Pubblicato il 28/02/2018 N. 02257/2018 REG.PROV.COLL. N. 02026/2018 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis) ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 2026 del 2018, proposto da: Antonio Pappalardo e Giuseppe Pino, rappresentati e difesi dagli avvocati Antonello Secchi e Vincenzo Ferrigno, con domicilio eletto presso lo studio legale Antonello Secchi in Fano, via Roma, 41a; contro Presidenza del Consiglio dei Ministri e Presidenza della Repubblica, rappresentate e difese per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliate in Roma, via dei Portoghesi, 12; e con l'intervento di ad adiuvandum: avv. Ugo Morelli, difeso da se stesso, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Carlo Mirabello 34; per l'annullamento dell’Atto: DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PROT.N. 209, emesso in data 28 dicembre 2017, recante la “convocazione dei comizi per le elezioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica” (17G00129) - pubblicato in G.UFF. serie generale n. 302 del 29 dicembre 2017, entrato in vigore il 27 dicembre 2017; dell’Atto: Delibera di proposta al Capo dello Stato della data di 4 marzo 2018 per la convocazione dei comizi elettorali per la Camera e il Senato, nonché di quella del 23 marzo 2018 per la prima riunione delle nuove camere, come da intesa con il presidenti dei due rami del Parlamento; dei decreti presidenziali in conformità e come previsto dal decreto legislativo 12 dicembre 2017, n. 189, recanti la determinazione dei collegi della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, in attuazione dell’art. 3 della legge 3 novembre 2017, n.165. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Presidenza della Repubblica; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2018 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Premesso che, con il ricorso in epigrafe indicato, sono impugnati gli atti di convocazione dei comizi per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, fissate per la data del 4 marzo 2018; Che parte ricorrente contesta la “legalità” della indizione delle elezioni politiche in quanto effettuata sulla base di una legge elettorale, la n. 165 del 3 novembre 2017, approvata da componenti delle Camere eletti in forza della precedente legge elettorale – la n. 270 del 21 dicembre 2005 – a sua volta dichiarata incostituzionale dalla Consulta con la sentenza n. 1 del 2014; Nel rappresentare che la convalida dei parlamentari che hanno approvato la legge elettorale vigente è intervenuta il 1 luglio 2015 – successivamente quindi alla declaratoria di incostituzionalità della legge sulla cui base essi sono stati eletti – parte ricorrente deduce la nullità della stessa convalida, così come nulla dovrebbe ritenersi l’elezione del Presidente della Repubblica, avvenuta nel gennaio 2015, da parte di parlamentari non ancora convalidati ed eletti sulla base di una legge dichiarata incostituzionale; L’affermata nullità della nomina del Presidente della Repubblica e dell’approvazione della legge elettorale n. 165 del 2017 – discendente dalla nullità della convalida dei parlamentari e dall’illegittimità della legge sulla cui base sono stati eletti - si tradurrebbe nella nullità della indizione delle elezioni, frutto della “usurpazione di potere politico” da parte del Presidente della Repubblica, del Governo e dei Parlamentari; Chiedono, quindi, i ricorrenti l’annullamento dei gravati atti nonché la rimessione alla Corte Costituzionale della legge n. 165 del 2017 “per incompetenza ed illegittimità dei soggetti, Camera e Senato, che hanno approvato la legge e Presidente della Repubblica che l’ha promulgata”; Ritenuto che sussistono i presupposti per una decisione in forma semplificata, deliberata nella camera di consiglio del 28 febbraio 2018, fissata per la decisione cautelare, previo avviso dato alle parti ai sensi degli artt. 60 c.p.a. e 73, comma 3, c.p.a. (non essendovi eccezione sul punto da parte resistente) essendo il ricorso manifestamente inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione; Ritenuto, preliminarmente, inammissibile l’atto di intervento “ad adiuvandum” depositato il 28 febbraio 2018, in quanto non notificato alle parti, in violazione dell’art. 50, c. 2, c.p.a.; Ancora in via preliminare, in relazione al “petitum” azionato – concernente la dichiarazione di nullità del decreto presidenziale di indizione delle elezioni politiche discendente dalla asserita nullità dell’elezione del Presidente della Repubblica – ritiene il Collegio l’insindacabilità, in sede giurisdizionale, dei dedotti profili di nullità della nomina del Presidente della Repubblica, quale atto presupposto del provvedimento impugnato, analogamente alle questioni inerenti la nullità della convalida dei Parlamentari, in quanto atti politici e di rilevanza costituzionale; Quanto invece al D.P.R. di indizione delle elezioni politiche impugnato, si ritiene di dover confermare il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sezione III, n. 999 del 16 febbraio 2018; TAR Lazio, sez. II bis, n. 1719 del 13 febbraio 2018) sulla inammissibilità, per difetto di giurisdizione, di qualsiasi ricorso in materia di elezioni politiche nazionali; Come è noto, il perimetro della giurisdizione attribuita al giudice amministrativo, ai sensi della normativa vigente, è delineato dall’art. 126 del codice del processo amministrativo, il quale prevede che “il giudice amministrativo ha giurisdizione in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia”; L’art. 129 c.p.a. prevede, inoltre, che “i provvedimenti immediatamente lesivi del diritto a partecipare al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali e per il rinnovo dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia sono impugnabili innanzi al tribunale amministrativo regionale competente nel termine di tre giorni dalla pubblicazione, anche mediante affissione, ovvero dalla comunicazione, se prevista, degli atti impugnati”; Le descritte norme delimitano, quindi, chiaramente, l’ambito di estensione della giurisdizione amministrativa in materia di contenzioso elettorale, dal quale sono escluse le controversie – quale quella in esame - concernenti l’indizione delle elezioni politiche; Ciò non esclude del tutto la tutela avverso i provvedimenti relativi alle elezioni politiche, atteso che il d.p.r. numero 361 del 1957, all’art. 87, rimette alla Camera dei deputati il “giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati agli Uffici delle singole sezioni elettorali o all’Ufficio centrale durante la loro attività o posteriormente”, coerentemente con la previsione di cui all’art. 66 Costituzione, ai sensi del quale “ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”; Tale normativa, espressamente dedicata alle elezioni della Camera dei Deputati, si estende, in virtù del rinvio di cui all’art. 27 del D.lgs. n. 533 del 1993, anche alle elezioni dei componenti del Senato della Repubblica (cfr., tra le altre, Cass., Sez. Un., 8 aprile 2008, n. 9151); Spetta, quindi, alle Assemblee di Camera e Senato il controllo del procedimento elettorale, in virtù di una norma eccezionale, di carattere derogatorio, basata su un regime di riserva parlamentare strumentale alla necessità di garantire l’assoluta indipendenza del Parlamento (Corte Costituzionale, sentenza n. 231 del 1975) riconducibile all’istituto dell’autodichia; Ne consegue che qualsiasi questione, compresa quella relativa alla asserita illegittimità costituzionale del sistema elettorale vigente, non potrà che essere sollevata innanzi ai competenti uffici parlamentari, nel rispetto del principio ordinamentale della separazione dei poteri che impedisce al giudice amministrativo qualsiasi ingerenza nelle funzioni del Parlamento; Al riguardo, giova ricordare che in materia è intervenuta, con estrema chiarezza, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 259 del 2009, dichiarando inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 23 e 87 del D.P.R. n. 361 del 1957, nella parte in cui non prevedono l’impugnabilità davanti al giudice amministrativo delle decisioni emesse dall’Ufficio elettorale centrale nazionale, affermando che “gli artt. 23 e 87 del d.P.R. n. 361 del 1957 configurano un sistema di tutela delle situazioni giuridiche dei candidati all’elezione della Camera dei deputati (ma uguale disciplina vale anche per quella del Senato della Repubblica) articolato in due momenti fondamentali: il primo, di natura amministrativa, consistente nel diritto del candidato di ricorrere contro le decisioni dell’Ufficio centrale circoscrizionale all’Ufficio centrale nazionale; il secondo, di natura giurisdizionale, nel quale spetta alla stessa Camera il “giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati agli Uffici delle singole sezioni elettorali o all’Ufficio centrale durante la loro attività o posteriormente”; Al riguardo, occorre ulteriormente rilevare che l'autodichia di ciascuna Camera – secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione - non si limita al contenuto risultante da una “stretta interpretazione” del dettato di cui all'art. 66 della Costituzione, ma è molto più significativa, estendendosi all'accertamento della legittimità di tutte le operazioni elettorali e, quindi, anche di quelle ricomprese nella fase precedente lo svolgimento della competizione elettorale vera e propria e nella fase successiva, come confermato dalla disciplina legislativa che regola la procedura elettorale, laddove si rinviene una formula ampia che ricomprende tutte le fasi del procedimento, dall'indizione dei comizi alla proclamazione degli eletti (art. 87 del D.P.R. n. 361 del 1957); Tale sistema, come già accennato, trova la sua “ratio” nel principio della separazione dei poteri e si traduce nel conferimento a determinati corpi politici, quali la Camera ed il Senato, di una funzione che, per sua natura, sarebbe altrimenti affidata a giudici terzi (TAR Lazio, Roma, 27 febbraio 2008, n. 1855); Sotto altro e più generale profilo deve ritenersi la non sindacabilità in sede giurisdizionale del decreto del Presidente della Repubblica impugnato in relazione alla natura del potere esercitato, essendo il Presidente della Repubblica - come più volte affermato dalla Corte Costituzionale (cfr. ex multis sentenza n. 1 del 2013) – un organo costituzionale monocratico “titolare di un complesso di attribuzioni, non inquadrabili nella tradizionale tripartizione dei poteri dello Stato ed esercitabili in posizione di piena indipendenza e autonomia, costituzionalmente garantita” (cfr., tra le altre, Corte Costituzionale, ordinanza n. 138 del 2015; sentenza n. 200 del 2006; TAR Lazio, Roma, 22 novembre 2016, n. 11662) dotato altresì di competenze molteplici per l’attuazione dei principi costituzionali, idonee a tradursi nell’adozione di atti e provvedimenti differentemente classificabili a seconda della funzione effettivamente esercitata, potendo incidere sul processo legislativo, sul potere esecutivo o essere riconducibile all’attività amministrativa, abbracciando anche funzioni peculiari ed esclusive, non classificabili nella tradizionale tripartizione dei poteri, come, ad esempio, i decreti di nomina di senatori a vita e gli atti di scioglimento delle Camere, esercitando poteri che sono espressione di funzioni neutrali; Nella fattispecie in esame, l’atto impugnato – nella parte in cui vengono indette le elezioni politiche - è riconducibile all’esplicazione di poteri neutrali di garanzia e controllo, di rilievo costituzionale e come tale non è sindacabile in sede giurisdizionale; Ritenuto, pertanto, di dover dichiarare il ricorso inammissibile, per difetto assoluto di giurisdizione; Ritenuto, infine, per la palese inammissibilità del ricorso, di dover disporre la condanna di parte ricorrente alle spese di giudizio, nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali sostenute dalla resistente amministrazione statale, liquidate nella somma di euro 3000,00 (tremila) oltre accessori dovuti per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2018 con l'intervento dei magistrati: Elena Stanizzi, Presidente Antonella Mangia, Consigliere Antonio Andolfi, Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Antonio Andolfi Elena Stanizzi IL SEGRETARIO