SEZIONE TERZA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO

Presidente: G. Pellegrino - Relatore: E. F. Schlitzer

 

FATTO

 

Con la sentenza sopra indicata, la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria condannava i Signori F. Giovanna, N. Francesco, N. Giuseppe e N. Giovanni, in qualità di componenti del Comitato di Gestione dell'ex U.S.L. n. 31 di Reggio Calabria, nonché il dottor I. Antonino, in qualità di coordinatore amministrativo dello stesso ente, al pagamento in favore dell'ente stesso, rispettivamente, di lire 1.706.000 (pari ad euro 881,00) e di lire 1.000.000 (pari ad euro 516,50), con aggravio di rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio.

L'azione risarcitoria, introdotta con atto di citazione in data 30 luglio 1997, traeva origine dalla deliberazione del 12 settembre 1990, n. 1508 e dalla successiva del 15 giugno 1991, n. 2460, in base alle quali era stato disposto l' inquadramento, ritenuto illegittimo perché effettuato in assenza dei presupposti di legge, del Signor Ambrogio Agostino, proveniente dall'ente ospedaliero Ospedali Riuniti “ G. Melacrino e F. Bianchi ” di Reggio Calabria, già dipendente con la qualifica funzionale di “ assistente amministrativo ” - 5° livello retributivo funzionale-, nella superiore posizione funzionale di “ collaboratore amministrativo ” – 7° livello retributivo e funzionale - con decorrenza 12/6/1985 e, successivamente, con decorrenza 01/01/1983, nell'8°, determinando un danno erariale pari a lire 24.428.178, oltre rivalutazione e interessi, corrispondente ai maggiori emolumenti corrisposti dal 27/09/1990 (data di esecutività della delibera) al 30/04/1994.

La Sezione, in parziale accoglimento dell'eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti costituiti, ha riconosciuto la fondatezza della domanda attorea limitatamente ai ratei di maggiore retribuzione liquidati al dipendente nel quinquennio immediatamente precedente l'emissione dell'atto di citazione, non riconoscendo efficacia interruttiva della prescrizione all'invito a dedurre ex articolo 5 del decreto legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19.

Seguiva condanna dei convenuti al risarcimento pro quota del danno complessivamente rideterminato in lire 11.236.000.

Con la medesima sentenza venivano, allo stesso titolo e per il menzionato importo di lire 1.706.000 (pari ad euro 881,00) ciascuno, condannati anche il Signor G. Francesco, presidente pro tempore del Comitato di Gestione, non appellante, ed il Signor C. Giuseppe, che risulta deceduto in data 06.09.1997. Peraltro,né l' organo requirente né alcuno dei convenuti, né il Collegio giudicante hanno rilevato l'assoluta carenza di legittimazione processuale del soggetto (mai convenuto in giudizio perché deceduto), che conseguentemente, è stato condannato, per la partecipazione ai fatti di causa, al risarcimento di lire 1.706.000 (pari ad euro 881,00).

Con appello in termini e ritualmente notificato anche ai Signori G. Francesco e I. Antonino, si gravavano, col patrocinio dell'Avvocato Alberto Panuccio, i Signori F. Giovanna, N. Francesco, N. Giuseppe e N. Giovanni, deducendo quanto segue.

Preliminarmente essi osservano che sarebbe intervenuta prescrizione, atteso che le delibere d'inquadramento sono state adottate rispettivamente il 12 settembre 1990, la n. 1508, ed il 15 giugno 1991, la n. 2460, mentre l'atto di citazione è stato depositato in segreteria in 14 agosto 1997 e notificato il 28 maggio 1998; in via subordinata si eccepisce che la sentenza ha ritenuto che la prescrizione opera per il tempo di cinque anni all'indietro rispetto alla data di " emissione di citazione " (14 agosto 1997), facendo decorrere il danno risarcibile dal 15 agosto 1992, invece di considerare la data della notifica dell'atto, cioè dal 28 maggio 1998, con conseguente estensione della prescrizione stessa a tutto il mese di maggio 1993.

Nel merito si sostiene l'assenza di responsabilità dei convenuti, avendo cessato le loro funzioni di componenti dell'ex Comitato di Gestione dell'U.S.L. n. 31 il 24 giugno 1991, ed essendo stati di conseguenza effettuati gli indebiti pagamenti sotto la successiva gestione del subentrato Commissario straordinario: se il fatto produttivo del danno è individuato nell'erogazione delle differenze retributive (tanto che dal pagamento si fa decorrere il termine di prescrizione), va esclusa la responsabilità dei convenuti perché essi non hanno commesso quel fatto, né potevano commetterlo, né evitarlo perché estranei alla gestione dell'ente. La condanna non può essere estesa in nessun caso a periodi successivi alla data di cessazione definitiva dalla carica, quando essi non potevano più esercitare il potere di adottare atti di annullamento dei precedenti atti deliberativi.

Si rileva poi un'insufficienza della motivazione sull'affermata illegittimità degli atti d'inquadramento: né il Procuratore regionale, né la sentenza ha fornito la prova dell'inesistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi dell'inquadramento nella qualifica superiore, tanto con riferimento alle mansioni superiori svolte, quanto alla carenza del corrispondente posto in organico.

Mancherebbe poi la colpa grave, in considerazione della presenza di diffuse agitazioni e pressioni sindacali per la revisione degli inquadramenti che esistevano nell'USL, della difficoltà di interpretazione  del quadro normativo di riferimento in materia, interpretazione inoltre rientrante nelle competenze degli uffici amministrativi e tecnici e non in quelle dei componenti del Comitato di Gestione, titolare di un “ organo avente matrice politica ” . Ancora si evidenzia che l'esecuzione degli atti è intervenuta ad opera del Commissario straordinario neppure convenuto in giudizio;

Inesistenza del danno risarcibile, atteso che il dipendente ha svolto le mansioni corrispondenti alla qualifica di collaboratore amministrativo, 7° livello retributivo, e quindi per costante giurisprudenza (si citano massime), è illegittimo il recupero delle retribuzioni corrispostegli e conseguentemente non può essere ritenuto esistente un danno ascrivibile all'amministratore.

Con distinto atto, denominato appello incidentale, si è gravato il Dottor I. Antonino, rappresentato e difeso dall'Avvocato Demetrio Battaglia, deducendo, in aggiunta a censure analoghe a quelle proposte dagli appellanti principali, che per economia di trattazione si omette di enunciare nuovamente, la assenza di colpa grave, da parte sua, in quanto, alla stregua dei compiti per legge assegnati alla figura del coordinatore amministrativo, egli svolse una mera funzione di assistenza all'attività deliberativa del Comitato, ed inoltre un altro funzionario era stato incaricato di esaminare e formulare osservazioni sulle pratiche all'ordine del giorno del Comitato di Gestione.

Sui motivi degli appelli, fin qui illustrati, la Procura generale ha fatto pervenire, in data 28 marzo 2003 le proprie ampie ed approfondite conclusioni scritte. Esse investono in particolare la preliminare questione della prescrizione considerando che dai primi giudice è stata disattesa la richiesta avanzata dal Procuratore regionale, di riconoscere efficacia interruttiva della prescrizione ai fini di cui agli articoli 1219 e 2943 c.c. all'invito a dedurre ex articolo 5 del decreto legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19. Né può costituire ostacolo al riconoscimento della efficacia interruttiva dell'invito a dedurre, la circostanza che esso non contenga, come in fattispecie, al proprio interno un espresso ed esplicito richiamo agli articoli 1219 e 2943 del c.c., atteso che a norma del quarto comma dell'articolo 2943 del codice civile la prescrizione è interrotta da ogni atto che valga a costituire in mora il debitore.

Ne deriva che la sentenza è da riformare nella parte in cui ha denegato valenza di atto interruttivo della prescrizione agli inviti a dedurre regolarmente notificati ai convenuti; conseguentemente e conclusivamente si chiede che il danno erariale complessivo a carico degli amministratori della ex USL 31 di Reggio Calabria venga rideterminato nella misura di lire 24.428.178, pari ad euro 1.2616,10, ripartito secondo le quote ritenute più congrue dal Collegio giudicante.

Poiché l'effetto devolutivo dell'appello è ragguagliato ai motivi d'impugnazione, il thema decidendum  è comprensivo anche della particolare prospettazione avanzata dal P.M. nell'atto conclusionale, senza che occorra l'appello incidentale (cfr.Cass.n. 2552 del 1989, n. 6497 del 1988, n. 8294 del 1994).

Nel merito le conclusioni della parte pubblica condividono le motivazioni dei primi giudici che hanno riconosciuto il fondamento giuridico della pretesa risarcitoria avanzata in relazione all'illegittimo inquadramento nel livello funzionale e retributivo previsto per i funzionari amministrativi (7° e successivamente 8° livello) di un dipendente transitato nella USL da un ente ospedaliero dove svolgeva mansioni di assistente amministrativo (V° livello), travolgendo le più elementari regole di buona  amministrazione nell'applicazione della normativa di settore (DPR 348/1983 e legge 207/1985), nonostante il contrario avviso reiteratamente espresso dai revisori dei conti e malgrado le espresse indicazioni interpretative intervenute con la Circolare del Ministero della Sanità del giugno 1985, che aveva chiarito la necessità di procedere ai relativi inquadramenti soltanto in presenza dei requisiti indispensabili della vacanza del posto nella pianta organica dell'ente, del possesso del titolo di studio previsto dalla normativa concorsuale per la copertura del posto di funzione.

Né può ritenersi che la sanatoria disposta con la legge finanziaria 127/1997 ed estesa al personale non sanitario delle UU.SS.LL. con la legge 27 dicembre 1997 n. 449, avesse un campo di applicazione illimitato, tale da ricomprendere anche l'inquadramento di cui è causa.

Tale comportamento integra certamente gli estremi della colpa grave, ascrivibile agli odierni appellanti, senza che possa essere invocata ad esimente della responsabilità, né le pressioni sindacali, né gli addotti effetti impeditivi dell'art.3 comma 1 ter della legge 639/1996, atteso che la cosiddetta scriminante politica, non può concernere fatti rientranti nella competenza propria di un organo tecnico-amministrativo di governo della struttura sanitaria, quale il Comitato di Gestione.

Anche le circostanza addotte dall'appellante I., vengono ritenute prive di pregio tanto quella relativa alla sua partecipazione del tutto passiva alle sedute ed alle delibere del Comitato, quanto quella relativa alla presenza di un funzionario nominato dal Presidente allo scopo di curare l'istruttoria delle pratiche e degli atti all'esame del Comitato, al quale l'appellante vorrebbe ricondurre ogni responsabilità. Si rilevano in contrario gli alti compiti assegnati per legge al coordinatore amministrativo dell'unità sanitaria locale, che a norma dell'art. 8 del D.P.R. del DPR 20 dicembre 1979, n. 761 deve assicurare il conseguimento degli obiettivi stabiliti dagli organi dell'unità sanitaria locale ed i relativi adempimenti da parte dei servizi. Proprio in relazione a tali funzioni e competenze la legge Regionale n. 18 del 1981 all'art. 12, quarto comma, prevede che tale funzionario assista, unitamente al coordinatore sanitario, alle riunioni del Comitato di Gestione per assicurare l'apporto tecnico amministrativo all'organo deliberante.

Nel chiedere conclusivamente il rigetto degli appelli e riforma della sentenza di primo grado sul punto della prescrizione, la Procura generale ritiene poi che questo Giudice di appello debba d'ufficio dichiarare la nullità della notifica dell'atto introduttivo del giudizio e, quindi, dell'intero procedimento di primo grado e della relativa sentenza nei confronti del deceduto C. Giuseppe

All'odierna pubblica udienza le parti hanno illustrato i rispettivi atti scritti confermandone le conclusive richieste. Inoltre l'avvocato Panici ha sostenuto l'esistenza di un giudicato interno sul capo relativo al mancato effetto interruttivo della prescrizione ad opera dell'invito a dedurre non essendovi in merito alcun appello.

Considerato in

 

DIRITTO

 

In quanto proposti avverso la stessa decisione gli appelli in epigrafe vanno riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c..

Decisiva ai fini della decisione della controversia è la risoluzione della questione relativa alla prescrizione dell'azione contabile che da un lato costituisce uno dei motivi degli appelli e dall'altro è oggetto di approfondite argomentazioni nelle conclusioni di parte pubblica che giungono sino alla richiesta di riforma della sentenza dei primi giudici nel senso di non ritenere neppure parzialmente prescritta l'azione che ha dato origine al giudizio in corso. Infatti in prime cure è stato ritenuto che il diritto al risarcimento del danno pubblico azionabile dal Procuratore regionale fosse ormai prescritto per i maggiori emolumenti corrisposti nel periodo anteriore al quinquennio immediatamente precedente l'emissione dell'atto di citazione, intervenuta il 14 agosto 1997.

Sul punto, come sottolinea la Procura generale, va rimarcato che è stata disattesa la richiesta avanzata dal Procuratore regionale, di riconoscere efficacia interruttiva della prescrizione ai fini di cui agli articoli 1219 e 2943 c.c. all'invito a dedurre ex articolo 5 del decreto legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19 poiche si è ritenuto che l'invito non possa costituire ex se atto idoneo ad interrompere il termine di prescrizione.

La parte pubblica per giungere all'affermazione della piena tempestività dell'intera azione contabile contesta tale ultimo assunto attraverso un'attenta ricostruzione del contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento.

Si afferma in primo luogo che nell'ambito del giudizio contabile, la sentenza delle Sezioni riunite di questa Corte (n. 14/2000/QM) ha definitivamente posto fine ad un annoso contrasto giurisprudenziale, affermando che l'invito a dedurre formulato ai sensi dell'art. 5 della legge 19/1994, laddove dotato di tutti gli elementi idonei al fine, può validamente costituire in mora il destinatario ai sensi degli artt. 1219 e 2943.

Si ricorda che recentemente tale orientamento è stato confermato con la sentenza n. 6/2003/QM dalle Sezioni riunite, che non hanno mancato di evidenziare le conseguenze di sicuro abnormi e di scarsa effettività in ordine alla tutela patrimoniale affidata al pubblico ministero contabile derivanti dall'eventuale disconoscimento del potere di costituire in mora il presunto autore del danno erariale

Si soggiunge tuttavia che non può costituire ostacolo al riconoscimento della efficacia interruttiva dell'invito a dedurre, la circostanza che esso non contenga, come in fattispecie, al proprio interno un espresso ed esplicito richiamo agli articoli 1219 e 2943 del c.c., atteso che a norma del quarto comma dell'articolo 2943 del codice civile la prescrizione è interrotta da ogni atto che valga a costituire in mora il debitore.

Sono proprio queste ulteriori considerazioni  a dare alla ricordata giurisprudenza della Sezioni riunite un ambito maggiore di quello reale finendo con l'affermare che è l'invito a dedurre di per sé e non in quanto munito di elementi ulteriori che lo fanno divenire anche un atto di costituzione in mora ad avere effetto interruttivo.

Non è questo il senso della giurisprudenza richiamata, specie quello della più recente (n. 6/2003/QM) né potrebbe esserlo ostandovi il dato normativo.

Infatti l'idoneità dell'avviso ex art. 5 legge 19 cit. ad interrompere il maturare della prescrizione è stato previsto da uno dei decreti legge che per questa parte non è stato convertito, a differenza del resto, con la legge 639 del 1996.

Reca infatti l'art. 3 comma 1 lett. a del dl n. 215 del 26 aprile 1996, le seguenti disposizioni: b) dopo il comma 2-bis, introdotto dall'art. 12 del decreto-legge 4 aprile 1996, n. 188, sono aggiunti i seguenti: 2-ter. Per i fatti verificatisi anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge e per i quali stia decorrendo un termine di prescrizione decennale, la prescrizione si compie entro il 31 dicembre 1998, ovvero nel più breve termine dato dal compiersi del decennio.

 2-quater. La prescrizione è interrotta dall'avviso di cui all'art. 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19,

2-quinquies. La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno dell'interruzione. In nessun caso il termine può essere protratto oltre i dieci anni dall'atto che ha dato inizio al giudizio

Il fatto che la riportata normativa non sia stata confermata in sede di conversione nulla toglie al persistere della sua validità, limitatamente com'è sin troppo ovvio, agli atti compiuti ed agli effetti prodottisi nel periodo temporale in cui essa vigeva.

A regime quindi, l'invito a dedurre non produce più ex se l'effetto interruttivo della prescrizione per la mancata riproduzione della specifica norma che tale effetto ammetteva. La richiamata giurisprudenza ha fatto salvi solo i casi ulteriori e diversi in cui l'invito comunque contenga una contestuale formale costituzione in mora che rechi cioè l'esplicita richiesta ad adempiere una specifica pretesa che il titolare del credito intende far valere nei confronti dell'obbligato.

Si tratta invero si soluzione non pacificamente condivisa dalla giurisprudenza successiva ma nel senso di escludere in ogni caso l'effetto interattivo dell'invito a dedurre e non già, come vorrebbe parte pubblica nel senso di ammetterlo in ogni caso.

La pregevole ricostruzione che le conclusioni della procura, anche in udienza suggestivamente illustrate, fanno sulle caratteristiche e sull'idoneità di un atto ad essere valida costituzione in mora non possono automaticamente applicarsi alla peculiare fattispecie dell'invito a dedurre in cui tra l'altro l'atto non proviene dal titolare del diritto sostanziale ed è funzionalizzato allo svolgimento della attività processuale.

Del resto occorre soggiungere che pur ove condivisa la prospettazione della parte pubblica non poteva comunque portare alla richiesta riforma della sentenza di primo grado.

Infatti come esattamente rilevato dalla difesa in udienza, la pronuncia di primo grado non gravata sul punto dell'effetto da attribuire all'invito a dedurre di specifico appello ha determinato su di esso un giudicato interno.

Non è condivisibile l'avviso del concludente ciò non sarebbe perché è stata dagli appellanti introdotta l'eccezione di prescrizione, a confutazione della quale egli sottopone all'esame del giudice d'appello altro profilo. Poiché l'effetto devolutivo dell'appello è ragguagliato ai motivi d'impugnazione, il thema decidendum sarebbe comprensivo anche della particolare prospettazione avanzata da questo P.M. con l'atto conclusionale, senza che occorra l'appello incidentale. Pur a voler condividere tale assunto, di cui peraltro andrebbero esattamente definiti i limiti, rimane il fatto che gli appelli privati non toccano la questione degli effetti da attribuire all'invito dai primi giudici decisa in senso per loro pienamente favorevole, ma quella diversa dell'esordio della prescrizione.

Pertanto la questione sollevata nelle conclusioni di parte pubblica avrebbe richiesto la proposizione di apposito appello.

In ogni caso, per le considerazioni che precedono il collegio condivide, sugli effetti dell'invito, la decisione dei primi giudici, che costituisce, in ogni caso, giusta le considerazioni del difensore, giudicato interno.

Tanto chiarito, rimane per il collegio da darsi carico del motivo, comune ad entrambi gli appelli, dell'avvenuta prescrizione dell'azione contabile. Si osserva infatti che sarebbe intervenuta prescrizione, atteso che le delibere d'inquadramento sono state adottate rispettivamente il 12 settembre 1990, la n. 1508, ed il 15 giugno 1991, la n. 2460, mentre l'atto di citazione è stato depositato in segreteria in 14 agosto 1997 e notificato il 28 maggio 1998; in via subordinata si eccepisce che la sentenza ha ritenuto che la prescrizione opera per il tempo di cinque anni all'indietro rispetto alla data di " emissione di citazione " (14 agosto 1997), facendo decorrere il danno risarcibile dal 15 agosto 1992, invece di considerare la data della notifica dell'atto, cioè dal 28 maggio 1998, con conseguente estensione della prescrizione stessa a tutto il mese di maggio 1993.

Il collegio ritiene che il motivo d'appello relativo alla prescrizione sia fondato nella sua prospettazione in via principale e debba pertanto essere accolto.

Infatti l'azione contabile deve ora esercitarsi in cinque anni dal verificarsi del “ fatto dannoso ” . Il nuovo termine prescrizionale da un lato vale a ridurre il periodo di incertezza in cui sono tenuti gli amministratori ed i dipendenti, dall'altro è coerente con la funzione della responsabilità amministrativa non solo repressiva ma soprattutto preventiva di comportamenti dannosi analoghi a quelli oggetto di giudizio, funzione che può esplicarsi utilmente solo se una definitiva pronuncia giunga in tempi ragionevoli.

L'introduzione del nuovo termine è suscettibile di particolari questioni interpretative, per quanto attiene al dies a quo della sua decorrenza. Si tratta, cioè, dell'interpretazione da dare all'espressione “ fatto dannoso ” usata dal legislatore.

Rileva, quindi, la giurisprudenza formatasi sul termine iniziale della prescrizione, specie quando si tratti non di mancate acquisizioni ma di indebite erogazioni; giurisprudenza che, sostanzialmente, pur con sfumature e passaggi intermedi, oscilla tra due posizioni. Una, anche perché preoccupata del ridursi del periodo prescrizionale, continua a seguire l'interpretazione precedente alla comparsa, nella legislazione, dell'espressione “ fatto dannoso ” ed ancora individua quest'ultimo nell'erogazione di somme da parte della pubblica amministrazione e non nel fatto che tale erogazione ha reso inevitabile.

L'altra, muovendo dall'intervenuta modifica, che parla di “ fatto ” e non di “ evento ” dannoso, fa riferimento, come termine iniziale per il decorso della prescrizione, al comportamento che abbia posto le necessarie ed ineludibili premesse di un evento che ne diviene mera obbligata conseguenza:

Secondo tale condivisa giurisprudenza, dunque, la differenza tra le due espressioni sta nel fatto che la prima non contiene di necessità il riferimento al danno come materiale accadimento purchè esso sia una conseguenza certa ed inevitabile del fatto medesimo. Ne consegue che il mancato verificarsi del danno nella sua materialità (si pensi ad esempio alla non ancora avvenuta erogazione di somme irretrattabilmente dovute a seguito di delibera pienamente efficace) non impedisce il decorrere del termine prescrizionale.

Quest'ultima posizione appare meglio adeguarsi, ad avviso del collegio, all'evoluzione dell'istituto della responsabilità amministrativa, sia perché tiene conto del criterio di fondo di ridurre il periodo di possibile esercizio dell'azione contabile, per i motivi prima detti, sia perché riconosce il significato innovativo della nuova formulazione utilizzata dal legislatore.

E' così giurisprudenza costante di questa sezione che nel caso di illecite erogazioni periodiche, il dies a quo della decorrenza della prescrizione non corrisponde con il momento in cui sono pagati i singoli ratei dovendosi dare preminente rilievo all'atto che le ha autorizzate. Ciò sempre che non si tratti.  come s'è precisato sopra e come nel caso di specie non avviene, di una fattispecie complessa, a formazione progressiva in cui cioè l'assunzione della delibera non sia sufficiente a porre integralmente le premesse del danno.

Nella sentenza n. 7/2000/QM diversamente da quanto fin qui sostenuto, viene avanzata la tesi che in ipotesi di danno causato, come nella presente controversia, da illegittimo inquadramento del personale (o da illegittima attribuzione di migliore trattamento economico) questo si protragga nel tempo per il persistere della violazione del suo autore ovvero per la omessa assunzione delle doverose iniziative occorrenti a porvi fine dai soggetti funzionalmente succeduti all'autore del danno.

Tale tesi è stata però superata da altra pronuncia delle medesime Sezioni riunite che, in sostanziale sintonia con la giurisprudenza di questa sezione, prima ricordata, hanno affermato che in ipotesi di illegittimo inquadramento del personale il termine prescrizionale decorre dalla data del primo pagamento di maggiori emolumenti, momento nel quale comincia a realizzarsi il danno ed il diritto può essere fatto valere. (2/2003/Q.M.)

Hanno osservato in detta pronuncia le Sezioni Riunite che se la tesi del protrarsi nel tempo del danno in ipotesi di illegittimi inquadramenti, fino al venir meno degli stessi, fosse esatta, da essa conseguirebbe la necessità di verifica per ogni pagamento effettuato ai pubblici dipendenti della legittimità di ciascun atto sottostante al pagamento, che potrebbe seguire solo all'esito positivo della verifica; ma da essa conseguirebbe anche l'autonomia di ogni partita di danno costituita da ciascun pagamento la cui causa efficiente andrebbe individuata nel comportamento omissivo della mancata verifica. Sarebbero, pertanto, necessari autonomi giudizi di responsabilità per ogni pagamento, non più fondato sull'adozione, o sulla sola adozione, dell'atto illegittimo, ma anche nella mancata verifica della legittimità di ciascun pagamento sulla base di tutti i provvedimenti ad esso sottostanti.

In realtà il provvedimento di inquadramento del personale incide sullo status del personale stesso e produce modificazioni nel rapporto d'impiego tra amministrazione e dipendente. Da queste modificazioni conseguono effetti sia sul piano giuridico che sul piano economico direttamente derivanti dal provvedimento amministrativo caratterizzato dai principi di esecutività e di presunzione di legittimità.

Rispetto a questa situazione non può predicarsi il permanere di una condotta illecita del soggetto che ha adottato il provvedimento, i cui effetti non si riferiscono al perdurare della condotta illecita ma direttamente alla forza ed efficacia dell'atto supposto illegittimo ma non caducato.

È ben vero che l'amministrazione di fronte ad un provvedimento illegittimo può iniziare procedimenti di secondo grado che si possono concludere con l'annullamento o la revoca dell'atto illegittimo, semprechè ne ricorrano i presupposti. Si tratta di un procedimento amministrativo nel quale vengono versati e rivalutati gli interessi coinvolti ed in particolare viene accertata l'esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all'annullamento nonché la disponibilità degli effetti del provvedimento illegittimo. Come ben si vede per caducare gli effetti dell'illegittimo inquadramento, e perciò la produzione di ulteriori danni, è necessaria una positiva condotta dell'Ente, caratterizzata da autonome valutazioni, e non già la cessazione di una condotta violativa (e che comunque si è necessariamente puntualizzata ed esaurita nell'adozione del provvedimento illecito).

Il collegio, quindi, afferma, sulla scorta della propria giurisprudenza, integrata con la recente pronuncia delle Sezioni Riunite che sostanzialmente si condivide che, in ipotesi di illegittimo inquadramento del personale il termine prescrizionale decorre dal momento nel quale comincia a realizzarsi il danno ed il diritto può essere fatto valere. Occorre, nel caso di specie, far riferimento alla data del 27 settembre 1990, data di esecutività della delibera 12 settembre 1990, n. 1508, assunta del resto dallo stesso atto di citazione come momento iniziale del concretizzarsi del danno. Rispetto a tale termine l'azione, introdotta con atto di citazione in data 30 luglio 1997, risulta largamente prescritta, come lo sarebbe del resto se si facesse riferimento alla successiva del 15 giugno 1991, n. 2460.

L'accoglimento del preliminare motivo d'appello inibisce l'esame di quelli relativi al merito e delle correlate controdeduzioni della parte pubblica.

Tale esito rende del pari vuota di fini una declaratoria di nullità della sentenza, in parte in cui erroneamente il coobbligato signor C. Giuseppe (che, deceduto in data 6/9/1997,   non ha mai ricevuto, né avrebbe potuto, nel maggio 1998 l'atto introduttivo del giudizio), è stato condannato al pagamento in favore della USL di appartenenza di 881 euro.

Data la natura e l'esito del presente giudizio non è luogo a pronuncia per le spese.

 

P. Q. M.

 

definitivamente pronunciando, ogni altra e diversa istanza reietta, previa riunione ai sensi dell'art. 335 c.p.c., accoglie gli appelli in epigrafe e per l'effetto annulla la sentenza impugnata, anch'essa indicata in epigrafe.

Nulla per le spese

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di rito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 aprile 2003.