29 settembre 2008    

Per la Chiesa il Sud è ancora un luogo di vita (di Romano Pitaro)
Intervista al direttore dell’Istituto Teologico Calabro San Pio X, don Antonio Staglianò



Parla il teologo. Di giovani, federalismo,  della “manna del cielo” da contrapporre alla ‘ndrangheta e alla cattiva politica.  Sulla Calabria le analisi sociologiche  traboccano. Ma cosa dice la Chiesa su questa regione sempre più sola? E’ serrata nel silenzio? O nutre un pensiero sul riscatto della Calabria? Ne abbiamo discusso con il direttore dell’Istituto Teologico Calabro "San Pio X". Decine di pubblicazioni alle spalle, don Antonio Staglianò  non elude  le domande. E  annuncia che i vescovi italiani stanno lavorando a un nuovo  documento sul Mezzogiorno dopo quello di venti anni fa.
Domenica, in un’area del profondo  Sud  (Torre di Ruggiero) si terrà  il   XXIV Colloquio Internazionale di Mariologia. Esperti di fama internazionale discuteranno  di  Maria “segno e modello della nuova umanità riconciliata in Cristo”.   Non le pare che scomodare tante autorità ecclesiastiche, senza nulla dire della condizione in cui versa la  realtà calabrese,  sia un  errore? Don Antonio Staglianò Direttore dell'Istituto teologico calabro San Pio X
«De Maria numquam satis», di Maria non si parla mai abbastanza. Maria è realtà personalizzante. In lei la Chiesa scopre le sue profondità personali e non scade a mera organizzazione. Maria esprime la fisionomia personale della Chiesa, impedendone una sua visione puramente organizzativa. E’ un pensiero di J. Ratzinger, per il quale la Chiesa «ha bisogno del mistero di Maria, anzi è essa stessa mistero di Maria». L’attivismo della mentalità occidentale – che porta a fabbricare tutto e tutto riduce a pianificazione del fare e del produrre dell’uomo, unicamente affidato alle proprie risorse-, senza il principio mariano rischierebbe di fare della Chiesa un “prodotto del nostro agire e pianificare”. Da questo versante Maria ha qualcosa da dire all’uomo di oggi: cerchi relazioni umane profonde,  non riduca se stesso solo alle condizioni materiali della propria esistenza. Non sono questi pensieri molto concreti sulla realtà umana di oggi e sulla realtà calabrese? Per altro la “realtà calabrese” sono le persone umane che abitano, vivono soffrono e si impegnano in Calabria. Le assicuro che a quell’incontro ci saranno loro: i calabresi. Non gli Ufo.
La Calabria e il Sud sembrano il popolo d’Israele dopo il passaggio del Mar Rosso. Fronteggiano problemi come la fame; lo smarrimento; il pericolo dei predoni (la ‘ndrangheta e la cattiva politica); la nostalgia della schiavitù. La Chiesa quale indicazione dà  al popolo meridionale  nel deserto? 
Se vale la sua analisi e la sua analogia sulla Calabria e il Sud nel deserto, ritengo che la Chiesa non possa che indicare la via del suo riscatto attraverso la manna: un cibo che viene dall’alto, ma che mangiano gli uomini. La cattiva politica e la ‘ndrangheta non sono realtà che si possano sconfiggere con discorsi belli o grandiose teorie, ma solo con la “conversione dei cuori”, la “trasformazione della mentalità della gente”. La Chiesa è presente in Calabria proprio per questo: perché le persone – incontrando Gesù Cristo – si convincono che la vita va spesa nel dono di sé per l’altro e che questo dono rende felici, permette di superare le inevitabili frustrazioni dei nostri desideri o anche le sconfitte talvolta laceranti dell’esistenza umana, attraversata comunque dalla violenza e dal conflitto, dal non essere amati come si vorrebbe. La logica eucaristica è l’insegnamento della Chiesa, l’ethos eucaristico è la “manna” che permette oggi di non morire di fame nel deserto dei nostri affetti lacerati e dei nostri legami infranti. La “manna” si chiamò così perché il popolo di Israele vedendola disse: Man hu? Cosa è? Ebbene la Chiesa – quale spazio di conversione della gente alla logica eucaristica del dono di sé per amore all’altro -, vuole suscitare la meraviglia di una scoperta: è possibile cambiare, togliere il cuore di pietra e cominciare ad amare con un cuore di carne. Cosa è? Che meraviglia vedere uomini e donne che si spendono nel dono e nella cura degli altri.
C’è una condizione di disagio economico ma anche umano della Calabria: cosa può dire ai giovani delusi persino nelle aspettative più elementari ?
Quello economico è il disagio più appariscente. La ringrazio per aver richiamato il disagio umano: la concentrazione sull’economico è già una grande perdita dell’umano. E’ un trend del mondo: tutto è portato alle condizioni materiali dell’esistenza, in una corsa al benessere che crea conflitti, competitività e mancanza di lavoro: penso al lavoro che manca perché è carente la solidarietà tra gli uomini e ognuno pensa ad accaparrare di più e per sé. La Calabria è terra di sognatori e di poeti, che sono un segno di irriducibilità all’economico: ai giovani direi non smettete di sognare. Certo sognate ad “occhi aperti”, ossia  individuare le strade per “creare lavoro” senza diventare servili o clienti di qualcuno. Significa  lottare per la giustizia sociale che non può essere condotta senza “passione per la verità”. Se i giovani entrano nella spirale “drogata” che si esprime in queste frasi “la verità non esiste”,  “ognuno ha le proprie verità”, “niente ha senso”,  su quali basi potrà giustificarsi un loro impegno creativo: diventeranno preda dei tanti occulti persuasori della nostra società, i famosi predoni che divorano anche la loro anima.
In un mondo alle prese coi temi della   modernità liquida,  come può realizzarsi  ciò che la Chiesa italiana auspicò in un suo  importante documento, “lo sviluppo nella modernità” di un Paese che “non crescerà se non insieme”?
La Chiesa cammina con l’uomo al suo passo. La modernità liquida significa che nella vita della gente serpeggia e domina l’idea che tutto è leggero, tutto è provvisorio, niente è stabile: soprattutto i legami e gli affetti – le cose più importanti e sacre dell’esistenza umana- possono diventare merce di scambio, negoziabili. L’individualismo (con quanto gli appartiene) pretende il trono di questo mondo. Tuttavia, l’uomo non è semplicemente individuo, più profondamente è persona, cioè rete di rapporti. E’ vero, “il Paese non crescerà se non insieme” e i vescovi della Calabria di oggi stanno preparando per l’Ottobre 2009 il V Convegno ecclesiale delle chiese calabresi proprio sul tema della “comunione come speranza”: un Convegno che mostri come la realtà della Chiesa-comunione entri a vivificare dal di dentro il quotidiano dei calabresi, impegnandoli in un nuovo esercizio del cristianesimo, più testimoniale, nei vasti campi dell’educazione, del lavoro, della fragilità, degli affetti, della cittadinanza attiva.
Sul tema di stringente attualità: Nord/Sud e il possibile rischio di frattura qualora la spuntasse un federalismo egoistico, c’è un dialogo tra la Chiesa calabrese e i suoi vertici nazionali?  Torre di Ruggiero
Il federalismo non è un dogma, ma un semplice strumento politico. E’ importante però il contenuto valoriale che questo strumento si impegnerà a mediare, nelle forme che assumerà. Certo ogni forma di isolamento è una perdita umana. Gli italiani del Nord sanno bene quanto hanno da imparare e da attingere dalla realtà umana del Sud. Ho ascoltato diversi vescovi meridionali ripetere una convinzione di Paolo VI: la “salvezza dell’Italia” sarebbe giunta da quell’altra Italia che è il Sud.  La speranza è che il federalismo si attui come “federalismo solidale”: non dovrebbe essere un ossimoro, la congiunzione di due parole opposte e contraddittorie. Ma se lo fosse sarebbe una bella sfida storica: il federalismo può e dovrà essere solo solidale, se vuole essere umano. Su questo i vescovi calabresi –per tanti interventi offerti negli ultimi anni su temi sociali e soprattutto per la loro operosità sul campo-, non solo sono in dialogo, ma sono “una comunione” con tutti i vescovi italiani: la Chiesa cattolica è una.
La Chiesa non di rado nel passato -  rammento la coraggiosa  lettera dei vescovi del Mezzogiorno del 1948 che conteneva  un’analisi delle  condizioni sociali in cui si venne a trovare il Sud nel dopoguerra -  ma anche  con interventi recenti,   ha sollevato l’urgenza della questione meridionale che in questo frangente, nel Paese sembra non  avere cittadinanza. Qual è la sua opinione?
Qualche hanno fa, per una mia personale ricerca sull’identità teologica del Sud, mi sono imbattuto su un piccolo libro di un economista italiano (G. Viesti) dal titolo provocante: “Abolire il Mezzogiorno”. Devo dire che mi irritò un poco. Sostanzialmente poi mi convinse: abolire il Mezzogiorno non è cancellare dalla lavagna della storia italiana la questione meridionale, ma decidere finalmente di risolverla. E a quanto pare questo non è solo un pio desiderio del cuore, ma qualcosa che si può istruire su base economica. Basta dunque con il Mezzogiorno come problema. Guardiamo al Mezzogiorno come risorsa, apertura, ponte verso il Mediterraneo, direi addirittura come vocazione?
Non c’è nel silenzio del Mezzogiorno anche un silenzio della Chiesa calabrese che forse guarda con indulgenza non solo al deficit di protagonismo della società civile ma anche al fatalismo con cui sempre più i calabresi affrontano i problemi?
 C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere. Vede, nella Chiesa, il silenzio è una grande risorsa. Pensi alla liturgia eucaristica, quanto è importante il silenzio per interiorizzare il dono che si è ricevuto. Nella Chiesa il silenzio è grembo della parola e di una parola autentica. Se lei nota silenzio nella Chiesa calabrese, dovrà anche ammettere che la Chiesa non parla solo con i documenti, ma soprattutto parla con le sue opere, con quel lavorio quotidiano svolto in tutto il territorio attraverso le parrocchie e i contatti personali con la gente. Così la Chiesa si impegna a costruire nuova mentalità, nuovi atteggiamenti etici. E’ un lavoro difficile, spesso in perdita. Ma anche sulla perdita e sul guadagno la Chiesa ha ben altri criteri con cui valutare la storia, quelli messi a disposizione dal Dio provvidente che lavora nella vita degli uomini e “fa partorire la sterile sette volte, mentre la ricca di figli sfiorisce”. Per il resto si sa  che i vescovi italiani stanno lavorando a un documento che dovrebbe aggiornare quello molto bello di venti anni faSviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno”. Là erano forti le espressioni con cui si invitava ad assumere la "questione del Mezzogiorno" come "questione nazionale".
Si accusa la società meridionale di accondiscendenza e di non comprendere le dinamiche della modernità, la si accusa di afasia e di pigrizia intellettuale. Cosa ne pensa?
Occorre cambiare il registro di valutazione complessiva, almeno su due aspetti decisivi. Anzitutto nel giudizio sui “beni”: i beni più importanti sono quelli relazionali e non quelli più preziosi (nel senso della moneta corrente o dell’oro, leggi: costosi); poi sull’uso delle cose materiali: si impone la necessità di un “diverso rapporto con le cose” non dominato dall’ideologia del consumo sfrenato. Allora, alcuni tratti della cultura meridionale, troppo frettolosamente giudicati retrivi, incivili, primari, all’occhio del cittadino del ventunesimo secolo, dischiudono nuovi orizzonti d’apprezzabilità, sembrano funzionare come protezione di valori rilevanti, oggi indispensabili per vivere da uomini e non da robot.
A suo avviso, la Chiesa rappresenta ancora un riferimento per le popolazioni del Sud investite da grandi trasformazioni?
A dispetto di quanti ritengono che la religione e il cristianesimo siano finiti nell’era della tecnica e della scienza, bisogna ammettere che la domanda di senso e di salvezza resiste nell’uomo come la custodia più vera di ciò che è umano e rende effettivamente felice la vita. Proprio a causa delle trasformazioni accelerate e incalzanti la Chiesa è un riferimento indispensabile: il suo messaggio è quello di Gesù, un messaggio di amore, di giustizia, di prossimità, di solidarietà, di convivenza pacificata. Tutti valori e, di più, tutte esperienze che quelle trasformazioni tendono a degradare ed ad impoverire, consentendo la barbarie dal volto umano cui assistiamo ogni giorno. La Chiesa ha fiducia nell’uomo calabrese. Vorrei citare un’ espressione del documento dell’Episcopato italiano sul Mezzogiorno: «Il Sud è, ancora, un luogo di vita, in cui ci sono risorse umane, grande agilità mentale; permane una cultura dell’amicizia e della lealtà interpersonale che può essere preziosa nel momento in cui, un po’ in tutto l’Occidente, si cerca di correggere un tipo di sviluppo economicamente inteso, fondato sull’egoismo». 


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