Si è alzato il sindaco di Centrache Francesco Luppino, ed ha detto: “Nel mio paese la scuola non c’è più”. Gelo tra i presenti che assistono a Cosenza alla presentazione di un libro, “Amicò”, sui comuni che “si raccontano” ai ragazzi”. Ma di che parliamo? Di un libro o di tragedie sociali? Tutte e due le cose. Le difficoltà di chi amministra un comune piombano, inevitabili, in ogni discussione. Ciò che non si vede, nel buio fitto in cui sono stati cacciati i borghi del Sud, è uno spiraglio di luce. Risalgono al Medioevo, ma oggi rischiano la vita.
Va bene il libro sui comuni, va bene sapere che per nascere hanno lottato contro re, imperatori e vescovi fino a diventare il pilastro di una società post moderna che riserva loro un posto nella Costituzione, ma perché ci si accanisce così sui comuni? La sensazione che la storia ci crolli addosso, per via di scelte algide e ragionieristiche, si materializza ogni volta che un sindaco non trova più i soldi per l’assistenza ai poveri, per tenere aperta la mensa, per comprare la benzina del pulmino.
Mentre si discute di ‘Amicò’, il nuovo libro del sociologo Claudio Cavaliere che finirà in tutte le scuole d’Italia e sarà presentato al salone dell’editoria per ragazzi di Bologna, s’intuisce che la realtà è più veloce delle riflessioni. E’ più avanti dei timori più cupi. Se il Governo non si ravvede, i piccoli comuni del Sud rischiamo di chiudere. Settimane addietro è toccato alle scuole. La Lega delle Autonomie ha denunciato, appena la ministra Gelmini ha annunciato la riforma, che 97 comuni calabresi rischiavano di perdere le scuole elementari. Ma se i bambini non vanno più a scuola nei paesi dell’entroterra, dove vanno? Si vuole che finiscano nelle grinfie dei capimafia a imparare come meglio colpire al cuore lo Stato? Se non c’è più attenzione ai diritti di cittadinanza e lo Stato molla questi presidi di democrazia, gli spazi vuoti sono colmati dalla criminalità. Diceva Luigi Sturzo ( Appello ai siciliani, marzo 1959) che "per un autentico sviluppo è necessario puntare sull'educazione delle nuove generazioni con scuole serie, scuole importanti, scuole numerose". Quel pathos e quella sensibilità paiono evaporate. S’intravede solo l’ irresponsabilità delle politiche pubbliche. Può avere un senso un comune senza scuola? Ma forse l’idea è quella di togliere prima la scuola e dopo il comune. Attenzione, perché queste inclinazioni svelano altro. Il disegno di spaccare il Paese e una visione autoritaria della democrazia. Da un lato si vorrebbe smontare i controlli costituzionali sul decisionismo dell’Esecutivo, dall’altro, orizzontalmente, si acuisce il disagio dei cittadini che nei comuni hanno i referenti più immediati. C’è, in ogni caso, di che preoccuparsi nel constatare lo scempio ai danni dei comuni, svuotati di risorse e ignorati.
Il libro di Cavaliere offre l’’occasione per fare il punto sulla vita dei comuni. Piace tanto ai ragazzi a cui è diretto ed anche ai sindaci. Perché anche loro vogliono sapere a cosa servono; che il più grande (Roma) ha 2 milioni e mezzo di abitanti e il più piccolo 33 (Morterone in Lombardia); che il primo della lista è Abano Terme e l’ultimo Zungri; che Lu, Ne, Re e Ro, sono quelli col nome più corto e Pino sulla Sponda del Lago Maggiore ce l’ha più lungo; che Predo è quello più a Nord e Lampedusa più a Sud; che i montani sono 3546 e Curmayeur il più alto (4819 metri); Sestriere con la casa più vicina al cielo e Massa Fermana ha avuto il primo sindaco donna.
Comuni: sono 8101, il Paese. E sono tutti popolosi e pochi con poca gente? No! I piccoli sono più della metà: 5720 ed hanno meno di 5mila abitanti, 3644 hanno meno di 2mila abitanti. Ma, anche qui, l’ incuria sovrasta. Mentre parliamo, il buio di prospettive per molti ‘piccoli’ del Sud è già inoltrato. Si è alzato, durante la presentazione del libro, il sindaco di Cardinale, Amedeo Orlando, ed ha fulminato la platea: “Piccolo sarà bello in tutta Italia, ma in Calabria è sinonimo di abbandono, perché?”. Chi risponde: gli antropologi stufi d’ insistere sulla dimenticanza dell’entroterra? La questione è vecchia. Risale a Giuseppe Isnardi (1950), studioso di geografia, che definiva eroici i paesi interni della Calabria in lotta con una natura aspra.
E torna d’attualità ad ogni pioggia abbondante che sgretola la Calabria, perché la montagna è abbandonata o in mano alla speculazione. L’osso e la polpa di Manlio Rossi Doria. Ma chi si occupa del rischio d’estinzione dei piccoli comuni che gravitano nel deserto sociale dei monti calabri? Nessuno. C’è anche qui una questione meridionale. Se a Nord la qualità della vita è alta nei piccoli borghi che prosperano di turismo e commercio, nei borghi calabresi gli esercizi chiudono, il turismo langue, i giovani fuggono. I sindaci: impotenti pubblici ufficiali in attesa del contributo della Regione per fiere e sagre.
Scenario desolante ma non limitato. In Calabria piccolo è molto. I piccoli, infatti, rappresentano l’80 per cento de 409 comuni. Vi abita (nei comuni con meno di 5 mila abitanti) il 33,3 per cento della popolazione calabrese. E qui, altre note dolenti: tra 2002 e 2009 i piccoli comuni calabresi hanno perso il 2,7 per cento della popolazione e nel solo ultimo anno 272 comuni (66,5 per cento) hanno fatto registrare saldi di residenti negativi. Sono 44 i comuni calabresi, quasi tutti inferiori a 3mila abitanti, che hanno presentato saldi di residenti negativi a due cifre tra 2008 e 2009, con la punta massima del comune di Paludi (meno 36 per cento). Nell’entroterra il crollo demografico ha toccato, in dieci anni, cifre del 40 per cento. Interne popolazioni svaniscono.
Al Nord piccolo è vivacità e innovazione, in Calabria sconforto e morte. Aumentano gli indici di vecchiaia e i giovani partono. “Amico” è un libro interessante ma richiede un secondo approfondimento. Il sociologo però deve accettare d’indossare i panni del becchino. Il sequel avrà, se la rotta è questa, un titolo siffatto: “C’erano una volta i piccoli comuni”. Ma a quel punto, di sicuro, la democrazia italiana avrà subito una trasformazione. Perché è evidente che dietro la non volontà di aggredire il cancro che si mangia i comuni calabresi, c’è l’assenza di strategia per fermare il declino del Paese.