R E P U B B L I C A I T A L I A N A
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello n. 1873/1994, proposto dal:
- Ministero del TESORO, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in via dei Portoghesi n. 12, Roma,
- BORRONI Paolo, rappresentato e difeso dall’Avvocato Federico Sorrentino e presso di lui elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere delle Navi n. 30; per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sez. I-ter, n. 1738/1993, resa inter partes e concernente la sospensione cautelare dal servizio di un dipendente del Ministero del Tesoro.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato Paolo Borroni;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 21 novembre 2003, il Consigliere Aldo SCOLA;
Uditi, altresì, per le parti, l’Avvocato dello Stato Gesualdo D’Elia e l’Avvocato Federico Sorrentino;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O
Paolo Borroni, all’epoca funzionario amministrativo-contabile dei servizi centrali della Ragioneria generale dello Stato, fermato dalla Polizia di Stato il 6 febbraio 1993, impugnava il d.m. 22 febbraio 1993 con cui era stato sospeso cautelativamente dal servizio, ai sensi dell’art. 91, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, deducendo la violazione di detta norma, in rapporto anche all’art. 27, Cost., ed eccesso di potere per difetto di motivazione, trattandosi di un provvedimento motivato solo con richiamo alla natura del reato ed all’arresto avvenuto nella flagranza dello stesso.
I primi giudici respingevano ben due istanze cautelari, ma poi accoglievano il ricorso nel merito (dopo che l’Amministrazione intimata si era costituita in giudizio resistendo al gravame) per il dedotto difetto di motivazione, trattandosi di un d.m. argomentato solo con richiamo al cit. art. 91.
La relativa sentenza veniva impugnata dall’Amministrazione soccombente, che poneva in luce la gravità del reato di usura e l’avvenuto arresto del Borroni in flagranza: due circostanze considerabili senz’altro idonee a sorreggere un provvedimento di sospensione facoltativa come quello in questione, adottabile onde evitare nocumento al prestigio dell’ufficio di appartenenza.
L’appellato Paolo Borroni si costituiva in giudizio e resisteva all’appello, insistendo per la conferma dell’impugnata sentenza.
All’esito della pubblica udienza di discussione la controversia passava in decisione.
D I R I T T O
L’appello è infondato e va respinto per le ragioni qui sintetizzate dal Collegio come segue.
Infatti, per quanto si tratti di un provvedimento meramente cautelare, la sospensione facoltativa di cui al d.m. Tesoro 22 febbraio 1993 integra pur sempre un atto di natura restrittiva della sfera giuridica del destinatario, comportandone l’allontanamento dalla sede di servizio, con ogni immaginabile ripercussione sul nomen, tractatus atque fama del Borroni.
Conseguentemente, l’obbligo di motivazione scaturente (piuttosto che dalla categoria dell’eccesso di potere, come inesattamente ritenuto dai primi giudici) dall’art. 3, legge 7 agosto 1990 (ovviamente già in vigore al momento dell’adozione del provvedimento poi impugnato dall’attuale appellato), non poteva che spiegare tutta la sua efficacia ed avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione procedente ad argomentare adeguatamente in quale modo la gravità del reato di usura e l’arresto avvenuto in flagranza (pur menzionati nell’atto gravato) si sarebbero riverberati in senso negativo per l’immagine dell’ufficio di appartenenza del Borroni, al punto di consigliarne l’allontanamento dal servizio.
In proposito si osserva che la sospensione facoltativa mediante decreto ministeriale risulta prevista per il caso di reati particolarmente gravi, mentre l’eventuale emissione di un ordine o mandato di cattura comporta la sospensione obbligatoria del dipendente dal servizio ad opera del capo dell’ufficio di sua appartenenza.
Orbene, mentre nella seconda ipotesi (trattandosi di atti vincolati) il dovere motivazionale risulta attenuato e ridotto alla necessità di richiamare l’esistenza dell’ipotizzato provvedimento di custodia cautelare, nel primo caso (versandosi in tema di provvedimenti discrezionali) risulta necessaria una motivazione particolarmente approfondita quanto ai più significativi profili della ritenuta gravità del reato, al turbamento presumibilmente derivante da una possibile permanenza in servizio dell’impiegato, in rapporto anche alla sua qualifica ed alla sua complessiva personalità (e, nella specie, all’avvenuto suo arresto in flagranza), come pure alla ipotizzabile risonanza del fatto nell’ambiente di lavoro ed in quello circostante: il che è quasi del tutto mancato nella fattispecie in esame.
Conclusivamente, l’appello va dunque respinto, con salvezza dell’impugnata sentenza, mentre le spese del secondo grado di giudizio possono integralmente compensarsi per giusti motivi tra le parti costituite, tenuto anche conto della peculiarità della vicenda.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta,
-respinge l’appello;
-compensa le spese del secondo grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, addì 21 novembre 2003, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, riunito in camera di consiglio con l’intervento dei signori:
Livia BARBERIO CORSETTI Presidente f. f.
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