RICORSO N. 9 DEL 16 GENNAIO 2015 (DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 16 gennaio 2015.

(GU n. 8 del 25.2.2015)

 

Ricorso della Provincia autonoma di Trento (cod. fisc. 00337460224), in persona del Presidente della Giunta provinciale pro tempore dott. Ugo Rossi, previa deliberazione della Giunta provinciale 9 dicembre 2014, n. 2196 (doc. 1) e delibera di ratifica del Consiglio provinciale 20 dicembre 2014, n. 20 (doc. 2), rappresentata e difesa, come da procura speciale n. rep. 28086 del 16 dicembre 2014 (doc. 3), rogata dal dott. Tommaso Sussarellu, Ufficiale rogante della Provincia, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (cod. fisc. FLCGDM45C06L736E) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc. PDRNCL56R01G428C) dell'Avvocatura della Provincia di Trento, nonche' dall'avv. Luigi Manzi (cod. fisc. MNZLGU34E15H501Y) di Roma, con domicilio eletto presso quest'ultimo in via Confalonieri, n.5, Roma,   Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive», convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164, pubblicata nel Suppl. ord. n. 85 alla GU. n. 262 dell'11 novembre 2014, con riferimento alle seguenti disposizioni:   articolo 7, comma 1, lettera b), n. 2), che inserisce il comma 1-bis nell'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006;   articolo 17-bis, che inserisce il comma 1-sexies nell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, se ed in quanto riferibile anche alle Province autonome ed ai comuni del rispettivo territorio;   articolo 31, in particolare nella parte in cui non prevede un accordo ai sensi della lettera c) del comma 2 dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 281 del 1997 e nella parte in cui si riferisce espressamente alle Province autonome,   per violazione:   dell'articolo 8, n. 1), n. 5), n. 6), n. 17), n. 19), n. 20), n. 24); dell'articolo 9, n. 9) e n. 10); dell'articolo 14; dell'articolo 16; dell'articolo 68; del Titolo VI e, in particolare, degli articoli 80 e 81 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale), nonche' delle correlative norme di attuazione;   del decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1973, n. 115;   del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381;   del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 278;   del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, in particolare dell'art. 2;   del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268;   dell'art. 117 della Costituzione, in combinato disposto con l'art. 10 legge cost. 3/2001;   del principio di leale collaborazione,   nei modi e per i profili di seguito illustrati.

 

Fatto

 

Con la legge n. 164/2014 e' stato convertito il d.l. 133/2014, c.d. «sblocca-Italia». Il decreto e' diviso in dieci capi, ognuno dei quali reca «misure» in diverse materie. Di tale ampio complesso normativo vengono qui in considerazione talune disposizioni, che riguardano materie che sotto diversi profili rientrano nella competenza legislativa ed amministrativa della ricorrente Provincia autonoma di Trento.

Per vero, l'art. 43-bis dello stesso decreto-legge stabilisce che «Le disposizioni del presente decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione». Con cio' esso pone una generale clausola di salvaguardia che in linea di principio dovrebbe risolvere ogni questione, facendo (come piu' volte riconosciuto dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale) della compatibilita' con lo statuto di autonomia il punto di discrimine tra applicazione e non applicazione delle nuove disposizioni alle autonomie speciali, ed in particolare alla ricorrente Provincia autonoma di Trento.

Tuttavia, due delle disposizioni qui impugnate - l'art. 7 e l'art. 31 - si riferiscono espressamente alla Provincia di Trento, superando cosi' la clausola di salvaguardia con la propria formulazione testuale; mentre anche l'art. 17-bis, che pure non contiene un diretto riferimento alla ricorrente Provincia, per la propria formulazione e per il riferimento espresso allo «intero territorio nazionale» pone dei dubbi, che possono essere risolti solo mediante la sottoposizione della disposizione al giudizio di codesta ecc.ma Corte costituzionale.

Converra' in primo luogo esaminare il contenuto delle disposizioni qui impugnate.

Il capo III reca Misure urgenti in materia ambientale e per la mitigazione del dissesto idrogeologico e l'art. 7, inserito in questo capo, contiene Norme in materia di gestione di risorse idriche, alcune delle quali modificano l'art. 147 d.lgs. 152/2006, concernente la disciplina del servizio idrico integrato (la quale, come riconosciuto dallo stesso art. 176, comma 2, d.lgs. 152/2006, e come piu' volte sancito anche da codesta ecc.ma Corte, non trova applicazione nella Provincia di Trento, dotata di un proprio autonomo sistema di gestione delle acque).

L'art. 7, comma 1, lett. b), n. 1 introduce le seguenti norme nell'art. 147, comma 1, d.lgs. 152/2006: «Le regioni che non hanno individuato gli enti di governo dell'ambito provvedono, con delibera, entro il termine perentorio del 31 dicembre 2014. Decorso inutilmente tale termine si applica l'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. Gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale partecipano obbligatoriamente all'ente di governo dell'ambito, individuato dalla competente regione per ciascun ambito territoriale ottimale, al quale e' trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all'articolo 143, comma 1».

L'art. 7, comma 1, lett. b), n. 2 aggiunge il seguente comma 1-bis nell'art. 147, comma 1, d.lgs. 152/2006: «1-bis. Qualora gli enti locali non aderiscano agli enti di governo dell'ambito individuati ai sensi del comma 1 entro il termine fissato dalle regioni e dalle province autonome e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla delibera di individuazione, il Presidente della regione esercita, previa diffida all'ente locale ad adempiere entro ulteriori trenta giorni, i poteri sostitutivi, ponendo le relative spese a carico dell'ente inadempiente. Si applica quanto previsto dagli ultimi due periodi dell'articolo 172, comma 4».

Come si puo' vedere, tale disposizione fa espresso riferimento alle Province autonome. Peraltro, tale richiamo non solo non e' coerente con la generale clausola di salvaguardia di cui all'art. 43-bis, ma e' poi specificamente contraddetto dal comma 9-bis dello stesso art. 7, secondo il quale "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto dei loro statuti e delle relative norme di attuazione".

E' dunque possibile che la menzione delle province autonome nell'art. 7, comma 1, lett. b), n. 2, sia il frutto di un mero errore: tuttavia la questione non puo' essere risolta al di fuori del giudizio da parte di codesta Corte costituzionale. Di qui la presente impugnazione.

Il capo V reca Misure per il rilancio dell'edilizia e all'interno di esso e' compreso l'art. 17-bis, intitolato Regolamento unico edilizio. Esso inserisce il seguente comma 1-sexies nell'articolo 4 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, d.P.R. 380/2001:   «1-sexies. Il Governo, le regioni e le autonomie locali, in attuazione del principio di leale collaborazione, concludono in sede di Conferenza unificata accordi ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, o intese ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per l'adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo, al fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti. Ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, tali accordi costituiscono livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico, e' adottato dai comuni nei termini fissati dai suddetti accordi, comunque entro i termini previsti dall'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni».

Tale disposizione non menziona espressamente i comuni del territorio della Provincia di Trento, ma contiene un riferimento alla sua applicazione nello "intero territorio nazionale". In questi termini, la disciplina che essa pone del regolamento edilizio unico si porrebbe in conflitto con le competenze costituzionali della Provincia (come si illustrera' nel Diritto): ed il conseguente dubbio non puo' che essere risolto da codesta ecc.ma Corte costituzionale.

Infine, il capo VII reca Misure urgenti per le imprese. In particolare, l'art. 31 contiene Misure per la riqualificazione degli esercizi alberghieri, stabilendo quanto segue:   «1. Al fine di diversificare l'offerta turistica e favorire gli investimenti volti alla riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare previa intesa tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 sono definite le condizioni di esercizio dei condhotel, intendendosi tali gli esercizi alberghieri aperti al pubblico, a gestione unitaria, composti da una o piu' unita' immobiliari ubicate nello stesso comune o da parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori ed eventualmente vitto, in camere destinate alla ricettivita' e, in forma integrata e complementare, in unita' abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui superficie non puo' superare il quaranta per cento della superficie complessiva dei compendi immobiliari interessati.

2. Con il decreto di cui al comma 1 sono altresi' stabiliti i criteri e le modalita' per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera in caso di interventi edilizi sugli esercizi alberghieri esistenti e limitatamente alla realizzazione della quota delle unita' abitative a destinazione residenziale di cui al medesimo comma. In ogni caso, il vincolo di destinazione puo' essere rimosso, su richiesta del proprietario, solo previa restituzione di contributi e agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato.

3. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano i propri ordinamenti a quanto disposto dal decreto di cui al comma 1 entro un anno dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Restano ferme, in quanto compatibili con quanto disposto dal presente articolo, le disposizioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 settembre 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 225 del 25 settembre 2002, recante il recepimento dell'accordo fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome sui principi per l'armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico".

Come si vede, anche tale disposizione fa espresso riferimento alle Province autonome (v. il comma 3), vanificando la clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 43-bis d.l. 133/2014 e pregiudicando le competenze costituzionali della Provincia di Trento.

Le citate disposizioni, ove effettivamente applicabili alla ricorrente Provincia, risultano dunque lesive delle prerogative costituzionali della stessa e costituzionalmente illegittime per le seguenti ragioni di

 

Diritto

 

1) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 7, comma 1, lettera b), n. 2).

Come illustrato nel Fatto, l'art. 7 d.l. 133/2014 modifica le norme statali relative al Servizio idrico integrato e, in particolare, l'art. 147, avente ad oggetto l'Organizzazione territoriale del servizio idrico integrato.

Al comma 9-bis, l'art. 7 d.l. 133/2014 contiene una clausola di salvaguardia delle competenze delle Regioni speciali: "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto dei loro statuti e delle relative nonne di attuazione". Tale disposizione ribadisce dunque, per il servizio idrico integrato, la generale clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 43-bis d.l. 133/2014: "Le disposizioni del presente decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le nonne dei rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione".

Inoltre, la norma impugnata modifica una disposizione inserita nella parte terza del d.lgs. 152/2006 e l'art. 176, comma 2, d. lgs. 152/2006 dispone che "le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti". In effetti, in provincia di Trento non opera il servizio idrico integrato con i suoi diversi ambiti ottimali, ma un sistema diverso; dalla sent. 412/1994 di codesta Corte in poi e' sempre stato pacifico che le norme statali relative al servizio idrico integrato non si applicano in provincia di Trento. Inoltre, gli altri commi dell'art. 147 d. lgs. 152/2006 non menzionano le Province autonome.

In questo quadro, sembra difficile ritenere che la disposizione qui impugnata, che nel regolare il potere sostitutivo delle regioni in caso di mancata adesione dei comuni agli enti di governo dell'ambito, fa espresso riferimento alle "province autonome", esprima una deliberata volonta' del legislatore statale rivolta ad imporre alla ricorrente Provincia un determinato modello di gestione del servizio idrico, e sembra invece ragionevole supporre che il riferimento alle Province autonome contenuto nell'art. 147, comma 1-bis (come introdotto dall'art. 7, comma 1, lettera b), n. 2 d.l. 133/2014), rappresenti un lapsus calami. D'altro canto, l'espresso riferimento alle Province autonome potrebbe essere ritenuto idoneo a "superare" le clausole di salvaguardia sopra menzionate, implicando l'applicabilita' in provincia di Trento dell'intera disciplina contenuta nell'art. 147 d. lgs. 152/2006.

Qualora l'art. 147, comma 1-bis, fosse inteso in questo secondo senso, esso sarebbe lesivo delle competenze costituzionali della Provincia di Trento in materia di servizio idrico.

Infatti, la competenza della Provincia in materia di servizio idrico e' stata piu' volte riconosciuta dalla Corte costituzionale. Sin dalla sentenza n. 412/1994 la Corte costituzionale ha dato atto che in provincia di Trento la gestione delle acque e l'organizzazione dei servizi idrici si basano su un "complesso quadro normativo che si e' venuto definendo prima in sede statutaria, poi attraverso le norme di attuazione" (punto 4 in Diritto), nel quale non opera il servizio idrico integrato con i suoi diversi ambiti ottimali e i diversi piani d'ambito, ma un sistema che vede la Provincia esercitare per acquedotti e fognature un ruolo di governo e coordinamento delle competenze comunali, per la depurazione un ruolo sia di governo sia direttamente gestionale.

Corrispondentemente, dalla predetta sentenza in poi e' sempre stato pacifico che le norme statali relative al servizio idrico integrato, alle AATO e alla tariffa non si applicano in provincia di Trento.

Infatti, tale sentenza, nel decidere i ricorsi delle Province autonome proposti contro alcune disposizioni della legge 36/1994, ha confermato che spetta alle Province la competenza sia (punto 4) in relazione all'organizzazione che (punto 5) in relazione alla gestione del servizio idrico integrato, ed ha sancito l'inapplicabilita' nel sistema provinciale dell'impianto istituzionale ed organizzativo stabilito dagli articoli 8 e 9 della legge 36/1994.

La perdurante assoluta specialita' del regime del servizio idrico assicurata dallo Statuto di autonomia e dalle norme di attuazione sopra esposte, anche dopo la rifolina del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, e' stata ribadita dalla sentenza 357/2010. In questa pronuncia la Corte ricorda di avere rilevato con la sentenza n. 412 del 1994, "con riferimento alla disciplina costituzionale anteriore alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, che la competenza a regolare detto servizio e' riservata dallo statuto di autonomia alla Provincia autonoma di Trento", ed argomenta che, "poiche' la suddetta riforma, in forza del principio ricavabile dall'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, non restringe la sfera di autonomia gia' spettante alla Provincia autonoma, deve concludersi che la competenza legislativa in ordine al servizio idrico integrato nella Provincia di Trento, riconosciuta alla Provincia dalla precedente normativa statutaria, non e' stata sostituita dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell'ambiente".

D'altronde, il fondamento statutario della competenza provinciale in materia di servizi pubblici trova ulteriore supporto e conferma nella sent. 439/2008, nella quale codesta Corte ha giudicato di una legge della Provincia di Bolzano in materia di servizi pubblici locali applicando l'art. 8, n. 19, dello Statuto (ed i relativi limiti), e non l'art. 117, co. 4, Cost.

Infine, e' opportuno ricordare la sent. 137/2014, nella quale la Corte ha ribadito "l'esistenza di una competenza provinciale in materia di organizzazione del servizio idrico, nell'esercizio della quale detta Provincia ha delineato minuziosamente il quadro organizzatorio del servizio idrico integrato provinciale" (in altro punto si parla di "competenza, che lo statuto di autonomia riserva alla Provincia autonoma di' Trento, a regolare integralmente il servizio idrico"; v. anche le sentt. 335/2008 e 233/2013).

La giurisprudenza costituzionale ora ricordata costituisce - come essa stessa espressamente ricorda - il riconoscimento, nella specifica materia del servizio idrico, di un complesso quadro di competenze statutarie ed attuative, che puo' essere cosi' sommariamente ricostruito.

La Provincia autonoma di Trento e' dotata di potesta' legislativa primaria in materia di "ordinamento degli uffici provinciali", "urbanistica", "viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale", "assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione a mezzo di aziende speciali", "opere idrauliche della terza, quarta e quinta categoria" ai sensi dell'articolo 8, nn. 1, 5, 17, 19 e 24 dello Statuto speciale. Inoltre, essa e' titolare della potesta' legislativa concorrente in materia di "utilizzazione delle acque pubbliche", "igiene e sanita'" e "finanza locale", ai sensi dell'art. 9, nn. 9 e 10, e degli artt. 80 e 81 St.

Nelle medesime materie, alla Provincia spettano le funzioni amministrative, in virtu' dell'art. 16 dello Statuto.

Inoltre, l'art. 14 St. dispone che "l'utilizzazione delle acque pubbliche da parte dello Stato e della provincia, nell'ambito della rispettiva competenza, ha luogo in base a un piano generale stabilito d'intesa tra i rappresentanti dello Stato e della provincia in seno a un apposito comitato". Detto piano, reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 15 febbraio 2006, ha valore di piano di bacino di rilievo nazionale per il relativo territorio provinciale (articolo 5 d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381) e regola, tra l'altro, il bilancio idrico, l'utilizzazione delle acque pubbliche, il risparmio e il riutilizzo della risorsa idrica. In base all'art. 8 d.P.R. 381/1974, il PGUAP "deve programmare l'utilizzazione delle acque per i diversi usi e contenere le linee fondamentali per una sistematica regolazione dei corsi d'acqua con particolare riguardo alle esigenze di difesa del suolo, nel reciproco rispetto delle competenze dello Stato e della provincia interessata". In base all'art. 10, co. 2, dPR 381/1974, "dalla data di entrata in vigore del piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche, di cui al precedente art. 8, cessa di applicarsi nel territorio della provincia il piano regolatore generale degli acquedotti".

Il predetto assetto statutario e' integrato e completato dalle norme di attuazione dello Statuto speciale. Rilevano, in particolare, il d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115, che trasferisce alle Province autonome, tra l'altro, tutti i beni del demanio idrico, in relazione a quanto previsto dall'articolo 68 dello Statuto; il gia' citato d.P.R. 381/1974, che trasferisce alle Province "le attribuzioni dell'amministrazione dello Stato in materia di urbanistica, di edilizia comunque sovvenzionata, di utilizzazione delle acque pubbliche, di opere idrauliche, di opere di prevenzione e pronto soccorso per calamita' pubbliche, di espropriazione per pubblica utilita', di viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale" (art. 1), e "tutte le attribuzioni inerenti alla titolarita'" del demanio idrico, "ed in particolare quelle concernenti la polizia idraulica e la difesa delle acque dall'inquinamento" (art. 5); il d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235, in materia di energia e di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, ed il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268, in materia di finanza locale.

Il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, detta poi norme concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, disponendo l'inapplicabilita', nelle materie di competenza della Provincia, delle disposizioni legislative statali, fermo restando l'onere di adeguamento della legislazione provinciale vigente ai principi costituenti limiti statutari (articolo 2).

In attuazione di tali disposizioni e norme, la Provincia di Trento esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarita' del demanio idrico e ha adottato disposizioni legislative provinciali che, nel rispetto dei principi contenuti nella normativa europea e statale che rappresentano limiti della competenza provinciale, regolano il servizio idrico.

Per quanto riguarda l'organizzazione e la gestione del servizio idrico, occorre ricordare che il sistema della Provincia di Trento si basa su una forte centralizzazione del sistema depurativo (gestito dalla stessa Provincia) e su un decentramento gestionale degli acquedotti e del sistema fognario.

La Provincia ha adottato, quindi, un modello organizzativo "misto", i cui attori sono la Provincia, i Comuni e l'Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente e che si fonda su forme di coordinamento interistituzionale. Le regole di tale sistema risultano dagli artt. 54 ss. del dPGp 26 gennaio 1987, n. 1-41 (Testo unico delle leggi provinciali in materia di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti): in particolare, l'art. 54 regola il piano provinciale di risanamento delle acque e attribuisce ai Comuni la gestione delle fognature, mentre i depuratori rientrano nella competenza della Provincia.

La gestione dei servizi pubblici e' stata regolata anche dalle leggi regionali sull'ordinamento dei comuni (v. la 1.r. 1/1993 ed il t.u. adottato con d.P.Reg. 3/2005) e dalle leggi provinciali 6/2004 (Disposizioni in materia di organizzazione, di personale e di servizi pubblici: v. gli artt. 10 e 11) e 3/2006 (Norme in materia di governo dell'autonomia del Trentino).

Tenuto conto di cio', pare chiaro che l'art. 7, comma 1, lett. b), n. 2 d.l. 133/2014, qualora non possa essere oggetto dell'interpretazione "adeguatrice" sopra ipotizzata, lede le competenze statutarie della Provincia di Trento sopra illustrate. Infatti, una volta riconosciuto che la Provincia di Trento e' competente a regolare i diversi aspetti del servizio idrico, ne consegue inevitabilmente l'illegittimita' e lesivita', per violazione di tale competenza, della disposizione impugnata, nella parte in cui essa menziona le Province autonome di Trento e di Bolzano, presupponendo l'applicazione in esse di un sistema territoriale e organizzativo del servizio che non trova riscontro nella provincia di Trento.

E' evidente infatti il contrasto con quel "complesso quadro normativo che si e' venuto definendo prima in sede statutaria, poi attraverso le norme di attuazione", come definito dalla sentenza n. 412 del 1994, e che comprende certamente l'organizzazione del servizio idrico: sistema che ha trovato concreta attuazione e traduzione in una pluridecennale organizzazione e attivita' amministrativa.

Inoltre, la norma impugnata viola l'art. 2 d.lgs. 266/1992, perche' si rivolge alle Province pretendendo applicazione diretta ed imponendo ad esse un'attivita' da svolgere (l'esercizio del potere sostitutivo): poiche' cio' avviene in una materia di competenza provinciale (organizzazione del servizio idrico), e' violato l'art. 2 d.lgs. 266/1992, che invece prevede il mero dovere di adeguamento delle Province alle leggi statali recanti limiti delle competenze provinciali.

2) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 17-bis   Come visto nel Fatto, l'art. 17-bis inserisce il comma 1-sexies nell'art. 4 dPR 380/2001. Quest'ultima disposizione prevede i Regolamenti edilizi comunali. Il comma 1 dispone che "il regolamento che i comuni adottano ai sensi dell'articolo 2, comma 4, deve contenere la disciplina delle modalita' costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilita' degli immobili e delle pertinenze degli stessi".

La norma impugnata stabilisce che, in sede di Conferenza unificata, venga adottato uno schema di regolamento edilizio-tipo, "al fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti". Si precisa che "tali accordi costituiscono livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale", e si aggiunge che "il regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico, e' adottato dai comuni nei termini fissati dai suddetti accordi, comunque entro i teuiiini previsti" dall'art. 2 I. 241/1990.

Il comma 1-sexies non menziona specificamente le Province autonome e, dunque, considerando anche la gia' citata clausola di salvaguardia di cui all'art. 43-bis d.l. 133/2014, esso potrebbe essere inteso come non rivolto ai comuni della provincia di Trento. E' anche da sottolineare che, in base all'art. 2, co. 2, d.P.R. 380/2001, "le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di' Bolzano esercitano la propria potesta' legislativa esclusiva, nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative nonne di attuazione".

D'altro canto, il tenore generale della disposizione (che fa riferimento al fine di "uniformare le nonne e gli adempimenti" e ai "diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale") potrebbe indurre a interpretare la disposizione come destinata a tutti i comuni italiani. Se cosi' fosse, essa sarebbe lesiva delle competenze costituzionali della Provincia in materia di urbanistica.

Infatti, l'art. 8, n. 5, e Part. 16 dello Statuto attribuiscono alle Province potesta' legislativa primaria e potesta' amministrativa in materia di' "urbanistica e piani regolatori". Questa Provincia autonoma ha disciplinato compiutamente la materia edilizia con la legge provinciale 4 marzo 2008, n. 1 (Pianificazione urbanistica e governo del territorio), ed in particolare ha previsto nell'articolo 36 (Contenuti del regolamento edilizio comunale) che "la Giunta provinciale, sentito il parere della Commissione Urbanistica Provinciale e del Consiglio delle autonomie locali, approva uno schema di regolamento edilizio tipo per la redazione dei regolamenti edilizi" in ambito provinciale (comma 3; Part. 36, co. 1, indica gli oggetti dei regolamenti edilizi).

Poiche' la legge cost. 3/2001 attribuisce alle Regioni potesta' concorrente in materia di "governo del territorio", e' pacifico che questa Provincia ha conservato, in materia urbanistica, la propria potesta' primaria prevista dallo Statuto speciale. Come noto, quando lo Stato ritenga di dover tutelare interessi nazionali in materie di competenza statutaria delle Province autonome, esso puo' adottare norme legislative (soggetti al regime di cui all'art. 2 d.lgs. 266/1992) e atti di indirizzo e coordinamento ai sensi dell'art. 3 d.lgs. 266/1992. Di certo, lo Stato non puo' pretendere di "espropriare" la Provincia della propria potesta' legislativa ed amministrativa, invocando titoli di competenza esclusiva statale non applicabili alla Provincia.

Premesso cio' in linea generale, sono ora da illustrare i diversi profili di illegittimita' della disposizione impugnata. Innanzi tutto, e' da contestare il riferimento all'articolo 117, comma 2, lett. e) e m), della Costituzione. In base all'art. 10 1. cost. 3/2001, le norme del Titolo V sono applicabili alle Regioni speciali solo se piu' favorevoli. Dunque, le norme dell'art. 117, co. 2, sono applicabili alle Regioni speciali solo qualora siano collegate a competenze attribuite alle Regioni dai commi 3 o 4, in modo tale da determinare comunque un effetto "ampliativo" per la Regione speciale. Poiche' lo Statuto speciale, come visto, conferisce alle Province potesta' primaria in materia urbanistica, e' chiaro che non esiste alcun titolo per applicare alle Province norme dell'art. 117, comma 2, Cost.

Le esigenze unitarie tutelate dall'art. 117, co. 2, lett. e) ed m) possono essere soddisfatte, in materia urbanistica ed in provincia di Trento, attivando uno dei limiti statutari, cioe' essenzialmente mediante il limite degli interessi nazionali.

Dunque, l'art. 17-bis e' illegittimo, in primo luogo, perche', qualora sia inteso come rivolto anche alle Province autonome, applicherebbe ad esse titoli di competenza statale che, in materia edilizia, non possono condizionare le competenze provinciali. Oltre a cio', il riferimento all'art. 117, comma 2, lett. e) ed m), e' contestabile anche, per cosi dire, nel merito.

In primo luogo, la disposizione e' formulata in modo oscuro, sia perche' non e' chiaro se e' l'accordo in se' (cioe', la conclusione dell'accordo) a costituire livello essenziale o se l'accordo definisce i livelli essenziali delle prestazioni, sia perche' la "tutela della concorrenza", che nell'art. 117, comma 2, e' una competenza autonoma, nell'art. 17-bis viene "inglobata" nei livelli essenziali delle prestazioni ("livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali").

In secondo luogo, non si vede in che modo il regolamento edilizio-tipo possa avere a che fare con la tutela della concorrenza, a meno di non voler ritenere che qualsiasi regolazione di un'attivita' avente rilievo economico incida sulla tutela della concorrenza. Ma sia consentito osservare che, al contrario, la giurisprudenza costituzionale ha riportato la nozione all'interno di confini precisi, alla garanzia della correttezza dei comportamenti reciproci tra gli operatori economici e - per quanto riguarda il rapporto tra poteri pubblici e imprese - alla garanzia della parita' di trattamento tra imprese concorrenti (cfr. sentt. n. 431 del 2007 e n. 63 del 2008).

Ne' le prescrizioni del regolamento edilizio comunale, che in pratica possono estendersi all'intera disciplina urbanistica dell'abitato, possono essere genericamente fatte coincidere con la definizione di livelli essenziali di non meglio definite "prestazioni" che la pubblica amministrazione dovrebbe erogare per soddisfare i diritti civili e sociali dei privati.

Anche sotto questo profilo, dunque, l'autoqualificazione" operata dall'art. 17-bis risulta illegittima, in quanto non corrispondente al reale contenuto della disposizione.

L'art. 17-bis risulta poi illegittimo in quanto da esso emerge la pretesa di imporre ai comuni il regolamento edilizio-tipo "centrale", in luogo di quello provinciale (previsto dal gia' citato art. 36 1.p. 1/2008). Cio' risulta chiaramente dall'ultimo periodo della disposizione ("Il regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico, e' adottato dai comuni nei termini fissati dai suddetti accordi, comunque entro i termini previsti" dall'art. 2 1. 241/1990). Dunque; la potesta' legislativa ed amministrativa della Provincia in materia urbanistica e' indubbiamente lesa, perche' i comuni situati in territorio trentino sarebbero obbligati (qualora l'art. 17-bis sia inteso come applicabile in provincia di Trento) a recepire il regolamento-tipo centrale, invece che attenersi allo schema approvato dalla Giunta provinciale ai sensi della legge provinciale.

A questo modo l'autorita' centrale si sostituisce alla Provincia nell'esercizio di essenziali funzioni amministrative nella materia urbanistica (art. 8, n. 5, Statuto), in violazione diretta dell'art. 16 dello stesso Statuto, come attuato dal dPR n. 381 del 1974.

Inoltre, cio' determina violazione anche dell'art. 2 d. lgs. 266/1992, in quanto l'ultimo periodo dell'art. 17-bis pretende immediata applicabilita' in una materia di competenza provinciale e impone direttamente un'attivita' ai comuni trentini.

Ne' il contenuto dell'atto potrebbe essere giustificato in base all'art. 3 d.lgs. 266/1992. Infatti, l'art. 17-bis prevede sostanzialmente un atto di indirizzo e coordinamento che, pero', non rispetta i requisiti sostanziali e procedurali di cui all'art. 3 d. lgs. 266/1992: infatti, in base a quest'ultima disposizione, gli atti di indirizzo "vincolano la regione e le province autonome solo al conseguimento degli obiettivi o risultati in essi stabiliti", mentre l'atto previsto dall'art. 17-bis ha un contenuto normativo e non finalistico (si parla di "schema di regolamento edilizio-tipo, al fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti", e di "regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti prestazionali degli edifici"), tanto e' vero che i comuni sono tenuti semplicemente ad adottarlo. Inoltre, l'art. 17-bis non prevede che venga specificamente richiesto il parere delle Province autonome, in contrasto con l'art. 3, co. 3, d. lgs. 266/1992.

Ne' tale obiezione potrebbe essere superata sottolineando che lo schema di regolamento edilizio-tipo e' adottato con un accordo in sede di Conferenza unificata. E' vero che l'accordo di cui all'art. 9 d.lgs. 281/1997 e' di tipo "forte (l'art. 9, co. 2, lett. c), non rinvia all'art. 3 d. lgs. 281/1997) e che anche per le intese di cui all'art. 8, comma 6, legge 131/2003 "e' esclusa l'applicazione dei commi 3 e 4 dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281", ma e' chiaro che la volonta' della Provincia di Trento puo' essere scavalcata nella Conferenza unificata, e quindi che la Provincia puo' vedersi imporre uno schema di regolamento che non condivide, in luogo di quello previsto dall'art. 361.p. 1/2008.

Resta confermata, dunque, l'illegittimita' dell'art. 17-bis per i motivi sopra esposti, nella parte in cui esso intenda applicarsi anche ai comuni della provincia di Trento.

3) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 31   Come gia' visto, l'art. 31 di. 133/2014, intitolato Misure per la riqualificazione degli esercizi alberghieri, stabilisce che, "al fine di diversificare l'offerta turistica e favorire gli investimenti volti alla riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare previa intesa tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 sono definite le condizioni di esercizio dei condhotel", che vengono di seguito definiti.

Il comma 2 indica ulteriori contenuti del decreto di cui al comma 1 ("i criteri e le modalita' per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera in caso di interventi edilizi sugli esercizi alberghieri esistenti e limitatamente alla realizzazione della quota delle unita' abitative a destinazione residenziale di cui al medesimo comma") ed il comma 3 dispone che "le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano i propri ordinamenti a quanto disposto dal decreto di cui al comma 1 entro un armo dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale".

Si noti che il comma 3 assume un significato diverso per le Regioni a statuto ordinario e per le autonomie speciali, in particolare per le Province autonome. Per le Regioni ordinarie, infatti, tale disposizione vale a concedere un anno di tempo per l'attuazione del decreto. Per le Province autonome, invece, essa viene a stabilire in modo diretto l'applicabilita' ad esse di tale decreto (sia pure nel termine di un anno), a prescindere da un giudizio di compatibilita' con lo statuto, che sarebbe invece stato dovuto secondo la generale clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 43-bis d.l. 133/2014.

Ad avviso della ricorrente Provincia, il comma 3 viene cosi' a sancire l'applicabilita' ad essa del decreto, in contrasto con lo statuto, pregiudicando dunque le sue competenze costituzionali.

In effetti, la disposizione interviene in un complesso di materie che appartengono alla competenza legislativa primaria e alla competenza amministrativa delle Province autonome di Trento e di Bolzano, quali l"'urbanistica e piani regolatori", la "tutela del paesaggio" e il "turismo e industria alberghiera", ai sensi dell'art. 8, nn. 5, 6 e 20, e dell'art. 16 dello Statuto; le Province autonome, inoltre, sono dotate di potesta' legislativa primaria nella materia del commercio, ai sensi dell'art. 117, co. 4, Cost. e dell'art. 101. cost. 3/2001 (v. sent. Corte cost. 183/2012).

La ricorrente Provincia di Trento, in particolare, ha esercitato tali competenze approvando la legge 15 maggio 2002, n. 7, Disciplina degli esercizi alberghieri ed extra-alberghieri e promozione della qualita' della ricettivita' turistica, e dettando all'articolo 13-bis (aggiunto dall'art. 18 della 1.p. 11 marzo 2005, n. 3, e poi modificato dall'art. 155 della l.p. 4 marzo 2008, n. 1, e dall'art. 16 della l.p. 15 maggio 2013, n. 9) Disposizioni in materia di realizzazione di villaggi alberghieri e di residenze turistico alberghiere, come definiti dall'art. 5 l.p. 7/2002; l'art. 13-bis disciplina anche il vincolo di destinazione alberghiera delle strutture in questione. L'art. 31 d.l. 133/2014 interviene indubbiamente nelle materie sopra indicate (prevalentemente nelle materie "urbanistica e piani regolatori", "commercio" e "turismo e industria alberghiera").

Esso non si limita a definire i "condhotel", ma prevede un successivo dPCm, sostanzialmente regolamentare, al fine di determinarne le "condizioni di esercizio" e di stabilire "i criteri e le modalita' per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera"; e al comma 3, come sopra precisato, si prevede il dovere di adeguamento delle Province al dPCm.

Sennonche', la previsione del dovere di adeguamento ad un atto statale sublegislativo, sostanzialmente regolamentare, viola l'art. 117, comma 4, Cost., Part. 8, nn. 5 e 20, St., le relative norme di attuazione (v. il dPR 381/1974, in materia urbanistica, il dPR 686/1973 in materia di pubblici esercizi ed il dPR 278/1974, in materia di turismo e industria alberghiera) e l'art. 2 d. lgs. 266/1992.

L'art. 2 d. lgs. 266/1992, in particolare, stabilisce chiaramente che le Province hanno un onere di adeguamento solo agli atti legislativi statali costituenti un limite statutario. Si noti che tale vincolo di adeguamento e' in realta' illegittimo anche per le Regioni a statuto ordinario (dato che l'art. 117, co. 6, Cost. esclude ogni competenza regolamentare statale nelle materie regionali): ma per le Province autonome le norme di attuazione dello statuto delimitano in modo specifico e preciso gli oneri di adeguamento.

Dunque, nei confronti delle Province autonome il legislatore statale doveva limitarsi a prevedere l'adeguamento delle Province alle norme legislative statali concretanti limiti statutari, mentre ha disposto l'adeguamento dell'ordinamento delle Province "a quanto disposto dal decreto di cui al comma 1 entro un anno dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale".

Di qui l'evidente illegittimita' costituzionale della disposizione.

Ne' a tale censura si potrebbe obiettare che il dPCm sara' adottato previa intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell'art. 9 d. lgs. 281/1997. Non solo, infatti, come gia' osservato nel punto precedente, la volonta' della Provincia di Trento puo' essere scavalcata nella Conferenza unificata, e quindi la Provincia puo' vedersi imporre un atto che non condivide, ma e' evidente che la stessa Provincia non potrebbe volontariamente limitare per il futuro l'autonomia che lo statuto assicura alla propria funzione legislativa.

In via subordinata, e' poi da sottolineare che, l'art. 31, comma 1, si riferisce ad una intesa in base all'art. 9 del d. lgs. 281/1997, e che secondo il comma 2, lett. b), di tale disposizione "nel caso di mancata intesa o di urgenza si applicano le disposizioni di cui all'articolo 3, commi 3 e 4", del medesimo decreto, che prevedono la possibilita' di prescindere dall'intesa.

Ora, qualora l'intesa di cui all'art. 31, co. 1, dovesse essere considerata - in forza di tale richiamo - "debole", la norma de qua sarebbe ulteriormente illegittima per violazione delle competenze provinciali sopra illustrate e del principio di leale collaborazione. Infatti, poiche' - come gia' detto - la disciplina relativa ai "condhotel" rientra in materie di competenza regionale, le gia' illustrate ragioni di illegittimita' del vincolo che la legge pone di fronte al decreto adottato "previa intesa" varrebbero a maggiore ragione di fronte ad un vincolo posto senza neppure la garanzia (che pur non vale a renderlo legittimo, per le ragioni sopra esposte) di tale previa intesa. Dunque, ove, in denegata ipotesi, il carattere vincolante del dPCm fosse ritenuto di per se' non illegittimo da codesta Corte, esso lo sarebbe in ogni caso, per violazione del principio di leale collaborazione, nel caso in cui dovesse ritenersi che il difetto di tale previa intesa possa superato.

 

P.Q.M.

 

Per le esposte ragioni, la Provincia autonoma di Trento, come sopra rappresentata e difesa, chiede voglia codesta Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante "Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive", convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164, con riferimento alle seguenti disposizioni:   articolo 7, comma 1, lettera b), n. 2), che inserisce il comma 1-bis nell'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006;   articolo 17-bis, che inserisce il comma 1-sexies nell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, se ed in quanto riferibile anche alle Province autonome ed ai comuni del rispettivo territorio;   articolo 31,   nelle parti, nei termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso.

Prof. avv. Giandomenico Falcon

Avv. Nicolo' Pedrazzoli

Avv. Luigi Manzi

Padova-Trento-Roma, 7 gennaio 2015