RICORSO N. 5 DEL 15 GENNAIO 2015 (DELLA REGIONE PUGLIA)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 15 gennaio 2015.

(GU n. 7 del 18.2.2015)

 

Ricorso della Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 3 dell'8 gennaio 2015, rappresentato e difeso dall'avv. Alfonso Papa Malatesta (PEC: a.papamalatesta@cert.vmassociati.it) e dall'avv. Vittorio Triggiani ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, Piazza Barberini n. 12, come da mandato a margine del presente atto,   Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore,   Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 1, commi 2, 4, 10-bis e 11; 17, comma 1, lett. b); 17-bis; 37, comma 2, lettere a) e c-bis); 38, commi 1-bis, 4, 6, lett. b), e 10, del d.l. 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive), come risultanti dalla conversione in legge, con modificazioni, tramite la legge n. 164 del 2014, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 262 dell'11 novembre 2014, per violazione degli articoli 3, primo comma, 117, secondo, terzo e sesto comma, 118, primo e secondo comma, 120, secondo comma, della Costituzione.

I. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 2 e 4, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, per violazione dell'art. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., in quanto, disponendo che all'approvazione dei progetti delle opere relativi alla tratta ferroviaria Napoli-Bari provveda il Commissario individuato ai sensi del precedente comma 1, senza prevedere che la Regione specificamente interessata dalla singola opera sia in tutti i casi parte necessaria del procedimento decisionale, lede le competenze legislative della Regione in materia di «grandi reti di trasporto e di navigazione» e di «governo del territorio», nonche' le competenze amministrative che alla medesima spettano in base al principio di sussidiarieta' ex art. 118, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con quanto affermato dalla sent. n. 303 del 2003 della Corte costituzionale.

I.1. - L'art. 1 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, detta, per quel che qui e' di piu' prossimo interesse, «Disposizioni urgenti per sbloccare gli interventi sugli assi ferroviari Napoli - Bari e Palermo-Catania-Messina». In particolare, l'art. 1, comma 1, attribuisce all'Amministratore delegato di Ferrovie dello Stato s.p.a. il ruolo di «Commissario per la realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli - Bari, di cui al Programma Infrastrutture Strategiche previsto dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443» per il periodo di due anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del medesimo d.l. n. 133. Il comma 2 - che in questa sede specificamente si contesta, insieme al successivo comma 4 - prevede inoltre che, «allo scopo di poter celermente stabilire le condizioni per l'effettiva realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli-Bari, in modo da poter avviare i lavori relativi a parte dell'intero tracciato entro e non oltre il 31 ottobre 2015», il Commissario per la realizzazione delle opere afferenti alla tratta ferroviaria Napoli-Bari provveda «all'approvazione dei relativi progetti».

Il comma 4, dal canto suo, stabilisce che, entro 15 giorni dall'approvazione di tali progetti, debba essere convocata la conferenza di servizi per la realizzazione degli interventi necessari, disponendo altresi' che, laddove venga manifestato un dissenso da parte di una (o piu' d'una) delle amministrazioni invitate tra quelle preposte «alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumita'», si applichino le procedure di superamento del dissenso disciplinate dall'art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 (modificato, da ultimo, proprio dall'art. 25, comma 1, lett. b), dello stesso d.l. n. 133 del 2014), che prevedono il coinvolgimento delle predette amministrazioni. In particolare, il citato comma 3 dell'art. 14-quater, dispone che, nei casi di dissenso sopra menzionati, la questione, sia «rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che ha natura di atto di alta amministrazione». La disposizione citata prevede inoltre quanto segue: «Il Consiglio dei Ministri si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra piu' amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra piu' enti locali, motivando un'eventuale decisione in contrasto con il motivato dissenso. Se l'intesa non e' raggiunta entro trenta giorni, la deliberazione del Consiglio dei Ministri puo' essere comunque adottata. Se il motivato dissenso e' espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, ai fini del raggiungimento dell'intesa, entro trenta giorni dalla data di rimessione della questione alla delibera del Consiglio dei Ministri, viene indetta una riunione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con la partecipazione della regione o della provincia autonoma, degli enti locali e delle amministrazioni interessate, attraverso un unico rappresentante legittimato, dall'organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volonta' dell'amministrazione sulle decisioni di competenza. In tale riunione i partecipanti debbono formulare le specifiche indicazioni necessarie alla individuazione di una soluzione condivisa, anche volta a modificare il progetto originario, motivando un'eventuale decisione in contrasto con il motivato dissenso. Se l'intesa non e' raggiunta nel termine di ulteriori trenta giorni, e' indetta una seconda riunione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con le medesime modalita' della prima, per concordare interventi di mediazione, valutando anche le soluzioni progettuali alternative a quella originaria. Ove non sia comunque raggiunta l'intesa, in un ulteriore termine di trenta giorni, le trattative, con le medesime modalita' delle precedenti fasi, sono finalizzate a risolvere e comunque a individuare i punti di dissenso. Se all'esito delle predette trattative l'intesa non e' raggiunta, la deliberazione del Consiglio dei Ministri puo' essere comunque adottata con la partecipazione dei Presidenti delle regioni o delle province autonome interessate». L'art. 1, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, nel richiamare detta normativa, prevede inoltre il dimezzamento dei termini sopra menzionati.

I.2. - Come emerge chiaramente dalle disposizioni citate, in base al combinato disposto dei commi 2 e 4 dell'art. 1 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, l'amministrazione statale procedente ha l'obbligo di ricercare il consenso delle Regioni specificamente interessate dalle opere in questione e di coinvolgerle nelle articolate procedure previste dall'art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 al fine del superamento dell'eventuale dissenso, solo nei casi in cui tali Regioni siano titolari di funzioni amministrative incidenti sulla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, sul patrimonio storico-artistico o sulla tutela della salute e della pubblica incolumita'. In tutti gli altri casi, invece, sull'amministrazione statale procedente non gravano tali obblighi, potendo essa del tutto prescindere dalla ricerca del consenso delle Regioni interessate.

Tale assetto normativo e' da ritenere incostituzionale, in quanto contrastante con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., per le ragioni che di seguito si espongono.

I.3. - Risulta evidente che le materie sulle quali interviene la disciplina rapidamente descritta siano ascrivibili alla competenza legislativa concorrente regionale, disciplinata dall'art. 117, terzo comma, Cost. In particolare, vengono in rilievo al riguardo le materie delle «grandi reti di trasporto e di navigazione» e del «governo del territorio». In base alla disposizione costituzionale citata, dunque, lo Stato risulta legittimato a porre soltanto principi fondamentali della materia, e non discipline dettagliate e autoapplicative dell'azione amministrativa, non potendo, del resto, neppure procedere direttamente all'allocazione delle relative funzioni amministrative (cfr., ad es., sent. n. 336 del 2005, par. 7.1 del Considerato in diritto). Da una «prima lettura» delle disposizioni costituzionali coinvolte, dunque, si ricava che la legge statale non potrebbe in alcun modo avocare a se stessa funzioni amministrative nelle materie di competenza concorrente, e disciplinarne l'esercizio.

E' ormai ben noto, tuttavia, che la giurisprudenza costituzionale, a partire dalle «celebri» sentenze nn. 303 del 2003 e 6 del 2004, ha ritenuto che, in tali circostanze, la legge statale possa operare nel senso citato - e superare lo scrutinio di legittimita' costituzionale - a patto pero' che in essa si prevedano adeguati meccanismi collaborativi che coinvolgano le Regioni specificamente interessate. Cio' in quanto l'«elemento di flessibilita'» del riparto delle competenze amministrative contenuto nell'art. 118, primo comma, Cost., ossia l'insieme dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, e' destinato a ripercuotersi anche su quelle legislative, e richiede necessariamente, per il suo operare, che ad esso sia connessa «una valenza squisitamente procedimentale», tale per cui «la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato» sia non solo «proporzionata» e priva di elementi di «irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita'», ma anche «oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata» (cosi' la sent. n. 303 del 2003, par. 2.2 del Considerato in diritto). Quanto a tale ultimo aspetto, la sent. n. 6 del 2004 ha ulteriormente insistito sul punto, precisando che, «nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, piu' in generale, dei procedimenti legislativi -anche solo nei limiti di quanto previsto dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) - la legislazione statale di questo tipo "puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'" (sentenza n. 303 del 2003)» (par. 7 del Considerato in diritto). Tale linea giurisprudenziale e' stata successivamente confermata, approfondita e sviluppata, ad opera di numerose decisioni di questa Corte, tra le quali meritano di essere richiamate, ad es., le sentt. nn. 383 del 2005, 121 e 278 del 2010, 33 e 165 del 2011, nonche' 39, 62 e 239 del 2013.

Gia' da questa prima - e inevitabilmente parziale - disamina, emerge l'incostituzionalita' della normativa impugnata, la quale prevede meccanismi collaborativi adeguati a beneficio delle Regioni specificamente interessate solo nel caso in cui queste ultime siano titolari di funzioni amministrative incidenti sulla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, sul patrimonio storico-artistico o sulla tutela della salute e della pubblica incolumita', e non in tutti gli altri casi. L'analisi piu' approfondita proprio della «sentenza-capostipite» della giurisprudenza costituzionale sulla c.d. «sussidiarieta' legislativa», pero', e' in grado di fornire ulteriori spunti che consentono di apprezzare piu' efficacemente l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni in questione.

I.4. - La sent. n. 303 del 2003, infatti, rappresenta per il caso qui sottoposto all'attenzione di questa Corte un vero e proprio precedente in termini, poiche' e' stata pronunciata in specifico riferimento alla impugnazione, da parte regionale, di numerose disposizioni della legge n. 443 del 2001 concernenti il Programma Infrastrutture Strategiche, del quale le opere in relazione alle quali intervengono le norme oggi contestate rappresentano specifica attuazione.

Tale pronuncia, con particolare riferimento al procedimento di individuazione e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale predisposto dalla legge n. 443 del 2001, ha avuto modo di precisare che la collaborazione della singola Regione interessata si rende necessaria almeno in due importanti frangenti, in corrispondenza di altrettante attivita' decisorie dell'amministrazione statale.

A) Il primo momento nel quale e' assolutamente necessario che la legge statale predisponga adeguati momenti collaborativi con la singola Regione interessata e' quello della individuazione dei singoli interventi e delle singole opere a mezzo dell'approvazione di un Programma governativo predisposto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e approvato, in sede di prima applicazione, dal CIPE entro il 31 dicembre 2001 (art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001). In relazione a tale momento procedimentale, la sent. n. 303 del 2003 ha ritenuto assolutamente imprescindibile la previsione di una intesa c.d. «forte», secondo quanto piu' sopra evidenziato. La sent. n. 303 del 2003 ha quindi ritenuto di dover respingere le specifiche censure che erano state proposte da parte regionale sulle norme che regolavano tale fase procedimentale, in quanto esse, nel testo introdotto dall'art. 13, comma 3, della legge 1° agosto 2002, n. 166, e ancora a tutt'oggi vigente, prevedono - per l'appunto - che il suddetto Programma sia adottato «d'intesa con i Ministri competenti e le Regioni o Province autonome interessate».

B) Il secondo momento procedimentale nel quale, secondo la sent. n. 303 del 2003, e' assolutamente imprescindibile che la legge statale predisponga adeguati strumenti collaborativi a beneficio della singola Regione specificamente interessata e' invece quello della «fase di approvazione dei progetti definitivi delle opere individuate nel programma governativo» (cfr. par. 8 del Considerato in diritto). Al riguardo, questa Corte ha chiarito, al di la' di ogni possibile dubbio, non solo che e' costituzionalmente necessaria la partecipazione della Regione all'adozione dell'atto di approvazione definitiva del singolo progetto, ma anche che tale partecipazione non puo' essere ridotta al rango di mera fase preparatoria, di natura consultiva, rispetto all'attivita' del soggetto effettivamente decidente. Viceversa, la Regione interessata deve essere parte attiva nel procedimento decisionale, che deve essere intestabile anche ad essa. Tale principio di diritto emerge chiaramente dalla lettura del par. 8 del Considerato in diritto della sent. n. 303 del 2003, che ha accolto le censure regionali nei confronti dell'art. 1, comma 3-bis, della legge n. 443 del 2001. Tale disposizione consentiva di pervenire all'approvazione dei progetti non solo tramite la delibera del CIPE integrato dai presidenti delle Regioni e delle Province autonome interessate (art. 1, comma 2, della legge n. 443 del 2001), ma anche tramite decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del CIPE integrato nel modo accennato. La incostituzionalita' di una simile previsione dipendeva «dalla degradazione della posizione del CIPE da organo di amministrazione attiva (nel procedimento ordinario) ad organo che svolge funzioni preparatorie (nel procedimento "alternativo") [dalla quale] discende che la partecipazione in esso delle Regioni interessate non costituisce piu' una garanzia sufficiente». In sintesi: non e' sufficiente una mera «partecipazione consultiva», poiche' l'attivita' di decisione deve essere intentabile anche alla Regione.

I.5. - I commi 2 e 4 dell'art. 1 del d.l. n. 133 del 2014 intervengono, evidentemente, in relazione alla fase procedimentale indicata sub B), ossia quella concernente l'approvazione dei singoli progetti degli interventi. Come si e' mostrato piu' sopra, tuttavia, tali disposizioni non garantiscono affatto quel coinvolgimento della Regione interessata nella fase decisionale che, come si e' visto, la sent. n. 303 del 2003 ritiene invece imprescindibile perche' la normativa statale superi il vaglio di legittimita' costituzionale. Un momento partecipativo di «intensita'» soddisfacente e' infatti previsto solo per il caso in cui la Regione risulti istituzionalmente (ossia normativamente) portatrice degli interessi alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumita'. In tutti gli altri casi, invece, all'adozione del provvedimento di approvazione del progetto potra' provvedere senz'altro il Commissario individuato ai sensi del comma 1 senza che alla Regione sia riconosciuta la dovuta partecipazione.

In sintesi, e' dunque necessario concludere che il combinato disposto dei commi 2 e 4 dell'art. 1 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, nella parte in cui non garantisce che le Regioni interessate siano coinvolte sempre e comunque nell'adozione della decisione concernente la realizzazione degli interventi relative alla tratta ferroviaria Napoli-Bari, in modo tale che tale decisione sia intestatile anche ad esse, si pone in contrasto con l'art. 117, terzo comma, e l'art. 118, primo comma, Cost.; infatti, non solo non e' esplicitamente prevista la necessaria acquisizione del consenso delle Regioni interessate in relazione allo svolgimento di tali attivita' ma, nell'ipotesi di manifestazione di dissenso da parte dell'amministrazione regionale nell'ambito della conferenza di servizi, l'art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 - al quale il comma 4 dell'art. 1 del d.l. n. 133 del 2014 rimanda - prevede che la Regione sia coinvolta nell'articolata fase di superamento del dissenso da essa espresso soltanto ed esclusivamente ove si tratti di «un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumita'».

II. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 10-bis, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, per violazione dell'art. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., in quanto, attribuendo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il compito di redigere il Piano di ammodernamento dell'infrastruttura ferroviaria, con il quale sono individuate «le linee ferroviarie da ammodernare» senza prevedere la necessaria acquisizione dell'intesa con ciascuna Regione interessata, lede le competenze legislative della Regione in materia di «grandi reti di trasporto e di navigazione» e di «governo del territorio», nonche' le competenze amministrative che alla medesima spettano in base al principio di sussidiarieta' ex art. 118, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con quanto affermato dalla sent. n. 303 del 2003 della Corte costituzionale.

II.1. - L'art. 1, comma 10-bis, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, cosi' dispone: «Al fine di rendere cantierabili nel breve termine opere di interesse pubblico nazionale o europeo nel settore ferroviario, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti redige il Piano di ammodernamento dell'infrastruttura ferroviaria, con il quale individua, secondo criteri di convenienza economica per il sistema-Paese, le linee ferroviarie da ammodernare, anche tramite l'impiego dei fondi della Connecting Europe Facility, sia per il settore delle merci sia per il trasporto dei passeggeri. Il Piano e' redatto in collaborazione con le associazioni di categoria del settore ed e' tempestivamente reso pubblico nel rispetto delle disposizioni del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82».

Come si vede, la disposizione che qui si contesta affida al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la redazione del Piano di ammodernamento dell'infrastruttura ferroviaria, nell'ambito del quale sono individuate le linee ferroviarie da ammodernare sia per il settore delle merci sia per il trasporto dei passeggeri. Cio' che emerge anche ad una lettura superficiale - e che determina una grave violazione delle competenze regionali garantite dai parametri costituzionali richiamati in epigrafe - e' che tale individuazione e' destinata ad avvenire, nella previsione normativa sopra citata, senza alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni. La disposizione in esame e' dunque costituzionalmente illegittima per le ragioni di seguito precisate.

II.2. - Dopo i percorsi giurisprudenziali che si e' avuto modo di richiamare nel precedente motivo di ricorso, non e' necessario spendere molte parole per illustrare la presente censura di illegittimita' costituzionale. Al riguardo, e' necessario prendere le mosse dalla considerazione secondo la quale le materie sulle quali interviene la disciplina in questione sono quelle, affidate alla potesta' legislativa concorrente di Stato e Regioni dall'art. 117, terzo comma, Cost., delle «grandi reti di trasporto e di navigazione», e del «governo del territorio».

In tali ambiti materiali, come si e' avuto modo di ricordare piu' sopra, secondo la giurisprudenza di questa Corte, per giudicare se una legge statale che avochi al livello centrale una funzione amministrativa occupando lo spazio legislativo di competenza regionale (anche concorrente) sia invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca invece applicazione dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza «diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un'intesa fra lo Stato e le Regioni interessate, alla quale sia subordinata l'operativita' della disciplina» (sent. n. 303 del 2003, par. 4.1 del Considerato in diritto). La necessaria previsione di ma intesa «forte», non superabile unilateralmente dallo Stato, quale condizione per la legittimita' costituzionale della legge statale che avochi al centro una funzione amministrativa in materie diverse da quelle di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., disciplinandone al contempo l'esercizio, e' stata ribadita dalla giurisprudenza costituzionale numerose volte. Si tratta di circostanze ormai ben note, che non occorre ripercorrere analiticamente in questa sede. Tra le decisioni piu' importanti al riguardo, meritano ad ogni modo di essere richiamate le gia' citate sentenze nn. 6 del 2004, 383 del 2005, 121 e 278 del 2010, 33 e 165 del 2011, nonche' nn. 39, 62 e 239 del 2013.

La disciplina che qui si contesta affida al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il compito di «redigere» il Piano di ammodernamento dell'infrastruttura ferroviaria, con il quale vengono «individuate» «le linee ferroviarie da ammodernare». Essa, dunque, alloca in capo ad un'amministrazione statale una funzione amministrativa in grado di giungere sino alla specifica individuazione degli interventi da realizzare, senza pero' che le singole Regioni interessate da ciascuno degli interventi siano in alcun modo coinvolte tramite procedure collaborative. Da qui l'evidente incostituzionalita' della normativa in esame.

II.3. - In sintesi, e' necessario concludere che l'art. 1, comma 10-bis, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, e' da ritenere costituzionalmente illegittimo in quanto, pur venendo in rilievo le materie delle «grandi reti di trasporto e di navigazione», e del «governo del territorio», affidate alla potesta' legislativa regionale nel rispetto del limite dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato, opera la «chiamata in sussidiarieta'» di funzioni legislative e amministrative in difformita' rispetto al modulo procedimentale richiesto dalla giurisprudenza costituzionale in simili ipotesi, mancando, in particolare, la previsione della necessaria acquisizione dell'intesa con le singole Regioni interessate dagli interventi individuati dal Piano di ammodernamento dell'infrastruttura ferroviaria. Per queste ragioni, l'art. 1, comma 10-bis, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede l'acquisizione dell'intesa con ciascuna Regione interessata, in quanto arreca una illegittima compressione alla competenza legislativa regionale nelle materie delle «grandi reti di trasporto e di navigazione», e del «governo del territorio», (art. 117, terzo comma, Cost.), nonche' alle competenze amministrative che alla Regione spettano sulla base del principio di sussidiarieta' (art. 118, primo comma, Cost.).

III. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 11, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, per violazione dell'art. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., in quanto, prevedendo l'approvazione, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, dei «contratti di programma sottoscritti dall'ENAC con i gestori degli scali aeroportuali di interesse nazionale» senza prevedere che la Regione specificamente interessata dal singolo intervento sia parte necessaria del procedimento decisionale, lede le competenze legislative della Regione in materia di «porti e aeroporti civili» e di «governo del territorio», nonche' le competenze amministrative che alla medesima spettano in base al principio di sussidiarieta' ex art. 118, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con quanto affermato dalla sent. n. 303 del 2003 della Corte costituzionale.

III.1. - L'art. 1, comma 11, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, prevede quanto segue: «Per consentire l'avvio degli investimenti previsti nei contratti di programma degli aeroporti di interesse nazionale di cui all'articolo 698 del codice della navigazione sono approvati, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da adottarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, che deve esprimersi improrogabilmente entro trenta giorni, i contratti di programma sottoscritti dall'ENAC con i gestori degli scali aeroportuali di interesse nazionale. Per gli stessi aeroporti il parere favorevole espresso dalle Regioni e dagli enti locali interessati sui piani regolatori aeroportuali in base alle disposizioni del regolamento recante disciplina dei procedimenti di localizzazione delle opere di interesse statale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, e successive modificazioni, comprende ed assorbe, a tutti gli effetti, la verifica di conformita' urbanistica delle singole opere inserite negli stessi piani regolatori».

A sua volta, l'art. 698 del R.D. 20 marzo 1942, n. 327 (Approvazione del testo definitivo del Codice della navigazione), dispone che «con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e sentita l'Agenzia del demanio, (siano) individuati, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari da esprimere entro trenta giorni dalla data di assegnazione, gli aeroporti e i sistemi aeroportuali di interesse nazionale, quali nodi essenziali per l'esercizio delle competenze esclusive dello Stato, tenendo conto delle dimensioni e della tipologia del traffico, dell'ubicazione territoriale e del ruolo strategico dei medesimi, nonche' di quanto previsto nei progetti europei TEN».

L'art. 1, comma 11-bis, del d.l. n. 133 del 2014, e' incostituzionale per le ragioni di seguito precisate.

III.2. - Per illustrare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 11, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, e' necessario prendere le mosse dalla circostanza secondo la quale esso interviene, allocando allo Stato una funzione amministrativa, e dettandone la relativa disciplina, in ambiti materiali che, senza dubbio alcuno, devono essere ascritti alla competenza legislativa concorrente regionale da esercitarsi nei limiti dei principi fondamentali della legge dello Stato, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., ed in particolare alle materie «porti e aeroporti civili» e «governo del territorio».

Come e' noto - e come si e' gia' avuto modo di ricordare piu' volte nei paragrafi che precedono - in tali ambiti materiali, secondo la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, la legge statale puo' avocare una funzione amministrativa, e regolarne al contempo l'esercizio, solo se - oltre a sussistere le esigenze di esercizio unitario in base all'art. 118, primo comma, Cost. - sia previsto che tale funzione venga esercitata dall'amministrazione statale sulla base di adeguati moduli collaborativi. La normativa qui presa in considerazione, come si e' visto, dispone in effetti che l'atto di individuazione di specifici aeroporti e sistemi aeroportuali quali di «interesse nazionale», sia adottato sulla base di un'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (art. 698 del Codice della navigazione). Tale atto rappresenta il presupposto della funzione amministrativa disciplinata dall'impugnato art. 1, comma 11-bis, consistente nella approvazione dei contratti di programma sottoscritti dall'ENAC con i gestori degli scali. Tuttavia, cio' non vale ad evitare l'incostituzionalita' della disposizione da ultimo citata. Cio' in quanto, per questa specifica funzione amministrativa, non e' previsto alcun intervento collaborativo di parte regionale.

Per approfondire il punto e' necessario tener presente che la scansione procedimentale stabilita dal combinato disposto dell'art. 1, comma 11-bis, che qui si impugna, e dell'art. 698 del Codice della navigazione, e' del tutto sovrapponibile, per quel che qui interessa, a quella concernente la redazione del Programma Infrastrutture Strategiche di cui alla legge n. 443 del 2001, cui segue la realizzazione dei singoli interventi in esso previsto. Su tale scansione procedimentale questa Corte si e' pronunciata con la sentenza n. 303 del 2003, nella quale e' stato evidenziato che - vertendosi in materie di competenza legislativa concorrente - perche' potessero essere ritenute costituzionalmente legittime le disposizioni concernenti le funzioni amministrative avocate dallo Stato in sussidiarieta', si rendeva necessaria non solo la previsione di una collaborazione «forte», da realizzarsi tramite intesa con le Regioni interessate, nella fase di approvazione del piano di individuazione di opere di interesse nazionale (parr. 2.2 e 4.1 del Considerato in diritto), ma anche un coinvolgimento delle medesime Regioni come parti necessarie dell'attivita' decisioria nella successiva fase di sviluppo e di attuazione dell'atto di pianificazione generale (par. 8 del Considerato in diritto).

In sintesi, come gia' evidenziato nel precedente par. I.4, dalla sent. n. 303 del 2003 emerge chiaramente il seguente principio di diritto: ove la funzione amministrativa avocata in sussidiarieta' sia destinata ad essere esercitata attraverso molteplici passaggi decisionali, nei quali la adozione di atti di natura programmatoria-pianificatoria, di carattere generale, sia seguita da atti decisori a carattere piu' specifico, che attuino o sviluppino i primi, gli atti di natura pianificatoria generale debbono necessariamente essere adottati sulla base di una intesa «forte», mentre gli atti volti a sviluppare o attuare i primi, pur non necessitando di una analoga previsione di «intesa», devono comunque essere adottati a mezzo di modalita' che garantiscano il pieno coinvolgimento della Regione interessata nella fase decisionale.

III.3. - Alla luce di tali considerazioni, e' possibile concludere che l'art. 1, comma 11, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, avrebbe dovuto prevedere la partecipazione delle Regioni nella fase attuativa del piano di individuazione degli aeroporti di interesse nazionale, scegliendo un modulo collaborativo - organico o procedimentale - che le ponesse nella condizione di poter incidere nell'ambito di tale procedimento. Al contrario, nessuna forma di coinvolgimento o partecipazione e' rinvenibile nel comma 11 dell'art. 1; di conseguenza, la disposizione e' incostituzionale per violazione dell'art. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nella parte in cui non prevede alcuna forma di coinvolgimento decisorio da parte delle Regioni interessate in relazione all'esercizio di funzioni amministrative attratte in sussidiarieta' dallo Stato nelle materie «porti e aeroporti civili» e «governo del territorio».

IV. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 1, lett. b), del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, il quale dispone che, nelle more dell'adozione dello strumento urbanistico che individui «gli edifici esistenti non piu' compatibili con gli indirizzi della pianificazione», resti salva «la facolta' del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario», in quanto: a) ove si interpreti tale previsione nel senso di costituire un autonomo titolo abilitativo ex lege per gli interventi ivi previsti, sottrae, con una disposizione di dettaglio nella materia del «governo del territorio», le relative valutazioni ai Comuni, in violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.; b) ove invece la si interpreti nel senso di consentire solo i suddetti interventi conservativi, in base all'ordinario regime giuridico dei rispettivi titoli abilitativi, essa vieta rigidamente e irragionevolmente, su tutto il territorio nazionale e prescindendo dalle diversita' locali, le altre tipologie di intervento, con una disposizione di dettaglio nella materia del «governo del territorio», e sottraendo le relative valutazioni ai Comuni, in violazione degli artt. 3, primo comma, 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.

IV.1. - L'art. 17, comma 1, lett. b), del d.l. n. 133 del 2014, nel testo risultante dalla conversione in legge, prevede che all'art. 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) faccia seguito un nuovo art. 3-bis dal seguente tenore: «Lo strumento urbanistico individua gli edifici esistenti non piu' compatibili con gli indirizzi della pianificazione. (...) Nelle more dell'attuazione del piano, resta salva la facolta' del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario». Tale disposizione e' suscettibile di due differenti interpretazioni, ambedue passibili di censure di incostituzionalita'.

IV.2. - La prima possibile interpretazione della disposizione.

Secondo la prima interpretazione, tutti gli interventi conservativi sugli immobili in questione, consentiti dalla disciplina in esame sino alla adozione del Piano, sarebbero dotati automaticamente ex lege di un titolo abilitativo. Risulterebbero esclusi da questo regime, invece, gli interventi di demolizione e successiva ricostruzione.

Ove inteso in tal modo, l'art. 17, comma 1, lett. b), del d.l. n. 133 del 2014, sarebbe incostituzionale per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, Cost., per le ragioni di seguito illustrate.

IV.2.1. - La norma desunta in questa prima ipotesi dalla disposizione che qui si impugna contrasta, innanzi tutto, con l'art. 117, terzo comma, Cost., il quale affida alla competenza concorrente di Stato e Regioni la materia del «governo del territorio». Non e' dubbio, infatti, che si versi in tale materia. Come da tempo ha evidenziato la giurisprudenza di questa Corte, infatti, l'edilizia e l'urbanistica, una volta contemplate nel catalogo dell'art. 117 Cost., devono oggi ritenersi ricomprese nel piu' ampio settore del «governo del territorio» (per tutte, cfr. la sent. n. 303 del 2003, par. 11.1 del Considerato in diritto).

L'odierna ricorrente non contesta che lo Stato possa, tramite una disciplina di principio, dettare norme concernenti i titoli abilitativi agli interventi edilizi muovendosi nell'ambito di tale materia. Nel far cio', tuttavia, la legge statale deve mantenersi nei limiti dei principi fondamentali: cio' che non accade invece nel caso di specie, posto che il citato art. 3-bis - interpretato nel senso appena illustrato - non lascia evidentemente alcuno spazio all'intervento normativo delle Regioni, impedendo a queste ultime qualunque modulazione della concessione dei titoli abilitativi in questione in ragione delle peculiarita' di ciascuna realta', e ponendo una disciplina del tutto autoapplicativa ed autosufficiente.

I principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente devono comunque lasciare uno spazio di manovra al legislatore regionale.

IV.2.2. - In secondo luogo, deve essere evidenziato come i precetti posti dalla disposizione in contestazione, intesa in questo primo senso, violano anche l'art. 118, commi primo e secondo, Cost.

La concessione ex lege dei titoli abilitativi agli interventi conservativi, infatti, priva i Comuni delle relative funzioni amministrative, la cui titolarita' e' invece garantita ai Comuni dai principi di sussidiarieta' e adeguatezza di cui all'art. 118, primo e secondo comma, Cost. In base a tali principi costituzionali, infatti, non e' costituzionalmente consentito sottrarre ad un ente territoriale lo svolgimento di funzioni amministrative che il medesimo sia pienamente adeguato a svolgere: cio' che invece accade chiaramente nel caso di specie. Non c'e' infatti alcuna plausibile ragione per ritenere il Comune inadeguato allo svolgimento delle funzioni amministrative connesse alla regolare formazione dei titoli abilitativi agli interventi edilizi in questione.

L'art. 118, secondo comma, Cost., e' violato peraltro anche da un secondo punto di vista. Come e' noto, infatti, questa disposizione costituzionale riconosce ai Comuni la spettanza di «funzioni proprie», oltre che di funzioni «conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze». Senza volere in questa sede impegnarsi in una esaustiva e generale definizione della categoria delle «funzioni proprie», non pare possibile dubitare che un vero e proprio «caso paradigmatico» delle medesime sia rappresentato proprio dalle funzioni concernenti il rilascio dei titoli abilitativi edilizi qui in discussione. Cio', a tacer d'altro, e' dimostrato proprio dalla giurisprudenza di questa Corte.

Gia' sotto la vigenza del «vecchio» Titolo V, infatti, tale giurisprudenza ha riconosciuto spettare indefettibilmente ai Comuni le funzioni amministrative afferenti a tale sfera. Rileva qui, ad esempio, la sent. n. 83 del 1997, secondo la quale «il potere dei comuni di autodeterminarsi in ordine all'assetto e alla utilizzazione del proprio territorio» rappresenta un vero e proprio contenuto essenziale dell'autonomia locale che la Costituzione garantiva gia' allora anche «nei confronti dello Stato», e che oggi puo' dunque, senza difficolta', essere ascritto alle «funzioni proprie» di cui al citato art. 118, secondo comma, Cost.

L'art. 118 Cost. risulta dunque violato per due distinte ma concorrenti ragioni. In primo luogo, perche' la legge statale sottrae ai Comuni funzioni che, in virtu' dei principi di sussidiarieta' ed adeguatezza, dovrebbero senz'altro spettare a questi ultimi; in secondo luogo, perche', nel caso di specie, le funzioni oggetto di tale «sottrazione» appartengono a quel nucleo di intangibile pertinenza dell'autogoverno della comunita' locale individuato dalla giurisprudenza di questa Corte, e pertanto afferente alla categoria delle «funzioni proprie» dei Comuni.

IV.3. - La seconda possibile interpretazione della disposizione.

Come si accennava piu' sopra, tuttavia, e' possibile fornire della disposizione qui contestata una seconda interpretazione. In base a tale seconda lettura, il nuovo art. 3-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 non determinerebbe un'autonoma ed automatica concessione ex lege di titoli abilitativi agli interventi conservativi. Viceversa, si limiterebbe a renderli semplicemente possibili, in base al loro proprio regime giuridico, fino alla adozione del Piano contemplato dalla stessa disposizione in esame. Da tale regime, pero', sarebbero esclusi, in generale gli interventi non conservativi e quelli di «demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario». Tali interventi non sarebbero in alcun modo possibili, in applicazione della norma in questione. Il portato normativo della disciplina in esame, in questa seconda lettura, sarebbe dunque non gia' quello di consentire ex lege un determinato tipo di interventi (quelli conservativi), bensi' quello di vietare, sempre ex lege, un'altra categoria di interventi (non conservativi, di demolizione e successiva ricostruzione).

Evidentemente, ove si accogliesse tale interpretazione, i sopra richiamati profili di incostituzionalita' verrebbero meno. La norma in esame, tuttavia, continuerebbe a presentare elementi di illegittimita' costituzionale, contrastando anche in questo caso con gli artt. 117, terzo comma, 118, primo comma, Cost. Risulterebbe violato, per di piu', anche l'art. 3, primo comma, Cost., per le ragioni che di seguito si espongono.

IV.3.1. - Come accennato, la norma qui presa in considerazione ha l'effetto di escludere ex lege, in via automatica e per tutto il territorio nazionale, gli indicati interventi edilizi sopra indicati. Cio' determina, innanzi tutto, la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. Tale disciplina, sebbene afferente alla disciplina dei titoli abilitativi, ha carattere evidentemente dettagliato, poiche' opera in modo automatico e senza consentire alcun possibile «spazio di manovra» alla potesta' legislativa della Regione. Da qui la violazione della competenza che l'art. 117, terzo comma, Cost., riconosce a quest'ultima in tema di «governo del territorio».

IV.3.2. - Ad essere violato dalla disposizione in esame, ove interpretata nel modo accennato, sarebbe inoltre anche l'art. 118, primo e secondo comma, Cost., per ragioni analoghe a quelle illustrate nel precedente par. IV.2.2., sulle quali non e' dunque necessario spendere molte parole. Nel vietare ex lege determinati interventi edilizi, infatti, essa «esproprierebbe», in modo costituzionalmente illegittimo, i Comuni delle relative funzioni amministrative, in violazione dei principi di sussidiarieta' ed adeguatezza, della necessaria attribuzione di «funzioni proprie» ai Comuni, nonche' del «nucleo intangibile» che, come si e' visto piu' sopra, in tema di autodeterminazione «in ordine all'assetto ed alla utilizzazione del proprio territorio» questa Corte ha riconosciuto a tali enti gia' nella citata sent. n. 83 del 1997.

IV.3.3. - Infine, a risultare violato dalla seconda delle due possibili interpretazioni della disposizione impugnata sarebbe anche l'art. 3, primo comma, Cost., ed il principio di eguaglianza-ragionevolezza in esso incorporato. La norma de qua, infatti, e' in grado di determinare un trattamento uniforme di diverse e variegate realta' regionali e locali, in spregio alla necessita' costituzionale di adeguare il trattamento normativo delle attivita' urbanistiche alle diverse condizioni dei vari territori: esigenza, questa, che proprio l'articolazione delle competenze normative e amministrative in materia tra molteplici livelli di governo e' volta a salvaguardare.

V. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 17-bis del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, per violazione dell'art. 117, secondo, terzo e sesto comma, Cost., in quanto, prevedendo che gli accordi conclusi tra Governo, Regioni e autonomie locali in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'art. 9 del d.lgs. n. 281 del 1997 per l'adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo costituiscano «livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», nonche' che «il regolamento edilizio-tipo», indicante «i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico», sia «adottato dai Comuni nei termini fissati dai suddetti accordi, comunque entro i termini previsti dall'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni»: a) attribuisce la qualifica di «livello essenziale delle prestazioni» ad un intervento normativo che non puo' in alcun modo essere ricompreso in tale categoria; b) autorizza l'intervento tramite fonte regolamentare in un ambito di competenza concorrente tra Stato e Regioni quale e' quello del «governo del territorio».

V.1. - L'art. 17-bis del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, introduce il comma 1-sexies nell'art. 4 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, a norma del quale «il Governo, le regioni e le autonomie locali, in attuazione del principio di leale collaborazione, concludono in sede di Conferenza unificata accordi ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, o intese ai sensi dell'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per l'adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo». Tali accordi, prosegue la disposizione, «costituiscono livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico, e' adottato dai comuni nei termini fissati dai suddetti accordi, comunque entro i termini previsti dall'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni». Tali previsioni normative devono ritenersi incostituzionali, a causa della violazione dell'art. 117, secondo, terzo e sesto comma, Cost., per le seguenti ragioni.

V.2. - Innanzi tutto, risulta del tutto evidente la estraneita' della disciplina de qua rispetto alla materia della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» e della «tutela della concorrenza». Come e' stato piu' volte evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, il titolo di competenza legislativa statale di cui all'art. 117, secondo comma, lett. m), Cost., del quale qui si tratta, «non puo' essere invocato se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione (sentenze n. 383 e n. 285 del 2005), mediante la determinazione dei relativi standard strutturali e qualitativi, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione stessa» (cosi' la sent. n. 232 del 2011, par. 5.2 del Considerato in diritto). Come e' stato evidenziato anche dalla dottrina, dunque, «il titolo di legittimazione dell'intervento statale puo' essere invocato soltanto per prestazioni (...), aventi come contenuto un dare o un facere, delle quali sia anche individuato un "livello minimo"» (cosi' S. Pajno, Le «zone a burocrazia zero» tra principio di sussidiarieta', motivazione della legge e livelli essenziali delle prestazioni. Traendo spunto dalla sent. n. 232 del 2011, in www.federalismi.it, n. 23/2011, pag. 19).

Non e' necessario spendere molte parole per evidenziare come il caso de quo non rientri in alcun modo nella fattispecie appena descritta. Risulta lampante, infatti, che la norma che qui si contesta non individua affatto una «prestazione», avente quale oggetto un «dare» o un «facere», della quale si individuano un livello e delle caratteristiche «qualitative» minime di cui debba beneficiare il cittadino. L'art. 17-bis in questione, infatti, disciplina «semplicemente» le modalita' di adozione e i contenuti del regolamento edilizio-tipo.

Si noti, peraltro, che neppure si potrebbe ritenere tale norma ascrivibile alla materia dei «livelli essenziali delle prestazioni» sulla base delle decisioni di questa Corte che, come e' noto, hanno imputato a tale titolo di legittimazione dell'intervento statale le norme concernenti il procedimento amministrativo, come quelle che prevedono e disciplinano l'istituto della SCIA (sentenze nn. 164 e 203 del 2012, nonche' n. 121 del 2014), poiche' in tali circostanze il legislatore statale ha, nell'esercizio della propria competenza, fissato le modalita' dello svolgimento di «prestazioni amministrative» di cui devono beneficiare i singoli cittadini che entrano in contatto con la pubblica amministrazione. Viceversa, nel caso in esame, la norma impugnata non riguarda l'attivita' amministrativa, regolando invece un procedimento normativo, e non disciplina affatto «prestazioni amministrative» esigibili dai singoli individui. Gia' da questi primi rilievi risulta evidente che la materia dei «livelli essenziali delle prestazioni», ancorche' asseritamente riferibile alla «tutela della concorrenza», viene evocata del tutto a sproposito dalla disposizione impugnata, la quale dunque viola, innanzi tutto, l'art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.

V.3. - Alla luce di quanto sopra esposto e' invece agevole concludere che si verte pacificamente nella materia del «governo del territorio» di competenza legislativa concorrente, ossia in una materia in relazione alla quale, secondo la giurisprudenza costituzionale, i principi fondamentali statali devono essere stabiliti con legge e non ricorrendo alla fonte regolamentare. Da tale considerazione emerge dunque, con evidenza, anche la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., che impone, appunto, la forma legislativa all'esercizio della funzione normativa statale con la quale si intenda porre principi fondamentali.

Ad essere violato, infine, e' anche l'art. 117, sesto comma, Cost., il quale limita l'esercizio della funzione regolamentare statale alle materie di cui al secondo comma del medesimo articolo, attribuendola, negli altri campi materiali, alla Regione.

V.4. - La Regione ricorrente non intende negare che i contenuti di un «Regolamento edilizio-tipo» possano essere imposti dallo Stato su tutto il territorio nazionale nell'esercizio della propria competenza in materia di «principi fondamentali del governo del territorio». Ne' che a tale obiettivo non si possa giungere tramite il procedimento «partecipato» predisposto dalla normativa in esame, la quale anzi, da questo punto di vista, non puo' che risultare apprezzabile. Da quanto rilevato piu' sopra discende pero', per tabulas, che gli accordi o le intese sul regolamento edilizio-tipo, che dovrebbero costituire principi fondamentali in materia di «governo del territorio», per poter dispiegare il proprio pieno valore normativo su tutto il territorio nazionale, vincolando in modo costituzionalmente legittimo sia i legislatori regionali che la potesta' regolamentare locale, dovrebbero essere recepiti con legge.

In sintesi, l'art. 17-bis del d.l. n. 133 del 2004, come convertito in legge, nella parte in cui autorizza l'intervento tramite fonte regolamentare in un ambito di competenza concorrente tra Stato e Regioni anziche' rinviare ad una successiva legge statale da attuarsi successivamente con fonte regionale, e' incostituzionale per violazione dell'art. 117, secondo, terzo e sesto comma, Cost.

VI. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 2, lettere a) e c-bis), del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, per violazione degli artt. 3, primo comma, 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., in quanto, disponendo una modifica dell'articolo 52-quinquies, del d.P.R. n. 327 del 2001, tale per cui risulta necessario procedere all'acquisizione dell'intesa con la singola Regione interessata solo per l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio delle «infrastrutture lineari energetiche» di cui al comma 2 del citato art. 52-quinquies, e non anche per «i gasdotti di approvvigionamento di gas dall'estero», per le «operazioni preparatorie necessarie alla redazione dei progetti» e per le relative «opere connesse», come aggiunti al suddetto comma 2 dalla censurata lett. a), lede le competenze legislative della Regione in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e di «governo del territorio», le competenze amministrative che alla medesima spettano in base al principio di sussidiarieta' ex art. 118, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con quanto affermato dalla sent. n. 303 del 2003 della Corte costituzionale, nonche' il principio di eguaglianza, a causa del diverso trattamento riservato a fattispecie del tutto sovrapponibili.

VI.1. - L'art. 37 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, al comma 2, introduce una serie di modifiche all'art. 52-quinquies, del d.P.R. n. 327 del 2001. In particolare, la lettera a) del citato comma 2 modifica il primo periodo del comma 2 dell'art. 52-quinquies, aggiungendo, dopo le parole «appartenenti alla rete nazionale dei gasdotti di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164,», le parole «per i gasdotti di approvvigionamento di gas dall'estero incluse le operazioni preparatorie necessarie alla redazione dei progetti e le relative opere connesse,», nonche', in fine allo stesso primo periodo, le parole «e dei piani di gestione e tutela del territorio comunque denominati».

L'art. 52-quinquies del d.P.R. n. 327 del 2001, dunque, prevede oggi che «per le infrastrutture lineari energetiche, individuate dall'Autorita' competente come appartenenti alla rete nazionale dei gasdotti di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, per i gasdotti di approvvigionamento di gas dall'estero, incluse le operazioni preparatorie necessarie alla redazione dei progetti e le relative opere connesse e per gli oleodotti facenti parte delle reti nazionali di trasporto, l'autorizzazione alla costruzione ed all'esercizio delle stesse, rilasciata dalla stessa amministrazione, comprende la dichiarazione di pubblica utilita' dell'opera, la valutazione di impatto ambientale, ove prevista dalla normativa vigente, ovvero la valutazione di incidenza naturalistico-ambientale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni in essa compresi e la variazione degli strumenti urbanistici e dei piani di gestione e tutela del territorio comunque denominati».

La lettera c-bis) della medesima disposizione del d.l. n. 133 del 2014, invece, modifica il comma 5 dell'art. 52-quinquies, aggiungendovi, in fine, le seguenti parole: «, previa acquisizione del parere degli enti locali ove ricadono le infrastrutture, da rendere entro trenta giorni dalla richiesta, decorsi i quali il parere si intende acquisito».

Nella versione attuale la disposizione in questione dispone dunque che «per le infrastrutture lineari energetiche di cui al comma 2, l'atto conclusivo del procedimento di cui al comma 2 e' adottato d'intesa con le Regioni interessate, previa acquisizione del parere degli enti locali ove ricadono le infrastrutture, da rendere entro trenta giorni dalla richiesta, decorsi i quali il parere si intende acquisito».

Alla luce di quanto illustrato, risulta dunque evidente che, mentre il comma 2 dell'art. 52-quinquies e' stato aggiornato, includendo tra le infrastrutture energetiche soggette all'autorizzazione disciplinata dalla medesima disposizione «i gasdotti di approvvigionamento di gas dall'estero, incluse le operazioni preparatorie necessarie alla redazione dei progetti e le relative opere connesse», il comma 5 del medesimo art. 52-quinquies continua a prevedere l'intesa con le Regioni interessate solo ed esclusivamente per l'autorizzazione relativa alle «infrastrutture energetiche lineari». Di conseguenza, in ordine «[a]i gasdotti di approvvigionamento di gas dall'estero, incluse le operazioni preparatorie necessarie alla redazione dei progetti e le relative opere connesse», aggiunti dalla contestata lett. a), non si prevede la necessaria acquisizione dell'intesa con la singola Regione interessata.

Tale assetto normativo e' incostituzionale, a causa della violazione degli artt. 3, primo comma, 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., per le seguenti ragioni.

VI.2. - Risulta evidente che le materie sulle quali interviene la disciplina che in questa sede si contesta sono quelle della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e del «governo del territorio», affidate dall'art. 117, terzo comma, Cost., alla competenza legislativa concorrente regionale nei limiti dei principi fondamentali posti dalla legge dello Stato.

Come e' noto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, gia' evocata piu' sopra in particolare ai parr. I.3 e I.4, perche' in tali ambiti materiali la legge dello Stato possa avocare al centro una funzione amministrativa e al contempo regolarne l'esercizio, rispettando altresi' i principi di sussidiarieta' ed adeguatezza, e' necessario che tale legge preveda che detta funzione venga esercitata dall'amministrazione statale sulla base di un accordo con la singola Regione interessata (sent. n. 303 del 3003, parr. 2.2 e par. 4.1 del Considerato in diritto). Tale arrêt e' stato successivamente ribadito dalla sent. n. 6 del 2004, secondo la quale «nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, piu' in generale, dei procedimenti legislativi - anche solo nei limiti di quanto previsto dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) - la legislazione statale di questo tipo «puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'» (sentenza n. 303 del 2003)». (par. 7 del Considerato in diritto; nello stesso senso, successivamente, si vedano le gia' richiamate sentenze nn. 383 del 2005, 121 e 278 del 2010, 33 e 165 del 2011, nonche' 39, 62 e 239 del 2013).

VI.3. - Ebbene, non vi e' chi non veda come la disciplina impugnata, in relazione ai «gasdotti di approvvigionamento di gas dall'estero», nonche' alle «operazioni preparatorie necessarie alla redazione dei progetti» e alle «relative opere connesse», non rispetti il requisito richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte ai fini di una legittima avocazione in sussidiarieta', da parte dello Stato, di funzioni legislative e amministrative ricadenti in materie di competenza concorrente, giacche' non prevede la necessita' di acquisire l'intesa con le Regioni interessate. Da qui il sicuro contrasto del combinato disposto delle lettere a) e c-bis) dell'art. 37, comma 2, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, con l'art. 117, terzo comma, Cost. (dal momento che si verte in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e di «governo del territorio»), e con l'art. 118, primo comma, Cost., cosi' come interpretati dalla questa Corte nelle decisioni piu' sopra menzionate.

VI.4. - Al profilo di illegittimita' costituzionale appena esposto se ne affianca un altro, derivante dal contrasto dell'art. 37, comma 2, lettere a) e c-bis), del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, con l'art. 3, primo comma, Cost., per violazione del principio di eguaglianza. Cio' in quanto l'assetto normativo sopra descritto e derivante dall'entrata in vigore di tali disposizioni finisce col prevedere un trattamento sensibilmente e gravemente diverso per fattispecie del tutto sovrapponibili.

In relazione alle infrastrutture lineari energetiche, infatti, la legge statale prevede correttamente la necessaria acquisizione dell'intesa con la Regione interessata, mentre, come si e' visto, cio' non accade per i gasdotti di approvvigionamento di gas dall'estero, incluse le operazioni preparatorie necessarie alla redazione dei progetti e le relative opere connesse. Da qui, anche da questo ulteriore punto di vista, l'illegittimita' costituzionale della norma impugnata nella parte in cui non prevede la necessaria acquisizione dell'intesa anche in tali circostanze.

VII. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., in quanto, attribuendo al Ministro dello sviluppo economico il compito di predisporre un «piano delle aree in cui sono consentite le attivita' di cui al comma 1», ossia le «attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale», senza prevedere la necessaria acquisizione dell'intesa con ciascuna Regione territorialmente interessata, lede le competenze legislative regionali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e di «governo del territorio», nonche' le competenze amministrative che alla medesima spettano in base al principio di sussidiarieta' ex art. 118, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con quanto affermato dalla sent. n. 303 del 2003 della Corte costituzionale.

VII.1. - L'art. 38, dopo aver previsto al comma 1 che «al fine di valorizzare le risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese, le attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilita', urgenti e indifferibili» e che «i relativi titoli abilitativi comprendono pertanto la dichiarazione di pubblica utilita', indifferibilita' ed urgenza dell'opera e l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni in essa compresi», al successivo comma 1-bis attribuisce al Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto e sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la predisposizione «di un piano delle aree in cui sono consentite le attivita' di cui al comma 1», senza prevedere alcun modulo collaborativo che coinvolga le Regioni interessate nell'ambito di tale attivita' di pianificazione.

Tale testo e' stato sostituito, successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione, ma prima della introduzione del presente giudizio, ad opera dell'art. 1, comma 554, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2015), entrato in vigore il 1° gennaio 2015. L'odierna ricorrente, dunque, si riserva le opportune valutazioni al fine di eventualmente presentare le proprie doglianze anche nei confronti del nuovo testo dell'art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, secondo le modalita' e nei tempi previsti dall'ordinamento vigente. Nella presente sede, tuttavia, ritiene comunque necessario denunciare i profili di illegittimita' costituzionale che minano la validita' del testo esitato dalla legge di conversione del d.l. n. 133 del 2014, dal momento che - sia pure per poco piu' di un mese e mezzo - tale testo normativo e' rimasto in vigore nell'ordinamento e, per le note ragioni inerenti la successione delle leggi nel tempo, esso ha regolato e continua a regolare i rapporti sorti durante il periodo della sua vigenza in termini che, come subito si vedra', risultano lesivi delle competenze legislative e amministrative regionali.

L'incostituzionalita' dell'art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, nel testo esitato dalla legge di conversione, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., e' di solare evidenza ove si considerino le ragioni che di seguito si espongono.

VII.2. - Le materie nell'ambito delle quali interviene la disposizione impugnata sono, evidentemente, quelle della «produzione, [del] trasporto e [della] distribuzione nazionale dell'energia», nonche' del «governo del territorio», affidate, come e' noto, alla competenza legislativa concorrente regionale entro i limiti dei principi fondamentali della legge dello Stato in base all'art. 117, terzo comma, Cost.

La gia' piu' volte citata sent. n. 303 del 2003 - seguita dalla sent. n. 6 del 2004, anch'essa piu' volte evocata nel presente atto - ha chiarito, al di la' di ogni possibile dubbio, quali sono le condizioni che la legge statale che intervenga ad avocare al centro funzioni amministrative in materie di competenza concorrente, provvedendo anche a regolarne l'esercizio, deve rigorosamente rispettare per poter superare il vaglio di legittimita' costituzionale: pena la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.

In particolare, per quel che qui piu' specificamente interessa, la sent. n. 303 del 2003 ha individuato come condizione assolutamente imprescindibile perche' le norme legislative statali di questo tipo possano aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale quella della necessarieta' della previsione dell'intesa con la singola Regione interessata dal singolo intervento. La successiva sent. n. 6 del 2004 - confermata dalla giurisprudenza successiva, del tutto uniforme al riguardo - ha ulteriormente precisato che «nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, piu' in generale, dei procedimenti legislativi - anche solo nei limiti di quanto previsto dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) - la legislazione statale di questo tipo "puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'" (sentenza n. 303 del 2003)» (par. 7 del Considerato in diritto). Nella disposizione contestata in questa sede, invece, la predisposizione del Piano delle aree in cui sono consentite le attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, e' attribuita al Ministro dello sviluppo economico, senza che sia prevista alcuna forma di partecipazione regionale.

VII.3. - Da tutto cio' consegue, dunque, che l'art. 38, comma 1-bis, non rispetta la condizione richiesta da questa Corte nella sent. n. 303 del 2003 e nelle numerose pronunce che, nel corso del tempo, hanno confermato, approfondito e precisato questa linea giurisprudenziale, ai fini di una legittima avocazione in sussidiarieta', da parte dello Stato, di funzioni legislative e amministrative ricadenti in materie di competenza legislativa concorrente (quali la «produzione, [il] trasporto e [la] distribuzione nazionale dell'energia» e il «governo del territorio» che vengono in rilievo nel caso di specie).

La disposizione citata, quindi, si pone in contrasto con l'art. 117, terzo comma, e con l'art. 118, primo comma, Cost., nella parte in cui non prevede l'acquisizione dell'intesa con ciascuna, delle Regioni specificamente interessate dalle «attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale».

VIII. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, per violazione dell'art. 120, secondo comma, Cost., in quanto, prevedendo che - decorso inutilmente il termine nel medesimo indicato per la conclusione, da parte della Regione, dei procedimenti di valutazione di impatto ambientale - quest'ultima trasmetta «la relativa documentazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per i seguiti istruttori di competenza, dandone notizia al Ministero dello sviluppo economico», predispone nella sostanza un meccanismo sostitutivo straordinario dello Stato nei confronti della Regione: a) che non rispetta le garanzie di collaborazione previste dalla citata disposizione costituzionale e dall'art. 8 della legge n. 131 del 2003; b) che e' destinato a concludersi senza un atto imputabile al Governo nel suo complesso, unico organo ad essere costituzionalmente legittimato a procedere alla sostituzione straordinaria.

VIII.1. - L'art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, prevede quanto segue: «Per i procedimenti di valutazione di impatto ambientale in corso presso le regioni alla data di entrata in vigore del presente decreto, relativi alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, la regione presso la quale e' stato avviato il procedimento conclude lo stesso entro il 31 marzo 2015. Decorso inutilmente tale termine, la regione trasmette la relativa documentazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per i seguiti istruttori di competenza, dandone notizia al Ministero dello sviluppo economico. I conseguenti oneri di spesa istruttori rimangono a carico delle societa' proponenti e sono versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere successivamente riassegnati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare».

Tale normativa e' incostituzionale, a causa della violazione dell'art. 120, secondo comma, Cost., per le ragioni di seguito precisate.

VIII.2. - L'incostituzionalita' della disposizione impugnata risulta palese solo che si consideri come essa disciplini, nella sostanza, un'ipotesi «piu' o meno mascherata» di attivazione dei poteri sostitutivi straordinari statali, analoghi a quelli previsti dall'art. 120, secondo comma, Cost., senza pero' rispettare le condizioni di legittimita' dell'esercizio di tali poteri imposte da tale norma costituzionale.

L'art. 120, secondo comma, Cost., infatti, per quel che e' qui di piu' specifico interesse, impone due condizioni per il legittimo esercizio del potere sostitutivo straordinario del Governo, pur ancorato alla sussistenza dei presupposti individuati dalla medesima disposizione.

A) Innanzi tutto, l'esercizio di tale potere deve essere imputabile al «Governo»: con cio' riferendosi esclusivamente all'organo nel suo complesso e non ai singoli organi di cui esso si compone.

B) L'art. 120, secondo comma, Cost., inoltre, quale condizione per l'esercizio in concreto del potere sostitutivo straordinario del Governo, prevede il «rispetto del principio di sussidiarieta' e del principio di leale collaborazione» secondo le procedure previste dalla legge.

Come e' noto, ambedue le condizioni per il legittimo esercizio del potere sostitutivo straordinario sono state attuate e sviluppate coerentemente dall'art. 8 della legge n. 131 del 2003, il cui comma 1 prevede che «nei casi e per le finalita' previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari»; che «decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario»; infine, che «alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento». Come si vede, la corretta attuazione della disposizione costituzionale concernente i poteri sostitutivi straordinari alloca la decisione fondamentale circa l'intervento sostitutivo al Consiglio dei ministri, e predispone un modulo collaborativo - che evidentemente potrebbe avere in astratto anche caratteristiche differenti da quello appena richiamato, ma dovrebbe comunque mantenerne intatti i principi ispiratori in grado di coinvolgere adeguatamente la Regione interessata dall'attivazione del potere sostitutivo del Governo.

VIII.3. - Alla luce delle predette considerazioni, e' necessario concludere per l'illegittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 4, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, in quanto tale norma si pone in evidente contrasto con il secondo comma dell'art. 120 Cost., prevedendo un meccanismo sostitutivo che e' destinato a concludersi senza un atto del Governo nel suo complesso e che non rispetta in alcun modo le garanzie di collaborazione richieste dalla richiamata disposizione costituzionale.

IX. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 6, lett. b), del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, nella parte in cui prevede che per il rilascio del titolo concessorio unico per le attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi di cui al precedente comma 5 sia necessario acquisire l'intesa della Regione interessata solo ove dette attivita' siano destinate a svolgersi nella terraferma e non anche nel mare continentale, per violazione degli artt. 3, primo comma, 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., in quanto lede le competenze legislative della Regione in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e di «governo del territorio», le competenze amministrative che alla medesima spettano in base al principio di sussidiarieta' ex art. 118, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con la sent. n. 303 del 2003 della Corte costituzionale, nonche' il principio di eguaglianza, in ragione del diverso trattamento riservato a fattispecie del tutto sovrapponibili.

IX.1. - L'art. 38, comma 5, prevede che «le attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, sono svolte a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base di un programma generale di lavori articolato in una prima fase di ricerca, per la durata di sei anni, prorogabile due volte per un periodo di tre anni nel caso sia necessario completare le opere di ricerca, a cui seguono, in caso di rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo economico, la fase di coltivazione della durata di trenta anni, prorogabile per una o piu' volte per un periodo di dieci anni ove siano stati adempiuti gli obblighi derivanti dal decreto di concessione e il giacimento risulti ancora coltivabile, e quella di ripristino finale». Tale titolo concessorio unico, a norma del successivo comma 6, lett. b), e' accordato «con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la regione o la provincia autonoma di Trento o di Bolzano territorialmente interessata, per le attivita' da svolgere in terraferma, sentite la Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie e le Sezioni territoriali dell'Ufficio nazionale minerario idrocarburi e georisorse».

In base a tale disciplina, dunque, nessun coinvolgimento delle Regioni specificamente interessate e' previsto laddove le predette attivita' debbano essere svolte nel mare continentale. Si tratta di una previsione costituzionalmente illegittima, a causa della violazione degli artt. 3, primo comma, 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., per le seguenti ragioni.

IX.2. - Risulta evidente che l'art. 38, comma 6, lett. b), del d.l. n. 133 del 2014, pone norme ricadenti nelle materie della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e del «governo del territorio», affidate dall'art. 117, terzo comma, Cost., alla competenza legislativa concorrente regionale entro il limite dei principi fondamentali stabiliti con legge dello Stato. Secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte a partire dalle sentenze nn. 303 del 2003 e 6 del 2004, piu' volte richiamate nel presente atto, in tali ambiti materiali la legge statale puo' avocare al centro una funzione amministrativa e dettarne la relativa disciplina - prescindendo dunque dal riparto «principi-dettaglio» - solo ove, per quel che qui e' di piu' prossimo interesse, predisponga per l'esercizio di detta funzione da parte dell'amministrazione statale «una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'» (cosi' la sent. n. 303 del 2003, par. 2.2 e par. 4.1 del Considerato in diritto). Cio' in quanto, secondo la pronuncia appena citata, al meccanismo di flessibilizzazione delle competenze legislative di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., ossia al principio di sussidiarieta', va ascritto un valore eminentemente procedimentale.

La norma impugnata, dunque, con riguardo alle attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi da svolgersi nel mare continentale, e' in contrasto sia con l'art. 117, terzo comma, che con l'art. 118, primo comma, Cost., in quanto non rispetta la condizione richiesta dalla giurisprudenza di questa Corte ai fini di una legittima avocazione in sussidiarieta', da parte dello Stato, di funzioni legislative e amministrative ricadenti in materie di competenza concorrente (quali la «produzione, [il] trasporto e [la] distribuzione nazionale dell'energia» e il «governo del territorio» che vengono in rilievo nel caso di specie), ovvero la previsione della necessita' di acquisire l'intesa con la singola Regione interessata.

IX.3. - L'art. 38, comma 6, lett. b), del d.l. n. 133 del 2014, nella parte in cui non prevede la necessaria acquisizione dell'intesa per le attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi da svolgersi nel mare continentale, viola anche il principio di uguaglianza sancito all'art. 3, primo comma, Cost., in quanto prevede un trattamento diverso per fattispecie del tutto sovrapponibili.

Come messo in evidenza piu' sopra, infatti, la necessarieta' dell'intesa della singola Regione o Provincia autonoma interessata e' prevista dalla norma che qui si censura ove le suddette attivita' debbano svolgersi in terraferma.

Le due ipotesi - attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi nel mare continentale, da un lato, ed in terraferma dall'altro - sono, per quel che qui interessa, prive di qualunque rilevante elemento di differenziazione, con conseguente violazione del divieto costituzionale di stabilire trattamenti irragionevolmente diversi di situazioni in tutto e per tutto assimilabili.

X. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, nella parte in cui prevede che, al fine di «tutelare le risorse nazionali di idrocarburi in mare localizzate nel mare continentale», il Ministero dello sviluppo economico possa autorizzare «per un periodo non superiore a cinque anni, progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti», previa acquisizione di un mero parere della Regione interessata anziche' dell'intesa con la medesima, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., in quanto lede le competenze legislative della Regione in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e in materia di «governo del territorio», nonche' le competenze amministrative che alla medesima spettano in base al principio di sussidiarieta' ex art. 118, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con la sent. n. 303 del 2003 della Corte costituzionale.

X.1. - L'art. 38, comma 10, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito in legge, introduce i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater nell'art. 8 del d.l. n. 112 del 2008. In particolare, il comma 1-bis, «al fine di tutelare le risorse nazionali di idrocarburi in mare localizzate nel mare continentale e in ambiti posti in prossimita' delle aree di altri Paesi rivieraschi oggetto di attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi, per assicurare il relativo gettito fiscale allo Stato e al fine di valorizzare e provare in campo l'utilizzo delle migliori tecnologie nello svolgimento dell'attivita' mineraria», prevede che «il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le Regioni interessate, puo' autorizzare, previo espletamento della procedura di valutazione di impatto ambientale che dimostri l'assenza di effetti di subsidenza dell'attivita' sulla costa, sull'equilibrio dell'ecosistema e sugli insediamenti antropici, per un periodo non superiore a cinque anni, progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti».

L'autorizzazione di progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti di idrocarburi in mare, dunque, e' rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa acquisizione di un mero parere delle Regioni interessate. Tale disciplina e' incostituzionale, a causa della violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., per i motivi di seguito precisati.

X.2. - La disposizione che qui si contesta, evidentemente, interviene nelle materie della «produzione, [del] trasporto e [della] distribuzione nazionale dell'energia», e del «governo del territorio», di competenza legislativa concorrente in base all'art. 117, terzo comma, Cost.

Come gia' piu' volte sottolineato nell'ambito del presente atto, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, in tali ambiti materiali la legge statale puo' avocare al centro una funzione amministrativa e dettarne la relativa disciplina - prescindendo dunque dal riparto «principi-dettaglio» - solo ove, per quel che qui e' di piu' prossimo interesse, predisponga per l'esercizio di detta funzione da parte dell'amministrazione statale «una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'» (cfr., ancora, sent. n. 303 del 2003, par. 2.2 e par. 4.1 del Considerato in diritto).

L'art. 38, comma 10, pertanto, si pone in contrasto sia con l'art. 117, terzo comma, Cost., sia con l'art. 118, primo comma, Cost., in quanto non rispetta la condizione richiesta dalla giurisprudenza di questa Corte ai fini di una legittima avocazione in sussidiarieta', da parte dello Stato, di funzioni legislative e amministrative ricadenti in materie di competenza concorrente, prevedendo la mera acquisizione di un parere da parte della Regione interessata, anziche' di una intesa con la medesima.

 

P. Q. M.

 

La Regione Puglia, come sopra rappresentata e difesa, chiede che questa Ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, dichiari l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1, commi 2, 4, 10-bis e 11; 17, comma 1, lett. b); 17-bis; 37, comma 2, lettere a) e c-bis); 38, commi 1-bis, 4, 6, lett. b), e 10, del d.l. 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive), come risultanti dalla conversione in legge, con modificazioni, tramite la legge n. 164 del 2014, nei limiti e nei termini sopra esposti.

Con ossequio.

Bari-Roma, 9 gennaio 2015

Avv. Vittorio Triggiani - Avv. Alfonso Papa malatesta