10 settembre 2010    

Le Valli Cupe - Guida naturalistica ed escursionistica (di Francesco Bevilacqua)


Guida naturalistica ed escursionistica Le Valli CupeTrenta anni fa, quando iniziai le mie esplorazioni pedestri in Calabria, mi si dischiuse dinanzi agli occhi (e al cuore) un territorio vastissimo, straordinariamente articolato, cangiante, talvolta addirittura contraddittorio: montagne impervie ed impenetrabii a poca distanza da spiagge africane; pinete ed abetaie nordiche vicino a macchie mediterranee; boschi umidi e muscosi accanto ad inconsuete steppe meridionali; paesaggi rupestri, desertici e lunari seguiti dappresso da zone colme d’acque spumeggianti, canyon e cascate; scogliere ardite ed imponenti seguite da spiagge infinite, silenziose, solitarie. A quell’epoca le uniche aree protette della regione erano il vecchio Parco Nazionale della Calabria e qualche riserva naturale statale, e chi, come me, si batteva per far comprendere l’importanza della natura calabrese e far emanare provvedimenti di tutela, era immancabilmente tacciato di voler impedire lo sviluppo, additato al pubblico ludibrio come un nemico del popolo, fatto oggetto di derisioni e minacce, fischiato nelle assemblee pubbliche, trattato come un idealista fuori dal tempo da intellettuali e giornalisti “organici” alla politica, che da sempre, in tempo di diluvi — come dice un mio vecchio amico — galleggiano magnificamente sull’acqua come certi residui organici che è meglio non menzionare in questa sede.
I lettori scuseranno questo piccolo sfogo, ma il libro che sto per introdurre, forse più di ogni altro della collana “Gli scarabei” che curo per la Rubbettino, suona come una piccola, pacifica “vendetta” contro quella massa di detrattori nei confronti dei quali, per anni ho dovuto opporre estenuanti difese. Nel giugno del 2009, infatti, la cooperativa “Segreti Mediterranei”, che da alcuni anni ha promosso la riscoperta e la conoscenza della zona delle Valli Cupe (oggetto del libro) è stata premiata, insieme ad altre diciannove piccole e medie imprese italiane, a Torino, dal gruppo bancario Unicredit. La motivazione? “Un esempio di eccellenza nel turismo sostenibile, in grado di creare sinergie finalizzate alla valorizzazione delle risorse naturalistiche e storico-
culturali del territorio”. A ricevere il premio c’era proprio Carmine Lupia, presidente e fondatore della cooperativa, coautore insieme a Raffaele Lupia, di questa guida storico-naturalistica ed escursionistica all’Area Naturalistica delle Valli Cupe. Ecco, dunque, la prova provata di come la tutela del paesaggio, delle bellezze naturali, dei beni culturali ed ambientali non è affatto — come sostenevano i nostri antagonisti di un tempo e come, purtroppo, continuano a blaterare ipocritamente i loro epigoni attuali — una fissazione di qualche conservazioni- sta buontempone, antiquato e demodé, ma l’insopprimibile esigenza per un territorio, una comunità che vogliano porre su basi solide e durature qualunque, seria ipotesi di progresso civile ed economico. Soprattutto in luoghi altamente vocati come quello di cui si occupa questo libro.
Già, perché in questi trent’anni, le istanze ambientaliste non solo hanno faticosamente prodotto la creazione di ben tre parchi nazionali (Pollino, Sila e Aspromonte), di una Riserva Marina (Capo Rizzuto), quattro nuove riserve naturali statali (Lao, Argentino, Raganello e Failistro), tre oasi del WWF (Lago Angitola, Scogli di Isca, Giganti di Cozzo del Pesco), di un parco regionale (Serre), di due riserve naturali regionali (Lago di Tarsia e Foce del Crati), ma hanno anche innescato un processo diffuso di riscoperta del territorio anche in zone misconosciute alle esplorazioni naturalistiche ed escursionistiche, che, viceversa, hanno rivelato inattese meraviglie. Uno di questi luoghi è, per l’appunto, l’area, che solo per comodità espositiva abbiamo deciso di definire “delle Valli Cupe”, dal nome del canyon più famoso e spettacolare che ne caratterizza la parte centrale, ma che, in realtà, è composto da una serie di valli e di contrafforti montuosi racchiusi tra l’orlo orientale dell’altopiano silano e l’alta costa ionica catanzarese e che gravitano attorno a vari comuni dell’area, primo fra tutti Sersale.
Sersale, grazie alle Valli Cupe, a Segreti Mediterranei, alla riscoperta dei luoghi e della loro memoria, è stato protagonista di una vera e propria rivoluzione pacifica. Da vecchio borgo in declino, il paese è divenuto cuore pulsante di tutte le iniziative di accoglienza dei visitatori:
sono state formate 25 guide turistiche che parlano anche inglese, tedesco, polacco e francese e che accompagnano gli ospiti in escursioni brevi e meno brevi (anche a dorso d’asino) per osservare bellezze naturali come canyon, cascate, monumenti litici, alberi e boschi secolari, degustare prodotti eno-gastronomici; ogni anno la cooperativa tiene un corso di formazione autogestito ed autofinanziato a cui partecipano giovani provenienti da tutta la regione; si organizzano visite guidate con scolaresche anche presso fattorie didattiche; si restaurano sentieri e mulattiere; si progetta di realizzare il Conservatorio botanico ed etnobotanico ed un Museo dell’etnofauna con il concorso dell’Amministrazione comunale di Sersale che ha messo a disposizione gli immobili; la cooperativa e più in generale la gente comincia ad ingegnarsi per fare accoglienza in vecchie case del paese; i visitatori nel 2008 sono stati migliaia e, nei mesi estivi, che solitamente erano morti per il paese (perché la gente sciamava tutta verso la costa), ora vi è il massimo afflusso di turisti, perché proprio dalle località balneari risalgono verso Sersale, e verso gli altri centri dell’interno, tante persone richiamate dalla fama dei canyon, delle cascate e dei grandi alberi; da tutta la Calabria l’esperienza di Segreti Mediterranei è presa ad esempio per il trasferimento di buone pratiche di sviluppo sostenibile. E, quel che più conta, tutto questo accade, senza che la cooperativa sia stata finanziata da enti pubblici, con visitatori che sono ben lieti di pagare un biglietto di ingresso per visitare bellezze naturali come se si trattasse di pinacoteche o musei, in paesi e luoghi che parevano destinati ad una rapida, inesorabile decadenza.
Fin qui gli aspetti concreti della faccenda. Veniamo ora a quelli più squisitamente culturali, che interessano, in particolare, il libro che Carmine Lupia e Raffaele Lupia hanno realizzato. Dopo anni di giaculatorie e diatribe la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 367 del 2007, ha finalmente chiarito la portata dell’art. 9 della Costituzione: la tutela del paesaggio costituisce un valore primario ed assoluto della collettività e perciò rientra nella competenza esclusiva dello Stato, limitando per ciò stesso il potere degli stessi enti locali. Vale a dire che anche una singola bellezza naturale appartiene all’intera comunità nazionale e nessun comune, provincia o regione che sia può ritenersene esclusivo proprietario e decidere di sacrificarla per fini più o meno prosaici (che so, una centrale idroelettrica, un taglio boschivo, l’apertura di una nuova strada, la costruzione di un’infrastruttura etc.). Ma, con la medesima sentenza, la Corte ha anche stabilito una sostanziale identità tra i concetti di paesaggio, territorio e ambiente, accogliendo così le istanze che da anni venivano dalla parte più avveduta e progressista del mondo culturale italiano.
Ora, come ha insegnato uno dei maggiori studiosi del settore, Eugenio Turri, con il termine “paesaggio” non può intendersi semplicemente il dato estetico o spaziale di un luogo, ma anche tutto ciò che su quel luogo l’uomo ha impresso in termini di tracce secolari, di segni trepidi e indelebili, di storie profonde e commosse. In altre parole, il paesaggio è memoria. E la memoria è identità. Sersale — come qualunque altro paese della zona — ed i suoi abitanti non sarebbero nulla (nel senso che non sarebbero capaci di dire nulla di interessante al mondo) senza i loro paesaggi, senza i loro luoghi. Perché quei paesaggi, quei luoghi sono la loro memoria, raccontano la loro storia, ci dicono attraverso quali straordinari, a volte inesplicabili percorsi essi sono giunti ai nostri giorni, hanno superato cataclismi e carestie, sono sopravvissuti a invasioni barbariche ed a cambi di dominazione, ci descrivono la fatica quotidiana dei contadini, dei pastori, dei boscaioli, dei carbonai, degli artigiani, di tutti coloro che hanno tenuto vivi i luoghi, li hanno chiamati per nome, ne hanno fatto le loro dimore, li hanno interiorizzati al punto da fondarvi il loro immaginario simbolico.
Dunque, riscoprire i luoghi e tramandarne la memoria, come hanno fatto gli autori di questo libro, significa restituire orgoglio di appartenenza ad una comunità e, nello stesso tempo, fissarne indelebilmente caratteri, l’identità. Anche perché altri imparino a conoscerla e ad apprezzarla. E accaduto altre volte: lo sguardo interessato degli altri, dei forestieri (oggi diremmo, con un termine rischioso, “turisti”) è servito anche a far capire alla gente del luogo il valore dei propri paesaggi, dei propri monumenti. Racconta Goethe, nel suo “Viaggio in Italia”, che un giorno, a Malcesine, sul Lago di Garda, mentre schizzava una torre diruta, fu apostrofato da una piccola folla inferocita che lo prese per una spia: quella folla non poteva minimamente immaginare che qualcuno mostrasse interesse per una pura e semplice rovina. Per cacciarsi dai guai, il grande scrittore dovette improvvisare una breve ma convincente lezione su1 valore estetico delle vedute con rovine. Dopo di che la gente fu soddisfatta e si convinse che quello stravagante signore straniero, una volta tornato in patria, avrebbe elogiato le bellezze di Malcesine ed i visitatori sarebbero giunti a frotte nel piccolo paese. Era il 1786. Il Lago di Garda è da molto tempo una meta turistica rinomata in tutt’Europa.
Anche se con più di due secoli di ritardo e nonostante decine e decine di viaggiatori stranieri, tra il Settecento e la prima metà del Novecento ne abbiano decantato le bellezze (un caso analogo a quello di Goethe accadde al geografo e matematico tedesco Justus Tommasini nel 1825 a Crotone), la Calabria attende ancora di essere veramente conosciuta ed apprezzata non solo per 11 mare e per le coste ma anche per l’immenso patrimonio naturale dell’interno. Di questo patrimonio fa parte l’Area Naturalistica della Valli Cupe, uno scrigno di vere e proprie meraviglie, che spazia dalle pareti di arenaria gialla ed ocra del Canyon delle Timpe Rosse al raro bosco ripariale di platano orientale della valle dell’Una (specie arborea non nota per la Calabria prima del rinvenimento di questo specifico popolamento), dalle oscure, profonde latebre del Canyon delle Valli Cupe al pittoresco monolito della Pietra du Ruvazzu, dalla incassata Cascata dell’Inferno a quella fluente del Campanaro, dalle complesse ed affascinanti Gole del Crocchio ai pachidermi arborei dei castagni giganti di Cavallopoli, sino alle decine di altri luoghi ai quali questo libro introduce, con semplicità e discrezione. Ma anche con tutto l’amore, la passione e la dedizione di due persone che hanno scelto di vivere accanto alle Valli Cupe, di battersi per il loro riscatto e per il riscatto di tanti uomini e donne, le cui anime sono ancora, nonostante tutto, imprescrutabilmente, misteriosamente, magicamente, inscindibilmente legate all’anima dei luoghi.
 



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