esclusivamente nei limiti di una solo parziale compressione delle competenze regionali. In tal senso, Codesta Ecc.ma Corte ha infatti espressamente chiarito che "Norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi" (sent. n. 237 del 2009, citata; nello stesso senso, sent. n. 341 del 2009).

Di conseguenza, e' del tutto evidente che deve ritenersi riservata alla potesta' statale la sola previsione di un limite complessivo di spesa che faccia salva un'ampia discrezionalita' degli enti territoriali nell'allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa e nella scelta di eventuali tagli.

Peraltro, una manovra siffatta nell'ottica del contenimento della spesa pubblica mostra tutta la sua irragionevolezza laddove dispone una drastica riduzione del personale, "tenendo conto" del processo di riordino delle funzioni disposto con la legge n. 56 del 2014. Ebbene, non si vede come possa effettivamente tenersi conto di un procedimento di riordino non ancora conclusosi, a fronte di un obbligo di riduzione che, al contrario, ha acquistato efficacia a partire dal 1° gennaio 2015. Si tratta, dunque, di un taglio lineare della dotazione organica delle citta' metropolitane e delle province disposta a priori e in maniera del tutto indipendente dal riordino delle funzioni delle vecchie province, spettante al legislatore regionale.

Peraltro, l'illegittimita' delle disposizioni censurate non diminuirebbe ove le si interpretasse nel senso di ritenere che riguardino non il personale adibito alla totalita' delle funzioni, bensi' quello adibito esclusivamente a quelle fondamentali.

In tale prospettiva, apparirebbe totalmente irragionevole e gravemente lesivo dei poteri regionali di organizzazione delle funzioni degli enti locali sul territorio regionale e dei poteri di auto-organizzazione di quest'ultimi (art. 35, comma 7, del d.lgs. n. 165/2001) disporre che la dotazione organica degli enti di area vasta sia esclusivamente rivolta all'esercizio delle loro funzioni fondamentali. Si impedirebbe in tal modo, infatti, l'esercizio dei poteri di macro-organizzazione (art. 2, comma 1, e art. 6 del d.lgs. n. 165/2001) necessari agli enti locali per svolgere in modo ottimale i propri compiti istituzionali, che trovano fondamento nelle leggi regionali di conferimento delle funzioni amministrative non fondamentali.

Nel caso di specie, in particolare, il taglio della dotazione organica, non limitandosi ad una riduzione percentuale della spesa complessiva per il personale, ma pretendendo di riferirsi selettivamente alle singole funzioni amministrative ai cui compiti d'ufficio il personale di ruolo e' destinato (le sole funzioni fondamentali attribuite agli enti di area vasta direttamente dalla legge n. 56/2014) si trasformerebbe in uno strumento di definizione, oltre che della provvista del personale (ai fine del contenimento dei costi), anche del disegno organizzativo degli enti. Un simile intervento si porrebbe in aperta violazione dei poteri di auto-organizzazione degli enti locali, nonche' del principio di determinazione delle dotazioni organiche complessive in funzione dei compiti dell'amministrazione (art. 2, comma 1, lett. a, del d.lgs. n. 165/2001) cosi' come individuati dal legislatore competente, e del principio di flessibilita' dell'organizzazione dei pubblici uffici (art. 2, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 165/2001) in base al quale la pubblica amministrazione, nell'esercizio dei poteri del datore di lavoro, puo' variare la collocazione del personale sulla base delle professionalita' possedute a dotazione organica complessiva immutata (Cassazione civile, sez. lavoro, 15 maggio 2006, n. 11103).

Dalla collocazione del personale che svolge le funzioni non fondamentali al di fuori della dotazione organica complessiva conseguirebbe, dunque, oltre alla violazione degli articoli 114, 117 e 118 Cost., anche la violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza della legge e di buon andamento dell'amministrazione di cui agli articoli 3 e 97 Cost.

Peraltro, sotto diverso profilo, dal combinato disposto di quanto previsto dalle predette disposizioni della legge n. 190/2014 cosi' come da ultimo interpretate, si ricaverebbe, inoltre, che il personale che rimane assegnato alle citta' metropolitane e alle province, sulla base del processo di' riordino delle funzioni non fondamentali, e' collocato al di fuori della dotazione organica delle rispettive amministrazioni.

Una norma sifatta appare del tutto irragionevole e discriminatoria.

Essa, infatti, sarebbe del tutto irragionevole in quanto, generalmente, la collocazione del personale delle pubbliche amministrazioni al di fuori della dotazione organica si ha o per incarichi ad alta specializzazione a tempo determinato (v. ad es. art. 108 e art. 110, d.lgs. n. 267/2000) o in caso di ruoli speciali ad esaurimento (v. ad es. art. 12, legge n. 730/1986), ma non costituisce misura organizzativa adeguata e proporzionata per lo svolgimento di funzioni e di compiti attribuiti o conferiti agli enti per il normale adempimento dei propri compiti istituzionali conferiti con legge regionale. E cio' conformemente a quanto previsto dall'art. 118, secondo comma, della Costituzione e in applicazione delle norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche in necessaria attuazione dell'art. 97, primo comma, della Costituzione (art. 1, comma 1, e art. 6, comma 1, d.lgs. n. 165/2001).

La richiamata normativa apparirebbe, inoltre, discriminatoria in quanto differenzia, in modo non giustificabile, l'organizzazione degli uffici delle citta' metropolitane e delle province in base al solo titolo di conferimento - statale o regionale - delle funzioni assegnate, anziche' in funzione dei compiti da svolgere previa verifica degli effettivi fabbisogni (art. 6, comma 1, d.lgs. n. 165/2001), in contrasto con gli articoli 3, 97, 117, secondo comma, lett. p), 118, secondo comma, 117, sesto comma, della Costituzione.

3.2 Il richiamato comma 427 appare illegittimo anche sotto un ulteriore profilo.

Infatti, esso dispone che i comuni (oltre le regioni) possono "delegare" o "affidare" funzioni amministrative alle citta' metropolitane e alle province, cosi' ponendosi in insanabile contrasto - salve le forme di esercizio associato delle funzioni su base convenzionale - con l'art. 118, secondo comma, della Costituzione, che riserva alla legge, secondo le rispettive competenze, il conferimento delle funzioni amministrative agli enti locali.

Inoltre, la predetta norma, laddove qualifica in termini di "delega" e "affidamento" i conferimenti delle funzioni e, allo stesso tempo, in termini di "avvalimento" i correlativi trasferimenti di personale, dispone - in evidente antinomia con quanto previsto dall'art. 118, secondo comma, Cost. - che le regioni possono "delegare" le funzioni amministrative alle citta' metropolitane e alle province, senza trasferire a tali enti la titolarita' delle funzioni, e dunque assegnando, il relativo personale a titolo di mero avvalimento.

Che il termine "conferimento" si interpreti nel senso di comprendere il trasferimento, la delega e l'attribuzione di funzioni si ricava agevolmente dall'art. 1, comma 1, della legge n. 59/1997 che, per la prima volta, ha introdotto e definito il termine medesimo (successivamente ripreso e riproposto dall'art. 4, della legge cost. n. 3 del 2001 che ha sostituito l'art. 118 della Costituzione). E', inoltre, l'art. 118, secondo comma (nel testo attualmente vigente), che chiarisce, al di la' di ogni dubbio, che gli enti locali sono titolari delle funzioni comunque conferite successivamente alla riforma del Titolo V nel 2001 (risultando irrilevante che il conferimento sia qualificato come attribuzione, trasferimento o delega).

Ne deriva, sul piano della necessaria attuazione costituzionale (art. 1, commi 89 e 92, della legge n. 56/2014), che per l'esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti debbano essere (o debbano rimanere) trasferite le occorrenti risorse di personale con le corrispondenti risorse finanziarie, gia' spettanti alle province (art. 1, comma 96, legge n. 56/2014), necessarie a "finanziare integralmente le funzioni pubbliche" attribuite (art. 119, quarto comma, Cost.). Cio' anche al fine di impedire che possa essere indotta artatamente dalla legge dello Stato, in forza del sotto-finanziamento delle funzioni, una situazione di squilibrio nei bilanci degli enti territoriali in violazione dell'art. 5 e dell'art. 119, primo comma, della Costituzione.

La legge statale non puo' dunque limitare il potere delle regioni di conferire le funzioni con il conseguente trasferimento del personale e delle risorse necessarie alle citta' metropolitane e alle province per lo svolgimento delle funzioni medesime.

Peraltro, le richiamate disposizioni della legge n. 190/2014 risultano altresi' lesive del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120, secondo comma, della Costituzione, nella misura in cui si discostano da quanto gia' precedentemente determinato, "per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite", dal DPCM 26 settembre 2014, adottato previa intesa con la Conferenza unificata, in forza della legge n. 56/2014 (art. 1, commi 89 e 92).

4. Illegittimita' dell'art. 1, commi 552 e 554 della l. n. 190 del 2014, per contrasto con gli articoli 117 e 118, e col principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

Il comma 554 sostituisce il comma 1-bis, dell'art. 38, del D.L. n. 133/2014, relativo ad attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e stoccaggio di gas naturali. Tale ultima disposizione prevede che tali attivita' rivestano carattere di interesse strategico e siano di pubblica utilita', urgenti e indifferibili. I relativi titoli abilitativi, dunque, comprendono la dichiarazione di pubblica utilita', indifferibilita' ed urgenza dell'opera e l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni in essa compresi. Il comma 554 qui censurato, nell'inserire il suddetto comma 1-bis a tale articolo, prevede che "Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attivita' di cui al comma 1. Il piano, per le attivita' sulla terraferma, e' adottato previa intesa con la Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento dell'intesa, si provvede con le modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239".

In modo analogo, la lettera b) del comma 552, art. 1, della l. n. 190 del 2014 introduce il comma 3-bis all'art. 57 del D.L. n. 5/2012, che disciplina il caso in cui non vengano raggiunte le intese con le regioni interessate relative alle autorizzazioni per le infrastrutture energetiche strategiche rilasciate dal Ministero per lo sviluppo economico. Anche tale disposizione rinvia, in caso di mancato raggiungimento delle intese suddette, alle modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239/2004.

In primo luogo, e' necessario sottolineare che l'art. 38 del D.L. n. 133/2014 e' stato oggetto di impugnativa da parte della Regione Campania (delibera d'impugnativa n. 685 del 2014). La nuova formulazione introdotta con il comma 554 oggi censurato e' dunque evidentemente consequenziale a tale impugnativa (unitamente a quelle di altre regioni), e appare volta a rimuovere un motivo di evidente illegittimita' della disposizione.

Tuttavia, tale modifica non puo' in ogni caso dirsi satisfattiva.

Ed infatti, entrambe le disposizioni che qui ci occupano fanno espresso richiamo, come visto, all'art. 1, comma 8-bis della l. n. 239/2004, il quale prevede che "nel caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui ai commi 7 e 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta giorni dalla richiesta nonche' nel caso di mancata definizione dell'intesa di cui al comma 5, dell'art. 52-quinquies del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, e nei casi di cui all'art. 3, comma 4, del decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93, il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali interessate, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale, entro sessanta giorni dalla rimessione, provvede in merito con la partecipazione della regione interessata".

Ebbene, e' opportuno sottolineare come tale ultima disposizione ricalchi l'art. 49, comma 3, lett. b) del D.L. n. 78/2010, dichiarato illegittimo da Codesta Ecc.ma Corte per violazione degli articoli 117 e 118 Cost., e del principio di leale collaborazione. Tale norma prevedeva infatti che, nel caso di motivato dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico - territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumita', ove non fosse stata raggiunta l'intesa entro il termine di trenta giorni il Consiglio dei Ministri avrebbe potuto deliberare in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei presidenti delle regioni o delle province autonome interessate.

Secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale, infatti, il soddisfacimento di esigenze unitarie legittima l'intervento del legislatore statale anche in ordine alla disciplina di procedimenti complessi estranei alla sfera di competenza esclusiva statale, giustificando l'attrazione allo Stato, per ragioni di sussidiarieta', sia dell'esercizio concreto della funzione amministrativa che della relativa regolamentazione nelle materie di competenza regionale. Tuttavia, tale intervento "deve obbedire alle condizioni stabilite dalla giurisprudenza costituzionale, fra le quali questa Corte ha sempre annoverato la presenza di adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni. In particolare, si e' affermato che «l'ordinamento costituzionale impone il conseguimento di una necessaria intesa fra organi statali e organi regionali per l'esercizio concreto di una funzione amministrativa attratta in sussidiarieta' al livello statale in materie di competenza legislativa» (sentenza n. 383 del 2005) e che tali «intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimita' costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la "chiamata in sussidiarieta'" di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale» (Corte cost., sent. n. 179 del 2012). Deve trattarsi, dunque, di vere e proprie intese "in senso forte", ossia di atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale di una delle parti, che garantiscano "idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze" (ex plurimis, sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 339 del 2005)".

Alla luce di tali principi, non puo' dunque ritenersi legittima una norma che contenga una "drastica previsione" della decisivita' della volonta' di una sola parte, in caso di dissenso. Al contrario, solo nell'ipotesi di ulteriore esito negativo dell'espletamento delle "idonee procedure" di collaborazione potra' essere rimessa al Governo la decisione unilaterale. Allorquando, invece, l'intervento unilaterale dello Stato viene prefigurato come mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell'intesa, e' violato il principio di leale collaborazione con conseguente sacrificio delle sfere di competenza regionale.

Ebbene, anche l'art. 38, comma 1-bis del D.L. n. 133/2014 oggi impugnato per come modificato dal comma 554, richiamando l'art. 1, comma 8-bis della l. n. 239/2004 reca la «drastica previsione» della decisivita' della volonta' di una sola parte, posto che il Consiglio dei ministri delibera unilateralmente in materie di competenza regionale, allorquando, a seguito del dissenso dell'amministrazione regionale sull'intesa, il tentativo di addivenire all'accordo non sia avvenuto entro ulteriori trenta giorni.

Non solo, infatti, il termine e' cosi' esiguo da rendere oltremodo complesso e difficoltoso lo svolgimento di una qualsivoglia trattativa, ma dal suo inutile decorso si fa automaticamente discendere l'attribuzione al Governo del potere di deliberare, senza che siano previste le necessarie «idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze» (Corte cost., sent. n. 179 del 2012).

Ne', d'altro canto, la previsione che il Consiglio dei ministri delibera, in esercizio del proprio potere sostitutivo, con la partecipazione delle regioni interessate, «puo' essere considerata valida sostituzione dell'intesa, giacche' trasferisce nell'ambito interno di un organo costituzionale dello Stato un confronto tra Stato e Regione, che deve necessariamente avvenire all'esterno, in sede di trattative ed accordi, rispetto ai quali le parti siano poste su un piano di parita'» (Corte cost., sent. n. 165 del 2011).

Per tali ragioni appare necessario rinnovare l'impugnativa dell'art. 38, comma 1-bis, terzo periodo, del D.L. n. 133/2014, cosi' come sostituito dal comma 554, dell'art. 1, della legge n. 190/2014. 5. Illegittimita' dell'art. 1, comma 580 della l. n. 190 del 2014, per contrasto con gli articoli 5, 118 e 120 Cost.

Sotto diverso profilo, il comma 579 prevede che le regioni e le province provvedano alla costituzione dei nuovi organi degli Istituti zooprofilattici sperimentali entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore delle leggi regionali di riordino di tali Istituti, adottate in applicazione dell'art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 106 del 2012. Il successivo comma 580 stabilisce poi che, in caso di mancato rispetto del termine indicato, il Ministro della salute provveda alla nomina di un commissario.

La sostituzione del Ministro della salute alle diverse amministrazioni titolari del potere di nomina appare ledere il principio di leale collaborazione sancito dagli articoli 5 e 120 Cost.

Si evidenzia, infatti, che il ricorso al potere sostitutivo di cui all'art. 120, secondo comma, Cost., rappresenta uno strumento eccezionale di intervento che presuppone una voluta inerzia degli enti titolari dei poteri non attuati.

Appaiono quindi lesi i principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione sanciti dagli articoli 118 e 120 Cost., per i quali la coesistenza di vari livelli di governo sul territorio comporta inevitabilmente la necessita' di individuare forme di collaborazione e di concertazione, al fine di evitare ogni possibilita' di insorgenza di conflitti sul piano amministrativo.

L'esercizio del potere amministrativo deve compiersi - sempre secondo l'art. 120 - in base alle procedure stabilite dalla legge a garanzia dei principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione (Corte cost., sent. n. 165 del 2011).

La Regione inadempiente, infatti, nel vigente ordinamento costituzionale, non perde la competenza a disciplinare la materia di propria spettanza ne' prima - ancorche' il termine per provvedere sia scaduto, ne' dopo l'effettivo esercizio del potere sostitutivo.

E' pacifico infatti che quest'ultimo non altera il quadro delle competenze costituzionalmente previsto (diversamente, ad esempio, dalla chiamata in sussidiarieta'), ma e' istituto pacificamente rivolto a favorire l'applicazione delle legge da parte del soggetto ordinariamente competente e non ad ostacolarne l'adempimento, ancorche' tardivo. Ne deriva il carattere necessariamente cedevole degli atti sostitutivi.

 

P. Q. M.

 

La Regione Campania, come sopra rappresentata e difesa, chiede che Codesta Ecc.ma Corte, in accoglimento del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 122, 202, 224, 421, 422, 427, 552, lett. b), 554 e 580 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, per violazione degli articoli 5, 114, 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, 118, 119, primo, quarto e quinto comma, 120, e 3 e 97 della Costituzione.

Roma-Napoli, 27 febbraio 2015

Avv. Caravita di Toritto

Avv. D'Elia

Avv. Bove