Pubblicato il 28/02/2023
N. 02071/2023REG.PROV.COLL.
N. 04644/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 4644 del 2021, proposto da
Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato xxxxx xxxxx, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati xxxxx xxxx e xxxxx xxxx, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato xxxxx xxxx in xxxxx, corso xxxxxxxx, ...;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) n. 00262/2021, resa tra le parti

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2023 il Cons. Alberto Urso e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO
1. Con il ricorso di primo grado -OMISSIS-, già consigliere comunale del Comune di -OMISSIS- (XX) nominato all'esito delle elezioni tenutesi nel 2016, impugnava l'atto con cui il Sindaco del medesimo Comune, in data 11 ottobre 2019, gli aveva revocato le cariche amministrative di Vicesindaco e Assessore con delega alla gestione e programmazione del territorio, edilizia privata, polo logistico e politiche del lavoro già conferitegli dallo stesso Sindaco con decreto del giorno precedente.
La revoca era stata disposta sul presupposto della manifestazione di problemi politici e difficoltà nei rapporti di collaborazione, che avevano da subito determinato l'affievolirsi del rapporto fiduciario.
2. Nell'impugnare il provvedimento, il ricorrente si doleva in particolare della carenza di motivazione - non essendovi evidenza degli insuperabili problemi politici menzionati nell'atto di revoca, che non si sarebbero potuti del resto manifestare in un solo giorno - e dello sviamento di potere sotteso all'atto, volto esclusivamente ad escludere l'-OMISSIS- dalla vita politica cittadina.
Il ricorrente avanzava anche domanda per il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito per effetto del provvedimento impugnato.
3. Il Tribunale amministrativo adìto, nella resistenza del Comune di -OMISSIS-, accoglieva il ricorso annullando il provvedimento gravato e condannando il Comune al risarcimento del danno per € 10.000,00 a titolo di pregiudizio patrimoniale, ed € 2.500,00 per danno non patrimoniale, oltre rivalutazione e interessi.
4. Avverso la sentenza ha proposto appello il Comune di -OMISSIS- deducendo:
I) error in iudicando: il provvedimento di revoca di un Assessore è insindacabile in sede giurisdizionale nel suo contenuto di merito in applicazione dei principi affermati da Cons. Stato, I, parere 19 settembre 2019, n. 2483;
II) in via subordinata, error in iudicando: non sussiste alcun obbligo di esporre nel provvedimento di revoca i singoli fatti che hanno intaccato il rapporto fiduciario tra il Sindaco e l'Assessore revocato, e il provvedimento di revoca deve considerarsi motivato con l'indicazione del venir meno della fiducia; violazione e falsa applicazione dell'art. 46 d.lgs. n. 267 del 2000 e dell'art. 3 l. n. 241 del 1990;
III) error in iudicando: non vi è sviamento di potere in quanto il fine del potere di revoca degli Assessori in capo al Sindaco non è il generico "miglioramento della compagine di governo dell'ente locale", bensì la configurazione della Giunta come strumento efficace del Sindaco per l'attuazione del mandato elettorale; violazione e falsa applicazione dell'art. 46 d.lgs. n. 267 del 2000;
IV) error in iudicando: la rilevata illegittimità della revoca dell'Assessore -OMISSIS- non integra né dimostra la colpa dell'amministrazione ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno da attività illegittima; violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 Cod. civ. e dei principi giurisprudenziali in materia di risarcimento del danno da atto illegittimo;
V) error in iudicando: la domanda risarcitoria è infondata in ragione della scelta processuale del ricorrente in primo grado di chiedere la sola tutela in via equivalente con implicita rinuncia alla tutela in forma specifica; violazione e falsa applicazione dell'art. 30 Cod. proc. amm. e dell'art. 1227 Cod. civ.;
VI) error in iudicando: la sentenza ha omesso di considerare che la condotta anche processuale dell'ex Assessore ha concorso in maniera significativa ad aggravare il danno; violazione e falsa applicazione dell'art. 30 Cod. proc. amm. e dell'art. 1227 Cod. civ.
5. Resiste al gravame -OMISSIS-, chiedendone la reiezione.
6. All'udienza pubblica del 9 febbraio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Può prescindersi dall'esame delle eccezioni preliminari sollevate dall'-OMISSIS - ivi inclusa quella di inammissibilità per tardivo deposito della memoria difensiva comunale - stante il rigetto nel merito dell'appello.
2. Col primo motivo di gravame, l'appellante si duole della mancata dichiarazione d'inammissibilità del ricorso di primo grado in ragione della natura politica del provvedimento impugnato, per tale dovendo intendersi quello che costituisce il risultato dell'esercizio di un potere non soggetto ad alcun parametro giuridico, come osservato da questo Consiglio di Stato con parere n. 2483 del 2019, e ciò anche nell'ambito degli enti territoriali, a prescindere cioè dal profilo soggettivo dell'emanazione dell'atto da parte dello Stato.
Gli enti territoriali, infatti, sono rappresentativi di collettività a fini generali per la cura complessiva degli interessi delle collettività rappresentate, e come tali sono ben in grado di adottare atti di natura politica, in specie in relazione alla costituzione degli organi di governo.
Al riguardo, l'art. 46 d.lgs. n. 267 del 2000 non prevede limiti al potere di revoca degli Assessori, né alcuna previsione al riguardo è rinvenibile nello Statuto del Comune di -OMISSIS-.
L'atto di revoca è dunque insindacabile in sede giurisdizionale, sicché il ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.
2.1. Il motivo non è condivisibile.
2.1.1. Ai sensi dell'art. 7, comma 1, ultimo periodo, Cod. proc. amm. «Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico».
La disposizione, come noto, riprende l'art. 31 r.d. n. 1054 del 1924, a sua volta sostanzialmente ripetitivo dell'art. 24, comma 2, del precedente r.d. 2 giugno 1889, n. 6166, già confluito nel testo unico di cui al r.d. n. 638 del 1907, art. 22, comma 2, e art. 23, comma 21.
Al riguardo, la nozione di atto politico viene ricondotta dalla giurisprudenza tradizionale alla concorrenza di due requisiti: l'uno di carattere soggettivo, coincidente col fatto che "si tratti di atto o provvedimento emanato dal Governo, e cioè dall'Autorità amministrativa cui compete la funzione di indirizzo politico e di direzione al massimo livello della cosa pubblica" (Cons. Stato, IV, 7 giugno 2022, n. 4636), l'altro di natura oggettiva, espresso dall'essere l'atto "riconducibile alle supreme scelte in materia di costituzione, salvaguardia e funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione" (Cons. Stato, V, 2 febbraio 2021, n. 963), e dunque libero nei fini (Cons. Stato, VI, 11 giugno 2018, n. 3550; cfr. anche, per la nozione di atto politico incentrata sui detti requisiti soggettivo e oggettivo, inter multis, Cons. Stato, IV, 8 luglio 2013, n. 3609; 18 novembre 2011, n. 6083; V, 23 gennaio 2007, n. 209).
In tale contesto, è condivisa e da ritenere corretta la qualificazione dell'atto di revoca (così come di nomina) di un assessore comunale (oltreché di vicesindaco) - pur nel rinnovato quadro delle autonomie territoriali tracciato dal decreto legislativo n. 267 del 2000 e dalla l. cost. n. 3 del 2001 - alla stregua di atto di "alta amministrazione" anziché "politico", considerato che lo stesso non "costituisc[e] espressione della libertà (politica) commessa dalla Costituzione ai supremi organi decisionali dello Stato per la soddisfazione di esigenze unitarie ed indivisibili a questo inerenti" (Cons. Stato, V, 23 giugno 2014, n. 3144), né risulta comunque connotato da libertà nei fini (Cons. Stato, V, 27 luglio 2011, n. 4502; Id., n. 209 del 2007, cit., ove si pone in risalto come tale atto "non [sia] libero nella scelta dei fini, essendo sostanzialmente rivolto al miglioramento della compagine di ausilio del sindaco nell'amministrazione del comune"), risultando piuttosto ben "sottoposto alle prescrizioni di legge ed eventualmente degli statuti e dei regolamenti" (Cons. Stato, I, 20 maggio 2021, n. 936; Id., n. 4502 del 2011, cit.; cfr. anche Id., I, 13 novembre 2019, n. 2859; V, 10 luglio 2012, n. 4057).
Si tratta anzi, a ben vedere, di un atto tipicamente espressivo della categoria degli atti di alta amministrazione, riconducibili proprio "in prevalenza [agli] atti di nomina di organi di vertice di amministrazioni ed enti pubblici", rispetto a cui ben "sono configurabili posizioni giuridiche soggettive per la tutela delle quali è ammesso il diritto di azione" (Cons. Stato, V, 2 agosto 2017, n. 3871).
In senso inverso, non vale il richiamare la giurisprudenza evocata dall'appellante, la quale ha fornito alcuni chiarimenti - nel contesto attuale - sul significato della previsione che esclude il sindacato giurisdizionale sugli atti di natura politica (fra le altre, in particolare, Cons. Stato, I, 19 settembre 2019, n. 2483; Corte cost., 5 aprile 2012, n. 81): tale indirizzo muove infatti da una preoccupazione (e assume una coerente direzione) opposta rispetto a quella predicata dall'appellante, e cioè si rivolge - alla luce dei principi di cui agli artt. 113 e 24 Cost. - alla puntuale e specifica circoscrizione e limitazione degli atti sottratti a sindacato giurisdizionale, non già al loro ampliamento (cfr. chiaramente Cons. Stato, n. 2483 del 2019, cit., specie nei richiami a C. cost., n. 808 del 2016 e Cass., SS.UU., n. 18829 del 2019; in tale prospettiva, ai fini della rigorosa perimetrazione degli atti sottratti a sindacato giurisdizionale, cfr. anche, inter multis, Cons. Stato, IV, 3 agosto 2021, n. 5708, che riconduce la nozione di atto politico ad un numerus clausus di atti che "in base a principi costituzionali non possono essere sindacati in sede giurisdizionale"; Id., n. 936 del 2021, cit.: "La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è orientata in un senso estremamente rigoroso e restrittivo nella delimitazione della categoria degli 'atti politici', di cui va sottolineata la natura eccezionale e derogatoria rispetto ai fondamentali principi in materia di diritto di azione e giustiziabilità delle situazioni giuridiche soggettive, ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost." ; VI, 17 ottobre 2018, n. 5934, in cui si pone in evidenza come "il concetto di atto politico sia di stretta interpretazione e vada confinato entro limiti rigorosi"; cfr. anche Id., n. 3550 del 2018, cit.; n. 4502 del 2011, cit.; V, 6 maggio 2011, n. 2718).
In questa specifica prospettiva e con questo spirito l'indirizzo richiamato è pervenuto - al di là di alcuni passaggi di portata teorica e generale - alla conclusione che l'insindacabilità in sede giurisdizionale dell'atto va esclusa in presenza di "una norma che predetermini le modalità di esercizio della discrezionalità politica o che, comunque, la circoscriva": con la specifica conseguenza sul piano ricostruttivo, a ben vedere, non già di restringere lo spettro degli atti impugnabili, ma di affermare che "sotto il profilo più squisitamente processuale sarà [...] impugnabile quell'atto - pur promanante dall'autorità amministrativa cui compete la funzione di indirizzo politico e di direzione al massimo livello della cosa pubblica - la cui fonte normativa riconosce l'esistenza di una situazione giuridica attiva, protetta dall'ordinamento, riferita ad un bene della vita oggetto della funzione svolta dall'Amministrazione" (Cons. Stato, n. 2483 del 2019, cit., par. 8).
Il che non vale, evidentemente, a escludere la natura amministrativa dell'atto di revoca (oltreché di nomina) dell'Assessore comunale come affermata dalla costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato nei termini suindicati, quale atto cioè che non è espressione della libertà (politica) attribuita ai supremi organi decisionali dello Stato per la soddisfazione di esigenze a questo inerenti, né può ritenersi libero nei fini e sottratto alle prescrizioni di legge ed eventualmente degli statuti e dei regolamenti, con la conseguenza che è ben dato ravvisare l'emersione, in relazione allo stesso, di situazioni giuridiche soggettive tutelabili davanti al giudice amministrativo.
3. Col secondo motivo, proposto in via subordinata, l'appellante denuncia l'errore in cui il giudice di primo grado sarebbe incorso nel non avvedersi che la motivazione formulata nel provvedimento è comunque da ritenersi in specie adeguata e sufficiente, atteso che l'atto di revoca - avente natura ampiamente discrezionale - può essere motivato anche mediante semplice riferimento al venir meno del rapporto fiduciario fra Sindaco e Assessore, senza che sia perciò necessaria l'indicazione analitica dei fatti che, secondo il Sindaco, abbiano determinato il venir meno della fiducia, considerato peraltro che il rapporto causale tra tali fatti e lo sfiduciamento non è sindacabile in sede giurisdizionale.
La legge, all'art. 46, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000, prevede peraltro che la motivazione venga espressa nella comunicazione a beneficio del Consiglio comunale, mentre l'atto di revoca in sé (così come di nomina) non va motivato; il che è coerente con il sistema riformato degli enti locali, nell'ambito del quale gli Assessori fungono da meri collaboratori del Sindaco e operano esclusivamente tramite deliberazioni collegiali.
La sentenza ha dunque trascurato che la motivazione della revoca riguarda la comunicazione al Consiglio e non l'atto di revoca in sé, e che la mancata impugnazione di detta comunicazione rendeva persino inammissibile il ricorso di primo grado.
In ogni caso, è erroneo l'assunto per cui la motivazione dell'atto dovesse estendersi sino a ricomprendervi le considerazioni specifiche sulla fiducia verso l'Assessore revocato.
Peraltro dagli articoli di stampa emergerebbero chiaramente, nella specie, i contrasti sin da subito verificatisi con l'Assessore, in relazione alla realizzazione del nuovo palazzetto dello sport, dai quali è dipeso il venir meno della fiducia del Sindaco.
D'altra parte l'eventuale sindacato giurisdizionale sulla motivazione dell'atto di revoca non può che limitarsi alla verifica di non arbitrarietà della decisione, ed è dunque riferibile a casi del tutto eccezionali; nessun rilievo, a tal riguardo, assumono i fatti e le valutazioni che abbiano fondato il giudizio di sfiducia del Sindaco.
3.1. Col terzo motivo l'appellante deduce che alcuno sviamento di potere sarebbe qui concretamente ravvisabile: il giudice di primo grado, da un lato confonderebbe il fine pubblico con gli effetti concreti che l'atto può avere, dall'altro evocherebbe un fine - quale il miglioramento della compagine di governo locale - che non è proprio della nomina e revoca degli Assessori, funzionale solo alla formazione di un organo collegiale di fiducia del Sindaco.
3.2. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per stretta connessione, non sono condivisibili.
3.2.1. Non può essere anzitutto condiviso l'assunto in base al quale andrebbe motivata, per tali tipologie di atti, la sola comunicazione rivolta al Consiglio anziché il provvedimento di revoca in sé.
Una volta qualificato l'atto di revoca come atto amministrativo (seppur di alta amministrazione), infatti, lo stesso non può che soggiacere agli oneri motivazionali propri del provvedimento amministrativo, che vanno senz'altro assolti - pur con le peculiarità specifiche degli atti di tale natura - sull'atto in sé; in tale contesto, la comunicazione motivata al Consiglio rappresenta un atto ed esprime un profilo distinto, che (pur potendo avere il medesimo contenuto della revoca) inerisce al rapporto interno fra l'organo consiliare e il Sindaco, cui l'Assessore è di suo estraneo: il che non fa evidentemente venir meno l'obbligo di motivare (anche) l'atto di revoca in sé, nel quadro delle funzioni proprie che lo stesso assolve.
3.2.2. Ciò posto, ai fini del vaglio delle censure formulate dall'appellante, occorre muovere dai principi affermati dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in ordine al sindacato sugli atti di alta amministrazione.
Riconosciuta infatti la natura amministrativa dell'atto di revoca, lo stesso risulta sì soggetto allo statuto del provvedimento amministrativo e al correlato sindacato giurisdizionale, ma con la limitazione che gli deriva dall'essere appunto un atto di "alta amministrazione": come affermato al riguardo dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato "Gli atti di alta amministrazione sono una species del più ampio genus degli atti amministrativi e soggiacciono pertanto al relativo regime giuridico, ivi compreso il sindacato giurisdizionale, sia pure con talune peculiarità connesse alla natura spiccatamente discrezionale degli stessi.
Infatti, il controllo del giudice non è della stessa ampiezza di quello esercitato in relazione ad un qualsiasi atto amministrativo, ma si appalesa meno intenso e circoscritto alla rilevazione di manifeste illogicità formali e procedurali.
La stessa motivazione assume connotati di semplicità e il sindacato del giudice risulta complessivamente meno intenso ed incisivo" (Cons. Stato, n. 4502 del 2011, cit.; n. 936 del 2021, cit.).
In tale prospettiva, il controllo giurisdizionale è ammissibile, ma "entro i ristretti limiti entro cui atti a forte tasso di discrezionalità si prestino ad essere sindacati nell'ambito della generale giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo prevista dall'art. 7, comma 1, cod. proc. amm." (Cons. Stato, n. 3871 del 2017, cit.).
In tale contesto, nel tracciare il portato di siffatto sindacato giurisdizionale spettante al giudice amministrativo, s'è affermato peraltro chiaramente che "per quanto ampia possa presentarsi negli atti in esame la discrezionalità amministrativa, quest'ultima rimane sempre vincolata dal necessario perseguimento delle finalità pubbliche e dal fondamento sostanziale del potere amministrativo consistente nell'impossibilità di utilizzare lo stesso per fini diversi da quelli che ne giustificano l'attribuzione" (Cons. Stato, n. 3871 del 2017, cit.); per questo, è ben sindacabile, rispetto a tali tipologie di atti, il vizio di eccesso di potere "nelle particolari figure sintomatiche dell'inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o mancanza di motivazione", essendo il sindacato giurisdizionale precluso rispetto alle (ben diverse) ipotesi di "diretta e concreta valutazione dell'opportunità e convenienza dell'atto, ovvero [di sostituzione de] la volontà dell'organo giudicante [...] a quella dell'Amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità (dunque, all'esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi) o esclusiva o che comunque ad essa non avrebbero potuto dare ingresso" (Cons. Stato, n. 936 del 2021, cit.; cfr. anche Id., V, 17 gennaio 2023, n. 583 in ordine agli obblighi motivazionali).
3.2.3. Facendo applicazione dei suesposti principi al caso di specie, risulta confermata l'illegittimità del provvedimento impugnato.
Quest'ultimo è infatti genericamente motivato con riguardo al venir meno della fiducia per problemi politici e difficoltà nella collaborazione, senza che siano indicate le ragioni concrete poste alla base della sfiducia così espressa (cfr. l'atto di revoca: "subito si sono manifestati problemi politici ed insuperabili difficoltà nei rapporti di collaborazione, che hanno determinato un immediato affievolirsi del rapporto fiduciario [...] che sta alla base della [...] nomina ad Assessore e Vice Sindaco"); ciò in un contesto in cui l'azione amministrativa si palesa di per sé incomprensibile e contraddittoria, considerata l'adozione della revoca ad un solo giorno di distanza dalla nomina, e a fronte oltretutto della determinata decadenza dell'-OMISSIS- dalla carica di consigliere comunale a seguito dell'assunzione dell'incarico conferitogli (ciò a prescindere peraltro dalle circostanze inerenti agli speculari atti, in pari data della detta nomina, di dimissioni o revoca dei predecessori dell'-OMISSIS-, con loro rinomina successiva poco tempo dopo la revoca disposta nei confronti di quest'ultimo).
Né d'altra parte è dato desumere le ragioni del suddetto venir meno del rapporto fiduciario dall'unico atto formale cui l'-OMISSIS- partecipava nel corso del suo (breve) mandato, consistito in una deliberazione di Giunta adottata il 10 ottobre 2019, con voto unanime, avente a oggetto "Biblioteca civica. Realizzazione corso di pittura per bambini e ragazzi. Proroga date".
Per questo, s'è in presenza di una fattispecie in cui la funzione perseguita si appalesa - in difetto di motivazione adeguata, in specie del tutto apodittica, e che avrebbe richiesto un ben maggiore grado di dettaglio e approfondimento a fronte delle circostanze di fatto in rilievo - sviata e non suffragata da alcuna ragionevole giustificazione.
Non giova, in tale conteso, l'invocare la giurisprudenza che afferma l'ampiezza e discrezionalità dell'apprezzamento (e della stessa motivazione) a base del provvedimento di alta amministrazione, e in specie di revoca dell'Assessore: nella specie erano le circostanze di fatto suindicate (i.e., revoca a un solo giorno dalla nomina e contestuale cessazione, necessaria, della carica consiliare) che avrebbero reso necessario rendere palesi le ragioni di una siffatta determinazione sindacale, in assenza delle quali è dato ravvisare un vizio della funzione, e cioè un eccesso di potere in termini di irragionevolezza, contraddittorietà e sviamento, rimanendo appunto il potere esercitato (benché incentrato sulla fiducia) pur sempre funzionalizzato all'interesse pubblico (cfr. Cons. Stato, n. 3871 del 2017, cit.; Id., IV, 21 settembre 2015, n. 4375) e come tale sorvegliabile nel suo esercizio concreto, pur senza sindacare perciò il merito delle scelte effettuate.
4. Col quarto motivo, inerente alla domanda risarcitoria, l'appellante deduce che non sarebbe ravvisabile nella specie alcuna colpa dell'amministrazione, stante la sussistenza di contrasti giurisprudenziali circa la natura dell'atto di revoca e la sua necessaria motivazione e soggezione alle regole del procedimento amministrativo: di qui la scusabilità dell'(eventuale) errore, in mancanza di alcun negligenza ravvisabile in capo al Sindaco.
4.1. Neanche tale motivo è condivisibile.
4.1.1. Considerata la natura dei vizi riscontrati, espressivi di uno sviamento della funzione nei termini suindicati ricavabile dalle stesse circostanze di fatto emerse, è ben dato riscontrare la colpa dell'amministrazione quale chiara negligenza nel proprio operato.
Né rileva in senso diverso la citata sentenza della Corte dei conti che, in sede di accertamento della responsabilità erariale, ha escluso la colpa del Sindaco, attesa - oltreché la non vincolatività di tale sentenza nel presente giudizio - la considerazione che, in ogni caso, in quella sede assume rilievo l'elemento soggettivo in termini di necessaria "colpa grave".
5. Col quinto motivo l'appellante deduce che la domanda risarcitoria avrebbe dovuto in ogni caso essere respinta, atteso che i danni lamentati dall'-OMISSIS- potevano ben essere evitati laddove il ricorrente avesse coltivato la tutela ripristinatoria - impugnando anche i successivi atti di nomina dell'Assessore e Vicesindaco designato - anziché perseguire la sola domanda risarcitoria.
5.1. Col sesto motivo il Comune deduce come la mancata proposizione d'istanza cautelare da parte dell'-OMISSIS- abbia anch'essa concorso alla produzione del danno invocato, determinando una più tarda decisione di merito da parte del giudice di primo grado, ed escludendo al contempo la possibile sospensione dell'efficacia del provvedimento, cui sarebbe conseguita una limitazione del danno patrimoniale, che al più sarebbe ammontato a poco più di € 3.000,00, corrispondenti alla misura di quattro mensilità d'indennità.
5.2. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per connessione ed elementi di affinità, sono infondati.
5.2.1. Quanto al primo profilo di censura, va rilevato che il danno riconosciuto dal giudice di primo grado è stato provocato al ricorrente direttamente e di per sé dall'impugnato provvedimento di revoca: la successiva nomina del nuovo Assessore e del Vicesindaco configura a ben vedere una nuova e distinta vicenda amministrativa che, seppure correlata, non può imporsi al ricorrente d'impugnare pena la perdita del diritto al risarcimento del danno (già ex se integralmente) provocatogli dall'atto illegittimo gravato.
Per questo, in un contesto peraltro in cui la somma liquidata dal Tar è stata già in parte decurtata (alla luce della durata incerta del mandato), non vi sono spazi per ritenere ulteriormente e sotto altro profilo riducibile il risarcimento spettante all'-OMISSIS-, in quanto riferibile a un danno già di per sé integralmente prodotto dal provvedimento illegittimo impugnato.
Quanto al secondo aspetto, occorre rilevare, da un lato che il ricorrente aveva proposto tempestiva istanza di prelievo, dall'altro che l'esito della richiamata istanza cautelare (e anche della fissazione dell'udienza di merito) sarebbe comunque stato incerto, sicché la quantificazione in complessivi € 10.000,00 dei danni patrimoniali liquidati - a fronte di una già operata decurtazione da parte del Tar nei termini suindicati - non può essere ritenuta erronea.
6. In conclusione, per le suesposte ragioni l'appello va respinto.
6.1. Le spese di lite sono poste a carico dell'appellante, secondo criterio di soccombenza, e liquidate nella misura di cui in dispositivo in favore dell'appellato costituito.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge;
Condanna l'appellante alla rifusione delle spese, che liquida nella misura di € 3.000,00, oltre accessori di legge, in favore dell'appellato costituito.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Presidente
Angela Rotondano, Consigliere
Alberto Urso, Consigliere, Estensore
Anna Bottiglieri, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alberto Urso Paolo Giovanni Nicolo' Lotti





IL SEGRETARIO