21 gennaio 2009    

I Capi di Stato in Calabria (di Romano Pitaro)
Hanno detto ma non è stato fatto


C’è una gran  curiosità  per la visita del Presidente della Repubblica. Pressante è   la voglia di vedere da vicino lo Stato che Giorgio Napolitano rappresenta. Ma nessuno s’illude.  La Calabria  di Presidenti   ne ha visti ben  sette su undici.  A voler fare un bilancio, però,  l’esito non è esaltante.  I loro “messaggi”  sono caduti nel vuoto.  Come accade in un  racconto di Kafka:  il “messaggio dell’imperatore”  non arriva al  destinatario. 
Il Presidente della Repubblica Giorgio NapolitanoCuriosità non per gli esiti:  Napolitano   non è il  Capo del Governo. Ma curiosità    per  come sintetizzerà il senso  del suo incontro. Che è il primo, dopo 2 anni dalla sua elezione, con una regione percepita nell’immaginario collettivo, come un mostro da tenere a distanza.
Una personalità come questo  Presidente, che incarna l’alta funzione  con un laico rispetto della neutralità istituzionale  ed è consapevole dei disagi che il Mezzogiorno attraversa, cosa mai potrà dire che gli altri Presidenti approdati in Calabria  non abbiamo detto? 
Magari che il Mezzogiorno è una priorità.   Ma  Napolitano, proprio il 2 dicembre scorso a Napoli, ha esposto la summa di un pensiero robusto sul Mezzogiorno, legato anche ad aspetti di stringente attualità: “Il Sud faccia autocritica, solo così potrà difendersi da un federalismo fiscale che rischia di danneggiarlo pesantemente”. E di seguito il  monito agli  amministratori del Mezzogiorno, affinché  procedano “ad un profondo rinnovamento e a fare una riflessione autocritica sul modo di amministrare la cosa pubblica”. Avvertendoli che "Se ci si sottrae all'esercizio di responsabilità per quello che riguarda l'amministrazione della cosa pubblica non si hanno poi i titoli per resistere alle interpretazioni, anche le più perverse, del federalismo fiscale".
 Beh!, allora il Presidente vedrai che si soffermerà sulla scarsa eticità della politica. Ma anche qui  il “già detto” è in agguato. Addirittura Napolitano, sempre a Napoli, ha  denunciato  "l’impoverimento delle politica, culturale e morale". Sarà forse la volta che  a Rende, Lamezia  e Reggio, Napolitano indulgerà alle esortazioni. Tipo: “Calabresi, non datevi per vinti. L’Italia tutta è con voi”.  Ma quante volte è stato ripetuto?   Nel 2005, il 18 ottobre, ci ha pensato il presidente Carlo Azeglio  Ciampi,  con davanti agli occhi il feretro del vicepresidente del Consiglio regionale Franco Fortugno  assassinato dalla mafia.
Mentre il  rettore di Arcavacata  gli tributerà “la gratitudine per  la sua partecipazione” e  ricorderà “che con la sua visita l’università è un ponte ideale tra la Calabria e il resto d’Italia, perché non si parli di università come luogo del malaffare, dove si sistemano solo figli e nipoti”, Napolitano probabilmente  penserà alle cose dette  nella stesso luogo da Ciampi  nel 2000 e prima ancora da Sandro Pertini ( 1978/ 1985).
 Pertini  nelle Serre calabresi comprava dal maestro Grenci alcune delle sue inseparabili pipe. Raccontò a Catanzaro: “In visita in Inghilterra, la regina Elisabetta  mi diede in  regalo una pipa Dunhill, l’ho  ringraziata ma le ho anche detto che la radica di quella pipa viene dalla Calabria”. E  nel suo messaggio di fine anno (1983) disse: “Io ho girato in un lungo e largo la Calabria. Se vi è un popolo generoso, buono, pronto, desideroso di lavorare e di trarre dal suo lavoro il necessario per poter vivere dignitosamente, è il popolo calabrese”.
Prima di Napoletano  la Calabria ricorda Ciampi, che in più occasioni (fu  al  funerale  dei morti nella tragedia  di Soverato del 2000) visitò le 5 province. Improvvisa quella del 2005: Ciampi è giunto in uno dei momenti peggiori per la Calabria.  Col volto di cartapesta,  in Consiglio regionale onorò il feretro di  Fortugno. 
Il  18 febbraio 2005 è l’ultima data   in cui un Presidente della Repubblica è venuto in Calabria. Quattro anni ci sono voluti.  Tanti  per una regione  che ne ha viste  di tutti i colori.  Eppure  gli appelli a una maggiore presenza dello Stato,  dinanzi ai morti ammazzati e alle centinaia d’intimidazioni,  non sono mancati.  Terra di fughe, ieri e oggi. Una moltitudine di laureati senza prospettive  con la valigia pronta che, a chi rappresenta  lo Stato  e l’unità nazionale,  avrebbe tanto da dire. 
 Ciampi sparse fiducia a piene mani  in quel lugubre  18 ottobre: “'Calabresi reagite con fermezza: non siete soli, l'Italia è tutta con voi''. Soggiunse:
''La mia presenza qui  è un atto di doveroso omaggio alla figura di  Fortugno ed al suo impegno politico e civile''. Ha commosso l’immagine di quel Presidente,  in raccoglimento davanti alla  bara di  Fortugno, con la mano adagiata sul feretro. Quel Presidente ha  fatto credere alla Calabria,   parlando con i giovani,  che nella lotta per il   riscatto non  sarebbe stato sola.
Quando Napolitano ascolterà, dalla voce del rettore,  i successi dell’Università di Reggio, moltissimi di quei giovani cui si rivolse Ciampi non li vedrà. Nel frattempo  sono  andati via e il riscatto, dopo 4 anni, non c’è stato.  Ma non è la prima volta  di un Presidente le cui parole finiscono  come coriandoli.
In realtà Ciampi suscitò speranze   anche nel  viaggio a febbraio del 2001. In quel periodo  esprimeva ottimismo  sull' azienda Italia  (“ è stato  ridotto il disavanzo, ci si avvicina a quota zero”).  Davanti ai big  della politica calabrese, a Reggio,  quel  Capo dello Stato affermò che “la questione meridionale non è risolta e c' è dunque tuttora bisogno di meridionalismo e di sviluppo”.  Dinanzi, anche allora, come scrisse Marzio Breda sul  Corriere della Sera, “a una regione psicologicamente depressa che ancora lamenta l'abbandono dello Stato, Ciampi   spronò la Calabria  ad autoemanciparsi lungo la scia della svolta positiva degli ultimi anni qui  consolidata con aumenti di occupazione, export, turismo”.
Elogiò “il passaggio da un' economia assistita a un' economia autosostenuta” che a lui pareva  “l' indizio di un cambiamento, in cui il futuro è finalmente nelle mani dei calabresi che non saranno lasciati soli nella sfida”. E ancora: “State già facendo bene, ne è prova il fatto che le istituzioni locali abbiano utilizzato quasi l' 80 per cento dei fondi strutturali messi a disposizione da Roma e Bruxelles: prima non si riusciva nemmeno a progettare come spenderli, quei denari, e li si perdeva.”
Ma 5 anni dopo (2005) il presidente  Ciampi  si ritrovò davanti  una regione colpita al cuore dalla mafia e una società mortificata. E prima di Ciampi, stessa musica con  Oscar Luigi Scalfaro, presidente dal ’92 al 99. Ai ferri corti con il centrodestra, Scalfaro, nella sua seconda discesa(tre giorni) dovette  fronteggiare  una  contestazione dei parlamentari reggini del Polo. Secondo cui “per molto meno di quel che oggi  dice  Bossi (alleato del centrosinistra)  nel ' 70 arrivarono a Reggio Calabria  i carri armati”.  E sebbene Scalfaro si difendesse (“La politica e' del governo. La Padania? Non la conosco”) il viaggio fu contagiato dalle vicende nazionali.
Ma non solo. Saltando ogni timore reverenziale, i politici del centrodestra  rimproveravano a Scalfaro il  tradimento degli impegni assunti per la Calabria nel corso della sua  visita del 7 dicembre 1994.  Più o meno: “ "Ci ha ingannati. Ha promesso lavoro e giustizia. Aspettiamo da un anno e mezzo, inutilmente. Perciò non vogliamo neppure incontrarlo". E lui:  "Nossignori, non ho promesso nulla, io. Non l' ho mai fatto in 46 anni di vita politica. Il mio dovere non e' questo. Semmai e' di interpretare le volontà della gente e far da ambasciatore, di bussare a Palazzo Chigi e seguire le cose, dopo. Badate: è il governo a rispondere della politica generale del Paese, chi non lo sa e' bene che impari. E poi, quando recitate l' elenco delle regioni italiane, non fate più quel nome, Padania... Io non lo conosco".
Allora  la recriminazione per l' abbandono dello Stato ruppe le formalità e divenne rumore.    Annotava il Corriere della Sera: “Il Presidente controbatte mostrando un po' di difficoltà per la sgradevole sorpresa e  si salva con un' incitazione che sembra in parte autobiografica ("Si può anche perdere, nella vita, ma non ci si deve arrendere mai") e che però si attaglia perfettamente pure alle emergenze di questa terra: disoccupazione, criminalità, Stato sociale”. Renato Meduri, senatore di An, tuonava:  "L'ultima volta che il Presidente venne qui, il 7 dicembre 1994, dopo aver camminato tra due ali di folla che lo applaudiva chiedendo lavoro, promise: "Abbiate fiducia, porterò le vostre istanze a Roma e avrete presto risposta'.  E' passato un anno e mezzo e nessuno ha avuto notizia di qualche sua iniziativa a favore della Calabria”. In realtà, per il centrodestra   Scalfaro  aveva “la grave colpa di aver sostenuto Dini e affondato Berlusconi  e di essere stato condiscendente verso la Lega”. Ma l’annosa irrisolta “questione calabrese” forniva l’occasione   per smascherare  l’incapacità dello Stato di dare risposte al Sud del Sud.
Capitò anche ad Einaudi di  fare prediche inutili. Nella Calabria degli Anni ’50,  che lo scrittore Sharo Gambino raffigurava con versi crudi (““Il cane ha la bocca maledetta,/ la capra ha maledetta pure la bocca./ Nella piazza disselciata e deserta/ un tubo di grondaia ai piedi nudi/ d’un bimbo scarica l’ultima pioggia./ La nebbia va./ C’è fame anche di Cristo.”) sopraggiunse   la  rovinosa alluvione del 1951  che sconvolse la Locride e  alcuni paesi delle Serre.
Bilancio: 70 vittime,   67 comuni travolti ( 4.500 senza tetto, 1.770 abitazioni crollate, 26 ponti sfarinati, 77 acquedotti danneggiati, piantagioni distrutte). Il presidente Einaudi giunse in Calabria con le migliori intenzioni. Si fece interprete di un disagio disumano e andò via. Nel suo breve discorso di fine anno menzionò quel dolore: “…Muoveremo insieme verso le ulteriori prove. E insieme testimoniamo anzitutto il nostro affettuoso ricordo a quelli tra noi che vivono tuttora sotto il peso di immeritate angustie, primi tra essi – voi mi intendete – quanti abbiamo sofferto lutti e stenti a motivo delle recenti alluvioni”.
 Quell’alluvione in Calabria è diventata l’ emblema d’ infinita miseria e di una ricostruzione fallita. I “cafoni calabresi”  le case le ebbero, ma dopo trent’anni, quando molti  erano già emigrati(gli alluvionati di Fabrizia, nel 1984, per abitarle  dovettero occuparle).  In una lettera di qualche tempo dopo, il presidente  Einaudi si rivolse  al capo del Governo Alcide De Gasperi: “Mi chiedo che paese sia il nostro, se nel 1951 si scrivevano cose che ancora oggi non trovano nessun tipo di attuazione” E di seguito:   “Ci rassegneremo ancora una volta? Dimenticheremo, di fronte all’urgenza di sempre nuovi problemi pressanti, che il problema massimo dell’Italia agricola è la difesa, la conservazione e la ricostruzione del suolo del nostro Paese contro la progressiva distruzione che lo minaccia? Dalle Alpi e dagli Appennini fronteggianti la Valle Padana, giù sino alle montagne della Calabria, della Sicilia e della Sardegna, gran parte della terra italiana va in disfacimento. Le inondazioni del Reno ferrarese, del Po, ieri dell’Adige, sempre dei fiumi torrentizi della Calabria Jonica e tirrenica e della costa orientale della Sicilia e della Sardegna, insegnano”.  Neanche quando il Quirinale  ha insistito s’è ottenuto granché per il Sud. 
Dopo Einaudi,  un tour completo in Calabria  lo fece Giuseppe Saragat. E’ il 1966. Per avere un altro Presidente in giro per la Calabria bisognerà aspettare Pertini 16 anni dopo. Nel 1991 e nel 1992 è la volta del Presidente picconatore.  Motivo: morti di mafia. Francesco Cossiga fu  ai  i funerali del .giudice Antonino Scopelliti assassinato a Piale tra Villa San Giovanni e Campo Calabro e l’anno dopo ai  i funerali dell’ispettore di polizia   Salvatore Aversa e Lucia Precenzano uccisi in un agguato di ‘ndrnagheta a  Lamezia. Il Presidente Napolitano accolto al suo arrivo all'Università ''Mediterranea'' di Reggio Calabria
Il primo  viaggio nelle regioni  da Presidente  Giuseppe   Saragat lo fece in Calabria.  Andò a San Luca nella casa natale di  Corrado Alvaro e incontrò i calabresi nelle  città.  “Voleva conoscere la Calabria”, racconta Costantino Belluscio, che fu il suo segretario particolare: “E’ stato l’unico politico nazionale che ha capito bene il significato della rivolta di Reggio. Quando è scoppiata la rivolta nel 1970 lui era Presidente. A Reggio  c’erano ancora le baracche del terremoto del 1908. A me Saragat chiedeva: “come mai si sono rivoltati cosi in ritardo i calabresi nel protestare contro uno Stato che è stato una matrigna?”.  Anche se è vero, lui diceva, ripetendo una frase di Turati, che la colpa dell’arretratezza del Mezzogiorno non è dovuta alla storia e alla geografia, ma anche in parte agli uomini che vivono nel Sud. Alla classe dirigente, ad un ceto intellettuale, che è stato sempre al servizio del potere. Del potere temporale una volta, del grande latifondo un’altra volta, del fascismo successivamente e poi delle tendenze di moda. E’ mancata sempre una classe dirigente e anche una classe intellettuale del Mezzogiorno che fosse esclusivamente al servizio del progresso e non soltanto del potere”.
Naturalmente l’analisi di Saragat si fermo lì.  Il  destino dei Presidenti della Repubblica a tu per tu con l’osso del Paese: non essere ascoltati.  Il presidente Napolitano conosce come le sue tasche il Mezzogiorno. Guardando i calabresi che lo aspettano da  tempo  potrà discutere, da par suo,  di ricerca scientifica o di riforma della giustizia.   E andare via, promettendo di tornare.  Oppure rischiare  di entrare in sintonia con quei calabresi che, come le ragazze di una poesia di  Mario Luzi,  nonostante le cocenti delusioni,“non sanno finire d’aspettare l’avvenire”.-

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