Pubblicato il 17/08/2023
N. 07799/2023REG.PROV.COLL.
N. 03575/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3575 del 2017, proposto Ministero dell'Interno nonchè dall'Ufficio Territoriale del Governo e dalla Questura di-OMISSIS-, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati xxxxx xxxx, xxxxx xxxx, xxxxx xxxx, con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato xxxx xxxx xxx in Roma, corso xxxx xxxx, n. ...;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana (Sezione Prima) n. 01734/2016.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'appello incidentale proposto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2023 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati delle parti presenti o considerati tali ai sensi di legge, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO
I I fatti di causa sono puntualmente riportati nella sentenza appellata cui si rinvia in applicazione del principio di sinteticità ex art. 3 c.p.a..
In sintesi, e per quanto di rilevanza ai fini della decisione dell'appello, si rammenta che:
a) il ricorrente, all'epoca Assistente Capo della Polizia di Stato, assunto nel 1983 e dal dicembre 1984 assegnato alla Polizia Stradale di -OMISSIS- e poi in altre sedi, ha adito il T.a.r. per la Toscana per chiedere l'annullamento:
- dei decreti prefettizi di concessione della aspettativa per infermità n. 58/2008, n. 59/2008, n. 60/2008, n. 61/2008 e n. 62/2008 e della nota del 22 settembre 2009 con cui la Questura di -OMISSIS- richiedeva la restituzione della somma di € 5.225,47 per pretesa erroneità della liquidazione precedentemente operata in relazione al periodo di aspettativa goduto per infermità sull'assunto che egli non avrebbe avuto diritto a percepire alcun emolumento per il periodo dal 26/1/2007 al 31/10/2007, e avrebbe avuto diritto a percepire solo il 50% del trattamento retributivo per il periodo dal 26/7/2006 al 25/1/2007, in luogo del trattamento in misura intera;
- del provvedimento di recupero successivamente adottato dall'amministrazione;
- ha infine chiesto l'accertamento del diritto a percepire il trattamento retributivo in misura piena per il periodo dal 1/2/2006 al 14/5/2008, oltre agli accessori di legge.
b) Con successivi motivi aggiunti ha impugnato i provvedimenti adottati nel dicembre 2010 recanti correzione e rideterminazione in diminuzione (da 5.222,00 a 256,00 euro) del debito a proprio carico, ferma la decurtazione operata per i periodi di aspettativa per infermità con i menzionati decreti prefettizi.
c) Ha anche proposto domanda risarcitoria per i danni asseritamente patiti in conseguenza della condotta tenuta dalla amministrazione di appartenenza.
d) Con sentenza n. 1734 del 2016 il T.a.r. per la Toscana ha accolto il ricorso ritenendo che la misura intera del trattamento economico, nel predetto periodo, fosse dovuta in base all'art. 12 del d.P.R. n. 170/2007 di recepimento dell'accordo collettivo per il comparto Sicurezza in forza del quale durante l'aspettativa per infermità, sino alla pronuncia sul riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della lesione subita o della infermità contratta, competono "in misura intera" (quindi senza alcuna decurtazione percentuale) gli emolumenti di carattere fisso e continuativo. Ciò in quanto l'art. 1, comma 2, della medesima norma di fonte pattizia, prevede che "il presente decreto concerne il periodo dal 1° gennaio 2006 al 31 dicembre 2009 per la parte normativa e dal 1 gennaio 2006 al 31 dicembre 2007 per la parte economica" e quindi ricomprende il lasso di tempo in contestazione oggetto dei decreti ministeriali impugnati, tenuto altresì conto che l'art. 38 del medesimo d.P.R. n. 170, pur prevedendo che le disposizioni introdotte hanno efficacia a decorrere dal mese successivo alla sua pubblicazione, fa tuttavia "salvo quanto espressamente previsto" e quindi la disposizione di cui all'art. 1, comma 2 relativa al periodo in cui la nuova disciplina troverebbe applicazione (dal 1 gennaio 2006 al 31 dicembre 2007 per la parte economica).
Con la medesima pronuncia il T.a.r. ha assorbito i restanti motivi di ricorso incentrati, quanto ai decreti prefettizi, sul difetto di motivazione, sulla violazione dell'art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 e sulla violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990 in relazione al provvedimento di recupero, la cui illegittimità è stata dedotta anche in relazione alla violazione del principio della tutela dell'affidamento e a quanto previsto dall'art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 170/2007.
Avverso la predetta sentenza ha interposto appello il Ministero dell'Interno con l'Ufficio Territoriale e la Questura di -OMISSIS- per chiederne la integrale riforma in quanto errata in diritto.
Si è costituito in giudizio il signor -OMISSIS- per resistere all'appello chiedendone la reiezione in quanto infondato. Ha altresì riproposto i motivi di ricorso assorbiti dal T.a.r..
Il Ministero dell'Economia e Finanze, ha proposto appello incidentale contro la sentenza del T.a.r. per la Toscana, aderendo integralmente alle doglianze ed argomentazioni avverso la decisione di primo grado già dedotte con l'appello principale notificato nell'interesse del Ministero dell'Interno, dell'Ufficio Territoriale del Governo di -OMISSIS- e della Questura di -OMISSIS-.
Alla udienza pubblica del 16 marzo 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
Con un unico motivo di appello il Ministero dell'Interno con l'Ufficio Territoriale e la Questura di -OMISSIS- lamentano che la pronunzia di che trattasi sarebbe giuridicamente erronea in quanto affetta da violazione e falsa applicazione dell'art. 38, dell'art. 1, comma 2 e dell'art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 170/2007, di recepimento dell'Accordo sindacale per il personale non dirigente delle Forze di polizia od ordinamento civile e militare (quadriennio normativo 2006 - 2009 e biennio economico 2006 - 2007).
Identico motivo è stato proposto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze con l'appello incidentale notificato.
Il motivo è fondato.
Il signor -OMISSIS- fonda la propria pretesa sull'art. 12 ("Congedi straordinari e aspettativa") del d.P.R. n. 170/2007 di recepimento dell'accordo collettivo per il comparto Sicurezza) a mente del quale durante l'aspettativa per infermità, sino alla pronuncia sul riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della lesione subita o della infermità contratta, competono "in misura intera" (quindi senza alcuna decurtazione percentuale) gli emolumenti di carattere fisso e continuativo.
L'art. 1, comma 2, della medesima fonte pattizia, prevede che "il presente decreto concerne il periodo dal 1° gennaio 2006 al 31 dicembre 2009 per la parte normativa e dal 1 gennaio 2006 al 31 dicembre 2007 per la parte economica".
Tuttavia, l'art. 38 del medesimo d.P.R. n. 170 cit. prevede che le disposizioni del proprio testo hanno efficacia a decorrere dal mese successivo alla sua pubblicazione "salvo quanto espressamente previsto".
Sussiste dunque una antinomia in relazione al periodo di applicazione dello ius superveniens poiché da un lato l'art. 1, comma 2, indica, per la parte economica, l'arco temporale dal 1 gennaio 2006 al 31 dicembre 2007, in cui ricadono le mensilità oggetto dei provvedimenti impugnati, dall'altro, con clausola generale, l'art. 38 precisa tuttavia che le disposizioni hanno efficacia a decorrere dal mese successivo alla sua pubblicazione e quindi dal 1 novembre 2007, precludendone l'applicabilità alle predette mensilità in quanto anteriori.
Il T.a.r. per ritenere applicabile al caso di specie l'art. 12 - che riconosce il diritto al trattamento economico in misura intera - ha così argomentato:
- "In senso contrario a quanto illegittimamente argomentato dai provvedimenti impugnati depone, infatti, in primo luogo proprio la previsione dell'art. 38 del D.P.R. n. 170/2007 cit., per il quale le disposizioni della norma hanno efficacia a decorrere dal mese successivo alla sua pubblicazione "salvo quanto espressamente previsto": inciso al quale va collegato anzitutto il più specifico e puntuale disposto (che "espressamente" prevede sul punto, come rileva la difesa del ricorrente) dell'art. 1 comma 2 della medesima fonte negoziale, secondo il quale "il presente decreto concerne il periodo dal 1° gennaio 2006 al 31 dicembre 2009 per la parte normativa e dal 1 gennaio 2006 al 31 dicembre 2007 per la parte economica".".
- "La disposizione ora ricordata va interpretata in accordo con i principi vigenti, secondo i quali per la parte giuridica ed economica tutte le fattispecie perfezionatesi nei predetti quadriennio o biennio sono sottoposte alla nuova disciplina negoziale, la quale legittimamente dispone per il periodo pregresso alla sua entrata in vigore, dovendo necessariamente disciplinare il c.d. periodo di "vacanza contrattuale", cioè quello intercorrente tra il momento della perdita di efficacia del precedente accordo e la stipula (tardiva rispetto alla scadenza del precedente accordo) del nuovo, come normalmente accade in tutti i procedimenti di contrattazione collettiva, siano essi pubblici o privati.".
- "L'art. 38 del medesimo D.P.R. n. 170/2007, secondo cui gli effetti giuridici decorrono dalla data di pubblicazione in G.U. (singolare forma di pubblicità sconosciuta al settore privato), va dunque interpretato secondo criteri di sintonia e non antinomia con la previsione dei termini di durata contrattuale fissati dall'art. 1 del DPR 170, cioè come individuazione del momento in cui lo stesso accordo entra in vigore nei confronti di tutte le parti negoziali e diviene esigibile l'obbligo di parte pubblica di dare applicazione agli istituti previsti; ciò con l'unico limite, preclusivo a tale applicazione, costituito dai rapporti ormai definiti ed esauriti alla data di entrata in vigore del nuovo accordo, quali non erano quelli riguardante il ricorrente (T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, 23/04/2010, n. 2114, sub p. 2.5 motivazione; idem, sez. V, 20/4/2006 n. 3673)".
- "In altri termini, costituisce naturale funzione degli accordi collettivi, anche del pubblico impiego, quella di regolare, per un arco di tempo predeterminato dalla stessa contrattazione (v. art. 40 d. lgs. n. 165/2001), gli aspetti economici e giuridici del rapporto di lavoro pubblico, avendo così un'operatività coessenzialmente ancorata al periodo di vigenza, rispetto al quale, sul piano "causale", e quindi della autonomia negoziale delle parti contraenti, vengono, infatti, effettuate le valutazioni di opportunità e finanziarie che ne giustificano la conclusione ( cfr. Cons. St., Sez. VI, 14/1/2003 n. 95)".
"L'integrazione sistematica tra termine di vigenza (o, se si preferisce, di durata) del contratto collettivo (stabilito dallo stesso) e termine di entrata in vigore delle discipline in esso recate (stabilito dalla sua sottoscrizione o dal suo recepimento in atto amministrativo per le categorie di lavoratori pubblici non privatizzate) consente ed impone, dunque, di rendere applicabili le nuove discipline contrattuali a tutti i rapporti ricompresi temporalmente nel periodo di vigenza e vieppiù a quelli non esauriti alla data di entrata in vigore (o termine iniziale di efficacia) della nuova regolamentazione pattizia. Al riguardo non può dubitarsi che la fattispecie concreta ricada nella sua nascita e nel suo sviluppo nel predetto arco temporale, secondo le scansioni dei fatti di causa, come sopra riportati."
Tale ricostruzione non può essere condivisa.
Il diritto al trattamento in misura intera per gli emolumenti di carattere fisso e continuativo durante l'aspettativa per infermità è stato riconosciuto dall'art. 12 del d.P.R. n. 170 del 2007 ma solo dall'entrata in vigore del nuovo accordo sindacale che l'art. 38 indica nel primo giorno del mese successivo a quella della pubblicazione del decreto cioè dal 1 novembre 2007, pur trattandosi di rinnovo riferito al quadriennio dal 1 gennaio 2006 al 31 dicembre 2009.
I fatti di causa sono antecedenti al 1 novembre 2007 e quindi si applicano le decurtazioni progressive previste dalla normativa all'epoca in vigore come disposto dai provvedimenti impugnati.
In senso contrario non può essere valorizzato l'incipit dell'art. 38 che fa "salvo quanto espressamente previsto": tale inciso, nella tesi prospettata dall'appellante e condivisa dal T.a.r., sarebbe idoneo a ricomprendere nella sua portata derogatoria il disposto dell'art. 1, comma 2 secondo il quale "il presente decreto concerne il periodo dal 1° gennaio 2006 al 31 dicembre 2009 per la parte normativa e dal 1 gennaio 2006 al 31 dicembre 2007 per la parte economica" e quindi sarebbe applicabile anche alle mensilità in contestazione che ricadono in tale arco temporale.
In senso contrario ed applicando il criterio della interpretazione logica deve evidenziarsi che la clausola di salvezza deve essere riferita esclusivamente a disposizioni puntuali che espressamente sanciscano una diversa decorrenza della efficacia della nuova disciplina introdotta, rispetto alla previsione generale di cui all'art. 38 che ne differisce l'entrata in vigore al primo mese successivo alla sua pubblicazione.
Sostenere che lo ius superveniens si applichi all'intero arco temporale di regolamentazione della parte economica - id est dal 1 gennaio 2006 al 31 dicembre 2007 - vuol dire accogliere una interpretazione sostanzialmente abrogatrice dell'art. 38, in contrasto con il suo chiaro tenore letterale, che, invece, in linea con il generale principio di irretroattività della legge, dispone che le nuove disposizioni si applichino solo al periodo successivo alla pubblicazione del d.P.R. e non anche ai fatti anteriori, sebbene ricadenti nel periodo di vacanza contrattuale.
A bene vedere l'art. 1, comma 2 ha ad oggetto la c.d. "vigenza" del d.P.R., precisando cioè l'arco temporale cui si riferisce la nuova disciplina normativa ed economica ma non disciplina anche l'efficacia e quindi l'entrata in vigore delle nuove disposizioni che è oggetto dell'art. 38, in linea con il principio generale per cui "la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo" (art. 11, comma 1, delle preleggi al codice civile).
Il T.a.r. richiama erroneamente principi applicabili nella materia del lavoro pubblico privatizzato dove la disciplina del rapporto è affidata al contratto collettivo mentre nel caso di specie la disciplina resta affidata ad una fonte avente natura normativa e come tale soggetta ai principi generali applicabili alla legge tra i quali vanno ricordati, oltre a quello di cui all'art. 11, comma 1 c.c., anche quello di ultrattività, nel senso che ogni nuova disciplina trova applicazione sino alla entrata in vigore di quella successiva, in tal modo dovendosi escludere la stessa configurabilità del concetto di vacanza contrattuale evocato dal T.a.r..
Ne discende che il motivo è fondato e deve essere accolto, con conseguente integrale riforma della sentenza appellata.
Deve ora passarsi all'esame dei motivi assorbiti dal T.a.r. e riproposti dal ricorrente con la memoria di costituzione nel presente grado di giudizio.
E' infondata la doglianza con cui il ricorrente ha lamentato la violazione dell'art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 poiché i decreti prefettizi che hanno collocato il ricorrente in aspettativa per infermità ai sensi dell'art. 19, comma 3 d.P.R. n. 164 del 18 giugno 2002 sono relativi a procedimenti avviati d'ufficio e non ad istanza di parte mentre l'art. 10 bis si applica solo ai secondi.
Per quanto concerne invece il recupero delle somme indebitamente corrisposte - successivamente limitato ad appena 250 euro - trattandosi di atto dovuto e di natura paritetica, deve inoltre escludersi l'illegittimità del recupero per mancanza della comunicazione di avvio del procedimento (ex artt. 7, 8, della legge n. 241/1990).
In via generale deve rammentarsi che anche il recupero da parte del datore di lavoro pubblico delle retribuzioni corrisposte indebitamente è infatti atto di natura privatistica riconducibile alla disciplina della ripetizione di indebito di cui all'art. 2033 cod. civ. e non costituisce atto di esercizio di potestà amministrativa con conseguente inapplicabilità della disciplina che prescrive i presupposti per l'esercizio dei poteri di autotutela di cui all'art. 21-nonies della l. n. 241/1990.
La giurisprudenza amministrativa ha da tempo affermato la natura doverosa della ripetizione (ad esempio, Consiglio di Stato, sezione III, 9 giugno 2014, n. 2903) atteso che la percezione di emolumenti non dovuti impone all'Amministrazione l'esercizio del diritto-dovere di ripetere le relative somme in applicazione dell'art. 2033 cod. civ. anche nei rapporti di lavoro non privatizzati.
In tal caso, infatti, l'interesse pubblico è in re ipsa e non è richiesta neppure una specifica motivazione in quanto, a prescindere dal tempo trascorso, l'atto oggetto di recupero produce di per sé un danno per l'Amministrazione, consistente nell'esborso di denaro pubblico senza titolo, ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 8; Consiglio Stato, sez. VI, 14 luglio 2011, n. 4284; Consiglio Stato, sez. VI, 27 novembre 2002, n. 6500).
È stato anche affermato, prima ancora della decisione della Corte cost. n. 8 del 2023, che, ai sensi dell'art. 2033 cod. civ., è diritto-dovere della Pubblica Amministrazione ripetere somme indebitamente erogate; di conseguenza, l'affidamento del dipendente e la sua buona fede nella percezione non sono di ostacolo all'esercizio di tale diritto-dovere (cfr. già Consiglio di Stato, Sez. III, 28 novembre 2011, n. 6278; Sez. IV, 20 settembre 2012, n. 5043; si veda anche Cass. 20 febbraio 2017, n. 4323).
Pertanto, la P.A. non ha alcuna discrezionalità al riguardo, tanto che il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate configura danno erariale, con il solo temperamento costituito dalla regola per cui le modalità dello stesso non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle esigenze di vita del debitore ed alle connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie, avuto riguardo alla natura degli importi richiesti in restituzione, alle cause dell'errore nell'erogazione, al lasso di tempo trascorso tra la stessa e l'emanazione del provvedimento di recupero, all'entità delle somme corrisposte, riferita alle singole mensilità e nel totale determinato dalla relativa sommatoria (v., in tal senso, Consiglio di Stato, sez. V, 13 aprile 2012, n. 2118; id. 15 ottobre 2003, n. 6291).
Quanto alla possibile rilevanza della buona fede del percettore di somme non dovute al fine di escluderne il recupero, il Giudice delle leggi con la sentenza n. 8 del 2023 ha già escluso l'illegittimità costituzionale dell'art. 2033 cod. civ. rispetto all'art. 1 del Protocollo Addizionale della CEDU, nella parte in cui ha omesso di prevedere l'irripetibilità dell'indebito retributivo e previdenziale non pensionistico laddove le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell'ente erogatore abbia ingenerato nel percettore un legittimo affidamento circa la loro spettanza.
Come noto secondo la citata disposizione convenzionale, "ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni" e la Corte EDU, valorizzando proprio la nozione di bene, ha ascritto a tale paradigma la tutela dell'affidamento legittimo ("legitimate expectation"), situazione soggettiva dai contorni più netti di una semplice speranza o aspettativa di mero fatto ("hope").
Invero, la Corte costituzionale ha evidenziato che l'ordinamento nazionale delinea un quadro di tutele dell'affidamento legittimo nella spettanza di una prestazione indebita che, se adeguatamente valorizzato, non determina l'illegittimità costituzionale dell'art. 2033 cod. civ. rispetto al menzionato parametro convenzionale.
Tali tutele si fondano sulla categoria della inesigibilità, radicata nella clausola generale di cui all'art. 1175 cod. civ. che vincola il creditore a esercitare la sua pretesa in maniera da tenere in debita considerazione, in rapporto alle circostanze concrete, la sfera di interessi del debitore.
Tra i rimedi che l'ordinamento appronta a tutela del legittimo affidamento, la Corte ha richiamato:
- il dovere del creditore di rateizzare la somma richiesta in restituzione, tenendo conto delle condizioni economico-patrimoniali in cui versa l'obbligato, che si trova a dover restituire ciò che riteneva di aver legittimamente ricevuto;
- l'inesigibilità temporanea o parziale della prestazione in presenza di particolari condizioni personali del debitore, correlate a diritti inviolabili, che attenua la rigidità dell'obbligazione restitutoria dell'indebito e funge da causa esimente del debitore quando l'esercizio della pretesa creditoria, entrando in conflitto con un interesse di valore preminente, si traduce in un abuso del diritto.
Infine, la Corte ha rilevato come la sproporzione dell'interferenza nell'affidamento legittimo tutelato dall'art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU sia esclusa dalla possibilità riconosciuta al soggetto percettore di accedere alla tutela risarcitoria nei confronti dell'ente a cui sia imputabile l'indebita erogazione della prestazione, in presenza dei presupposti per farne valere una responsabilità precontrattuale; in tal modo l'ordinamento nazionale consente di addebitare all'ente pubblico la responsabilità per la commissione dell'errore nell'erogazione della prestazione indebita.
Ne discende che la buona fede del percettore, di regola, non può costituire un limite al recupero soprattutto in casi come quello in esame di somme estremamente contenute.
Da altra angolazione il signor -OMISSIS- ha dedotto la violazione dell'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento in relazione ai decreti prefettizi che hanno disposto il suo collocamento in aspettativa per infermità con particolare riferimento per il n. 58 del 11 dicembre 2008 che recava anche l'annullamento in autotutela del precedente analogo decreto prefettizio n. 83 del 13 marzo 2008.
Il motivo è inammissibile in quanto il deducente ha omesso di indicare il contributo partecipativo pretermesso e quindi l'effettivo interesse alla doglianza e ciò vale con particolare riferimento all'annullamento in autotutela del decreto n. 83 del 2008 disposto con il decreto n. 58 del 2008 che, invero, riconoscendo il trattamento economico nella misura intera, produce effetti favorevoli e quindi satisfattivi della pretesa al riconoscimento del trattamento senza decurtazioni, in caso di aspettativa per infermità per l'intero periodo ivi indicato.
Analoghe considerazioni valgono per i decreti prefettizi n. 60 e 61 del 2008 che non prevedono decurtazioni del trattamento economico.
Quanto ai restanti decreti di collocamento in aspettativa n. 59 del 11 dicembre 2008 (che ha ridotto la retribuzione al 50% per il periodo di aspettativa dal 26 luglio 2006 al 25 gennaio 2007), e n. 60 del 11 dicembre 2008 (che ha escluso il diritto alla retribuzione per il periodo di aspettativa dal 26 gennaio 2007 al 31 ottobre 2007) trova comunque applicazione il disposto di cui all'art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, avendo l'amministrazione dato prova in giudizio che, tenuto conto della inapplicabilità del d.P.R. n. 170 del 2007 per il periodo anteriore al 1 novembre 2007 (cui si riferiscono i predetti decreti), le predette decurtazioni erano comunque dovute, sicchè alcun contributo partecipativo avrebbe potuto condurre a provvedimenti di contenuto diverso da quelli in concreto adottati, aventi peraltro natura sostanzialmente vincolata.
Da ultimo il signor -OMISSIS- lamenta che il trattamento percepito non risulta comunque ripetibile secondo il disposto dell'art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 170/2007 a mente del quale "Nel caso in cui non venga riconosciuta la dipendenza da causa di servizio e non vengano attivate le procedure di transito in altri ruoli della stessa amministrazione o in altre amministrazioni ... Non si dà luogo alla ripetizione qualora la pronuncia sul riconoscimento della causa di servizio intervenga oltre il ventiquattresimo mese dalla data del collocamento in aspettativa".
Senonchè, come si è visto, la disposizione in parola non si applica al ricorrente essendo i fatti di causa occorsi prima della entrata in vigore del predetto d.P.R..
Da quanto precede emerge che anche la domanda risarcitoria deve essere respinta non potendosi ravvisare alcuna condotta causativa di danno ingiusto imputabile alle amministrazioni appellanti.
Alla luce delle motivazioni che precedono l'appello deve pertanto essere accolto mentre i motivi di ricorso riproposti nel presente grado devono essere respinti; da ciò consegue la riforma della sentenza appellata e la reiezione del ricorso di primo grado.
La natura della controversia e la novità della questione consente di rinvenire gravi motivi per disporre la compensazione integrale delle spese del doppio grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello principale e su quello incidentale, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado ed i motivi aggiunti.
Compensa le spese di lite del doppio grado tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Neri, Presidente
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore
Luigi Furno, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Monteferrante Vincenzo Neri





IL SEGRETARIO