Pubblicato il 29/11/2023
N. 10244/2023REG.PROV.COLL.
N. 02193/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2193 del 2023, proposto da
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via xxxxxxxxxxxx, ...;
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati xxxxx xxxxxxxx, xxxxx xxxxx, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno, -OMISSIS-, resa tra le parti;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2023 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO
L'odierno appellato, cittadino tunisino in passato regolarmente soggiornante in Italia, nel 2020 ha presentato all'Ambasciata italiana presso Tunisi istanza di reingresso nel nostro Paese, ottenendo, in data 12 agosto 2020, sulla base del nulla osta della Questura di Enna, il rilascio del visto di reingresso per lavoro, con validità dal 29 agosto 2020 al successivo 12 dicembre.
Sulla base di tale provvedimento, la parte appellata ha fatto ritorno nel nostro Paese in data 29 agosto 2020 e ha conseguentemente presentato alla Questura di Enna istanza volta al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. La Questura di Enna, in ragione del domicilio dichiarato dallo straniero, ha invitato la parte appellata a definire la propria posizione sul territorio nazionale presso la Questura di Salerno.
La Questura di Salerno, presso la quale l'appellato ha reiterato la richiesta del titolo di soggiorno, lo ha dapprima invitato a chiedere il rilascio del permesso tramite kit postale e, successivamente, convocato per i rilievi dattiloscopici in data 13 aprile 2021; tuttavia, in tale data, l'istanza non veniva acquisita, per asserita incompetenza della medesima Questura.
A seguito di copiosa corrispondenza tra l'Ufficio Immigrazione della Questura di Salerno, l'Ufficio Immigrazione della Questura di Enna e il legale rappresentante dello straniero, in data 7 ottobre 2021, la prima Questura ha reso nota all'appellato la comunicazione del 23 aprile 2021, a firma del Dirigente della Questura di Enna, con la quale si rappresentava che il nulla osta al rilascio del visto per il reingresso «è stato rilasciato a seguito di una erronea valutazione dei requisiti soggettivi dell'istante», con particolare riferimento al superamento del termine di 60 giorni, decorrenti dalla scadenza del documento di soggiorno, per la presentazione dell'istanza.
La Questura di Salerno, in data 7 ottobre 2021, ha notificato allo straniero il provvedimento con il quale ha dichiarato improcedibile l'istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, sul presupposto dell'intervenuto annullamento del visto di reingresso da parte dell'Ambasciata italiana a Tunisi.
Lo straniero ha impugnato il provvedimento innanzi al Tar Campania, sede distaccata di Salerno, articolando, a sostegno del gravame, i seguenti motivi:
Nullità/illegittimità e, in ogni caso, irrilevanza dell'annullamento del visto d'ingresso operata successivamente al suo utilizzo e alla sua naturale scadenza;
Violazione di legge - (art. 97 Cost. - artt. 1 co. 2-bis: 10-bis e 21-octies l. 241/1990 - artt. 5 e 19 d.lgs. 286/1998) - eccesso di potere (arbitrarietà - carenza assoluta ed erroneità del presupposto - violazione del principio di affidamento del privato - violazione del giusto procedimento - carente istruttoria - genericità - sviamento - contraddittorietà - perplessità) - violazione del giusto procedimento e dei principi di correttezza e buon andamento (art. 97 Cost. - violazione del principio di affidamento del privato - violazione dell'obbligo di ragionevole durata - contraddittorietà - sviamento);
Invalidità e illegittimità del provvedimento nella forma in cui è stato notificato - mancata traduzione in una lingua conosciuta dal destinatario. Violazione di legge (art. 12 comma 2 della Direttiva 2008/115/Ce e art. 13 comma 7 d.lgs. 286/1998 anche in relazione al principio di cui all'art. 2, comma 5 e 6 della stessa legge - art. 3, comma 3, d.P.R. 394/99 - art. 2 e 24 Cost.).
Il Tar adito ha accolto il ricorso, sotto il profilo della violazione procedimentale, con particolare riferimento all'omessa comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza. Il giudice di primo grado, prescindendo da ogni valutazione circa la natura vincolata o discrezionale dell'atto impugnato, ha ritenuto che la peculiarità della vicenda, unitamente al ruolo incolpevole in essa rivestito dal ricorrente, imponesse all'Amministrazione - valutata la complessità degli elementi caratterizzanti la situazione concreta e il tempo intercorso dall'ingresso nel territorio nazionale - di attivare appieno il contraddittorio endoprocedimentale con l'interessato, che nel frattempo aveva intrapreso attività lavorativa.
Il Ministero dell'Interno ha impugnato la citata pronuncia, previa sospensione, valorizzando la natura strettamente vincolata del provvedimento in quella sede impugnato, in ragione dell'intervenuto annullamento del visto di reingresso, e ritenendo dunque applicabile la sanatoria di cui all'art. 21-octies, comma 2, della l. 241/1990. Secondo la difesa erariale, infatti, lo straniero era ben consapevole dell'elemento preclusivo, essendo stato reso edotto sia dalla Questura di Salerno che dalla Questura di Enna della sua complessiva situazione e dell'assenza del requisito imprescindibile prescritto dalla normativa per poter soggiornare in Italia per motivi di lavoro subordinato.
Si è costituita in giudizio la parte appellata, controdeducendo alle prospettazioni dell'Amministrazione ricorrente e concludendo per il rigetto del gravame.
Alla camera di consiglio del 30 marzo 2023, il Collegio ha rigettato l'istanza cautelare.
Alla pubblica udienza del 21 settembre 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
L'appello è infondato.
Giova premettere che il permesso di soggiorno, ai sensi dell'art. 5 del d.lgs. 286/1998, può essere rilasciato agli stranieri che abbiano fatto ingresso nel Paese regolarmente, in forza dunque di passaporto valido o documento equipollente e del visto d'ingresso.
Il visto di ingresso, rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello Stato di origine o di provenienza, costituisce pertanto atto presupposto del successivo rilascio del titolo di soggiorno.
Nella vicenda in esame, si discute della legittimità dell'atto con il quale la Questura di Salerno ha dichiarato improcedibile l'istanza volta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, a seguito dell'annullamento del visto di reingresso da parte dell'Autorità diplomatica italiana a Tunisi, conseguente alla nota della Questura di Enna con la quale l'Amministrazione ha comunicato che il nulla osta al visto era stato adottato sulla base di una erronea valutazione dei requisiti soggettivi dell'interessato.
In particolare, oggetto del contendere è la legittimità del citato provvedimento sul piano prettamente procedimentale, posto che l'atto avversato in primo grado è stato adottato senza preventiva comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza.
Sul punto, la difesa erariale, valorizzando il dato letterale dell'art. 5 del d.lgs. 286/1998, sostiene la natura vincolata del provvedimento per cui è causa e dunque il carattere non invalidante del vizio procedimentale, ritenendo applicabile al caso di specie la sanatoria di cui all'art. 21-octies, comma 2, l. 241/1990.
Le prospettazioni dell'Amministrazione appellante non sono tuttavia suscettibili di positivo apprezzamento.
Ritiene il Collegio del tutto condivisibile la soluzione accolta dal Tar adito nella misura in cui, prescindendo dall'espressa qualificazione dell'atto impugnato in primo grado, ha compiuto un'indagine più ampia, decidendo la controversia secondo i principi di buona fede e correttezza.
Occorre valorizzare, nel caso di specie, il principio di buona fede, inteso quale concetto giuridico generale che si riempie di contenuto a seconda della fattispecie che viene in rilievo.
Il principio, codificato dall'art. 1, comma 2-bis, della l. n. 241/1990, secondo cui «i rapporti tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede» (comma aggiunto dall'art. 12, comma 1, legge 11 settembre 2020, n. 120, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76), si poteva ricavare, ancor prima della riforma, dal sistema nella sua interezza.
L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha avuto modo di ricordare che «la disposizione ora richiamata ha positivizzato una regola di carattere generale dell'agire pubblicistico dell'amministrazione, che trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97, comma 2, Cost.) e che porta a compimento la concezione secondo cui il procedimento amministrativo - forma tipica di esercizio della funzione amministrativa - è il luogo di composizione del conflitto tra l'interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell'esercizio del primo. Per il migliore esercizio della discrezionalità amministrativa il procedimento necessita pertanto dell'apporto dei soggetti a vario titolo interessati, nelle forme previste dalla legge sul procedimento del 7 agosto 1990, n. 241. Concepito in questi termini, il dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede ha quindi portata bilaterale, perché sorge nell'ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata ed in ragione di ciò esso si rivolge all'amministrazione e ai soggetti che a vario titolo intervengono nel procedimento» (Cons. St., Ad. Plen., 29 novembre 2021, n. 19).
Superando i problemi che derivano dalla ricerca di una nozione unitaria di buona fede, rispetto alle quali è sufficiente in questa sede richiamare il nucleo precettivo costituito dai doveri di correttezza e lealtà, il principio de quo è oggi innalzato a clausola generale dell'ordinamento giuridico, in grado di permeare ogni ambito del diritto.
Sebbene la buona fede trovi il proprio terreno di elezione nel diritto civile, in particolare nella materia delle obbligazioni, il principio in esame permea anche il diritto amministrativo non soltanto quando l'Amministrazione opera jure privatorum, ma anche quando pone in essere la sua attività tipicamente autoritativa.
Il principio di buona fede quale canone dell'azione amministrativa autoritativa ispira lo stesso obbligo di comunicare i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza. Introdotto con l. n. 15/2005, l'art. 10-bis della l. n. 241/1990 ha restituito nuova linfa al procedimento amministrativo, nello spirito originario delle riforme amministrative degli anni 90, orientate a ridurre il divario tra Pubblica Amministrazione, in posizione di supremazia, e cittadino, tradizionalmente relegato a una posizione di soggezione.
Il preavviso di rigetto, quale istituto volto ad accrescere la possibilità di dialogo tra la parte pubblica e privata, appare ispirato alla finalità di riportare i due interlocutori, pubblico e privato, su un piano di parità, consentendo al cittadino di rappresentare tutte le circostanze utili alla definizione dell'assetto di interessi e alla tutela della propria posizione sostanziale e, al contempo, onerando l'Amministrazione della considerazione del quadro istruttorio nella sua completezza organica, comprensiva delle difese e controdeduzioni dell'istante. In tale ottica, le funzioni che l'istituto procedimentale in esame persegue, ossia il potenziamento della funzione partecipativa in chiave di vero e proprio contraddittorio equiordinato, nonché la leale collaborazione tra soggetti parimenti coinvolti nella vicenda amministrativa, sembrano riconducibili, anche per l'evidente incentivo alla reciproca fiducia derivante dall'abbattimento dell'effetto sorpresa, al generale canone di correttezza e buona fede nell'amministrazione della cosa pubblica.
L'obbligo di comunicare i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza si giustifica in ragione dell'esigenza che l'Amministrazione, in attuazione del dovere di buona fede, tenga in debita considerazione l'interesse del privato non solo a difendersi dalle contestazioni mosse dall'Amministrazione, al fine di favorire lo scambio informativo tra le parti in un'ottica di eguaglianza, ma anche ad ottenere il rilascio del titolo di soggiorno, condizione necessaria per il godimento dei diritti fondamentali della persona.
Tanto più tale obbligo si impone a fronte di una vicenda, qual è quella che qui interessa, che si presenta intricata e che postula la legittimità di atti - nella specie, l'annullamento del visto di reingresso - oggetto di impugnazione innanzi al Tar del Lazio. La partecipazione del privato, in questo quadro complesso, avrebbe infatti consentito all'interessato di rappresentare all'Amministrazione la pendenza del giudizio relativo alla legittimità dell'annullamento del visto di reingresso, sulla cui base è stata dichiarata l'improcedibilità dell'istanza di rilascio del titolo di soggiorno, permettendo alla Questura di adottare una decisione maggiormente ponderata.
L'Autorità adita avrebbe, ad esempio, potuto adottare un provvedimento sospensivamente condizionato all'esito positivo del giudizio volto all'annullamento dell'atto presupposto, pendente dinanzi al Tar del Lazio.
Una soluzione di questo tipo, infatti, sarebbe stata auspicabile non solo in applicazione del richiamato principio di buona fede, ma, a ben vedere, anche del principio di proporzionalità, implicante il minimo sacrificio possibile degli interessi coinvolti. L'Amministrazione pubblica avrebbe infatti potuto responsabilmente scegliere, nell'esercizio delle proprie funzioni, il percorso - ove necessario coordinato con quello della giustizia amministrativa - teso a non aggravare inutilmente la situazione del destinatario dell'azione amministrativa. Costituisce infatti inutile aggravio la determinazione sfavorevole all'interessato, a fronte di un provvedimento amministrativo che può invece procedere sotto la condizione sospensiva della conclusione positiva del giudizio intrapreso dallo straniero avverso l'atto presupposto.
In altri termini, il principio di buona fede avrebbe dovuto suggerire una maggiore cautela da parte dell'Amministrazione nell'adottare la determinazione sfavorevole, in ragione dell'esigenza di tutelare i delicati interessi privati sottesi al rilascio del titolo di soggiorno, soprattutto allorquando non vengano in rilievo circostanze tali da far presumere un rischio per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato.
In conclusione, per i suesposti motivi, l'appello del Ministero dell'Interno va respinto.
Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti ai sensi dell'articolo 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
La peculiarità della vicenda procedimentale giustifica la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati:
Michele Corradino, Presidente, Estensore
Stefania Santoleri, Consigliere
Giovanni Pescatore, Consigliere
Nicola D'Angelo, Consigliere
Giulia Ferrari, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Michele Corradino





IL SEGRETARIO

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.