Parere del Presidente emerito della Corte Costituzionale
Prof. Aldo CORASANITI
Il presente parere, richiesto dal Presidente del
Consiglio regionale della Regione Calabria
con nota del 6 ottobre 2003, concerne le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Governo della
Repubblica, mediante atto notificato il 5 settembre 2003, nei confronti della
Regione Calabria in ordine allo Statuto approvato dal Consiglio regionale il 31 luglio 2003, con
riguardo agli artt. 3, 38 comma 1°,
lettere a) ed e ); 34 e 43 comma 2; 50 comma 5 e 51.
I
Con la prima questione si denuncia la violazione,
da parte dell'art. 33 dello Statuto della Regione
Calabria, degli artt. 122 e 126 Cost. in quanto la norma statutaria
impugnata, pur avendo prescelto la forma di governo caratterizzata dall'elezione del Presidente della Giunta regionale
a suffragio universale e diretto ai sensi
del comma 3 dell'art. 122 Cost. (come modificato dalla L.cost.
22 novembre 1999 n. 1), si sarebbe
discostata dal precetto espresso con il comma 5 dell'art. 126 Cost. (come sopra modificato), in quanto ha
disposto che, nei casi di incompatibilità sopravvenuta, rimozione, impedimento permanente o morte del Presidente
della Giunta o di dimissioni dello
stesso non conseguenti all'approvazione di una mozione di sfiducia (art. 37, comma 2) o al voto negativo
su una questione di fiducia da esso posta (art. 37, comma 3), al Presidente subentri
nella carica il Vice-Presidente, votato contestualmente al primo. Laddove per
il verificarsi delle eventualità suindicate, in relazione alla elezione a suffragio universale e diretto
del Presidente, il richiamato precetto
costituzionale prescriverebbe inderogabilmente (in
rigorosa applicazione del principio simul stabunt, simul cadent), lo scioglimento della Giunta e del Consiglio regionale.
Al riguardo si osserva quanto segue:
A) Anche se la forma
di governo prescelta dallo Statuto della Regione Calabria fosse quella caratterizzata dalla
elezione del Presidente della Giunta a suffragio universale e diretto, non per questo la norma
impugnata sarebbe in contrasto con il comma 3 dell'art. 126 Cost. (come sopra
modificato).
Invero la tesi del Governo poggia sul presupposto,
condiviso da alcuni Autori, che
mediante il combinato disposto degli artt. 123 e 126
Cost. (come sopra modificati) la Legge
cost. n. 1 del 1999 abbia imposto al legislatore statutario, con un
corpo organico di norme inderogabili, un modello di
forma di governo, (quello c.d. "di
legislatura", simile per alcuni aspetti al modello presidenziale)
lasciandogli, in alternativa secca,
la sola opzione per la "tradizionale" forma di governo di tipo parlamentare.
Si
dimentica, quando si muove dal presupposto suindicato,
che il legislatore non segue né impone
(neppure come legislatore costituzionale) modelli precostituiti, ma, nella misura in cui riesce a farlo, risponde a istanze e soddisfa esigenze, avvalendosi anche di
strumenti collaudati, ma adeguandoli alla realtà con la quale è chiamato a confrontarsi.
Ciò
posto, può e deve riconoscersi che le istanze cui la L. cost. n. 1 del 1999 si mostra principalmente sensibile sono quelle,
strettamente connesse e interdipendenti, di governabilità e di stabilità governativa. In particolare alla prima
delle istanze la detta legge costituzionale risponde incrementando la legittimazione e
l'autorevolezza, nonché i poteri e le
responsabilità, del Presidente della Giunta regionale, e così: a) prescrivendo che il Presidente stesso (comunque
nominato o eletto), diriga la politica della
Giunta e ne sia responsabile (art. 121 Cost. come sopra modificato); b) additando (sulla base di un'esperienza maturata in
materia di governo negli enti minori)
quale ipotesi preferibile, tanto da valere se lo Statuto non disponga diversamente, la scelta (popolare) del Presidente
della Giunta regionale mediante elezione
a suffragio universale e diretto; c) stabilendo che sia lo stesso Presidente,
se in tal modo eletto, a nominare e a
revocare i componenti la Giunta (art. 122 Cost. come sopra modificato).
Il favor così espresso
per la governabilità non è assoluto, giacché anche nei confronti del
Presidente dalla Giunta eletto a suffragio universale
e diretto è prevista, al fine di sottoporre l'esercizio dei suoi poteri al
controllo del Consiglio regionale, la mozione
di sfiducia a opera di quest'ultimo, sia pure a
condizioni aggravate di iniziativa e procedimentali, il cui concorso è richiesto peraltro anche
nel caso di
Presidente
non eletto
a suffragio universale e diretto (comma 2 sull'art. 126 Cost., come sopra
modificato).
Qualora la mozione di sfiducia si appunti contro
il Presidente eletto a suffragio universale
e diretto, la sua approvazione ha efficacia caducatoria
dell'intero governo regionale, in quanto importa le dimissioni del Presidente della Giunta
e di quest'ultima: previsione, codesta, che sposterebbe a
favore del Consiglio regionale il punto
di equilibrio fra i rispettivi poteri di questo e della Giunta. A ricomporre l'equilibrio - ma soprattutto a soddisfare l'esigenza di stabilità governativa, che quì viene direttamente in gioco - si prevede, con misura disincentivante la mozione
di sfiducia, che con la Giunta cada il Consiglio (comma 3 dell'art. 16 Cost. come sopra modificato): si adotta, cioè, quel rimedio noto
come il principio simul stabunt simul cadent, che
la Corte costituzionale, con la sentenza n. 304 del 2002, considera come strumento diretto a garantire la stabilità
dell'esecutivo, in quanto, parificando nell'effetto di caducazione
dell'intero apparato regionale l'approvazione della mozione di sfiducia e le dimissioni della maggioranza
dei componenti il Consiglio regionale,
mette quest'ultimo nella necessità, se vuole porre fine alla durata
della Giunta, di porre fine alla
propria durata.
Una
siffatta normativa, che si prende a
cuore da un lato la governabilità e la stabilità
governativa e dall'altro la controllabilità da parte del Consiglio regionale
dell'esercizio del potere di governo, non può ritenersi, proprio per la
molteplicità e varietà delle opzioni che lascia al
legislatore statutario, una gabbia predisposta al fine di vincolare, mediante
un corpo graniticamente compatto di norme tutte inderogabili anche nel dettaglio, il detto legislatore (non può
condividersi la definizione data in dottrina
all'autonomia statutaria regionale come sopra riconosciuta quale libertà vincolata o condizionata). E del resto a una simile interpretazione del dettato costituzionale si
opporrebbe il contestuale, solenne riconoscimento alle Regioni (mediante il comma 1 dell'art. 123 come sopra
modificato), dell'autonomia statutaria la
più ampia quanto alla determinazione della “forma di governo" della
Regione e dei "principi
fondamentali" della sua "organizzazione" e del suo
"funzionamento", salvo soltanto l'essere tale determinazione in “armonia”
con la Costituzione.
La detta normativa di revisione costituzionale appare piuttosto come un insieme di
tasselli inseriti in un contesto fortemente incrementativo
dell'autonomia regionale mediante
l'attribuzione alla Regione dell'autonomia statutaria, per opporre a quest'ultima, in vista di esigenze (anche di equilibrio
fra poteri all'interno dell'organizzazione regionale) paletti contenitori e
soglie minimali. Funzione, codesta, della disciplina costituzionale in
argomento, che induce a ritenere i relativi precetti non già “inderogabili tour
court, bensì “'inderogabili in peius" (secondo
una tecnica collaudata in altri
settori del diritto: si pensi, mutatis
mutandis, all'inderogabilità in pejus" in tema di rapporti fra contratti collettivi e
contratti individuali di lavoro e all' “equivalenza" in tema di rapporti fra diritto
comunitario e diritto nazionale), vale
a dire derogabili, da parte del legislatore statutario, con misure aventi almeno pari efficacia sattisfattiva
o non pregiudicante rispetto alle esigenze privilegiate dal legislatore costituzionale.
Se
così è, non si scorge come possa contrastare con la cennata
normativa costituzionale quella statutaria ora impugnata in quanto, adottando una forma di governo mista (cioè risultante dalla combinazione di elementi riconducibili
a vari modelli di forma di governo, e
particolarmente a quello di "legislatura" e a quello parlamentare):
a) prescrive che siano "votati contestualmente" agli altri candidati
a comporre il Consiglio regionale
"i candidati alla carica di Presidente e di Vice Presidente della
Giunta", e nominati medesimi, “sulla base dell'investitura popolare", dal
Consiglio stesso con approvazione della “mozione sul programma di governo"
da essi congiuntamente presentata, comminando, per il caso di mancata nomina,
lo scioglimento del Consiglio; b) prevede che il Vice-Presidente subentri al Presidente (ma soltanto) qualora si verifichino
eventi riguardanti la persona di quest'ultimo e pertanto non idonei a incidere sul programma come sopra
approvato e sullo svolgimento del
rapporto fra Consiglio ed esecutivo regionali in ordine all'attuazione del
programma stesso e per di più previa conferma del nuovo Presidente da parte del Consiglio comminando, in
caso di mancata conferma, lo scioglimento sia della Giunta che dello
stesso Consiglio (art. 33, comma 5, in relazione all’ art. 33, commi 1 e 2, e all'art. 37,
commi 2 e 3 dello Statuto). Ché anzi appare
chiaro come l'impugnata previsione statutaria sia del tutto conforme allo spirito della normativa costituzionale asseritamente violata in quanto realizza pienamente la garanzia di governabilità e di stabilità governativa perseguita dalla detta normativa (in una con quella del controllo
da parte del Consiglio regionale sull'esercizio
dei poteri dell'esecutivo), con il prescrivere che la sostituzione del Presidente con il Vice Presidente (peraltro, ripetesi, in casi estranei al rapporto fra esecutivo regionale e Consiglio regionale e previa
conferma da parte di quest'ultimo del sostituto) abbia luogo fra due soggetti
contestualmente designati dagli elettori e contestualmente nominati dal Consiglio regionale quali espressioni della
medesima coalizione di governo e
quali portatori dello stesso programma di governo.
Opinare
il contrario importerebbe, come in dottrina è stato sagacemente osservato, adottare una concezione esclusivamente
"personalistica" della stabilità governativa quasi che questa fosse legata soltanto
alla persona del Presidente e al suo carisma, anziché alla consistenza e
coesione della coalizione di governo e alla bontà del programma di governo, che sono invece, in una
matura democrazia governante, le ragioni
sostanziali cui si raccomanda la stabilità governativa.
Né può trarsi argomento
contrario a tali conclusioni dalla dichiarazione di illegittimità
costituzionale pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 304 del 2002 in ordine a una deliberazione
statutaria della Regione Marche. A parte che tale deliberazione diversificava nel contenuto dalla normativa statutaria della
Regione Calabria ora impugnata, in quanto prevedeva la sostituzione automatica
del Vice Presidente al Presidente, l'
illegittimità costituzionale fu allora dichiarata rispetto a una disciplina
transitoria, qual'era quella allora impugnata, per
difformità dalla normativa
transitoria dettata con l’art. 5 della legge di revisione costituzionale n. 1
del 1999, laddove qui si tratta di una disciplina statutaria "a
regime" impugnata per asserita
violazione degli artt. 122 e 126 Cost., come modificati con la detta legge di revisione costituzionale. E va soggiunto che il
rigore mostrato allora dalla Corte nell'escludere
che la normativa transitoria adottata dalla Regione Marche, in
quanto incorreva in violazione
puntuale del testo del richiamato articolo 5 della legge di revisione, potesse considerarsi ciononostante
"in armonia" con la Costituzione, ai sensi dell'art. 123, comma 1°
come modificato dall'art. 3 della legge di revisione costituzionale, trova
spiegazione nella particolare vincolatività e stringenza della disciplina
dettata con il richiamato art. 5, derivante
sia dal suo carattere di normativa transitoria, che dal suo oggetto e dalla
puntualità del suo contenuto.
B)
La denunziata illegittimità costituzionale per asserita inosservanza del principio simul stabunt simul cadent comunque non ricorre, perché in realtà manca il presupposto richiesto dall'art. 126 Cost., come sopra modificato, per l'operatività del principio stesso, e cioè la previsione di
un'elezione del Presidente della Giunta a suffragio universale e diretto.
Invero l'immissione in carica del detto Presidente
non segue automaticamente, quale effetto immediato, alla designazione espressa
a suo favore dell'elettorato, in quanto è
necessario, perché si produca tale effetto, che il Consiglio regionale, nella
prima seduta successiva alle elezioni, proceda alla sua nomina. La quale
nomina, dovendosi accompagnare
all'approvazione, previo dibattito, del programma di governo, assume anche le caratteristiche di una
"fiducia" data sia al detto programma che ai soggetti i quali ne sono portatori, e
così concorre con la designazione popolare a dar vita al rapporto organizzatorio
costituente la sostanza della copertura della carica. Non varrebbe obbiettare
che essa non si concreta in una scelta originaria, ma
nell'adesione a una scelta adottata dal corpo elettorale, né che essa è
condizionata dalla prospettiva, per il caso di diniego, dello scioglimento di
diritto del Consiglio. Infatti ciò non toglie
che si tratti di una pronuncia che il Consiglio è chiamato a rendere non già quale elettore di secondo grado,
bensì nell'esercizio di poteri suoi propri
e che è comunque necessaria all'immissione in carica del candidato fatto oggetto della scelta del corpo elettorale, tanto
che il suo diniego priva di ogni effetto quest'ultima. Ed è quanto basta perché qui non possa configurarsi un'elezione a
suffragio diretto, mentre è
irrilevante il condizionamento derivante dalla prospettiva dell'inevitabile scioglimento del Consiglio in caso
di diniego, giacché tale misura (al pari
di qualsiasi altra applicazione del principio simul stabunt simul cadent) disincentiva il diniego, ma non esclude la natura di autonoma determinazione, propria della pronuncia stessa.
In
nessun caso, dunque, può farsi carico allo Statuto regionale della Calabria dei
vizi di
legittimità costituzionale denunziati con la prima questione.
E
ciò neppure, ovviamente, per non avere il detto statuto soddisfatto pienamente una aspirazione, pur diffusa, a che siano adottate,
anche a livello regionale, forme di governo
di tipo presidenziale o comunque più idonee, mediante la somministrazione di ancor più saldi presidi alla stabilità
governativa, alla realizzazione di una democrazia
governante. Codesta aspirazione, infatti, non
è soddisfatta pienamente neppure dalla
L.cost. n. 1 del 1999, la quale, anzi, ha circondato
di cautele di tipo parlamentare la
stessa elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Giunta regionale.
Semmai
si può osservare che la soluzione prescelta dallo Statuto calabrese, in quanto conferisce una posizione ben al di là di quella
giustificata da compiti meramente
vicari al Vice Presidente, di solito esponente di un partito o gruppo diverso
da quello centrale della coalizione, può dare esca a spinte concorrenziali e così a squilibri all'interno di quest'ultima, con conseguente indebolimento della compagine e pericolo per la stabilità governativa.
Ma è un inconveniente che non assurge a vizio
di legittimità costituzionale e a cui il potere statutario può porre agevolmente rimedio adottando misure
ulteriori rispetto a quello, già per sé efficace, della prescrizione,
per la conferma del Vice-Presidente, del voto palese (art. 33, comma 5 dello Statuto): ad esempio la prescrizione,
per la conferma stessa, del voto a maggioranza
dei componenti il Consiglio regionale.
II
Con la seconda questione si denuncia la violazione,
da parte dell'art. 38, comma 1,
lettera a) ed e) dello stesso Statuto, del comma l° dell'art. 122 e del comma
1° dell'art. 123 Cost. (come sopra
modificati) in quanto la norma impugnata, con il disciplinare
il sistema elettorale, e in particolare con il definire tale sistema come fondato su base proporzionale con voto di
preferenza e premio elettorale di
.
maggioranza, avrebbe ecceduto dalla competenza statutaria e invaso quella riservata alla legge regionale elettorale quali stabilite
dalla indicata normativa costituzionale.
Per
negare la ricorrenza dei vizi denunciati è sufficiente, quanto all'art. 38, lettera
a) dello Statuto (per il resto la norma impugnata si
limita a rinviare alla legge regionale
elettorale) rilevare che l'attribuzione, ex art. 123 Cost. (come sopra modificato),
allo Statuto regionale della determinazione, oltre che della forma di governo, dei principi fondamentali di
organizzazione e funzionamento della Regione, non può non ritenersi estesa all'adozione di norme di principio in
materia elettorale. Ciò tanto perché
vi è sempre una stretta connessione tra la forma di governo e il sistema elettorale, che influisce in modo determinante sulla concreta attuazione e sul pieno funzionamento della prima, quanto perché tra
i “principi fondamentali" dell'organizzazione
non possono non rientrare le condizioni e le modalità procedimentali relative alla composizione personale degli organi
e all'investitura delle rispettive
titolarità. E' del tutto naturale che, una volta attribuita allo Statuto la
determinazione della forma di governo e dei principi fondamentali di organizzazione della Regione, spetti allo Statuto stesso
fissare i principi che rappresentano la proiezione sul piano della disciplina
elettorale delle scelte relative alla forma di governo e all'organizzazione regionale, in quanto funzionali alla loro
attuazione e al loro ottimale rendimento.
In dottrina non si era mancato di raccomandare,
del resto, l'inserimento nello Statuto regionale di una norma diretta a
sancire, nel caso di disposta designazione popolare
del Presidente della Giunta regionale, l'osservanza da
parte della legge regionale
elettorale del criterio di contemperare, prevedendo un premio di maggioranza, il
principio della rappresentanza proporzionale con il principio maggioritario al fine
di garantire al detto Presidente una maggioranza consiliare assoluta.
Ed è quanto ha fatto la Statuto regionale con l'art.
38, comma 1, lett. a).
III
Con la terza questione si denuncia la violazione
da parte dell'art. 34, comma 1, lettera
i) e dell'art. 43, comma 2 dello stesso Statuto, dell'art. 121 della
Costituzione e del principio “della
separazione dei poteri", per avere la norma impugnata attribuito al Consiglio regionale l'esercizio (per l'adozione
di regolamenti di attuazione e di integrazione) della
potestà regolamentare eventualmente delegata dallo Stato in materia rientrante
nella legislazione esclusiva dello Stato stesso. Argomenta il Governo al riguardo che la normativa costituzionale
non riconosce alcuna potestà regolamentare
al Parlamento nazionale, sicché sarebbe
costituzionalmente incongruo ipotizzare
che quanto non è "consentito al Parlamento nazionale in virtù del
principio di separazione dei poteri" possa ritenersi consentito al
Consiglio regionale.
La censura, articolata con implicito riferimento
all'art. 117 Cost. come modificato con
la L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, e particolarmente ai commi 2 e 6 di quest'ultima norma costituzionale, non è fondata.
Dopo l'entrata in vigore della L.
cost, n. 1 del 1999, particolarmente diretta a ridisegnare l'autonomia regionale, molto si
discusse sul punto se la soppressione, ad opera della modifica arrecata dall'art. 1 della detta legge all’art. 121 Cost., della attribuzione
esclusiva del potere regolamentare al Consiglio regionale implicasse o no l'attribuzione altrettanto esclusiva dello stesso
potere all'esecutivo regionale (e in tal caso se l'esercizio del detto potere fosse
demandato alla Giunta regionale, o al Presidente
della medesima, ovvero ripartito fra tali due organi). Ma sebbene le opinioni
espresse al riguardo non fossero concordi, e sebbene la maggior parte di esse propendesse
in ragione dell'intervenuto incremento dei poteri dell'esecutivo regionale, a ritenere l'esercizio del potere in
parola devoluto, almeno in via generale, all'esecutivo regionale, da un lato si manifestava l'avviso che il
problema del riparto fra gli organi regionali della titolarità e dell'esercizio
del potere regolamentare potesse
essere risolto in sede statutaria, e dall'altro si faceva eccezione, all'attribuzione generalizzata dell'esercizio del
detto potere all'esecutivo regionale, per
l'impiego del potere stesso ai fini dell'attuazione delle leggi statali.
E'
opinione prevalente che con la recente disciplina costituzionale introdotta con
la L. cost. n. 3 del
2001, e particolarmente con la modificazione arrecata dall'art. 3 della detta legge all'art. 117 Cost.,
non sia stato risolto il problema, per essersi tale disciplina limitata, statuendo con il comma 6
dell'art. 117 Cost. come sopra modificato
in tema di potestà regolamentare, a distribuire, secondo lo stesso criterio seguito con i commi precedenti, la potestà
regolamentare fra lo Stato e le Regioni, e non anche fra gli organi della
Regione.
Ciò induce a ritenere, da un lato, in relazione all'ampiezza dell'autonomia statutaria riconosciuta alla Regione con il comma 1
dell'art. 123 Cost. come modificato con la L.
cost. n. 1 del 1999 -
autonomia estesa alla determinazione dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione - che la
detta distribuzione possa essere
effettuata dagli Statuti regionali (cfr., ora,
sentenza Corte cost. n. 313 del 2003, n.7.4). E per
altro verso induce a riconoscere --- in relazione all'oggetto della potestà regolamentare in argomento (l'attuazione delle leggi
adottate dallo Stato in materie
riservate alla sua legislazione esclusiva) - potestà che il richiamato
comma 6 dell'art. 117 Cost. come sopra modificato devolve allo Stato stesso, salvo che questo ritenga di delegarne
l'esercizio alle Regioni, che lo Statuto regionale, attribuendo tale esercizio al Consiglio regionale, non abbia
violato la normativa costituzionale
vigente.
IV
Con la quarta censura si
denunzia la violazione da parte dei commi 4, 5, e 6 dello stesso Statuto,
siccome "diretti a sancire principi riguardanti i dirigenti regionali e,
più in generale, gli incarichi e il rapporto di lavoro dirigenziali”, del
comma 2, lett. e) dell'art. 117 Cost.
(come modificato con la L.cost. n. 3 del 2001), che
annovera la disciplina del rapporto di
lavoro dei pubblici dipendenti, in quanto lavoro
privato, e la disciplina sindacale - siccome
rientranti nella materia "ordinamento civile" - fra le materie
riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
La censura non è fondata.
La stessa normativa sulla cosiddetta privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico (d.lgs. 3
febbraio 1993, n. 29, come modificato con il successivo d.lgs.
31 marzo 1998, n. 80) non manca di
distinguere dalla disciplina del rapporto dì lavoro dei pubblici dipendenti, ivi compresi
i dirigenti, - che è
demandata, per quanto concerne le
garanzie assicurate a questi ultimi in tema di trattamento economico e giuridico, alla contrattazione collettiva (art. 16 cit.
d.lgs. n. 80 del 1998) - la disciplina dell’organizzazione degli uffici, che è
riservata, anche per quanto concerne l'individuazione
delle funzioni assegnate a tali uffici e delle stesse condizioni e modalità di copertura dei medesimi, all'autonomia organizzativa
delle pubbliche amministrazioni, e quindi delle Regioni relativamente
ai dipendenti da queste (artt. 13, 14, 15 e 17 cit. d.lgs. n. 80 del 1998). E' appunto a tale ultima disciplina, e agli atti normativi e di applicazione
dei primi nei quali essa si concreta, che si riferisce la normativa impugnata
quando prevede: a) che ai dirigenti siano attribuiti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi
definiti con gli atti di indirizzo adottati nell'esercizio del potere politico-amministrativo dalle autorità
regionali (Presidente della Giunta,
Giunta e, limitatamente al Consiglio, Presidente e Ufficio di Presidenza); b) che nell'esercizio delle sue potestà normative la Regione provveda a
disciplinare il regime contrattuale dei dirigenti (da intendere: il tipo di contratto
d'impiego e la sua durata), nonché
l'attribuzione e la revoca degli incarichi e la comminazione delle sanzioni,
e ad istituire il ruolo dei dirigenti della Regione e quello dei dirigenti del
Consiglio regionale; c) che tutti gli incarichi dirigenziali siano formalmente conferiti entro 60 giorni dall'
insediamento dei nuovi organi regionali (cfr. rispettivamente gli impugnati commi 4, 5 e 6 dell'art. 50 dello
Statuto, disposizione contrassegnata con la rubrica "Organizzazione
amministrativa regionale" e
collocata sotto il titolo VII, denominato "Ordinamento
amministrativo", e da porre in
relazione con le disposizioni del dlgs. n. 80 del 1998 dianzi citate).
E non è chi non veda come, nel fissare, in riferimento alla suddetta disciplina organizzatoria principi e criteri direttivi, la normativa statutaria impugnata attenda a quella "determinazione dei" principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione, che l’art. 123 Cost., come modificalo con la L cost. n. 1 del 1999 - cui
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l’art.
123 Cost. come modificato con la L.cost. n. 3 del
2001 non arreca deroga né innovazione - considera come l'oggetto proprio dell'autonomia
statutaria.
V
Con la quinta e ultima questione si sostiene che l’art. 51 dello stesso Statuto abbia violato il comma 1 dell'art. 123 Cost. come modificato con la L. cost. n. 1 del 1999, per avere disciplinato la potestà tributaria della Regione, materia non rientrante fra quelle assoggettate dalla normativa costituzionale alla regolamentazione statutaria regionale.
L'assunto
è evidentemente non fondato, giacché, viceversa, la disciplina in argomento rientra fra quelle demandate allo
Statuto regionale, in quanto deputato alla determinazione dei principi fondamentali
di organizzazione e funzionamento della Regione.
Invero sono evidenti la stretta connessione e la assoluta
interdipendenza esistenti fra il sistema
finanziario e la funzione amministrativa, e ciò non soltanto per quel che riguarda la spesa, e cioè la distribuzione delle
risorse disponibili fra i vari settori e compiti assegnati all'azione amministrativa, ma anche per quel che concerne le entrate, e principalmente quelle tributarie. Non
può negarsi, infatti, che le scelte politiche in ordine all'entrata,
e cioè al reperimento dei mezzi occorrenti
a far fronte alla spesa, condizionino le decisioni in ordine alla spesa
stessa e così le scelte, inscindibilmente
legate a quest'ultima, che presiedono all'azione
amministrativa.
Non può, dunque, tanto più ove si consideri la solenne proclamazione dell'autonomia finanziaria regionale di entrata, e di spesa racchiusa nell'art. 119 Cost. come
modificato con la L. cost. n.
3 del 2001, (seguita alle disposizioni in tema di federalismo fiscale dettate con il d.lgs. n. 56 del 2000) dubitarsi
che rientri nel potere statutario,
deputato a dettare principi in tema di organizzazione
e di funzionamento dell'amministrazione
regionale, la statuizione dello Statuto della Regione Calabria che ora viene impugnata.
Roma, 11 novembre 2003
Aldo Corasaniti
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