RICORSO N. 2 DEL 7 GENNAIO 2015 (DELLA REGIONE ABRUZZO)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 7 gennaio 2015.

(GU n. 6 del 11.2.2015)

 

Ricorso del Presidente della Giunta Regionale Regione Abruzzo (Codice fiscale n. 80003170661), in persona del suo Presidente pro tempore dott. Luciano D'Alfonso (Codice fiscale n. DLFLCN65T13E558N), giusta delibera della Giunta Regionale n. 861 del 16 dicembre 2014, rappresentato e difeso dall'Avvocato Manuela de Marzo (DMRMNL70C41C632R) (avvmanuelademarzo@cnfpec.it) dell' Avvocatura Regionale, ai sensi della LR n. 9 del 14 febbraio 2000 ed in virtu' di procura speciale a margine del presente atto, elettivamente domiciliato presso e nello studio dell'Avv. Francesca Lalli, in Roma, via Lucio Sestio, 12, Sc. C, Roma;

 

Contro

 

Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato.

Per la declaratoria della illegittimita' costituzionale degli artt. 37 e 38, decreto-legge 133/2014, quali risultanti dalla legge di conversione n. 164/2014, per contrasto con gli artt. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost., nonche' con l'art. 117, 1° comma, Cost. in relazione alla Direttiva 94/22/CE recepita in Italia con decreto legislativo n. 625/1996.

La proposizione del presente ricorso e' stata deliberata dalla Giunta Regionale dell'Abruzzo nella seduta del 16 dicembre 2014.

Il decreto-legge n. 133/2014 (recante «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive.») con legge n. 164 dell'11 novembre 2014, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 262 dell'11 novembre 2014, e' stato convertito in legge con modificazioni, tra l'altro, anche degli artt. 37 e 38 che dettano misure urgenti in materia di energia e che, nell'intento dichiarato dai promotori, dovrebbero rilanciare e valorizzare la produzione nazionale di idrocarburi, garantendone la sicurezza.

La normativa sopra richiamata esplica la sua efficacia sul territorio regionale della Regione Abruzzo in particolare in relazione ai procedimenti ad oggi in corso e relativi proprio alle attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi che interessano la medesima Regione Abruzzo.

Dette disposizioni presentano profili di illegittimita' costituzionale per i seguenti:

 

Motivi

 

Prima di entrare nel merito specifico delle censure, questa difesa ritiene necessario premettere una breve disamina dell'origine del testo normativo oggi impugnato.

In data 29 agosto 2014, il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto-legge n. 133/2014, recante «Disposizioni urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico, la ripresa delle attivita' produttive», entrato in vigore il 13 settembre 2014.

Gia' all'indomani dell'entrata in vigore del decreto cd. «sblocca Italia» le Regioni, ivi compreso l'Abruzzo, hanno manifestato al Governo, in sede di Conferenza Stato-Regioni, le criticita' del decreto medesimo e del relativo disegno di conversione come di seguito brevemente riassunto.

Il decreto-legge n. 133/2014, nell'introdurre misure urgenti in materia di energia, agli artt. 37 e 38 ha riconosciuto alle attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi ed a quelle di stoccaggio sotterraneo, la qualifica di interesse strategico, pubblica utilita', urgenza ed indifferibilita' volendo con cio' attrarre la materia nella competenza esclusiva statale sottraendola a quella concorrente cui invece indubbiamente spetta ex art. 117, 3° comma, Cost.

L'attribuzione del carattere «di interesse strategico», infatti, risultava assolutamente generica e carente della fissazione dei presupposti necessari ad individuarne specificamente l'ambito di applicazione.

Le denunciate disposizioni configuravano, in realta', una «chiamata in sussidiarieta'» (in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, riservata alla competenza legislativa concorrente) senza che a monte vi fosse stata l'imprescindibile intesa con le Regioni territorialmente interessate.

Ciononostante, il Governo ha proceduto all'approvazione della legge di conversione (n. 164/2014) senza tener in alcun conto le istanze manifestate in ordine agli articoli 37 e 38, che, pertanto, presentano ancora profili di illegittimita' costituzionale come di seguito motivato.

Preliminarmente si ribadisce che entrambi gli articoli censurati, introdotti nel panorama normativo con ricorso allo strumento del decreto-legge, oggi convertito in legge, appaiono scarsamente motivati sul piano della sussistenza dei presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza, richiamati in realta' con formulazioni apodittiche.

Al contrario, come ribadito da codesta Ecc.ma Corte (cfr. da ultimo sent. n. 220/2013), «i decreti-legge traggono la loro legittimazione generale da casi straordinari e sono destinati ad operare immediatamente, allo scopo di dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessita'. Per questo motivo, il legislatore ordinario, con una norma di portata generale, ha previsto che il decreto-legge debba contenere «misure di immediata applicazione» (art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 «Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri»)».

Tale ultima disposizione, pur non avendo, sul piano formale, rango costituzionale, esprime ed esplicita cio' che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012), che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo, in quanto recanti, com'e' nel caso di specie, discipline mirate alla individuazione di nuovi e definitivi meccanismi di distribuzione delle competenze, peraltro a Costituzione invariata.

Per altro verso, e' altresi' incontestabile che i tempi realmente necessari all'attivita' di ricerca delle fonti energetiche non si conciliano con un intervento dichiarato urgente.

1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 37, (Misure urgenti per l'approvvigionamento e il trasporto di gas naturale) decreto-legge n. 133/2014 quale risultante dalla legge di conversione n. 164/2014 per violazione degli artt. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost.. L'art. 37 cit. stabilisce che «i gasdotti di importazione di gas dall'estero, i terminali di rigassificazione di GNL, gli stoccaggi di gas naturale e le infrastrutture della rete nazionale di trasporto del gas naturale, incluse le operazioni preparatorie necessarie alla redazione dei progetti e le relative opere connesse rivestono carattere di interesse strategico e costituiscono una priorita' a carattere nazionale e sono di pubblica utilita', nonche' indifferibili e urgenti ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327», e che, per tale motivo, i relativi procedimenti saranno garantiti da una serie di semplificazioni ed incentivi.

Orbene, la Regione Abruzzo rileva in primo luogo che la suddetta materia, essendo attinente alle attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, va senza alcun dubbio ricompresa nell'ambito della legislazione concorrente e che, dunque, l'art. 37 cit. e' lesivo della sfera di competenza delle Regioni e, come tale, costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 117, 3° comma, Cost.

La norma in questione si pone in contrasto anche con l'art. 118, 1° comma, Cost., e con il principio di leale collaborazione, nella parte in cui, in materia appartenente alla competenza legislativa concorrente di Stato e Regioni, ha attribuito d'imperio a tutte le infrastrutture in questione la qualifica di opere di interesse strategico senza alcuna previa intesa con le Regioni interessate.

Non solo, ma l'assoluta genericita' della norma oggi censurata, rende addirittura impossibile definire quale sia l'esatta tipologia delle infrastrutture da autorizzare, cosi' come il mancato coinvolgimento delle amministrazioni regionali rende impossibile valutare il grado di impatto attuale e futuro sui territori oggetto delle attivita' in questione.

Essa, dunque, invece che aumentare la sicurezza di approvvigionamento (come dichiarato dai suoi promotori) avra' quale unica conseguenza quella di moltiplicare le infrastrutture in questione senza che venga effettuata a monte una doverosa valutazione (costituzionalmente di spettanza delle Regioni dei territori interessati) delle necessita' e priorita', come anche dell'impatto ambientale, sociale ed economico, di ciascuna opera.

La norma impugnata, inoltre, manca di una quantificazione specifica delle forme di retribuzione economica che l'Autorita' per l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico, puo' concedere, nonche' dell'indicazione, quantomeno, dell'intensita' dell'aiuto diretto alla ricerca nel sottosuolo di gas ed idrocarburi. Essa si limita a disporre che l'Autorita' per l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico, stabilisce meccanismi tariffari incentivanti gli investimenti per lo sviluppo di ulteriori prestazioni di punta effettuati a decorrere dal 2015, in tal modo impedendo finanche di verificare se cio' possa costituire o meno un aiuto di Stato agli operatori nazionali coinvolti. Infine, si rileva che le misure previste in materia di approvvigionamento energetico, attraverso energie rinnovabili, riduce significativamente e retroattivamente gli incentivi gia' previsti riducendo le possibilita' di avvantaggiarsi degli investimenti internazionali e limitando il governo del territorio da parte della Regione.

Da tutto quanto sopra esposto risulta evidente l'incostituzionalita' dell'art. 37, decreto-legge n. 133/2014, come convertito con legge n. 164/2014, per violazione degli artt. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost.

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 38, (Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali) decreto-legge n. 133/2014 quale risultante dalla legge di conversione n. 164/2014, per violazione degli artt. 117, 3° comma, nonche' 1° comma (in relazione alla Direttiva 94/22/CE recepita in Italia con decreto legislativo n. 625/1996) e 118, comma 1, Cost..

Anche l'art. 38 cit. merita le medesime censure di incostituzionalita' gia' motivate in relazione all'art. 37, in quanto attribuisce allo Stato, in via esclusiva, la potesta' autorizzatoria in materia appartenente alla competenza concorrente in violazione degli art. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost..

L'art. 117, comma 3, Cost., infatti, annovera la materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» tra le materie di legislazione concorrente, ripartendone la legislazione tra lo Stato, chiamato a stabilirne i principi fondamentali, e le Regioni chiamate a dettarne la concreta disciplina nel rispetto degli stessi principi.

Orbene, e' assolutamente incontestabile che nel suddetto ambito rientrano le attivita' del settore energetico oggetto dell'intervento normativo statale oggi censurato.

Al fine di dimostrare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 38 cit., questa difesa ritiene utile argomentare per singoli commi.

Comma 1: «Al fine di valorizzare le risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese, le attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilita', urgenti e indifferibili. I relativi titoli abilitativi comprendono pertanto la dichiarazione di pubblica utilita', indifferibilita' ed urgenza dell'opera e l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni in essa compresi, conformemente al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita'.».

La norma, nel qualificare le attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, come attivita' di interesse strategico, di pubblica utilita', urgenti e indifferibili, risulta illegittimamente generica e soprattutto priva di motivazione idonea a giustificare l'attribuzione del predetto status giuridico. In particolare, i requisiti dell'urgenza e dell'indifferibilita' degli interventi non possono per definizione essere stabiliti a priori, quindi in via generale ed astratta, ma richiedono una motivazione specifica, circoscritta caso per caso a ciascun singolo intervento, e connessa a circostanze o situazioni concrete e straordinarie, che mancano del tutto nel caso in esame.

Inoltre, l'attribuzione del carattere di «strategicita'» comporta l'applicazione alle attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nonche' di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, della seguente procedura semplificata ed accelerata di Valutazione di Impatto Ambientale:   la Commissione VIA esamina il progetto preliminare;   il CIPE valuta la compatibilita' ambientale (mentre le amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente e dei beni paesaggisti e culturali rendono solo un parere);   i cittadini e gli enti locali interessati possono presentare osservazioni sul progetto preliminare, nel termine tassativo di 30 giorni (ma non sono previste controdeduzioni alle medesime);   dopo l'eventuale giudizio positivo, reso dal CIPE sul progetto preliminare, il proponente sviluppa il progetto definitivo;   il progetto definitivo viene valutato semplicemente sotto il profilo dell'ottemperanza o meno alle prescrizioni gia' date in sede di esame di progetto preliminare (senza tener conto di tutti gli impatti che emergeranno, invece, solo in sede di progetto definitivo).

Prima di tale intervento normativo, al contrario, la procedura di VIA in materia di sfruttamento di risorse energetiche richiedeva:   la valutazione di impatto ambientale sul progetto definitivo;   la presentazione di osservazioni da parte di chiunque interessato al progetto entro 60 giorni;   la valutazione dei pareri forniti dalle P.A. e delle osservazioni dei cittadini;   la conclusione del procedimento da parte del Ministero dell'ambiente con emanazione di un provvedimento di VIA espresso, motivato e reso anche nell'ambito di una Conferenza di servizi. Da quanto sopra, risulta evidente che l'estensione delle procedure semplificate ed accelerate ad una larghissima ed imprecisata categoria di interventi, inibisce l'intervento delle Regioni nell'iter autorizzativo in questione, in violazione degli artt. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost..

Comma 1-bis: «Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attivita' di cui al comma 1.»   La norma autorizza il Ministro dello Sviluppo economico a predisporre un piano che individui le aree nelle quali consentire le attivita' in parola, senza, tuttavia, ne' coinvolgere le Regioni, ne' individuare i criteri da seguire nell'elaborazione del piano medesimo, il quale, potenzialmente, potrebbe riguardare tutto il territorio nazionale, violando cosi' le prerogative delle Regioni. Come chiarito infatti da codesta Ecc.ma Corte (cfr. sentenza n. 383/2005), in materia di «programmazione» energetica, e' assolutamente necessaria l'acquisizione di una intesa «in senso forte» da parte della Conferenza unificata.

Ne deriva che anche il comma 1 bis cit. si pone in contrasto con gli artt. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost., nonche' con il principio di leale collaborazione; esso, infatti, esclude del tutto le Regioni dalla programmazione delle reti infrastrutturali energetiche di interesse nazionale e dalla loro articolazione territoriale, benche' l'esercizio di tali funzioni incida sulle competenze regionali in materia di energia, nonche' di governo del territorio e tutela della salute.

Comma 4: «Per i procedimenti di valutazione di impatto ambientale in corso presso le regioni alla data di entrata in vigore del presente decreto, relativi alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, la regione presso la quale e' stato avviato il procedimento conclude lo stesso entro il 31 marzo 2015. Decorso inutilmente tale termine, la Regione trasmette la relativa documentazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per i seguiti istruttori di competenza, dandone notizia al Ministero dello sviluppo economico.

I conseguenti oneri di spesa istruttori rimangono a carico delle societa' proponenti e sono versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere successivamente riassegnati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.»   Gia' dalla semplice lettura del testo normativo, nonche' della relazione al disegno di legge di conversione (cfr. doc. 2), e' assolutamente agevole comprendere che la normativa in questione costituisce un'avocazione allo Stato, in materia di rilascio dei titoli abilitativi per la ricerca e produzione di idrocarburi, di competenza regionale, cosi' motivata: «l'attuale legislazione, frutto di una progressiva stratificazione normativa, ha condotto a un procedimento articolato e complesso, che conduce in molti casi al blocco dello stesso per mancanza di intese, e comunque alla conclusione in tempi molto lunghi, quasi il doppio di quelli degli altri Paesi OCSE.»   Per superare tali criticita', dunque, la norma oggetto di censure ha imposto un termine temporale secco (31 marzo 2015) entro il quale, in mancanza di conclusione dei procedimenti VIA in corso presso le Regioni (relativi alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi), il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di fatto avoca a se' la relativa attivita' istruttoria.

La norma, dunque, determinando un accentramento delle funzioni in materia di VIA in capo allo Stato, in assenza di un coinvolgimento della Regione quale soggetto attualmente titolare del procedimento (alla quale viene assegnato unicamente ed unilateralmente un termine, peraltro ristretto, per la conclusione dello stesso) si pone in contrasto con i principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione di cui all'art. 118, 1° comma, Cost., soprattutto alla luce del fatto che tale passaggio di funzioni si riferisce a procedimenti gia' in corso. Il legislatore statale pretende che procedimenti di VIA avviati dalle Regioni (sulla base di norme diverse per ogni amministrazione e che quindi prevedono modalita' diverse di svolgimento e di assunzione delle decisioni finali) abbiano a cessare «per decorrenza dei termini», passando automaticamente nelle mani del Ministero dell'ambiente e seguendo una procedura semplificata ed accelerata, senza nemmeno prevedere meccanismi transitori di esaurimento delle procedure in atto.

Alla luce di quanto sopra esposto, e' fuor di dubbio che anche tale disposizione concretizza un'ingerenza da parte dello Stato rispetto a compiti e funzioni che la Regione sta legittimamente esercitando, nel rispetto delle competenze costituzionalmente attribuite in materia, ed il cui risultato sara' (forse) quello di sbloccare i procedimenti in corso di autorizzazione, ma in violazione degli artt. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost..

Comma 5: «Le attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, sono svolte a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base di un programma generale di lavori articolato in una prima fase di ricerca, per la durata di sei anni, prorogabile due volte per un periodo di tre anni nel caso sia necessario completare le opere di ricerca, a cui seguono, in caso di rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo economico, la fase di coltivazione della durata di trenta anni, prorogabile per una o piu' volte per un periodo di dieci anni ove siano stati adempiuti gli obblighi derivanti dal decreto di concessione e il giacimento risulti ancora coltivabile, e quella di ripristino finale.»   Anche il su riportato comma, nell'introdurre un «titolo concessorio unico», per ricerca e coltivazione di idrocarburi, viene a porsi in contrasto con l'art. 117, 1° comma, Cost., in relazione alla Direttiva 94/22/CE (recepita in Italia con decreto legislativo n. 625/1996) in base alla quale, invece, i titoli abilitanti devono essere due: a) permesso di ricerca; b) concessione di coltivazione.

Tale distinzione, imposta dal diritto europeo, trova anche internamente il suo fondamento giuridico non solo nel dovere di rispettare i diversi regimi autorizzatori (perche' diverse sono le opere strumentali da realizzare, nonche' le aree su cui insistere, mare e terraferma) ma anche nel dovere di tutelare il diritto di proprieta' dei privati.

Con riferimento a quest'ultimo aspetto, infatti, l'art. 840 c.c. stabilisce che il proprietario del suolo e' anche proprietario dello spazio sovrastante e di tutto cio' che si trovi sopra e sotto la superficie. Il sottosuolo, quindi, appartiene al proprietario del fondo fino a quando il giacimento minerario non sia scoperto e ne sia dichiarata la coltivabilita'. Solo a partire da questo momento si ha l'acquisizione del giacimento al patrimonio indisponibile pubblico e solo successivamente il giacimento puo' essere dato in concessione. Da quanto detto risulta evidente, anche sotto tale profilo, la sostanziale diversita' tra il permesso di ricerca e la concessione di coltivazione e stoccaggio: il primo costituisce un limite al godimento della proprieta', la seconda costituisce nuove capacita', poteri e diritti che altrimenti non si avrebbero.

Orbene, poiche' il legislatore nazionale e' tenuto ex art. 117, 1° comma, Cost., a rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, la norma impugnata, che prevede un titolo autorizzatorio unico, risulta costituzionalmente illegittima in quanto contrastante con la previsione comunitaria (gia' recepita internamente), secondo la quale i titoli in questione devono scaturire da due distinti procedimenti.

Diversamente, la concessione di coltivazione verrebbe rilasciata ancor prima della scoperta del giacimento e, dunque, paradossalmente in carenza di una dimostrata utilita' generale. Non solo, ma essa dovrebbe contenere sin dalla fase della ricerca persino il vincolo preordinato all'esproprio.

Commi da 6 a 7: "Il titolo concessorio unico di cui al comma 5 e' accordato: a) a seguito di un procedimento unico svolto nel termine di centottanta giorni tramite apposita conferenza di servizi, nel cui ambito e' svolta anche la valutazione ambientale preliminare del programma complessivo dei lavori espressa, entro sessanta giorni, con parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA/VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; b) con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la regione o la provincia autonoma di Trento o di Bolzano territorialmente interessata, per le attivita' da svolgere in terraferma, sentite la Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie e le Sezioni territoriali dell'Ufficio nazionale minerario idrocarburi e georisorse; c) a soggetti che dispongono di capacita' tecnica, economica ed organizzativa ed offrono garanzie adeguate alla esecuzione e realizzazione dei programmi presentati e con sede sociale in Italia o in altri Stati membri dell'Unione europea e, a condizioni di reciprocita', a soggetti di altri Paesi.

Il rilascio del titolo concessorio unico ai medesimi soggetti e' subordinato alla presentazione di idonee fideiussioni bancarie o assicurative commisurate al valore delle opere di recupero ambientale previste." "I progetti di opere e di interventi relativi alle attivita' di ricerca e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi relativi a un titolo concessorio unico di cui al comma 5 sono sottoposti a valutazione di impatto ambientale nel rispetto della normativa dell'Unione europea. La valutazione di impatto ambientale e' effettuata secondo le modalita' e le competenze previste dalla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni." "Il rilascio di nuove autorizzazioni per la ricerca e per la coltivazione di idrocarburi e' vincolato a una verifica sull'esistenza di tutte le garanzie economiche da parte della societa' richiedente, per coprire i costi di un eventuale incidente durante le attivita', commisurati a quelli derivanti dal piu' grave incidente nei diversi scenari ipotizzati in fase di studio ed analisi dei rischi." "Con disciplinare tipo, adottato con decreto del Ministero dello sviluppo economico, sono stabilite, entro centoottanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, le modalita' di conferimento del titolo concessorio unico di cui al comma 5, nonche' le modalita' di esercizio delle relative attivita' ai sensi del presente articolo."   Le disposizioni da ultimo trascritte disciplinano il procedimento amministrativo per il rilascio del "titolo concessorio unico".

Al riguardo si evidenzia la totale estromissione, dai procedimenti autorizzativi riguardanti le attivita' offshore, degli Enti locali, la cui partecipazione era invece diritto riconosciuto dalla legge n. 239/2004, sebbene nei limiti di cui alla successiva legge n. 99/2009.

Oltre all'esclusione degli enti locali, nella su riportata normativa risulta evidente anche la marginalizzazione delle Regioni che vengono ivi considerate alla stregua di tutte le amministrazioni che concorrono al processo decisionale.

Anche in tal caso, dunque, e' incontestabile l'illegittimita' della norma per violazione delle competenze attribuite alle Regioni dagli artt. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost., che, come gia' detto, in materia di energia presuppongono la necessita' di "intese forti" nel rispetto del principio di leale collaborazione.

Nel dettato normativo oggi censurato, infatti, non e' previsto che la previa intesa con la regione territorialmente interessata avvenga in sede di Conferenza di servizi, ne' che la sua mancanza abbia alcuna conseguenza giuridica; la' dove l'intesa forte con la Regione si rende invece necessaria proprio al fine di compensare la perdita di competenza avvenuta a seguito della sua attrazione in capo allo Stato. La stessa giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte (cfr. sent. n. 383/2005) in materia energetica, ricorda che tali intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimita' costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la "chiamata in sussidiarieta'" di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale e che, in questi casi, la volonta' della Regione interessata non puo' essere sostituita da una determinazione unilaterale dello Stato. (cfr. anche le sentenze n. 482/1991 e n. 383/2005, secondo cui la Regione ha diritto di partecipare alle decisioni assunte in sede statale con l'intesa, la cui mancanza potrebbe provocare un conflitto di attribuzione).

Le disposizioni normative statali da ultimo richiamate, costituiscono altresi' un uso improprio delle valutazioni ambientali, poiche' confondono la valutazione ambientale di un programma di ricerca (legato alla realizzazione di un singolo progetto, come tale sottoposto a VIA), con un piano/programma che riguarda un intero settore o categoria di interventi, quali quelli energetici (da sottoporre invece a VAS, ai sensi della Direttiva 2001/42/CE e degli artt. 5, commi 1 e 6, D.Lgs. n. 152/2006).

Ne consegue che la cd. Strategia Energetica Nazionale, di cui alle norme impugnate, non e' sottoposta a VAS, mentre vi si sottopone il singolo e specifico progetto di ricerca, dimenticando che nel corso della ricerca si svolgono anche attivita' con impatto ambientale, da sottoporre, invece, a VIA.

A questo ultimo proposito si rileva che il T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. I, (sentenze nn. 1295, 1296 e 1341 del 13-14 luglio 2011) in fattispecie identiche a quella in esame (tre distinte ma contigue aree di permesso per la ricerca in mare di idrocarburi con la tecnica dell'Air Gun), ha affermato che "quando l'intervento progettato, pur essendo suddiviso in singole frazioni anche al solo fine di soddisfare esigenze di snellezza procedimentale dell'impresa, appare riconducibile ad un unico programma imprenditoriale, la conseguenza che si registra sul terreno del doveroso assoggettamento a VIA e' senz'altro quella di una analisi che tenga conto necessariamente dei cd impatti cumulativi".

Comma 8: "I commi 5, 6 e 6-bis si applicano, su istanza del titolare o del richiedente, da presentare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, anche ai titoli rilasciati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e ai procedimenti in corso. Il comma 4 si applica fatta salva l'opzione, da parte dell'istante, di proseguimento del procedimento di valutazione di impatto ambientale presso la regione, da esercitare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto."   La norma estende le disposizioni inerenti il titolo concessorio unico, ed il relativo procedimento, anche ai titoli rilasciati successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006 ed ai procedimenti in corso.

Valgano, al riguardo, le medesime considerazioni espresse con riferimento al comma 4.

Comma 10: "All'articolo 8 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:   "1-bis. Al fine di tutelare le risorse nazionali di idrocarburi in mare localizzate nel mare continentale e in ambiti posti in prossimita' delle aree di altri Paesi rivieraschi oggetto di attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi, per assicurare il relativo gettito fiscale allo Stato e al fine di valorizzare e provare in campo l'utilizzo delle migliori tecnologie nello svolgimento dell'attivita' mineraria, il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le Regioni interessate, puo' autorizzare, previo espletamento della procedura di valutazione di impatto ambientale che dimostri l'assenza di effetti di subsidenza dell'attivita' sulla costa, sull'equilibrio dell'ecosistema e sugli insediamenti antropici, per un periodo non superiore a cinque anni, progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti. I progetti sono corredati sia da un'analisi tecnico-scientifica che dimostri l'assenza di effetti di subsidenza dell'attivita' sulla costa, sull'equilibrio dell'ecosistema e sugli insediamenti antropici e sia dai relativi progetti e programmi dettagliati di monitoraggio e verifica, da condurre sotto il controllo del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Ove nel corso delle attivita' di verifica vengano accertati fenomeni di subsidenza sulla costa determinati dall'attivita', il programma dei lavori e' interrotto e l'autorizzazione alla sperimentazione decade. Qualora al termine del periodo di validita' dell'autorizzazione venga accertato che l'attivita' e' stata condotta senza effetti di subsidenza dell'attivita' sulla costa, nonche' sull'equilibrio dell'ecosistema e sugli insediamenti antropici, il periodo di sperimentazione puo' essere prorogato per ulteriori cinque anni, applicando le medesime procedure di controllo.

1-ter. Nel caso di attivita' di cui al comma 1-bis, ai territori costieri si applica quanto previsto dall'articolo 1, comma 5, della legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni.

1-quater. All'articolo 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239, e successive modificazioni, dopo le parole: "Le regioni" sono inserite le seguenti: ", gli enti pubblici territoriali"."   La norma stabilisce che in relazione a determinate "risorse nazionali di idrocarburi" il Ministero dello Sviluppo Economico, sentite le regioni interessate, puo' autorizzare progetti "sperimentali" di coltivazione di giacimenti di idrocarburi.

Anche tale disposizione e' costituzionalmente illegittima poiche' comporta una deroga al divieto (ex art. 6, comma 17, D.Lgs. n. 152/2006) di esercizio di nuove attivita' in mare, che ricadano entro le 12 miglia marine dalla costa, senza che sia prevista la necessaria partecipazione regionale cd. "forte" vertendosi in materia di legislazione concorrente.

Piu' in particolare, con il comma 10 cit. il legislatore statale ha trasformato gli studi relativi alla verifica del mantenimento del divieto delle attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione in Alto Adriatico (imposto dall'art. 8, legge n. 112/2008, per il rischio di subsidenza) in "progetti sperimentali di coltivazione", con rilevanti ripercussioni ambientali.

Per meglio comprendere quanto sopra affermato, si ritiene opportuno riportare il testo dell'art. 8, comma 1, cit.: "Il divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle acque del golfo di Venezia, di cui all'articolo 4 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, come modificata dall'articolo 26 della legge 31 luglio 2002, n. 179, si applica fino a quando il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente, del territorio e del mare, non abbia definitivamente accertato la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste, sulla base di nuovi e aggiornati studi, che dovranno essere presentati dai titolari di permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione, utilizzando i metodi di valutazione piu' conservativi e prevedendo l'uso delle migliori tecnologie disponibili per la coltivazione."   Se ne deduce che: mentre sinora le attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nell'Alto Adriatico facevano capo al solo Ministero dell'Ambiente (cosi' da subordinarle alla mancanza di rischi di subsidenza), con l'introduzione dei "progetti sperimentali" quelle stesse attivita', giustificatamente interdette per motivi ambientali e di protezione civile, vengono ora ad essere subordinate anche al parere del Ministero dello Sviluppo Economico e, dunque, al fine economico e produttivo.

Ne risulta evidente la soggezione della tutela dell'ambiente all'esigenza di riprendere le attivita' di produzione, che erano state interrotte nel 2002 nel rispetto del principio di precauzione.

E tutto questo nonostante le evidenze del fenomeno: secondo i dati dell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale il litorale ravennate (dove e' presente un'intensa attivita' estrattiva offshore), presenta abbassamenti generalmente fino a circa 5 mm/anno, con alcune aree piu' critiche, come l'area costiera compresa tra il Lido Adriano e la foce del Bevano che presenta una depressione piu' importante, facendo registrare un abbassamento pari a 20 mm/anno in corrispondenza della foce dei Fiumi Uniti.

Il comma 10 cit., infine, pone anche un rilevante dubbio interpretativo: l'espresso riferimento alle "risorse nazionali" e, allo stesso tempo, agli "altri Paesi rivieraschi" (invece che alle "aree di cui al comma 1 del presente articolo") consente di ritenere che essa sia riferita non solo all'Alto Adriatico ma anche ad altre aree, ad esempio al Canale di Sicilia?

 

Conclusioni

 

Da tutto quanto esposto, risulta incontestabile che tutta la normativa impugnata contiene una chiamata in sussidiarieta' e che, per essere costituzionalmente legittima, avrebbe dovuto rispettare il principio di leale collaborazione.

Orbene, detto principio impone il rispetto di una procedura articolata, a struttura necessariamente bilaterale, tale da assicurare lo svolgimento di reiterate trattative e non superabile con decisione unilaterale di una delle parti.

Applicato al caso di specie, il principio di leale collaborazione impone che il Piano Energetico Nazionale venga predisposto per il tramite di un'azione programmata e condivisa coi territori.

Al contrario, gli artt. 37 e 38 impugnati, privi di riferimenti a quella procedura articolata che sola garantirebbe la richiesta condivisione, contrastano irrimediabilmente con l'attuale assetto costituzionale di competenze tra Stato e Regioni.

Inoltre, l'avocazione sussidiaria da parte dello Stato di competenze concernenti l'individuazione e la realizzazione degli interventi in materia di produzione, trasmissione e distribuzione dell'energia, ai sensi dell'art. 118, 1° comma, Cost., e' legittima solo ove scaturente da un imprescindibile giudizio positivo sulla proporzionalita' degli interventi stessi (cfr. C. Cost. sent. n. 165/2011).

Le disposizioni impugnate, invece, si sono limitate a qualificare come di "natura strategica" gli interventi in questione; ma cio' non soddisfa affatto il principio di proporzionalita', essendo all'uopo necessario e sufficiente che l'intervento statale garantisca una realizzazione unitaria e coordinata degli interventi medesimi.

In altri termini, se da una parte la natura "strategica" legittima uno spostamento di competenze, e dunque una chiamata in sussidiarieta', dall'altra, essa da sola non legittima l'adozione di un atto unilaterale dello Stato (cfr. C. Cost. sent. n. 117/2013).

Conferma la tesi di questa difesa il ragionamento giuridico seguito in una recente sentenza (n. 239/2013) da codesta Ecc.ma Corte in altro giudizio costituzionale avente ad oggetto l'asserita illegittimita' di una norma statale con riferimento all'art. 117, 3° comma, Cost., ed al principio di leale collaborazione (art. 118 Cost., 1° comma).

In quel caso la norma censurata era l'art. 38, comma 1, d.l. n. 83/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134/2012, nella parte in cui dispone: «... nel caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui ai commi 7 e 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta giorni dalla richiesta nonche' nel caso di mancata definizione dell'intesa ... il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali interessate, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale, entro sessanta giorni dalla rimessione, provvede in merito con la partecipazione della regione interessata...».

Orbene, in quell'ipotesi codesta Ecc.ma Corte ebbe a rigettare la questione di legittimita', proposta dalla Regione Basilicata, sulla base della circostanza che la norma impugnata mirava a superare quelle forme di inerzia che danno luogo ad ingiustificate stasi del procedimento.

Nella motivazione della sentenza si legge che la norma impugnata non meritava la censura di incostituzionalita' in quanto facente riferimento "... al caso di «mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa comunque denominati», al caso «di mancata definizione dell'intesa» e ai casi «di mancato rispetto da parte delle amministrazioni regionali dei termini per l'espressione dei pareri o per l'emanazione degli atti di propria competenza». Dinanzi a queste fattispecie, gia' concretanti di per se' forme di inerzia delle amministrazioni regionali, il legislatore statale, solo in caso di «ulteriore inerzia» delle amministrazioni stesse, a seguito dell'invito rivolto alle medesime di provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni, prevede la rimessione degli atti alla Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale decide in merito con la partecipazione della Regione interessata."   In quel caso, dunque, codesta Ecc.ma Corte non ritenne la norma incostituzionale solo in quanto la medesima contiene procedure idonee a consentire le "reiterate trattative" assolutamente necessarie a superare le divergenze.

Al contrario, le norme oggi censurate non prevedono alcun sollecito nei confronti delle Regioni, prima di addivenire all'avocazione delle competenze in favore dello Stato, ne' altre procedure di reiterazione delle trattative, ne', infine, la partecipazione della Regione alle fasi preparatorie del provvedimento statale (cfr. Corte Cost. sentenze n. 165 e n. 33 del 2011). Esse si limitano a prevedere l'intervento del Ministero come mera conseguenza automatica della mancata conclusione del relativo procedimento in un termine fisso, con sacrificio della sfera di competenza costituzionalmente attribuita alla Regione e violazione, per l'effetto, del principio di leale collaborazione.

Ne consegue, seguendo il richiamato ragionamento giuridico di codesta Ecc.ma Corte, secondo cui le parti hanno l'onere di sostenere un dialogo e di tenere un comportamento collaborativo, l'illegittimita' costituzionale delle norme impugnate.

Infine, si ritiene utile, riassumere le conseguenze negative delle norme impugnate dal punto di vista piu' strettamente tecnico.

In tale ottica, le disposizioni impugnate:   a) consentono di applicare le procedure semplificate ed accelerate, proprie delle infrastrutture strategiche di cui al D.Lgs. n. 163/2006, ad una intera categoria di interventi senza che ne sia stata individuata alcuna priorita' reale;   b) rischiano che i benefici economici che il Governo ritiene di poter trarre dalla semplificazione delle procedure autorizzative siano frustrati dalla mancanza di verifica della sostenibilita' dell'impatto delle attivita' di prospezione, ricerca, coltivazione e stoccaggio delle risorse energetiche nazionali, sui territori sui quali vanno ad insistere;   c) trasferiscono d'autorita' le VIA sulle attivita' a terra dalle Regioni al Ministero dell'Ambiente senza neanche tenere conto della necessita' di esaurire le procedure in corso presso l'amministrazione che le ha avviate e violando le disposizioni costituzionali, artt. 117, 3° comma, e 118, in materia di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni;   d) subordinano il rischio subsidenza in Adriatico ad un incerto profitto economico;   e) costituiscono una distorsione rispetto alla tutela estesa dell'ambiente e della biodiversita' rispetto a quanto disposto dalla Direttiva Offshore 2013/13/UE;   f) non rispettano l'attenzione dedicata alla tutela della biodiversita', nonche' al ruolo delle Regioni e degli enti locali, dalla nuova Direttiva 2014/52/UE sulla Valutazione di Impatto Ambientale.

 

P.Q.M.

 

Si chiede che codesta Ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 37 e 38, DL 133/2014, quali risultanti dalla legge di conversione n. 164/2014, per contrasto con gli artt. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost., nonche' con l'art. 117, 1° comma, Cost., in relazione alla Direttiva 94/22/CE recepita in Italia con D.lgs n. 625/1996.

Si depositano:   1) delibera di Giunta Regione Abruzzo n. 861/2014;   2) estratto relazione al disegno di legge di conversione n. 164/2014.

Roma, 19 dicembre 2014

Avv. Manuela de Marzo