21 gennaio 2009    

La partecipazione delle Regioni alla produzione legislativa della UE (di Luisa Lombardo)


Qual è il contributo dell’Italia alla formazione ed attuazione della normativa comunitaria? La sede dell'Europarlamento a Strasburgo
A questa domanda ha cercato di rispondere la Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni, nell’ambito di un’indagine conoscitiva promossa dalla XIV Commissione della Camera dei Deputati sull’attuazione della legge 11 del 2005.
L’interrogativo non è di poco conto se si considerano prerogative e nuove competenze in capo alle Regioni nel processo di integrazione comunitaria. Un ruolo di primo piano  che vede oggi le Regioni comprimarie nella produzione legislativa comunitaria e che ha sollevato alcune perplessità circa l’adeguatezza degli strumenti a disposizione per l’interazione con gli altri soggetti istituzionali, anzitutto con il Parlamento nazionale, sia nella fase ascendente, che in quella discendente.
Nell’audizione a Montecitorio il 9 dicembre scorso, la Conferenza ha riepilogato il quadro normativo di riferimento.
Con la revisione del Titolo V, attuata dalla legge cost. n. 3 del 2001, le Regioni, partecipano alle decisioni per la formazione degli atti normativi comunitari provvedendo anche alla loro attuazione (art. 117, 5° comma). Gli stessi rapporti delle Regioni con l’Unione Europea – elevati a rango costituzionale - sono stati inseriti tra le materie di legislazione concorrente (art. 117, 3° comma).
E’ stato concepito quindi un modello di interazione multilivello che abbraccia anche la progettazione normativa mentre resta precipuo compito della legislazione nazionale fissare le norme procedurali attraverso cui Stato e Regioni lavorano in sinergia.
A ciascuna Regione, rimane comunque ampia autonomia per costruire, al proprio interno, forme organizzative adeguate ad interagire attivamente in questo nuovo processo nell’ottica di un sistema regionale capace di fornire efficacemente il proprio contributo sia a livello nazionale che comunitario. Tutto questo nella prospettiva di un processo decisionale sempre più inserito in una visione sistemica.
La graduale attuazione del principio di sussidiarietà, sinonimo di una più efficace rappresentazione degli interessi territoriali, ha spostato progressivamente l’asse dei rapporti tra Stato e Regioni, a favore di queste ultime. Con un conseguente aumento dei punti di contatto tra i due livelli di competenza e della loro interdipendenza.
A fronte di un crescente peso politico-istituzionale delle Regioni, per essere realizzate, le politiche richiedono oggi l’azione convergente di più soggetti e livelli di governo, ognuno per la sua quota di competenza e meccanismi specifici di dialogo e confronto.
La nuova rete settoriale che vede protagonisti Parlamento e Assemblee legislative regionali e, in ciascun ambito regionale, Consigli e Giunte paritariamente, si affianca al collaudato canale intergovernativo generale, rappresentato dalla Conferenza Stato-Regioni.Una riunione del Parlamento Europeo
Non vi è dubbio – sostiene la Conferenza - che la messa a regime del nuovo sistema prefigurato si sta rivelando complessa per buona parte delle Regioni, senza distinzione tra ordinarie e speciali.
E’ proprio per questo che la Conferenza, mediante un apposito gruppo di studio, intende mettere a punto strumenti e procedure idonei a favorire la partecipazione delle Assemblee legislative regionali alla fase ascendente del diritto comunitario (in attuazione di quanto previsto dalla legge 4 febbraio 2005, n. 11) nonchè a quella definita discendente.
Si tratta di perseguire, a tutti i livelli, da quello europeo, a quello nazionale e regionale, gli obiettivi di qualità della legislazione in termini di minimizzazione dei costi e massimizzazione delle politiche pubbliche.
Sempre più stretto, quindi, il rapporto tra Regioni e formazione del diritto comunitario. La novità più consistente è data dalla previsione della partecipazione delle Regioni (“nelle materie di loro competenza”, art. 117, 5° comma, Cost) alle decisioni volte alla formazione degli atti comunitari, per lungo tempo riservate alla competenza esclusiva dello Stato. Nella fase c.d. “ascendente”, dunque, si configura un ruolo regionale inedito e di alto profilo sia per le forme di partecipazione diretta sia per quelle indirette.

Ma ecco i passaggi salienti del documento che la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative e delle Province Autonome ha consegnato alla XIV Commissione della Camera dei Deputati sull’attuazione della legge n. 11 del 2005.

“Alcuni cenni sulla Partecipazione indiretta
Gli strumenti
Diverse Regioni hanno affrontato, ancora prima della legge 11/2005, i problemi che sono poi risultati posti dall'articolo 5 .

Commissioni per le Politiche dell’Unione europea
Circa la metà tra Assemblee regionali e Province autonome si sono dotate di una apposita commissione per le politiche dell’UE.
Le commissioni speciali svolgono spesso prevalentemente funzioni di sensibilizzazione e di studio, senza pronunciarsi sui provvedimenti all'esame del Assemblee o sugli atti trasmessi alle Assemblee nell'ambito della cosiddetta "fase ascendente" delle politiche europee. Laddove non esiste specifica commissione, quasi tutte le restanti Assemblee hanno delegato esplicitamente le competenze per gli affari UE ad una commissione permanente (generalmente, la commissione per gli affari istituzionali).

Statuti
Sul piano degli Statuti risulta diffusa una scarsa attenzione al ruolo regionale nel processo comunitario, soprattutto riguardo alla fase ascendente, per cui molto spesso, a parte alcuni enunciati minimali, vengono a mancare riferimenti su punti qualificanti, relativi ai rapporti tra Presidente, Giunta e Assemblee o a taluni aspetti organizzativi, rimandandone la soluzione, soprattutto a livello procedurale, a future leggi di procedura
statali e/o regionali.

Leggi comunitarie regionali
Al momento, solo due Assemblee – Val d’Aosta e Friuli Venezia-Giulia – hanno una legge comunitaria regionale. Le Marche sono sul punto di approvarla.

La legislazione regionale di procedura per la partecipazione
- Più diversificato, invece, è il dato rilevabile sul piano della legislazione.
Di fronte al nuovo parametro che si è andato configurando, solo poche Regioni, e con varia intensità, hanno provveduto ad aggiornare la propria base legislativa.
Si tratta di: Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia nel 2004, Valle d’Aosta e Marche nel 2006, Calabria, di nuovo Friuli Venezia Giulia, Umbria nel 2007 Molise nel 2008
- Alcune Regioni mostrano di tener conto dei passaggi procedurali disposti dalla riforma e di porsi in sintonia.
Da un generale quadro di dominanza presidenziale sembrano discostarsi altre Regioni, come Marche e Calabria, che in certi casi preferiscono un’intesa tra Giunta e Assemblee.
Laddove invece manca una specifica normativa procedurale, Giunta e Presidente possono arrivare a disporre di uno spazio più ampio e quasi esclusivo, come risulta in talune Regioni.

I regolamenti interni delle Assemblee
Varie Regioni hanno fatto ricorso ai regolamenti interni come sede alternativa o integrativa rispetto alla legge per predisporre l’organizzazione regionale, inclusi i rapporti tra gli organi di vertice, ai nuovi adempimenti.
- In questo senso, ad esempio, (anche attraverso modifiche puntuali)
�� la Provincia di Trento,
�� il Friuli Venezia Giulia,
�� il Lazio,
�� la Liguria,
�� e nel 2007 l’Umbria e l’Emilia-Romagna.Palazzo Campanella a Reggio, sede del Consiglio regionale della Calabria

Attuazione art. 5 comma 3, legge 11/2005
A quanto risulta complessivamente, ancora nessuna Assemblea regionale ha agito in applicazione dell’art. 5, comma 3, esercitando il proprio diritto all’invio di osservazioni – in merito agli atti ricevuti di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 3 – al Presidente del Assemblee dei Ministri o al Ministro per le Politiche comunitarie.
Le esperienze applicative
Le previsioni normative, variamente dislocate ma tutte orientate a costruire schemi procedurali a sostegno della partecipazione regionale, ancora risultano produrre scarsi effetti. Per il momento non è possibile disporre di elementi di valutazione del reale grado di coinvolgimento delle Assemblee nel complessivo processo nazionale, anche se si nota un percorso di adeguamento graduale.
Non emergono casi di formulazione e trasmissione di osservazioni al Governo sui progetti di atti comunitari, né di approvazione di atti di indirizzo. Le eventuali iniziative poste in essere dalle Giunte e dai Presidenti paiono poco visibili nelle Assemblee. Si tratta di un settore nuovo per loro.
Possono segnalarsi forme particolari di partecipazione sperimentate dalle Assemblee legislative Regionali (Emilia-Romagna, Marche, Toscana) che hanno aderito ai test sulla verifica dei principi di sussidiarietà e proporzionalità proposti dal Comitato delle Regioni.
4. REGIONI ED ATTUAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO E DELL’UNIONE EUROPEA
L’attuazione del diritto comunitario (cui si riferisce l’art. 117, 5° comma, Cost.) invece non rappresenta una competenza regionale nuova. Al riguardo le Regioni mostrano di aver cominciato a dotarsi da tempo di strumenti normativi. Questi, in alcune Regioni, sono ancora vigenti, ove compatibili ed applicabili.
• La legislazione regionale di procedura per l’attuazione
Per dar seguito alle riforme in materia, però, alcune Regioni hanno predisposto una “seconda generazione” di leggi sui procedimenti di attuazione del diritto comunitario e dell’Unione europea (spesso contestualmente alla disciplina della fase ascendente). Compongono il piccolo gruppo l’Emilia-Romagna, il Friuli Venezia Giulia, la Valle d’Aosta, le Marche, la Calabria, l’Umbria.
Lo strumento per il periodico adeguamento dell’ordinamento regionale agli obblighi comunitari, viene individuato, con larga preferenza, in una legge, apposita e specializzata, a cadenza annuale, attorno alla quale ruotano una serie di qualificati adempimenti.
Può osservarsi che la tematica europea appare tale da destare una crescente attenzione da parte del sistema regionale. Le Assemblee legislative delle Regioni, anche per impulso della propria Conferenza, hanno posto in essere iniziative al riguardo, come ad es. la costituzione di gruppi di lavoro interregionali che hanno prodotto utili analisi ricognitive, in una linea di recupero di soggettività dei Consigli.
• I casi di effettiva attuazione
Le modalità di attuazione del diritto comunitario prescelte concretamente dalle Regioni sono molto articolate.
- La legge comunitaria costituisce uno schema di riferimento che favorisce il rispetto degli impegni, il monitoraggio, la programmazione dei lavori. Ma è ancora una presenza minoritaria nel panorama regionale.

Il Friuli Venezia Giulia ha aperto la strada a partire dal 2005, la Valle d’Aosta è sinora l’unica a seguire nel 2007. L’Assemblea legislativa delle Marche approverà la legge comunitaria regionale il prossimo 9 dicembre su iniziativa e proposta della stessa Assemblea.
- Affianco a leggi dichiaratamente di questo tipo sono tuttavia presenti (ed in quantità ben maggiore) altre leggi, prive della qualificazione comunitaria, cui fanno ricorso molte Regioni (incluso lo stesso Friuli).
- Rari sono i regolamenti. Più complesso raccogliere dati precisi relativi ai decreti del
Presidente e alle delibere della Giunta, che nel 2007 paiono numerose soprattutto in Abruzzo, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Provincia di Bolzano.
5. CRITICITA E PROSPETTIVE DI MODIFICA
COMPOSIZIONE DELLA DELEGAZIONE ITALIANA PRESSO IL COMITATO DELLE REGIONI
Innanzitutto è opportuno sottolineare come nel corso degli anni più recenti le Regioni abbiano notevolmente rafforzato la loro sensibilità nei confronti delle tematiche relative all’Unione Europea.
Si è sviluppata una diffusa consapevolezza sul ruolo che le Regioni, e anche le Assemblee legislative regionali, possono giocare nel contesto comunitario alla luce del nuovo Trattato dell’UE e dell’annesso protocollo sulla sussidiarietà.
Alla luce del nuovo art. 117 Cost., il provvedimento contenente le modalità per la determinazione della ripartizione del numero dei membri assegnati all’Italia tra i rappresentanti delle collettività regionali e locali avrebbe dovuto essere adottato in via legislativa piuttosto che attraverso DPCM. In secondo luogo poi, va sottolineato che il sistema di coordinamento e rappresentanza delle Assemblee legislative regionali non è contemplato nella rete dei circuiti informativi che dal Comitato - per il tramite delle delegazioni permanenti – si attiva su tutta la filiera istituzionale, coinvolgendo, altresì, realtà diverse per peso e funzioni.
Una riunione del Consiglio regionaleA tale proposito si propone l’inserimento – all’interno della legge 11/2005 - dopo l’articolo 6 del:
“Art. 6-bis
Nomina dei rappresentanti italiani presso il Comitato delle Regioni
1. Il Presidente del Assemblee dei ministri propone al Assemblee dell’Unione europea i 24 membri titolari e i 24 membri supplenti del Comitato delle regioni, spettanti all’Italia in base all’articolo 263 del Trattato che istituisce la Comunità europea.
2. Ai fini della proposta di cui al comma 1, i membri del Comitato delle regioni sono così ripartiti tra le Autonomie regionali e locali:
a) Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano: 14 titolari e 8 supplenti, designati in modo da garantire adeguata rappresentanza sia alle Giunte, sia alle Assemblee legislative regionali;
b) province: 3 titolari e 7 supplenti;
c) comuni: 7 titolari e 9 supplenti.
3. La proposta di cui al presente articolo è formulata previa intesa in sede di Conferenza unificata, ai cui lavori partecipano due rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome.
4. In caso di modifica del numero dei membri titolari e supplenti spettanti all’Italia, la ripartizione di cui al comma 2 è effettuata mantenendo ferme le proporzioni di cui al medesimo comma”.
PROCEDURE DI APPLICAZIONE DEL PROTOCOLLO SULLA SUSSIDIARIETÀ
Il Trattato di Lisbona ha riconosciuto espressamente l’importanza svolta dalle autonomie regionali nel contesto europeo ed ha previsto la possibilità di consultazione delle assemblee legislative regionali da parte dei Parlamenti nazionali ai fini del controllo di sussidiarietà.
La verifica sull’attuazione della l. n. 11 del 2005 può costituire un’occasione per aggiornare, per quanto possibile, il quadro normativo al nuovo peso acquisito dalle Regioni anzitutto nell’ordinamento comunitario, per effetto del Trattato di Lisbona, nonché per razionalizzare le procedure avviate in passato in modo talvolta disorganico.
In questa seconda prospettiva, la sfida principale sarà quella di costruire procedure idonee ad attuare il Protocollo sulla sussidiarietà, sia nel senso di attivare i nuovi strumenti previsti dal Trattato (e dai suoi protocolli allegati), sia al fine di adeguare i regolamenti parlamentari e prevedere idonee procedure di collegamento del Parlamento con le Regioni.
A prescindere dalle eventuali forme di collegamento diretto tra Comitato delle Regioni e Parlamento nazionale – che possono sicuramente risultare importanti al fine di portare alla conoscenza del Parlamento l’orientamento del complesso delle Regioni d’Europa –, appare quindi imprescindibile la costruzione di un canale diretto tra Parlamento nazionale e “Parlamenti regionali” (come denominati dall’art. 6 del protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità), che deve costituire la via principale attraverso cui avverrà il dialogo tra loro le istituzioni rappresentative dei diversi livelli di governo.
Vi sono almeno due ragioni, direttamente derivanti dalle novità introdotte dal Trattato di Lisbona, in base alle quali è necessario coinvolgere nelle procedure degli Stati membri le Assemblee regionali dotate di poteri legislativi:
1) l’art. 5 TUE, come modificato, ridefinisce il contenuto del principio di sussidiarietà, chiamando espressamente in causa il livello regionale e locale. “In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale, né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione”. Occorre tener conto, pertanto, che, in alcuni casi, anche la sola azione delle Regioni può risultare sufficiente a perseguire gli obiettivi dell’Unione.
2) Coerentemente con la nuova formulazione dell’art. 5, nel Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità si afferma che “spetta a ciascun Parlamento nazionale o a ciascuna Camera dei Parlamenti nazionali consultare all’occorrenza i Parlamenti regionali dotati di poteri legislativi”. Da tale disposizione si evince che per i Parlamenti bicamerali può essere anche una sola Camera a decidere di consultare le Assemblee legislative regionali e che il Trattato ha compiuto una scelta precisa: gli interlocutori dei Parlamenti nazionali dovranno essere principalmente i
Parlamenti regionali (singolarmente o attraverso le loro forme di coordinamento). Attraverso le osservazioni sui progetti normativi comunitari – che le Assemblee legislative regionali faranno pervenire al Parlamento – potrebbe essere assicurata anche la rappresentanza delle opinioni delle minoranze politiche regionali oggi assenti nell’ambito dei meccanismi di partecipazione dell’Italia all’Unione europea, poiché basati sulla rappresentanza dei soli organi esecutivi.
SELEZIONE DEI FLUSSI INFORMATIVI
Oltre a un canale di comunicazione diretto tra Assemblee legislative regionali e Parlamento, sono necessarie una razionalizzazione e una selezione “a monte” dei flussi informativi per la fase ascendente: a tal fine è più che opportuna l’estensione alle Assemblee legislative regionali, per il tramite della loro Conferenza, dei meccanismi selettivi dell’informazione previsti dall’accordo interistituzionale tra le Presidenze di Camera e Senato e il Presidente del Assemblee dei ministri (rappresentato dal Ministro per le politiche comunitarie), firmato il 28 gennaio 2008, ai fini della definizione delle modalità di attuazione dell’obbligo di trasmissione e della selezione degli atti rilevanti ai sensi dell’art. 3 della legge n. 11 del 2005, con particolare riferimento all’interpretazione della locuzione “progetti di atti comunitari”.L'ingresso principale di Palazzo ''Tommaso Campanella''

POSSIBILI INTERVENTI DI MODIFICA ALLA LEGGE N. 11 DEL 2005
Alla luce dei primi anni di applicazione della legge n. 11 del 2005, e anche in considerazione delle novità nel frattempo intervenute sul piano europeo o nazionale, si prospettano alcuni possibili interventi:
a. estensione da 20 a 30 giorni del termine per l’invio da parte delle Regioni delle osservazioni ai fini della formazione della posizione italiana sui progetti di atti comunitari (art. 5, comma 3). L’estensione si giustifica anche alla luce del nuovo termine di otto settimane, anziché sei, previsto dal citato Protocollo sulla sussidiarietà, annesso al Trattato di Lisbona, per la trasmissione alla Commissione europea dei rilievi sul rispetto del principio di sussidiarietà da parte dei Parlamenti nazionali.
b. inserimento anche della Conferenza delle Assemblee legislative regionali e delle province autonome tra i soggetti che il Presidente del Assemblee dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie è tenuto ad informare tempestivamente delle proposte e delle materie di competenza delle regioni e delle province autonome che risultano inserite all'ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea (art. 5, comma 9). Tale inserimento appare coerente con la disciplina contenuta nei precedenti commi dell’art. 5, che coinvolgono anche la Conferenza delle Assemblee legislative regionali nel circuito informativo della fase ascendente.
c. nella procedura di rivalsa dello Stato nei confronti delle Regioni, come disciplinata dall’art. 16-bis della legge n. 11 del 2005, introdotto dalla legge comunitaria 2007, previsione di idonee pubblicità dei decreti ministeriali con cui, a norma dell’art. 16-bis, lo Stato può agire nei confronti di Regioni o altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto comunitario (nonché delle relative fasi preparatorie), al fine di poter attivare in sede regionale gli opportuni strumenti di controllo, risalendo alle cause delle infrazioni per le quali lo Stato italiano è stato condannato.
d. nell’ambito delle riunioni del CIACE (art. 2, comma 2) previsione di possibilità di partecipazione del coordinatore della Conferenza delle Assemblee legislative regionali.
e. nell’ambito del comitato tecnico integrato (art. 2, comma 4) previsione di partecipazione del coordinatore della Conferenza delle Assemblee legislative regionali.
f. inserimento anche della Conferenza delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome tra i soggetti cui il Governo invia – entro il 31 gennaio di ogni anno – la relazione annuale di cui all’art. 15, comma 1.
g. estensione dell’art 15-bis su Informazione al Parlamento di procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso riguardanti l’Italia al sistema regionale.
POSSIBILI MODIFICHE DEI REGOLAMENTI PARLAMENTARI
Pur nel rispetto dell’autonomia regolamentare delle Camere, sembra necessario che si proceda altresì ad un adeguamento delle norme dei regolamenti parlamentari, in particolare al fine di dare attuazione alla formula dell’art. 6 del Protocollo sulla sussidiarietà, sulla consultazione, da parte di Camera e Senato, delle Assemblee legislative regionali.
In particolare, questo rende urgente la sostituzione della disciplina, ormai in larghissima parte obsoleta (o da considerarsi abrogata, per incompatibilità, per effetto dell’entrata in vigore delle leggi costituzionali n. 1 del 1999 e n. 3 del 2001), contenuta negli artt. 103 106 del regolamento della Camera (e anche di quella di cui agli artt. 137 e 138 del regolamento del Senato), con una disciplina volta a rendere ordinari i rapporti tra le due Camere e le Assemblee regionali.
Vanno cioè stabiliti gli organi parlamentari competenti, i tempi (una ipotesi può essere l’estensione da 20 a 30 giorni) e i modi (dovendosi prevedere la possibilità di attivare tali canali sia dalle Camere sia dalle Regioni) della consultazione delle Assemblee legislative regionali.
Anche in assenza di tali norme regolamentari, la consultazione delle Assemblee regionali potrebbe intanto avvenire nell’ambito delle procedure, sperimentali ma ormai consolidatesi, relative all’esame del Programma legislativo e di lavoro della Commissione europea e del Programma del Consiglio dei ministri.
Per le Assemblee regionali, partire dall’esame del programma legislativo servirebbe ad interiorizzare il ruolo della regione nel vasto ambito UE, a procedimentalizzare i processi, ed infine a comprendere in anticipo le tematiche di interesse regionale per l’anno a venire, anche al fine di un efficiente esercizio del potere di ‘early warning’ e del rispetto del principio di sussidiarietà.
L’ATTUAZIONE DELL’ART. 11 DELLA LEGGE COSTITUZIONALE N. 3 DEL 2001
Infine, si ritiene necessario sottolineare che la modalità, a Costituzione invariata, che permetterebbe al meglio un effettivo raccordo tra le due Camere e le Assemblee legislative regionali sulle questioni comunitarie, ma non solo, è quella prevista dall’art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Nell’ambito della prassi consolidata seguita dal Parlamento italiano nell’esame dei progetti di atti comunitari per i profili inerenti alla sussidiarietà, nonché per i progetti che ricadano nelle materie di competenza residuale e concorrente delle Regioni, si potrebbe prevedere che il parere della Commissione parlamentare integrata dai rappresentati regionali e locali intervenga prima che il parere sulla sussidiarietà sia reso dagli organi parlamentari competenti.
6. COLLABORAZIONE INTERISTITUZIONALE
IL COMITATO PARITETICO
Il Comitato paritetico è stato costituito il 28 giugno 2007 con un Protocollo d’intesa firmato da Camera dei Deputati, Senato della Repubblica e Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali.
Il Comitato paritetico nasce per promuovere il raccordo e lo scambio di esperienze tra le Assemblee legislative sui temi istituzionali di comune interesse relativi al ruolo degli organi rappresentativi nei processi decisionali, al loro buon funzionamento, allo sviluppo ed alla collaborazione tra le rispettive amministrazioni di supporto ed ai metodi della legislazione.
Tra i temi promossi dal Comitato vi è anche lo sviluppo delle procedure relative ai rapporti tra diversi livelli territoriali, con specifico riguardo alla partecipazione alla fase ascendente e discendente di formazione del diritto comunitario, con particolare riferimento all’attuazione della legge 11/2005 ed all’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, sulla base di quanto stabilito dal protocollo allegato al Trattato di Lisbona.
COMITATO DELLE REGIONI
La Conferenza collabora con il Comitato delle Regioni nella diffusione della partecipazione delle Assemblee regionali al controllo della sussidiarietà, e dunque, nella applicazione de facto di tale principio.
Il Network di monitoraggio della sussidiarietà istituito dal Comitato delle Regioni offre agli enti locali e regionali europei la possibilità di intervenire in una fase precoce del processo decisionale comunitario, consentendo loro di procedere ad esaminare il rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità nelle proposte e negli atti della Commissione europea, direttamente individuate dal CdR e sottoposte all’esame delle singole istituzioni. La Conferenza è osservatore all’interno del Network e promuove la partecipazione diretta ad esso delle Assemblee legislative regionali.

COMMISSIONE EUROPEA
La Conferenza partecipa alle sessioni di Dialogo strutturato che la Commissione europea - conformemente all’impegno assunto nel Libro bianco sulla governance europea - ha adottato dal dicembre 2003 sul programma legislativo e di lavoro e sull’elaborazione delle politiche dell’Unione europea. Lo scopo è quello di migliorare la qualità della legislazione europea integrandovi i punti di vista delle associazioni regionali e locali prima dell’avvio formale del processo decisionale”.


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