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10 settembre 2010
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Contro la mafia una manifestazione e degli obiettivi (di Romano Pitaro )
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C’è qualcosa che non torna? Sì, ma non è la “mmuina”. Le perplessità di Vito Teti? Condivisibili, ma fino a un certo punto. Ora, a pochi giorni da quella che potrà essere un’imponente manifestazione contro la mafia organizzata dal basso, è necessario stringere. Ma su contenuti ed organizzazione. L’obiettivo è offrire all’Italia l’immagine di una Calabria che scoppia, pubblicamente, di sdegno per le scelleratezze mafiose e le arroganze poste in essere contro magistrati in prima fila. E’ del resto lapalissiano che ci sia l’anima nera (o grigia) accanto a quelle candide; e sarà così anche stavolta: anime cattive sfileranno a Reggio assieme a migliaia di onesti cittadini. Sappiamo bene che - tuona Shakespeare nel Macbeth: “Qui dove siamo, ci sono pugnali nei sorrisi degli uomini”. E’ l’antica storia del potere e dell’arbitrio. Ma la “mmuina” è un rischio se la manifestazione non ha un verso. Il verso, invece, c’è. L’ha spiegato bene il direttore del Quotidiano. L’appello è rivolto ai cittadini, alle istituzioni democratiche, alle forze sociali ed alle associazioni, ma senza ossequi preconcetti. Anzi non si sottacciono rimbrotti e (leggere per credere) direi anche sonori scappellotti. D’altronde, siccome i processi alle intenzioni sono sempre pericolosi, occorre, se vogliamo capire chi è disposto ad impegnarsi affinché le richieste che verranno dalla giornata di Reggio siano esaudite e chi viceversa si girerà dall’altra parte, stare ai fatti . Se la mafia stringe d’assedio chi la contrasta, e se è vero che essa è il tappo principale allo sviluppo, la manifestazione di Reggio Calabria potrà spingere perché quel tappo inizi a saltare. Piuttosto, il rischio che si corre è un altro. Neppure di finire con il ripetere cose già fatte. Magari se ne facessero di più iniziative pro legalità. Scendere in piazza contro la mafia è sempre, come minimo, un atto di legittima difesa. Preventiva, perché la mafia mette a repentaglio l’incolumità di ciascuno di noi; e civica, perché è l’unico modo che ha il cittadino per indurre lo Stato, cui spetta il monopolio della forza, a rinserrare i ranghi e colpire la criminalità, badando di prosciugare le zone grigie in cui l’incontro tra poteri occulti e pezzi delle Istituzioni genera sfracelli. Cosa può oscurare l’iniziativa lanciata dal Quotidiano? Non la “mmuina” o la reiterazione, ma la genericità delle richieste da sottoporre al Governo. Richieste, sì, perché se ci si limitasse ad esprimere solidarietà ai magistrati o a chi in Calabria subisce intimidazioni, bè, sarebbe il classico topolino… La mafia non teme (fino a un certo punto) le adunate di popolo. Confida, però, sul fatto che da esse non scaturisca alcunché (specie se si apre una lacerazione polemica nel fronte antimafioso), e che tra gli slogan della manifestazione e le decisioni che le autorità preposte dovranno assumere, ci sia uno spazio incolmabile. Al momento la mafia osserva le mosse dei suoi avversari, ma con indifferenza. Tant’è che, dinanzi alla crescente insofferenza dei cittadini e mentre ci si appresta a scendere in piazza per dare sostegno ai magistrati che la incalzano, seguita ad ammazzare. E, si badi, senza discrezione. I modi infatti sono clamorosi. Se il Corriere della Sera non fosse costantemente impegnato a dipingere un Sud antropologicamente ritardato e un Nord, ricco come la Baviera, meritevole di un altro destino, quei delitti li avrebbe dovuti mettere in prima, non ignorarli. In breve: due spietate esecuzioni a pochi giorni l’uno dall’altro nel soveratese, mostrano che la ‘ndrangheta non si preoccupa delle reazioni democratiche, né dei preparativi di questi giorni per organizzare l’evento di Reggio. Il direttore del Quotidiano, dopo la bomba collocata a casa del procuratore generale di Reggio Salavatore Di Landro, e con sullo sfondo una Calabria impaurita per le decine di intimidazioni, lancia l’appello contro la mafia e riscontra una sequela di dichiarazioni di sostegno, politici, sindacalisti, associazioni, imprenditori e intellettuali. Tutti si dicono pronti a scendere in piazza. La Calabria che avverte il disagio di vivere in una democrazia azzoppata, intende esplicitare il proprio disappunto. Ma se c’era da attendersi, dopo l’attenzione suscitata nell’opinione pubblica, che la ‘ndrangheta si ritraesse, cosi non è stato. Qualche giorno dopo la bomba al procuratore Di Landro, infatti, a Soverato, la mafia ammazza, dando il massimo risalto all’omicidio. L’assassinato è sulla spiaggia con la famiglia, ed intorno a lui ci sono i bagnanti ignari. A freddarlo ci pensa un killer, con casco e pistola in mano, che agisce lucido e senza paura. Qualche giorno dopo , a Palermiti. Stavolta è la festa religiosa del paese che è sfregiata. L’ucciso, tra la fine del concerto e i fuochi d’artificio appena iniziati ( come accade in una scena memorabile del “Padrino”), si becca tre pallottole e l’assassino è a volto scoperto. E allora… Se la mafia è il soggetto pensante tratteggiato nelle inchieste giudiziarie ed è dotata di sguardo lungo, dinanzi al rumore provocato dovrebbe, si deduce, tenere un profilo basso e non alzare il tiro. Che accade dunque? Può darsi che la mafia stia seguendo, in Calabria, progetti ambiziosi, e sia morbosamente interessata ai meccanismi che nei Palazzi di giustizia reggini sarebbero cambiati in senso a lei sfavorevole. Pertanto tira dritto, succeda anche il finimondo. Oppure più semplicemente la mafia dell’appello del Quotidiano e del profluvio di parole che l’ha seguito se ne impipa. Considera ogni reazione fuoco fatuo. E seguita nella sua “cattiva strada”, sicura che nulla di concreto potrà intralciare il suo dispotico commercio. Giudica le esternazioni dei rappresentanti, in senso lato, della società calabrese, alla stregua di un disco rotto. Ecco, a me pare che al momento la seconda ipotesi sia la più plausibile. E quindi il rischio da cui guardarsi non è la “mmuina”, ma il fiasco della manifestazione di Reggio. Se l’ intento è rendere pericolosa, per la mafia, la manifestazione, occorre individuare, approfonditamente, gli obiettivi che deve darsi per ridimensionare il potere mafioso. Non generici allarmismi, ma pochi punti operativi. Fini ben congegnati e tempi di attuazione certi ed inderogabili . Una “piattaforma” stringata e documentata con cui mettere alla prova il Governo, il Parlamento e la coerenza della politica di ogni segno e di ogni latitudine.
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