TRIBUNALE DI PISA Sent. n. 601-03 Cron. n. 3982 Dep. il 20. 10. 2003 REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE ORDINARIO DI PISA Giudice Monocratico del lavoro Il Giudice del Lavoro presso il Tribunale ordinario di Pisa -dr. G. SCHIAVONE- ha pronunciato SENTENZA NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO nella causa di previdenza ed assistenza iscritta al n. 1290-98-R.G.C., decisa all’udienza del 16. 10. 2003 e promossa da GG elettivamente domiciliata in Pisa nello studio dell’Avv. *** che la rappresenta e difende per procura in atti C/ MINISTERO DELLA SANITA’ elettivamente domiciliato in Firenze nella sede dell’Avvocatura Erariale dello Stato che ne ha il patrocinio legale OGGETTO: Indennità ex L. n. 210/92 Conclusioni per parte ricorrente: (A) Dichiarare che la ricorrente, per l’attività svolta presso la Croce Rossa Italiana in qualità di aiuto ferrista in sala operatoria, è stata esposta al rischio di contagio da Epatite ‘C’, potendosi pertanto in tal modo dirsi verificato il nesso causale tra la malattia contratta ed il lavoro svolto; (B) dichiarare conseguentemente il diritto della ricorrente al risarcimento del danno ex art. 1, com. 2, L. n. 210/92, da farsi decorrere dal momento della domanda amministrativa presentata in data 20. 05. 1997, nonché interessi e rivalutazione fino al saldo. Conclusioni per parte resistente: IN TESI per la declaratoria di incompetenza funzionale, per materia e valore del Giudice adito; in ipotesi per il rigetto delle domande proposte,perché improponibili, inammissibili, nonché infondate; vittoria di spese. PROCESSO E MOTIVI Con ricorso depositato il 29. 05. 1998, GG esponeva: 1)= di essere stata dipendente della Croce Rossa Italiana, con contratto a termine dal 24 gennaio al 24 luglio 1994 in qualità di aiuto ferrista di sala operatoria, con obbligo mansionario, fra l’altro, di: “ lavaggio ferri, maneggio pinze ed aghi ” ; 2)= che prima dell’assunzione aveva dovuto sottoporsi alle analisi per la verifica della sana e robusta costituzione fisica; 3)= che nel corso dello svolgimento del rapporto, nel marzo 1994, era stata sottoposta ad analisi del sangue; 4)= che nel giugno 1994 era stata informata di essere affetta da epatite C, venendo conseguentemente allontanata dal lavoro nonostante non fossero scaduti i termini di vigenza contrattuale; 5)= che l’INAIL le riconosceva la percentuale inabilitante del 25%, costituendo a suo favore la rendita relativa; 6)= che, inoltrata domanda alla competente USL al fine di ottenere la liquidazione dell’indennizzo di cui alla legge n. 210/1992, la vedeva respingere poiché l’infezione sarebbe avvenuta per contatto con sangue ed emoderivati e non a causa di emotrasfusione, l’unica indennizzabile a tenore della citata legge. Ritenuta l’interpretazione fornita dalla USL restrittiva e limitante di un diritto costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.), parte ricorrente concludeva per la condanna del Ministero resistente “ al risarcimento del danno ex . n. 210/92 ” . Si costituiva ritualmente il Ministero della sanità eccependo essenzialmente il difetto di competenza funzionale del Giudice adito, in quanto sarebbe stato competente il Tribunale civile ordinario e non l’adito Pretore, non trattandosi di materia rientrante nell’assistenza. Ad ogni modo concludeva per il rigetto nel merito, per infondatezza della domanda poiché la legge esclude dalla sua tutela i casi di contagio da epatite virale non contratta a seguito di emotrasfusioni. Nel prosieguo della causa, parte ricorrente prospettava, sia pure subordinatamente, eccezione di illegittimità costituzionale della norma invocata. Questo Tribunale, in accordo con la prospettazione di parte ricorrente riteneva non manifestamente infondata la questione sollevata, dovendosi dubitare della legittimità costituzionale della disciplina recata dal terzo comma dell’art. 1, L. n. 210/92, per violazione di alcuni parametri stabiliti dalla Carta fondamentale, qui di seguito esplicitati. Per quanto attiene alla sussistenza del requisito della rilevanza, veniva preso in esame il fatto che parte ricorrente domandava la condanna del Ministero della Sanità al pagamento dell’indennità prevista per gli emotrasfusi, pur nella consapevolezza che la sua infezione fosse avvenuta non in seguito a trasfusione bensì nell’esercizio delle sue mansioni di infermiera. Ne conseguiva il rilievo che una pronuncia del Giudice delle leggi di accoglimento della denunciata questione avrebbe imposto al Giudice di merito la condanna del Ministero convenuto al pagamento del detto indennizzo. Questo Giudice, quindi, sottolineava come la disciplina dettata dall’art.1, L. n. 210/92, per la parte che interessata dalla vicenda processuale, fosse molto lineare. Il primo comma prevede, infatti, a carico dello Stato, un indennizzo a favore di chi abbia riportato una menomazione all’integrità psicofisica “ a causa di vaccinazione obbligatoria per legge o per ordinanza di un’autorità sanitaria italiana ” . Il secondo comma stabilisce che “ il medesimo indennizzo ” spetta ai soggetti che risultano contagiati da infezioni da HIV a seguito di somministrazione di sangue e suoi derivati. La seconda parte del medesimo comma aggiunge che lo stesso trattamento spetta agli “ operatori sanitari che, in occasione e durante il servizio, abbiano riportato danni permanenti alla integrità psicofisica conseguenti ad infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da infezione da HIV ” . Il terzo comma recita che: “ i benefici di cui alla presente legge spettano altresì a coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali ” . Scopo della legge risultava, dunque, quello di assicurare un trattamento assistenziale da un lato, a chi aveva subito una menomazione alla propria integrità, per effetto di un ordine dell’autorità sanitaria (o di un diffuso convincimento scientifico, come è venuto più tardi a precisarsi), in merito alle vaccinazioni. Dall’altro, attingendo ad un campo che con il primo ha ben pochi punti in contatto sul piano della genesi lesiva, si era voluto applicare lo stesso trattamento alle persone che fossero rimaste colpite nel medesimo bene primario, incolpevolmente, trattandosi di danno derivato dalla somministrazione di trasfusioni, che è attività posta totalmente sotto il controllo dei pubblici poteri. I medesimi principi di incolpevolezza della parte lesa e di sostanziale oggettiva responsabilità dei pubblici poteri, per incuria nella vigilanza, erano posti dal legislatore alla base dell’altra estensione della tutela ai sanitari che, loro malgrado, avessero contratto l’HIV per il solo fatto di essere venuti a contatto, a causa della loro professione, con sangue infetto. Com’è universalmente noto le epatiti rappresentano una categoria di malattie non meno gravi dell’HIV e, purtroppo, più facilmente trasmissibili e di ciò s’è fatto carico il legislatore allargando la sfera dei beneficiari della legge anche a coloro i quali presentino danni irreversibili da epatiti. Secondo il chiaro disposto legislativo, risultava, però, che l’indennizzo sarebbe spettato esclusivamente a chi avesse contratto l’epatite per effetto di trasfusioni e non per altra via. Era, quindi, la mancata estensione dell’indennizzo anche agli operatori sanitari che, in occasione e durante il servizio, avessero riportato danni permanenti alla integrità psicofisica, conseguenti ad infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da infezione da epatite, specularmene a quanto previsto per l’HIV, che lasciava sorgere profondi dubbi di illegittimità costituzionale della disciplina. Parvero, dunque, violati i seguenti parametri costituzionali: 1)= l’art. 3 Cost. sotto il profilo della irrazionalità che genera disparità sostanziale di trattamento da parte della legge per identiche situazioni di fatto, posto che non risultavano apprezzabili motivi per cui la violazione all’integrità fisica degli operatori sanitari che fosse derivata da contatto con sangue contagiato da HIV avesse diritto ad indennizzo, mentre non lo aveva quella degli stessi operatori sanitari qualora fossero venuti in contatto con sangue contagiato da epatite virale, sebbene sia notorio che il rischio di entrare in contatto con l’uno anziché con l’altro è puramente casuale ed anzi, sul piano statistico è molto più frequente e, per alcuni casi, molto più letale la possibilità di contagio da epatite che non da HIV. Le situazioni apparivano omologhe, prestandosi a quella “ visione unificatrice ” giustamente pretesa dalla Corte Cost. per lo scrutinio di legittimità in questa materia (Corte Co. sent. n. 423/00), mentre non lo sarebbero state qualora non fosse stato proprio contemplato l’indennizzo a favore dei sanitari, neppure per l’HIV, o, per contro, non fosse stata prevista l’indennizzabilità del contagio da epatite in qualunque modo contratto; 2)= per ragioni sostanzialmente analoghe risultava non osservato il disposto di cui all’art. 32 Cost., in quanto, se il legislatore ha inteso tutelare la salute - sia pure nella forma indennitaria - quando violata dall’epatite ed ha inteso tutelarla anche quando lesa dall’HIV, non si vede per quale ragione il bene primario degli operatori sanitari sai meritevole di tutela se il contatto è avvenuto con HIV e non anche con epatite, della cui pericolosità s’è detto. D’altronde è ampiamente acquisito che il sistema indennitario previsto dalla legge in rassegna è certamente di miglior favore (Corte Co. n. 423/00); 3)= anche l’art. 2 Cost. non pareva rispettato, in quanto la illustrata irrazionalità del sistema escludeva di fatto la solidarietà, proprio rispetto a quelle situazioni in cui le lesioni ai beni primari derivano non solo senza alcun colpevole concorso della parte lesa, quanto per effetto di pratiche inerenti all’adempimento dei doveri professionali, quali il maneggio di sangue ed emoderivati che dovrebbe essere immune da pericoli perché la circolazione dei medesimi è posta sotto diretto controllo pubblico; 4)= il legislatore non aveva neppure ossequiato l’art. 38 Cost., in quanto in situazioni sostanzialmente equiparabili (id est: personale sanitario che ha contratto l’HIV o l’epatite, malattie egualmente letali) non aveva previsto lo stesso trattamento assistenziale, anzi per una fra esse, quella qui dedotta, il trattamento non era proprio contemplato, dimenticando che nel caso di diritti direttamente protetti dalla Costituzione è modellabile equitativamente dal legislatore soltanto la misura - che legittima un eventuale giudizio di compatibilità finanziaria (Corte Co. sent. n. 226/00) - ma gli stessi diritti non sono ablabili di fatto (Corte Co. sent. n. 118/96). Né la natura assistenziale del trattamento era dubitabile o la Corte l’aveva mai dubitata (Sent. n. 226/00), anzi l’ha considerata implicita. Per tali ragioni, dunque, questo Tribunale sottoponeva all’esame della Corte Costituzionale la legittimità dell’art. 1, com. 3, L. n. 210/92, per la parte in cui non prevedeva l’estensione del beneficio di cui alla medesima legge agli operatori sanitari che in occasione e durante il servizio avessero riportato danni permanenti all’integrità psicofisica conseguenti ad infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da infezione da epatite Il Giudice delle leggi, con sentenza n. 476/02 accoglieva l’eccezione, essenzialmente sulla base della seguente ricostruzione: “ in effetti, la ragione indennitaria, che giustifica le misure a vantaggio delle categorie previste e che il legislatore ha esplicitamente fondato sull'insufficienza dei controlli sanitari fino ad allora predisposti, vale allo stesso modo per la categoria di soggetti non prevista e dunque esclusa. In particolare, non si comprende, se non come una dimenticanza del legislatore, perche' il personale sanitario, nei casi indicati, sia ammesso al beneficio quando si abbia a che fare con infezioni da HIV ma non con epatiti, una volta che lo stesso legislatore, valutando i due tipi di patologie, li ha considerati equivalenti, ai fini dell'indennizzo, quando esse risultano contratte a seguito di somministrazione o trasfusione di sangue. L'imperativo di razionalita' della legge impone che la ratio degli interventi legislativi del tipo in questione sia perseguita integralmente. Se ciò non avviene, la previsione legislativa ingiustificatamente mancante determina una discriminazione vietata dall'art. 3 della Costituzione. Ciò basta – indipendentemente dalla considerazione degli altri parametri invocati dal giudice rimettente - a dimostrare, con la fondatezza della questione sollevata, l'illegittimità costituzionale della disposizione sottoposta al controllo di questa Corte ” . La Corte ha, dunque, concluso dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 3, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, nella parte in cui non prevedeva che i benefici previsti dalla legge stessa spettino anche agli operatori sanitari che, in occasione del servizio e durante il medesimo, abbiano riportato danni permanenti alla integrità psicofisica conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da epatiti. Conclusivamente si può dire che il testo di legge che risulta attualmente, contempla l’indennizzo degli operatori sanitari che in occasione e a causa del servizio abbiano contratto danni psicofisici permanenti da infezione da epatite virale per contatto con sangue infetto Passando al merito della causa, la domanda va accolta. Il C.T.U., al termine delle proprie indagini e valutazioni e con motivazione che, per essere immune da vizi logico/giuridici, questo giudice integralmente recepisce, ponendola a base tecnica della propria decisione (Cass. n. 4817/1987), ha così concluso: “ GG è attualmente affetta da Epatite virale di tipo ‘C’, tale patologia è stata verosimilmente contratta nel 1994, durante l’attività svolta come ferrista presso la sala operatoria del blocco III dell’Ospedale S. Orsola di Bologna (…); ritengo che la suddetta patologia sarebbe eventualmente (ndg: il condizionale era d’obbligo prima della surriferita sentenza della Corte costituzionale) ascrivibile all’VIII (ottava) Cat. Tab. ‘A’, di cui all’art. 4 L. n. 210/92 ” . Il Ministero resistente, nelle note conclusive, successive, quindi, sia alla decisione della Corte Costituzionale che all’effettuazione della CTU (nel corso della quale ha pure nominato il proprio CTP) ha dichiarato di opporsi all’effettuazione della CTU e, in subordine, ha nominato come CTP quel tal dr. SP, che, però, già aveva designato al momento di affidamento dell’incarico peritale. Nonostante questa inspiegabile sequela di contraddizioni, nessuna contestazione è stata mossa alla CTU, né al suo svolgimento e neppure alle sue conclusioni per cui il richiamo alla medesima esaurisce l’obbligo motivazionale (Cass. n. 7379/1987) sul punto. Ad ogni modo, le eccezioni del Ministero resistente vanno tutte disattese e, pertanto rigettate. Innanzitutto, per quanto attiene alla competenza funzionale, messa in dubbio a favore di quella della sezione civile ordinaria, sulla base della pretesa carenza di natura assistenziale della prestazione richiesta, basta richiamare la costante, uniforme giurisprudenza del Giudice di legittimità, secondo la quale: “ Poiche' l'indennizzo ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati, di cui alla legge n. 210 del 1992, ha natura non risarcitoria, ma assistenziale in senso lato, riconducibile agli artt. 2 e 32 Cost. e alle prestazioni poste a carico dello Stato in ragione del dovere di solidarieta' sociale, le controversie aventi ad oggetto la spettanza di tale indennita' (e dei suoi accessori, quali gli interessi), rientrano in quelle previste dall'art. 442 c. p. c. (Cass. n. 6799/02; conf.: n. 3923/01). Nonostante la sentenza di accoglimento dell’eccezione di incostituzionalità, il Ministero ha riconfermato l’eccezione di merito, circa la mancata previsione legale della fattispecie che dà luogo all’indennità, ma la sentenza del Giudice delle leggi non è interpretabile, in quanto si tratta di pronuncia di illegittimità, sicchè il portato normativo è quello che risulta successivamente a tale sentenza, che, come detto, è di riconoscimento astratto del diritto vantato. Il Ministero dev’essere condannato, dunque, a corrispondenre l’indennità domandata, fin dal momento della domanda amministrativa. Parte ricorrente ha concluso altresì per la condanna agli interessi ed alla rivalutazione monetaria. Controparte, sia pure in subordine, si oppone sia all’una che all’altra domanda, argomentando che per le prestazioni assistenziali non potrebbe farsi luogo a condanna al pagamento neppure degli interessi legali. Anche qui sono da condividere le conclusioni a cui è giunta la Suprema Corte, la quale ha affermato: “ Poichè anche i crediti assistenziali, oltre che previdenziali, sono soggetti alla regola dell'automatica riconoscibilità degli interessi e della rivalutazione monetaria (cumulabili, peraltro, solo fino all'entrata in vigore dell'art. 16, comma sesto, della legge n. 412 del 1991), trattandosi di elementi che costituiscono parte essenziale del credito principale e che concorrono ad esprimerne l'esatta entità al momento della liquidazione, secondo il combinato disposto degli artt. 429 c.p.c. e 150 disp. att. c.p.c., per il conseguimento degli stessi non occorre alcuna messa in mora nei confronti degli enti erogatori della prestazione ne' l'accertamento di una loro responsabilità, essendo sufficiente, ai fini della decorrenza, il rispetto dello " spatium deliberandi " di centoventi giorni, ex art.7 della legge n. 533 del 1973, stabilito in generale per i crediti verso gli enti pubblici ” (Cass. n. 6882/02; conf.: n. 6799/02). Né può affermarsi che la prestazione decorra solo dalla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, ovvero che gli interessi non siano dovuti per il periodo precedente a detta pubblicazione. Per dimostrare l’infondatezza di questa tesi è sufficiente ricordare che le pronunce di illegittimità costituzionale hanno il naturale effetto di retroagire al momento di nascita della norma. Insomma, la dichiarazione di illegittimità comporta che la norma debba leggersi nella maniera indicata dalla Corte fin dal suo nascere. Così, anche l’eventuale negazione del diritto sulla base dell’originaria scrittura del precetto, prima della sua dichiarazione di incostituzionalità, appalesa per effetto di quella pronuncia la sua intrinseca illegittimità, derivandone anche un’implicita messa in mora, con conseguente diritto agli interessi legali, secondo il meccanismo sopra visto di cui all’art. 7 L. n. 533/73. A tale proposito, valga la giurisprudenza formatasi in materia di dichiarazione di illegittimità dei limiti all’integrazione al minimo. In quell’ipotesi, del tutto assimilabile alla presente, la Suprema Corte ha affermato che: “ Gli interessi e la rivalutazione monetaria dovuti a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 1991 ed ai sensi dell'art. 429, terzo comma, c.p.c. su credito previdenziale, per integrazione al minimo del trattamento pensionistico divenuta spettante in forza della sentenza della Corte costituzionale n. 314 del 1985, decorrono dalla data del provvedimento di liquidazione - sia pure inesatta - della pensione oppure, in mancanza, dall'inutile scadenza del centoventesimo giorno successivo alla presentazione della domanda amministrativa della medesima prestazione, nonchè dalle successive scadenze dei singoli ratei, non rilevando in contrario l'anteriorità di queste date alla pubblicazione della sentenza suddetta ” (Cass. n.12981/93). La sentenza dev’essere meramente dichiarativa, perché in questo senso sono le conclusioni rassegnate e le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P. Q. M. Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, ACCOGLIE la domanda e per l’effetto dichiara che GG è affetta da epatite di tipo ‘C’, contratta, in occasione e durante il servizio di operatrice sanitaria, per infezione da contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da epatite. DICHIARA il diritto della ricorrente a ricevere l’indennizzo originariamente previsto dalla legge n. 210/92 solo per gli emotrasfusi e, a tal fine, dichiara che la medesima patologia è ascrivibile all’VIII (ottava) categoria della Tab. ‘A’, di cui all’art. 4, stessa legge. DICHIARA che il diritto della ricorrente all’indennizzo decorre dalla domanda amministrativa del 20. 05. 1997 e che sulle somme liquidate competano gli interessi legali a decorrere dal 120° giorno successivo alla data di presentazione della domanda e fino al definitivo soddisfo. CONDANNA il Ministero della Sanità al pagamento delle spese di lite che liquida nella misura complessiva di €. 5.000,00, oltre IVA e CAP di legge, di cui €. 3.000,00 per onorari, €. 50,00 per spese ed il resto per diritti. DICHIARA la presente sentenza immediatamente esecutiva come per legge. IL GIUDICE d. L. SCHIAVONE |