Pubblicato il 29/12/2023
N. 11307/2023REG.PROV.COLL.
N. 06471/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6471 del 2018, proposto dal Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato xxxx xxxxx, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato xxxxx xxxx in Roma, via ......, n. ....,
contro
il signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato xxxx xxxxxx, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato xxxxxx xxxx in Roma, via ............., n. ...,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, (Sezione Prima), 1-OMISSIS-, resa tra le parti, avente ad oggetto annullamento in autotutela di procedura concorsuale interna.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore, all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 28 novembre 2023 tenutasi con modalità da remoto, il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l'avvocato xxxxx xxxxx e l'avvocato xxxxxx xxxxx;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La vicenda trae origine dall'avvenuto annullamento da parte del Comune di -OMISSIS- della procedura concorsuale riservata al personale interno bandita con delibera di Giunta del 28 novembre 2009, n. 89, per la copertura di un posto di "Istruttore di vigilanza", Categoria C, vinta dal signor -OMISSIS-, conseguentemente inquadrato nella qualifica con decorrenza 1° aprile 2010. L'esercizio dell'autotutela avveniva con delibera di Giunta n. -OMISSIS-, motivata espressamente sul vizio di incompetenza dell'atto originario, salvo richiamare anche in premessa, dichiaratamente parte integrante del provvedimento, la precedente delibera n. 11 dell'11 febbraio 2017, di avvio del relativo procedimento, ove sono enunciati una serie di atti, riconducibili a plurimi soggetti anche esterni all'Ente ( Dipartimento della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Prefetto, Difensore civico regionale, revisore dei conti) contenenti rilievi critici o richieste di chiarimenti. Sempre in tale atto presupposto si dà altresì conto degli esiti del giudizio risarcitorio intentato dal precedente Sindaco e dall'odierno appellato all'esito dell'avvenuta archiviazione del procedimento penale instaurato a loro carico per ipotizzato abuso d'ufficio, sfavorevole ai richiedenti (Tribunale civile di Chieti, -OMISSIS-). In tale pronuncia, i cui passaggi più significativi sono riportati fedelmente nella deliberazione n. 11 del 2017, si denunciano «gravissime e sconcertanti irregolarità, nessuna delle quali segnalate dallo stesso presidente della commissione [...]», ravvisate, per quanto qui di specifico interesse, nell'avvenuta valorizzazione di un'esperienza professionale pregressa del tutto eterogenea al profilo di vigilanza (cinque anni in qualità di "esecutore di servizi idrici", non potendo assumere rilievo l'aver svolto, per un periodo limitato a tre mesi, mansioni di vigile urbano nel 1982) al fine di accedere ad un posto che avrebbe dovuto più correttamente essere oggetto di selezione pubblica. Nessuna menzione, invece, è dato rinvenire negli atti impugnati alla ricordata archiviazione sia del procedimento penale da parte del G.u.p. presso il Tribunale penale di Chieti, per mancanza dell'elemento psicologico del reato, giusta la rilevata prassi conforme da parte dell'Ente (-OMISSIS-), che di quello per danno erariale. Il riferimento, infatti, all'avvenuta condanna da parte della Corte dei conti, afferisce alla nomina del responsabile dell'ufficio tecnico comunale, che in tale ruolo ha rivestito la carica di Presidente della Commissione esaminatrice.
2. Il T.a.r. per l'Abruzzo, sede di Pescara, adito dal dipendente comunale per l'annullamento della deliberazione n. -OMISSIS-, ha accolto il ricorso «stante l'assorbente preliminare rilievo dell'incompetenza della Giunta Comunale ad adottare l'atto di autotutela impugnato». Ciò in quanto «il provvedimento di autotutela diretto ad eliminare l'atto illegittimo per incompetenza dell'organo che lo ha adottato, secondo i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza amministrativa, deve essere a sua volta adottato dall'organo competente (Cons. Stato, sez. V, n. 701/2006)». In sintesi, la peculiarità del vizio renderebbe inapplicabile il principio del contrarius actus, che normalmente sovraintende alla riedizione del potere amministrativo, non potendo un organo incompetente valutare la sussistenza di vizi sostanziali o di sopravvenienze che non rientrano tra le proprie spettanze (Cons. Stato, sez. IV, n. 7941/04 e sez. V, n. 424/97).
3. Con l'odierno appello il Comune di -OMISSIS- ha contestato la decisione articolando tre distinti motivi di gravame.
3.1. Con il primo motivo lamenta l'erronea applicazione degli artt. 107 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali e 21-novies della l. 7 agosto 1990, n. 241, giusta l'inaccettabilità della ricostruzione propugnata dal primo giudice che, in dispregio proprio della regola sulla separazione tra competenze politiche e competenze gestionali, che vorrebbe affermare, finisce per attribuire al dirigente il potere di caducare provvedimenti adottati dall'organo di governo. Ciò peraltro senza tenere in alcun conto il fatto che egli avalla comunque gli atti collegiali apponendovi il proprio visto di regolarità tecnica, come accaduto in quelli di cui è causa.
3.2. Con un secondo motivo ha dedotto la violazione dei principi che sovraintendono alla tutela degli interessi e alla effettività della stessa in sede giurisdizionale. Il primo giudice, cioè, valorizzando un dato esclusivamente formale, avrebbe consolidato una situazione riconosciuta come illegittima da plurimi soggetti pubblici. In particolare, avrebbe ignorato che l'Amministrazione si è attivata dopo avere ricevuto un chiaro input in tal senso dal Dipartimento per la Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che in risposta ad apposita richiesta di parere avanzata dal Comune medesimo, avrebbe ribadito (con note del 5 ottobre 2016 e 15 dicembre 2016) la necessità di procedere all'annullamento in autotutela, ricordando la natura eccezionale dei concorsi interni in quanto derogatori della regola della pubblicità degli stessi quale modalità ordinaria di accesso al pubblico impiego. La richiesta di parere, peraltro, sarebbe stata avanzata alla luce della sentenza del Tribunale civile di Chieti -OMISSIS-, che, come sopra ricordato, si è espresso in maniera inequivoca sulla illegittimità degli atti del procedimento.
3.3. Con il terzo motivo infine ha lamentato l'erronea applicazione degli artt. 26 c.p.a. e 91 e 92 c.p.c., avuto riguardo alla condanna alle spese di lite, per un importo pari ad euro duemila.
Il primo giudice, cioè, non avrebbe tenuto conto delle responsabilità penali ex artt. 323 e 328 c.p. ed amministrativo-contabili cui l'Amministrazione si sarebbe esposta ove non avesse adottato l'atto impugnato a fronte di vizi così palesi. Esso inoltre si sarebbe concentrato da subito sul presunto vizio di incompetenza, ignorando che il ricorso di primo grado era incentrato prioritariamente sulla lamentata tardività dell'atto impugnato, per contro tempestivo alla luce delle richiamate sopravvenienze (sentenza del giudice civile e note del Dipartimento della Funzione pubblica). Infine, non avrebbe tenuto in minima considerazione le esigenze di efficienza del Comune di -OMISSIS-, che si era visto costretto ad utilizzare in mansioni di rilevanza strategica quali quelle inerenti il profilo di vigilanza un dipendente con scarsa disponibilità di tempo, in quanto beneficiario degli istituti previsti dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104, per assistenza a familiare gravemente disabile, di cui peraltro avrebbe fatto anche un utilizzo improprio, fruendone per coadiuvare il figlio nella gestione di un'attività di ristorazione.
4. Si è costituito in giudizio il signor -OMISSIS- per chiedere il rigetto dell'appello.
4.1. Con memoria versata in atti il 23 ottobre 2023 ha controdedotto sulle tesi avversarie, nel contempo riproponendo i motivi di censura non esaminati dal primo giudice in quanto assorbiti nel ritenuto vizio di incompetenza. In particolare ha ribadito l'intervenuta decadenza del Comune di -OMISSIS- dal potere di autotutela, giusta l'avvenuta adozione dell'atto ben oltre un tempo "ragionevole", nonché addirittura successivamente allo spirare di quello di 18 mesi previsto dall'art. 21-novies della l. n. 241 del 1990, seppure calcolato dalla data dell'entrata in vigore della sua introduzione ad opera della legge 7 agosto 2015, n. 124 (28 agosto 2015). Ha richiamato la possibilità di consolidare gli effetti del concorso, l'approvazione del cui bando sarebbe al più affetta da incompetenza relativa, come tale riconducibile al regime giuridico di cui all'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990. Ha evidenziato la mancanza di motivazione sulle ragioni di interesse pubblico sottese all'annullamento, non potendo le stesse identificarsi nel mero richiamo alla ritenuta necessità di avvalersi di una selezione pubblica; specularmente, non si sarebbe tenuto conto dell'interesse del destinatario dell'atto, qualificato come recessivo rispetto a quello alla buona organizzazione dell'amministrazione con motivazione del tutto apparente. Ha ribadito la correttezza della scelta procedurale, in quanto espressamente prevista dall'art. 91, comma 3, del T.u.e.l., nonché specificamente ammessa per la figura di vigile urbano dall'art. 89 del Regolamento degli uffici e dei servizi del Comune di -OMISSIS-. Ha invocato i contenuti della sentenza di proscioglimento riferita anche al Sindaco che presiedeva la Giunta nel 2009, nonché ricordato le precedenti selezioni interne basate sugli stessi presupposti ordinamentali (v. ad esempio la delibera n. 89 del 23 dicembre 1999), richiamate anche dal G.u.p. nella propria decisione.
5. In data 27 novembre 2023, la difesa civica ha formulato istanza di rinvio ovvero di riunione al procedimento n.r.g. -OMISSIS-, la cui udienza è fissata per la data del 12 dicembre 2023. Ciò in quanto lo stesso si riferisce all'impugnativa della sentenza, sfavorevole all'odierno appellato (T.a.r. per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, Sez. I, 6 giugno 2019, n. 152), che ha riconosciuto come legittima la (nuova) determina del Responsabile dell'Area finanziaria-amministrativa del Comune di-OMISSIS-, n. -OMISSIS-, di annullamento in autotutela degli atti della procedura concorsuale di cui è causa. A tale riguardo, tuttavia, ha ribadito il proprio interesse alla decisione, salvo in quella sede si addivenga ad un rigetto dell'appello, nel qual caso sarebbe disponibile alla rinuncia.
6. Il signor -OMISSIS- ha replicato chiedendo dichiararsi la sopravvenuta carenza di interesse all'appello, stante che il provvedimento sopravvenuto avrebbe superato quello oggetto di impugnazione, integrandone la motivazione. Il fatto che in tal senso abbia provveduto un dirigente, senza attendere la formazione del giudicato sull'attuale controversia, confermerebbe tuttavia la correttezza della ricostruzione operata dal T.a.r. in ordine alla incompetenza della Giunta. Ha quindi chiesto comunque che venga accertata la soccombenza virtuale di controparte al fine della condanna alle spese.
7. Sono seguite ulteriori memorie in replica da parte di ambedue i contendenti.
7.1. La difesa civica ha eccepito la inammissibilità della riproposizione delle censure non valutate in primo grado ai sensi dell'art. 101, comma 2, in quanto non contenute nel primo atto di costituzione, ma in una successiva memoria (v. ex multis Cons. Stato, sez. III, 14 dicembre 2020, n. 7967). Nel merito, ha ribadito le proprie tesi.
7.2. Il signor -OMISSIS- a sua volta ha insistito per la declaratoria della sopravvenuta carenza di interesse del ricorso alla luce della determina dirigenziale che ha reiterato l'annullamento in autotutela del concorso.
8. All'udienza di smaltimento del 28 novembre 2023, svoltasi in modalità da remoto in videoconferenza, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
9. In via preliminare il Collegio ritiene di respingere l'istanza di rinvio avanzata dalla difesa civica, al fine di acquisire gli esiti, ovvero riunire, il procedimento in esame con quello di cui al n.r.g. -OMISSIS-, relativo all'appello avverso la sentenza del medesimo T.a.r. per l'Abruzzo n. -OMISSIS- del 2018, di rigetto dell'impugnativa proposta dal signor -OMISSIS- avverso la determina dirigenziale -OMISSIS-, di reiterazione dell'annullamento d'ufficio della procedura concorsuale di cui è causa. Con tale richiesta, infatti, l'Amministrazione pretenderebbe di collocarsi in una sorta di limbo giuridico, lasciandosi aperte entrambe le porte, senza peraltro prendere posizione sulla natura di conferma o meramente confermativa dell'atto sopravvenuto. É noto, infatti, che da tale inquadramento può discendere, a seconda dei casi, o l'improcedibilità del procedimento avente ad oggetto l'atto presupposto, o l'inammissibilità di quello afferente all'atto sopravvenuto.
10. Allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se esso sia stato adottato o meno a seguito di una nuova istruttoria e di una nuova ponderazione degli interessi. In tale seconda ipotesi, andrebbe dunque richiamato l'insegnamento giurisprudenziale per il quale «ogni nuovo provvedimento innovativo e dotato di autonoma efficacia lesiva della sfera giuridica del suo destinatario, anche di conferma propria (che si ha quando la pubblica amministrazione, sulla scorta di una rinnovata istruttoria e sulla base di una nuova motivazione, dimostri di voler confermare la volizione espressa in un precedente provvedimento) ed anche se frutto di un riesame non spontaneo, ma indotto da un provvedimento del Giudice amministrativo, che tuttavia rifletta nuove valutazioni dell´Amministrazione e implichi il definitivo superamento di quelle poste a base di un provvedimento impugnato giurisdizionalmente, comporta la sopravvenienza di carenza di interesse del ricorrente alla coltivazione del relativo gravame» (v. Cons. Stato, sez. VI, 15 gennaio 2018, n. 195, che, a sua volta, richiama Cons. Stato, III, 2 settembre 2013, n. 4358 e sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3457).
11. A ben guardare, tuttavia, e senza invadere la sede propria del giudizio avverso la determina dirigenziale -OMISSIS-, da un confronto meramente testuale tra la stessa e la precedente delibera del 2017 non sembrano emergere elementi di diversificazione o di approfondimento sopravvenuto, palesandosi i due provvedimenti sovrapponibili perfino quanto a tecnica redazionale, basata sul sostanziale richiamo ad un atto precedente, più ampiamente motivato e afferente all'avvio del procedimento.
12. Il Collegio non ritiene necessario un più approfondito scrutinio della questione, stante che la rimarcata volontà di non rinunciare all'appello se non all'esito (ove favorevole) dell'altro giudizio implica l'avvenuta adozione di quell'atto senza alcuna adesione ai principi affermati nella sentenza che si è andati ad eseguire. Ed è noto che non è configurabile l'improcedibilità del ricorso proposto per l'annullamento di un provvedimento se l'adozione del nuovo atto regolante la fattispecie da parte dell'Amministrazione non è spontanea, ma, appunto, di mera esecuzione della decisione del giudice, con rilevanza provvisoria, in attesa che una sentenza di merito definitiva accerti se quello originariamente impugnato sia o meno legittimo. Nei casi, cioè, di riedizione del potere in mera ottemperanza di una sentenza, si configura un comportamento attuativo necessitato dalla volontà di non vedersi esposto ad un'esecuzione coattiva sotto il controllo e la vigilanza del giudice, assunto il presupposto che non vi sia stata, come nella specie, sospensione dell'esecutività della decisione (Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2011, n. 1757).
12.1. In sintesi, come da affermazione giurisprudenziale che qui si condivide, «l'esecuzione della sentenza di primo grado da parte dell'amministrazione soccombente, non fa venir meno l'interesse della stessa all'appello, poiché si tratta della mera (e doverosa) ottemperanza ad un ordine giudiziale provvisoriamente esecutivo» (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 gennaio 2019, n. 16). Ciò salvo emerga che l'Amministrazione, a seguito della decisione del giudice, abbia sostituito il provvedimento annullato in sede giurisdizionale con un nuovo provvedimento frutto di una rinnovata valutazione degli interessi coinvolti, così adeguandosi al suo pronunciamento senza attendere il giudicato, ma anche innovando rispetto all'assetto di interessi già pregiudizievole per il privato.
12.2. Nel caso di specie il dirigente ha dichiarato espressamente di agire in esecuzione della sentenza del T.a.r. per l'Abruzzo n. -OMISSIS- del 2018, ovvero, avuto riguardo al principio di separazione tra politica e gestione, «in ottemperanza a quanto stabilito» (nella sentenza medesima), ma senza dimostrare alcuna acquiescenza alla relativa statuizione. Prova ne è l'avvenuto deposito dell'appello successivamente all'adozione di ridetta determina, rivendicando ancora una volta la competenza della Giunta a provvedere all'annullamento.
12.3. A quanto detto consegue anche, quale diretta conseguenza della non ravvisata sussistenza di quei «casi eccezionali» cui l'art. 73, comma 1-bis, condiziona la possibilità di rinviare la trattazione della causa, il rigetto dell'eccezione di improcedibilità dell'appello avanzata dall'appellato.
13. Sempre in limine litis, al fine di delimitare il thema decidendum del presente giudizio, va delibata l'eccezione, proposta da parte appellante con memoria di replica, di irricevibilità delle doglianze formulate in prime cure dal signor -OMISSIS- e rimaste assorbite, riproposte in questa sede ex art. 101, comma 2, c.p.a., basata sul rilievo che le stesse non sarebbero state avanzate con il primo scritto difensivo, ma con successiva memoria.
13.1. Il Collegio la ritiene fondata.
13.2. Ed invero l'art. 101, comma 2, c.p.a. al riguardo precisa che «si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado che non siano state espressamente riproposte nell'atto di appello o, per le parti diverse dall'appellante, con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione del giudizio». Pertanto quel che rileva, ai sensi della richiamata norma, è che le domande, ovvero anche i motivi di ricorso, e le eccezioni assorbite in prime cure siano proposte dalla parte appellata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio ex art. 46 c.p.a., e con il primo scritto in cui sono effettivamente articolate le difese. La "memoria" cui fa riferimento la norma, infatti, in quanto non preordinata alla articolazione delle difese, ma alla definizione, necessariamente liminare ed incipitaria, del thema decidendum, si identifica e rappresenta, al di là dalla sua tempestività (non a caso presidiata dalla attitudine decadenziale del relativo termine), il primo atto difensivo. Essa si pone cioè nella logica del principio di concentrazione che connota la delimitazione, anche ai fini del contraddittorio tra le parti e tra le parti ed il giudice, della concreta materia del contendere (cfr., per analogo principio, Cass. SS.UU., 21 marzo 2019, n. 7940 e id., 9 novembre 2021, n. 32650). Nel caso di specie tale scritto si identifica nella seconda memoria versata in atti, che seppure rechi la data dell'atto di costituzione (17 ottobre 2018), è stata depositata solo in data 27 ottobre 2023. A ciò consegue la tardività della riproposizione dei motivi di gravame, non potendosi ritenere tempestivamente integrata la costituzione del 17 ottobre 2018, concretizzatasi in un atto di costituzione di mero rito, privo di qualsivoglia enunciazione difensiva, «con riserva di specificare nei modi e termini di rito ogni argomento a sostegno delle sopraccennate conclusioni» (richiedendo, come per prassi, la declaratoria del gravame « inammissibile, improcedibile, nullo e, comunque, infondato [...]» (al riguardo, v. Cons. Stato, sez. V, 26 maggio 2023, n. 5205).
14. Nel merito, il Collegio ritiene di accogliere in parte il primo motivo di appello. A ciò consegue tuttavia, per le ragioni di seguito esplicitate, la conferma della sentenza del T.a.r. per l'Abruzzo, seppure con diversa motivazione.
15. Punto essenziale della controversia è l'individuazione dell'organo competente ad annullare un atto viziato da incompetenza. Secondo il primo giudice, infatti, che richiama sul punto giurisprudenza del Consiglio di Stato -in verità alquanto risalente nel tempo - in tale ipotesi non troverebbe applicazione il principio c.d. del contrarius actus stante che le valutazioni sostanziali sottese (anche) ad una valutazione di secondo livello non potrebbero essere legittimamente effettuate da un soggetto non fornito della necessaria competenza. Sicché, essendo stata la procedura concorsuale bandita in dispregio dell'art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000, che riserva ai vertici burocratici degli uffici l'adozione degli atti gestionali, distinti e autonomi rispetto a quelli politici, la Giunta non avrebbe potuto reiterare l'errore, annullando ciò che non avrebbe dovuto adottare.
16. La ricostruzione non può essere condivisa.
17. La disciplina legislativa dell'annullamento d'ufficio è stata, come noto, introdotta nel nostro ordinamento dall'art. 1, comma 136, della legge finanziaria per il 2005 (legge 30 dicembre 2004, n. 311) e dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, che ha inserito nella legge 7 agosto 1990, n. 241, l'art. 21-novies, in seguito più volte modificato. Con tale norma sono stati legificati i principi ricostruiti in passato soltanto in via dottrinaria e giurisprudenziale, fornendo un quadro compiuto della materia, al fine di assicurare stabilità ad un istituto di particolare rilevanza per la cura degli interessi dei cittadini.
17.1. Anche in epoca antecedente la sua codifica, tuttavia, si riconosceva tale prerogativa della pubblica amministrazione, ravvisandone il fondamento nella titolarità della potestà inizialmente esercitata, quale sua facoltà implicita o per meglio dire potenziale sviluppo. Si è sempre parlato, cioè, di una sorta di ius poenitendi di natura pubblica, consistente nella possibilità per l'amministrazione di tornare sui suoi passi ripristinando la legalità (dalla stessa) lesa ovvero valutando diversamente le circostanze di contesto. Il legame tra titolarità del potere originario e possibilità di riesercizio dello stesso è stato riconosciuto così inscindibile dal comportarne il trasferimento ogni qualvolta venga trasferita la competenza primaria da un'autorità ad un'altra (Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 1995, n. 955).
18. L'articolo 21-novies della legge n. 241 del 1990, dispone dunque che il provvedimento illegittimo possa essere annullato d'ufficio dallo stesso organo che lo ha emanato, demandandone la facoltà ad un altro solo ove previsto dalla legge. Ciò avviene attraverso l'adozione di un provvedimento amministrativo di secondo grado che comporta la perdita di efficacia, con effetto retroattivo, di quello originario, inficiato dalla presenza di uno o più vizi di legittimità, dei quali l'amministrazione si avvede successivamente. In pratica, oggetto dell'annullamento d'ufficio è un provvedimento che, pur constando di tutti gli elementi essenziali per la sua giuridica esistenza, presenta uno dei tradizionali vizi di legittimità delineati dall'articolo 26 del Testo Unico 26 giugno 1924, n. 1054 sul Consiglio di Stato. La legge n. 15 del 2005, infatti, ha ovviamente inteso conformarsi a tale norma e all'unanime dottrina e giurisprudenza dell'epoca, specificando all'articolo 21-octies della medesima legge n. 241/1990 che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge, viziato da eccesso di potere o, per quanto qui di interesse, da incompetenza.
18.1. La disposizione ha altresì codificato la tipologia di valutazione richiesta alla pubblica amministrazione che decide di autoemendarsi, ovvero l'individuazione di un interesse pubblico che in comparazione con l'affidamento riposto dal privato sulla correttezza dell'operato della p.a., risulti comunque prevalente. Esso non si identifica nel mero ripristino della legalità lesa, ma richiede una approfondita analisi di contesto costituzionalmente orientata secondo i canoni dell'imparzialità e del buon andamento (articolo 97 Cost.), retta altresì dai principi generali dell'azione amministrativa sanciti dall'art. 1 della medesima legge n. 241/1990, non a caso di recente modificato mediante l'introduzione di un comma espressamente consacrato al rispetto della leale collaborazione e della buona fede nei rapporti reciproci (comma 2-bis, introdotto dall'art. 12 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120). Di fatto, dunque, occorre tenere conto in particolare della necessaria "proporzionalità" dell'azione amministrativa, intesa quest'ultima come dovere di non comprimere le situazioni giuridiche soggettive dei privati, se non nei casi di stretta necessità ovvero di indispensabilità, procedendo all'annullamento d'ufficio quando ciò sia necessario al fine di evitare un danno non proporzionato agli interessi dei privati coinvolti nel procedimento (v. direttiva del Ministro della Funzione pubblica del 17 ottobre 2005, emanata nell'immediatezza dell'entrata in vigore della novella).
19. La discrezionalità valutativa sottesa all'esercizio del potere di autotutela implica per regola quella sottesa anche all'adozione del provvedimento che si intende rimuovere. L'eliminazione dalla realtà giuridica di un atto, cioè, non può che spettare allo stesso soggetto pubblico che lo ha adottato, così da assicurare la costante aderenza dell'attività amministrativa al principio di legalità che deve conformarla. Di regola, cioè, solo all' organo che ha adottato un atto, in quanto titolare della competenza c.d. primaria, è riconosciuta la capacità di rivalutarlo, rivedendo lo stesso ordine di questioni di cui il provvedimento annullato costituiva espressione. In sintesi, è la stretta connessione che sussiste tra il provvedimento illegittimo e quello di secondo grado finalizzato al suo annullamento a richiedere l'attribuzione congiunta dei relativi poteri al medesimo organo amministrativo. In tal modo, infatti, si salvaguarda anche la pienezza e esclusività della potestà amministrativa di base, preordinata al perseguimento dell'interesse pubblico affidato all'organo di amministrazione attiva tenendo conto pure dell'eventuale riesercizio del potere, una volta che ne sia stata caducata la manifestazione provvedimentale originaria, in via giurisdizionale o auto emendandosi (sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 aprile 2023, n. 3431). Da qui l'utilizzo della felice espressione latina del contrarius actus, che sintetizza proprio l'azione intesa ad annullare gli effetti della propria azione precedente (actus primus).
20. Il legislatore non ha fatto distinzioni tra tipologie dei vizi tradizionali che si vanno ad emendare.
In tutti i casi previsti dall'art. 21-octies, tra i quali rientra anche l'incompetenza non destinata a tradursi in un vero e proprio difetto di attribuzione (causa di nullità assoluta ex art. 21- septies), il provvedimento illegittimo può essere annullato d'ufficio solo «dall'organo che lo ha emanato [...]». Ragioni di ordine letterale, dunque, prima ancora che logico e sistematico, si oppongono alla lettura propugnata dal primo giudice nel senso della scissione soggettiva delle due potestà, rimessa esclusivamente ad una disposizione espressa di legge, nel caso di specie non esistente. Ammettere, infatti, che il sindacato sulla competenza sia rimesso ad un organo diverso che si ritenga -ma non è detto che sia - competente sovrapponendosi ad altro, che si è già espresso in merito sulla base di una lettura evidentemente di senso diametralmente opposto e non ha inteso tornare sui suoi passi, equivarrebbe a riconoscergli un potere di controllo che la legge demanda esclusivamente alle proprie scelte.
21. La questione, peraltro, assume contorni particolarmente delicati laddove si tratti di delineare la linea di demarcazione - operazione non sempre semplice, al di là delle affermazioni di principio - tra atti politici e atti di gestione, essenziale al fine di garantire la qualità dell'azione amministrativa, funzionalizzando l'apparato burocratico al raggiungimento degli obiettivi politici nel rispetto della legalità.
22. In tale ottica, l'ordinamento degli enti locali (d.lgs. n. 267/2000), in combinato disposto con quello del pubblico impiego (d.lgs. n. 165/2001), tenta di fornire indicazioni chiare per tenere distinte le due aree. L'importanza delle stesse è intrinseca alla loro ricordata finalizzazione, che vuole valorizzare le competenze tecniche, asservendole, in accezione costruttiva, alle scelte programmatiche che spettano agli organi di governo, così da garantire una piena sinergia di azione e un giusto punto di equilibrio fra autonomia della "macchina" e titolarità delle scelte decisionali. In particolare l'art. 107 del T.u.e.l. fornisce un'elencazione degli atti di competenza dirigenziale (e, dunque, sicuramente gestionali), mentre gli artt. 42 e 48 declinano rispettivamente le competenze del Consiglio comunale e della Giunta, queste ultime desumibili in via residuale dalla mancata inclusione nelle altre previsioni. L'art. 107, tuttavia, inevitabilmente qualifica come meramente esemplificativa ridetta elencazione (comma 3: «Sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare [...]»), lasciando all'interprete l'inquadramento delle variegate situazioni che si collocano in una sorta di zona grigia, in quanto non immediatamente tipizzabili. Tra queste si individuano molto spesso, soprattutto nei Comuni di minore dimensione territoriale, quelle decisioni per così dire a contenuto intermedio, o misto, che da un lato vogliono dare l'avvio ad un procedimento, dall'altro già si addentrano nel suo concreto sviluppo. Trattasi di una discutibile prassi molto spesso riconducibile all'esigenza degli stessi responsabili dei servizi di vedersi "rassicurati" in talune scelte di merito, quali tipicamente quelle in materia di personale.
22.1. Per quanto qui di interesse, dunque, è innegabile che l'approvazione del bando di una selezione non rientri tra i compiti dell'organo politico, cui è riservata caso mai la pianificazione a monte delle scelte assunzionali sulla base delle disponibilità finanziarie dell'Ente. L'art. 48, comma 3, del T.u.e.l., infatti, invocato da parte appellata, riserva alla Giunta l'approvazione del regolamento sugli uffici e servizi, che è ben altra cosa dall'avvio di una selezione pubblica, in quanto attiene all'architettura organizzativa dell'Ente, non alle sue specificazioni attuative. Quale che fosse pertanto la volontà della Giunta, ovvero pure se essa avesse avuto il mero intento di dare avvio ad un procedimento da perfezionarsi a cura degli uffici comunali preposti allo scopo, certo è che essa si è avocata una competenza non propria e che del tutto legittimamente, sotto tale aspetto, poteva tornare sui suoi passi annullando l'atto originario.
23. Né la ricostruzione cambia valorizzando la portata del parere di regolarità tecnica che deve accompagnare ogni proposta di atto deliberativo sottoposto alla Giunta o al Consiglio, garantendone la correttezza sul piano giuridico, tanto più che lo stesso era ovviamente presente sia a corredo della delibera n. -OMISSIS-, che di quella n. 89 del 2009. Esso conferma caso mai l'avallo da parte del dirigente che lo ha apposto, almeno sul piano formale, della scelta interpretativa che ha ravvisato nella Giunta l'organo competente ad approvare il bando e, successivamente, ad annullarlo. Ma non ne comporta la co-intestazione al dirigente medesimo.
23.1. Il parere di regolarità tecnica, infatti, costituisce soltanto uno strumento di controllo preventivo, al pari del parere di regolarità contabile del responsabile del servizio finanziario per gli aspetti relativi alla copertura dei costi. Non a caso la relativa disciplina è oggi contenuta in una norma introdotta da una legge intitolata «Rafforzamento dei controlli interni degli enti locali» (art. 3 del decreto-legge n. 174 del 10 ottobre 2012, convertito in legge 7 dicembre 2012, n. 213, che ha inserito l'art. 147-bis nel T.u.e.l.), che ha modificato anche l'art. 49 nel senso della prevista obbligatorietà a corredo di ogni provvedimento sottoposto alla Giunta o al Consiglio comunale «che non sia mero atto di indirizzo». Solo la programmazione della futura attività, dunque, che necessita di ulteriori atti di attuazione e di recepimento da adottarsi da parte dei dirigenti preposti ai vari servizi, secondo le proprie competenze, è esente dal richiamato parere. L'individuazione delle regole di dettaglio di una procedura concorsuale, a maggior ragione ove implicanti la scelta, a monte, della natura "interna" della stessa, a maggior ragione ove non riveniente da specifica indicazione programmatoria formalizzata, non può tuttavia in alcun modo esservi ricondotta.
24. Il Collegio ritiene quindi che entro tali limiti debba essere accolto il primo motivo di appello, non potendosi condividere l'affermazione del primo giudice che nega sic et simpliciter il potere di annullamento d'ufficio di un atto viziato da incompetenza allo stesso organo che lo ha adottato.
25. L'individuazione di un vizio di incompetenza, d'altro canto, è di per sé sufficiente ad "azzerare" la situazione ripristinando lo status quo ante mediante la caducazione dell'atto cui si riferisce.
Trattandosi, tuttavia, di un vizio che la giurisprudenza ha da ultimo qualificato come formale (v. Cons. Stato, sez. III, 3 agosto 2015, n. 3791), in conformità del resto con le indicazioni comunitarie, ben avrebbe potuto il Comune di -OMISSIS- farsi carico di convalidare l'atto, piuttosto che caducarlo. Ragioni di economia dei mezzi dell'azione amministrativa e di conservazione dei relativi effetti giuridici hanno portato infatti a codificare il relativo principio, già affermato dalla giurisprudenza, nel medesimo art. 21-novies, comma 2, della l. n. 241 del 1990, che prevede appunto la sanatoria «sussistendone le ragioni di pubblico interesse ed entro un termine ragionevole» (dicitura quest'ultima mai fatta oggetto di quantificazione nelle successive novelle).
26. Una volta assunta la decisione di senso diametralmente opposto di dare rilievo all'incompetenza, ritiene il Collegio che tutte le esplicitazioni aggiuntive, seppure non vietate, non possano assumere rilievo ai fini dell'efficacia dell'atto, dovendo al più essere derubricate a suggerimenti interpretativi, comunque non vincolanti nei confronti del soggetto competente ad adottare gli atti conseguenti all'annullamento. L'annullamento per incompetenza, infatti, ha l'esclusiva funzione di riaffermare un ordinato assetto delle regole organizzative, teleologicamente orientato alla salvaguardia dell'autonomia gestionale da ingerenze politiche, riportando ogni vicenda alla sua più equilibrata dimensione che demanda agli organi di governo il mero indirizzo, all'apparato burocratico la (ri)valutazione delle scelte tecniche. Confondere l'interesse pubblico, che comunque deve sovraintendere all'esercizio dell'autotutela, con l'elencazione di ulteriori violazioni di legge, peraltro riferite sempre de relato, pretendendo di individuarne gli esiti (la doverosa effettuazione, all'epoca, di una selezione pubblica), equivale ad esercitare ora per allora quello stesso potere che si è negato sussistere in capo al medesimo organo. Nel caso di specie, pertanto, la Giunta municipale, in applicazione del principio del contrarius actus, doveva limitarsi, ammesso e non concesso ne sussistessero ancora i presupposti, ad annullare la precedente delibera, non potendo certo addentrarsi nella valutazione delle conseguenze della scelta, spingendosi finanche a dare indicazioni sulle sorti dello stipendio del vincitore del concorso de quo, per giunta espressamente qualificato come in buona fede.
27. In maggior dettaglio, la deliberazione n. -OMISSIS- motiva espressamente solo sul vizio di incompetenza dell'atto del 2009, affermando che «la procedura concorsuale in premessa richiamata è stata indetta e il vincitore è stato proclamato con deliberazioni dell'organo esecutivo [...] anziché con determinazioni dirigenziali [...]». In premessa, tuttavia, richiama anche le motivazioni contenute nella precedente deliberazione n. 11 dell'11 febbraio 2017, avente ad oggetto "avvio del procedimento". Tale atto a sua volta fornisce in parte narrativa una analitica ricostruzione delle (presunte) sollecitazioni esterne all'annullamento dell'atto, senza peraltro mai appropriarsi esplicitamente delle relative motivazioni, fornendo la propria lettura del quadro ordinamentale. Con riferimento alla condanna da parte della Corte dei conti per le irregolarità nell'assunzione del responsabile dell'Ufficio tecnico comunale -non è chiaro se successivamente annullata a sua volta - si spinge fino ad inferirne un ulteriore vizio della procedura concorsuale (non del bando, dunque), ravvisandolo nella illegittimità derivata della composizione della Commissione dallo stesso presieduta, a prescindere dalla possibile valorizzazione dell'attività comunque svolta quale funzionario di fatto.
27.1. Di tali aspetti, tuttavia, il primo giudice non ha tenuto alcun conto, avendo fermato il proprio vaglio alla questione, preliminare e dirimente, della conclamata sussistenza del vizio di incompetenza.
28. Ridetti richiami tornano all'attenzione del Collegio in quanto enfatizzati dalla difesa civica nel secondo motivo di appello. Il Collegio non intende evidentemente entrare nel merito della legittimità o meno della modalità di reclutamento prescelta, a maggior ragione in un Comune le cui dimensioni ben difficilmente consentirebbero la valorizzazione di pregresse attività professionali "omogenee" giusta la carenza di pluralità di profili della stessa tipologia nella relativa dotazione organica (non a caso, la dotazione organica consta di un solo istruttore di vigilanza). Vero è tuttavia che è in ragione degli stessi che il Comune di -OMISSIS- ha inteso dare rilevanza ad un vizio tipicamente formale come l'incompetenza, scegliendo non di salvare il procedimento, ma di annullarlo. Emerge dunque l'equivoco di fondo della tesi della difesa civica, che ha inteso ricondurre sotto l'egida della effettività della tutela la salvaguardia, ex art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990, dell'annullamento d'ufficio effettuato, rivendicandone il contenuto necessitato. Nessuno dei documenti richiamati, tuttavia, è tale da trasformare l'esercizio dell'autotutela nel caso di specie in "necessitato", anziché discrezionale, come da sua connotazione tipica. Anzi, proprio le note del Dipartimento della Funzione pubblica del 5 ottobre 2016 e del 15 dicembre 2016, rese in risposta alla domanda del Comune circa l'obbligatorietà o meno dell'annullamento d'ufficio, dopo avere riepilogato i passaggi ricostruttivi della vicenda per come prospettati dal Comune medesimo, non prendono alcuna specifica posizione sul punto (né avrebbero del resto potuto farlo), limitandosi a richiamare le competenze dell'Ente, anche in riferimento alla possibilità di annullamento d'ufficio ( spetta «unicamente all'Amministrazione, in quanto soggetto titolare, agire e comunque valutare l'esercizio dell'azione di annullamento in autotutela»). La portata non vincolante, quale che voglia assumersene come significato esatto, dei richiami normativi contenuti nelle note della Funzione pubblica da ultimo richiamati, non può infatti implicare finanche il tentativo di rimessione in termini nell'esercizio, a maggior ragione ove riferita ad un vizio, come l'incompetenza, il cui accertamento non necessitava certamente di istruttorie particolarmente complesse. Esse, al più, avrebbero dovuto indurre ad una approfondita riflessione anche sotto il profilo delle responsabilità, che non a caso l'art. 21-novies della l. n. 241 del 1990 mantiene "ferme", sia con riferimento all'avvenuta adozione che al mancato annullamento del provvedimento illegittimo, ove veramente rispondente ad esigenze di pubblico interesse. Il che, lo si ricorda per doverosa completezza, avrebbe dovuto avvenire entro un termine "ragionevole", anche a non voler valorizzare quello di diciotto mesi vigente al momento dell'adozione dell'atto, comunque scaduto ove calcolato, sulla base dei principi ormai consolidati in giurisprudenza, dalla data di entrata in vigore della modifica (art. 6, comma 1, lettera d), n. 1), della legge 7 agosto 2015, n. 124), non rilevando al riguardo l'avvenuta comunicazione di avvio del procedimento, peraltro a pochi giorni di distanza dalla scadenza del termine medesimo. Il contenuto «non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti nel caso di specie» (Cons. Stato, A.P., n. 8 del 2017) del termine "ragionevole", infatti, non può non tenere conto da un lato, come già detto, della natura del vizio; dall'altro, dalla piena conoscenza dello stesso, giusta l'intersecarsi nella vicenda di contenziosi civili, contabili e penali, che hanno visto come protagonisti i medesimi amministratori locali, succedutisi a fasi alterne. Quanto detto a tacere della considerazione, più etica che giuridica, che essendo la tutela della legalità dell'azione amministrativa, affidata alla macchina organizzativa, la cui autonomia è garantita in primo luogo proprio dalle regole sulla separazione fra politica e gestione, essa dovrebbe essere impermeabile ai cambi di governo locale, venendo all'evidenza interpretazioni oggettive e non soggettive di norme ordinamentali.
28.1. Né può attribuirsi cogenza al dictum del giudice civile, che peraltro fa stato caso mai con riferimento allo svolgimento dei fatti, ma non alla loro qualificazione giuridica, tanto più che in direzione opposta avrebbero potuto essere valorizzate le ragioni espresse dal giudice civile e da quello contabile, con specifico riferimento al procedimento di cui è causa.
29. In conclusione, va accolto in parte il primo motivo di appello. A ciò consegue comunque la conferma del dispositivo della sentenza del T.a.r. per l'Abruzzo, Pescara, n. -OMISSIS- del 2018, con la diversa motivazione sopra esplicitata.
30. La sostanziale conferma dell'esito del giudizio di primo grado, seppure con diversa motivazione, comporta la reiezione anche del terzo motivo di appello, concernente la condanna alle spese, avendo il T.a.r. per l'Abruzzo fatto buon governo del principio della soccombenza. Nessun rilievo derogatorio allo stesso può infatti essere attribuito all'evocato quadro delle potenziali responsabilità conseguenti, secondo la ricostruzione della parte, al mancato esercizio del potere di autotutela, trattandosi di aspetti del tutto estranei al perimetro dell'odierno giudizio. Ancor più inconferenti, infine, si palesano i richiami allo scopo alla presunta inadeguatezza comportamentale del dipendente rispetto alla strategicità del ruolo assegnatogli: ammesso e non concesso, infatti, che egli abbia dato adito a ragioni di censura, il Comune aveva a disposizione tutto lo strumentario giuridico messo a disposizione del datore di lavoro pubblico per perseguire condotte lato sensu illecite dei propri lavoratori.
31. La complessità e parziale novità delle questioni affrontate, nonché l'esito formalmente in parte favorevole all'appellante, giustificano la compensazione delle spese del grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, conferma l'accoglimento del ricorso di primo grado, con diversa motivazione. Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell'appellato.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2023 tenutasi in modalità da remoto in videoconferenza con la continuativa presenza dei magistrati:
Raffaello Sestini, Presidente FF
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Ugo De Carlo, Consigliere
Massimo Santini, Consigliere
Diana Caminiti, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antonella Manzione Raffaello Sestini
IL SEGRETARIO