9 giugno 2010    

«Tempi ormai maturi per superare il bicameralismo» (di Nazario Pagano*)


"La celebrazione del 40° anniversario delle Regioni a Statuto ordinario offre lo spunto per una serie di riflessioni che ci portano inevitabilmente a ripercorrere le tappe e gli sviluppi del regionalismo italiano che prende le mosse dall'entrata in vigore della Costituzione repubblicana per giungere, attraverso un complesso percorso di trasformazione e modernizzazione, all'attuale assetto, tendenzialmente più vicino alle organizzazioni di tipo federalista. Prima, però, vorrei esprimere anche a nome dei Colleghi Presidenti, la nostra piena consapevolezza in merito alle difficoltà del quadro della finanza pubblica del Paese ed alla necessità di un impegno condiviso, come ci ha ricordato proprio Lei, Signor Presidente della Repubblica, per improntare l'azione di amministratori e funzionari a trasparenza e sobrietà. Un impegno su cui, per quel che ci riguarda, stiamo già lavorando in modo corale. La disciplina di bilancio che la recente manovra finanziaria ha riportato al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica del Paese è oggetto da tempo di una seria riflessione in merito alle procedure ed alla armonizzazione dei nostri sistemi di contabilità, i cui principi fondamentali vanno rintracciati nelle recenti riforme strutturali avviate con la cosiddetta legge sul federalismo fiscale da una parte e con quella di riforma della legge di contabilità e finanza pubblica dall'altra. Due passaggi cruciali e determinanti a nostro avviso anche per coniugare trasparenza e solidarietà.Un particolare di Palazzo Chigi, dove ha sede il Governo nazionale Regole condivise ed omogenee tra tutti i livelli di governo sono una delle condizioni indispensabili per il raggiungimento di obiettivi impegnativi. In questo quadro diamo e vorremmo continuare a dare il nostro contributo: le Assemblee come luogo della informazione condivisa ed in relazione sempre più stretta tra loro e con le Camere del Parlamento nazionale. E' stato questo, in sintesi, il percorso che con Senato e Camera abbiamo fatto nel procedimento legislativo di approvazione della legge 42 del 2009. Questo è il nostro scopo del federalismo unitario: di realizzare l'unità della nazione sulla base di un patto di sviluppo comune e comunemente gestito che non pregiudica l'autonomia fiscale, ma la finalizza ad un interesse superiore. Le Assemblee regionali hanno, sotto questo profilo, la stessa valenza del Parlamento nazionale: sono precisamente i luoghi in cui possono realizzarsi, nello stesso tempo, il confronto e anche il dialogo e la ricerca di temi e di terreni di convergenza costruttiva.

Le Regioni hanno avuto un lungo periodo di gestazione in riferimento alla concreta attuazione delle disposizioni costituzionali che le hanno istituite, durato più di venti anni, a causa della tardiva emanazione della legge elettorale che, intervenuta solo nel 1968, ha portato alle prime elezioni dei Consigli regionali nel giugno del 1970, a distanza di pochi giorni dall'entrata in vigore della legge sulla finanza regionale. Nell'anno successivo, sono stati approvati tutti gli Statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria relativamente ai quali quelli dell'Abruzzo e della Calabria sono stati approvati nel mese di luglio per le note vicende storico-politiche riguardanti la scelta dei rispettivi capoluoghi. Una seconda nuova fase comincia con la riforma dell'elezione diretta dei Presidenti delle Regioni prima e con la legge costituzionale 3 del 2001 poi che riscrive il cosiddetto Titolo V nella prospettiva di una Italia compiutamente unita e solidale pur nel suo incontenibile pluralismo. Spesso, nel dibattito politico è stato attribuita all'attivismo della Corte costituzionale in materia regionale, registratosi dal 2001 ad oggi, l'esigenza di colmare "lacune" del nuovo testo costituzionale ed alla connessa necessità di porre rimedio a tanti difetti che sarebbero originati dal nuovo Titolo V della Costituzione. E' molto probabile che anche elementi di questo tipo abbiano concorso ad alimentare il contenzioso costituzionale. Tuttavia, questa lettura a nostro avviso non può essere considerata la sola spiegazione del ruolo che la Corte costituzionale è andata svolgendo nell'attuazione e nell'interpretazione della riforma. La stessa fase attuativa della Carta costituzionale repubblicana non fu priva di difficoltà. Molto probabilmente le ragioni di un interventismo del giudice costituzionale derivano essenzialmente da una molteplicità di fattori. Sicuramente dal mancato adeguamento dei "metodi" (e delle sedi) della legislazione; dalla ritardata e parziale approvazione della legislazione generale attuativa del titolo V della Costituzione; spesso dall'adozione di leggi statali tutt'altro che attente alla tutela delle competenze regionali e degli enti locali. Basti pensare alla mancata integrazione della commissione bicamerale per le questioni regionali, così come previsto dall'articolo 11 della legge costituzionale 3 del 2001.

Di fronte a questo quadro, la sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale relativa alla c.d. "legge obiettivo" del 2001, rappresenta una pietra miliare nella interpretazione delle norme relative al Titolo V della Costituzione. Operazione che ha consentito di agevolare l'opera di individuazione di titoli ulteriori di legittimazione per l'intervento del legislatore statale, e nel contempo di valorizzare le uniche forme attualmente in essere di coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali nei processi decisionali, costituite, com'è noto, dal sistema delle Conferenze Stato/autonomie territoriali. Se dunque va tutelata l'esperienza delle Conferenze, non va dimenticata la permanente mancanza di un filo istituzionale che colleghi la misura delle scelte ivi assunte dai governi regionali e le Assemblee che poi dovranno discutere, approvare e recepire quelle intese e quegli accordi. Non possiamo fare il federalismo per sottrazione dando solo a qualcuno e togliendo a qualcun altro. Da questo punto di vista, mi pare che debba essere ribadito che il coinvolgimento diretto delle Regioni e delle Assemblee nelle sedi parlamentari presenta il vantaggio della trasparenza dei procedimenti che in quelle sedi si svolgono. La pubblicità come valore aggiunto della democrazia parlamentare è un dato che ci sentiamo di sottolineare. Stesso discorso va recuperato a livello regionale garantendo una pari dignità istituzionale ai piccoli comuni ed al sistema degli Enti locali rafforzando la dimensione di raccordo nei Consigli delle autonomie locali. Oggi il tema delle riforme istituzionali non si pone più nei medesimi termini in cui si poneva all'Assemblea costituente. La personalizzazione della politica e la relazione diretta tra vertici degli esecutivi e cittadini, l'affermasi di istituzioni in sede europea ed internazionale di ordinamenti sovranazionali, contribuiscono ad indebolire lo spazio politico della rappresentanza delle Assemblee. Detto questo, molto è possibile fare nel tentativo di superare il bicameralismo perfetto. La mancata riforma del bicameralismo ha finito per incentivare l'affidamento al sistema delle Conferenze di funzioni decisamente eccedenti quelle normalmente spettanti ad organi di cooperazione governativa come sopra ho evidenziato, incrementi dovuti più a mutamenti di fatto e quindi dovuti a situazioni contingenti squilibrate.

La domanda è: dove vogliamo andare? Ricorre l'istanza di una Camera territoriale. In tale direzione muovono sia la riforma costituzionale approvata dal centro destra sottoposta a referendum nel 2006 quanto il progetto elaborato dalla Commissione affari costituzionali della Camera nella XV legislatura, meglio noto come bozza Violante. L'insediamento del sistema Bicamerale è il frutto di una lenta sedimentazione risalente al periodo statutario della nostra Storia istituzionale. Il dibattito alla Costituente fece emergere anche le differenti ipotesi di rappresentanza territoriale. Forse la risultante dell'attuale assetto è la somma della paura per il monocameralismo e di quella per il regionalismo. Crediamo che i tempi siano maturi per fare un passo avanti. Il nostro auspicio, perchè solo tale può essere, è che i regolamenti parlamentari possano recepire i mutamenti del Titolo V prima ancora di pervenire ad una riforma dell'assetto bicamerale. In effetti i regolamenti parlamentari del 1971, poichè concepiti pressochè in contemporanea con l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario e quando ancora l'esperienza regionale non era praticata sull'intero territorio nazionale, non prevedevano momenti di coinvolgimento diretto e obbligatorio delle autonomie regionali n'è all'interno del procedimento legislativo (secondo l'indicazione sui metodi della legislazione contenuta nell'art. 5 Cost.), n'è al di fuori di esso. Vorremmo utilizzare il momento del confronto con le sedi parlamentari come occasione preziosa per sviluppare le logiche istituzionali e "di sistema". Non mancano però segnali importanti e di conforto in tal senso: pensiamo al comitato esterno di rappresentanti delle autonomie per i lavori della Commissione bicamerale per il federalismo fiscale così come delineato dalla legge 42 del 2009 o ai lavori del Comitato paritetico Senato della Repubblica, Camera dei deputati ed Assemblee regionali.  Il diritto dell'Unione europea è stato il settore nel quale la spinta alla cooperazione tra Parlamento nazionale ed Esecutivi (regionali e nazionale), da una parte, e tra Assemblee legislative, dall'altra, sembra aver dato i maggiori frutti ed è forse anche suscettibile di ulteriori sviluppi. Non a caso in questa sede prenderà la parola anche il Comitato delle Regioni. Quindi, la tappa più recente, derivante direttamente dalla firma del Trattato di Lisbona potrebbe essere nell'oggi un primo concreto terreno di confronto con i lavori del Parlamento anche alla luce del Protocollo sulla sussidiarietà annesso al Trattato di Lisbona. Signori Presidenti, mi fermo qui, grazie ancora a tutti ed in particolare al Presidente del Senato Renato Schifani ed al Vice Presidente Vannino Chiti per averci ospitato oggi ed aver voluto fare di questa ricorrenza un momento istituzionale di confronto. Viva la Repubblica italiana!".


* Presidente del Consiglio regionale Abruzzo, portavoce Conferenza Parlamenti regionali
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