RICORSO N. 94 DEL 13 OTTOBRE 2020 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 13 ottobre 2020.

(GU n. 47 del 18.11.2020)

 

Ricorso ex art. 127 della Costituzione per il Presidente del Consiglio dei ministri, (codice fiscale n. 80188230587) rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato (codice fiscale n. 80224030587) ags_m2@mailcert.avvocaturastato.it fax 06/96514000 presso i cui uffici e' domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi n. 12, contro la Regione Toscana, (codice fiscale n. 01386030488) in persona del Presidente della Giunta pro tempore per la declaratoria di incostituzionalita' della legge della Regione Toscana 7 agosto 2020, n. 82, pubblicata nel B.U.R. n. 81 del 12 agosto 2020, avente ad oggetto «Disposizioni relative alle linee guida regionali in materia di economia circolare e all'installazione degli impianti fotovoltaici a terra. Modifiche alla legge regionale n. 34/2020 ed alla legge regionale n. 11/2011.» in relazione alle disposizioni di seguito indicate, per violazione dell'art. 117, terzo comma della Costituzione, in relazione alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», violando di norme di principio contenute nel decreto legislativo n. 387/2007.

La legge regionale, che detta disposizioni relative alle linee guida regionali in materia di economia circolare e all'installazione degli impianti fotovoltaici a terra e modifica la legge regionale n. 34/2020 e la legge regionale n. 11/2011, appare censurabile relativamente alla disposizione contenuta nell'art. 2, commi 1, 2 e 3 che dettano disposizioni relative alla realizzazione di impianti fotovoltaici.

In particolare:

1) la disposizione di cui all'art. 2, comma 1, inserisce nell'art. 9 della legge regionale n. 11 del 2011, recante «Disposizioni in materia di installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di energia. Modifiche alla legge regionale 24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di energia) e alla legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio)», il comma 1-bis, che recita: «1-bis. Fatte salve le aree individuate all'art. 5, nelle aree rurali come definite dall'art. 64 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 65 (Norme per il governo del territorio) e identificate negli strumenti della pianificazione territoriale e negli altri atti di governo del territorio di cui alla stessa legge regionale n. 65/2014, e' ammessa la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra fino alla potenza massima, per ciascun impianto, di 8.000 chilowatt elettrici.».

La norma regionale quindi introduce, riguardo alle aree rurali - fatte salve le aree urbanizzate destinate ad insediamenti produttivi, commerciali e servizi - un limite di potenza ai fini della realizzazione di impianti fotovoltaici a terra, con il conseguente divieto d'installazione per tutti gli impianti di potenza superiore a quella definita normativamente.

Si rileva in proposito che, ai sensi dell'art. 12, comma 7, del decreto legislativo 29 dicembre 2007, n. 387, la destinazione agricola di un'area non costituisce, in generale, elemento ostativo all'installazione di impianti fotovoltaici ed in tal senso, la disposizione statale richiamata infatti dispone che gli impianti di produzione di energia elettrica possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici.

Come precisato dalla giurisprudenza amministrativa, «Appare evidente come il legislatore, nel rendere possibile l'ubicazione di impianti di produzione di energia anche in zone classificate agricole, non intende consentire, in via generalizzata, la possibilita' di ubicare impianti, per cosi' dire "a discrezione del privato", derogando alle destinazioni impresse al territorio dagli strumenti urbanistici. La disposizione in esame, infatti, contiene una possibilita' offerta alla regione in sede di rilascio di autorizzazione unica regionale, di consentire l'ubicazione anche in zone classificate agricole dagli strumenti urbanistici regionali, ed a tal fine indica alla medesima regione una serie di elementi dei quali la stessa deve tenere conto, laddove intenda determinarsi a tale scelta. L'art. 12, comma 7 del decreto legislativo n. 387/2007, non prevede affatto una immediata possibilita' di deroga alla zonizzazione comunale, ma si limita a non impedire che cio' possa avvenire qualora - nel bilanciamento degli interessi pubblici presenti e tenuto conto degli elementi indicati dal legislatore - si ritenga che l'ubicazione in zona agricola risulti ragionevole ed opportuna» (Consiglio Stato, sezione IV, sentenza n. 1298/2017).

Seppure il legislatore nazionale, nel solco di un percorso normativo teso a salvaguardare la destinazione agricola dei territori, ha introdotto un generale divieto di accesso agli incentivi per impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole (art. 65 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), la disposizione in esame contenuta nell'art. 2, comma 1, della legge regionale non trova riscontro nella normativa nazionale e di conseguenza viola i limiti della competenza della regione in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» art. 117, comma 3 della Costituzione.

Con costante orientamento giurisprudenziale, codesta Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' di previsioni regionali che sanciscano, in via generale ed astratta, la non idoneita' di intere aree di territorio ovvero impongano limitazioni in maniera generalizzata ed aprioristica.

E' stato in proposito affermato che: «la disciplina di regime abilitativo degli impianti di energia da fonti rinnovabili, rientra, oltre che nella materia "tutela dell'ambiente", anche nella competenza legislativa concorrente, in quanto riconducibile a 'Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» (art. 117, terzo comma, Costituzionale), nel cui ambito, i principi fondamentali sono dettati dal decreto legislativo n. 387/2003 ed in particolare dall'art. 12» (Corte costituzionale sentenza n. 177 del 2018). Alle regioni, quindi, «e' consentito soltanto individuare, caso per caso, aree e siti non idonei (o porre particolari limitazioni) in via di eccezione e solo qualora cio' sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti, esclusivamente all'esito di un procedimento amministrativo nel cui ambito deve avvenire la valutazione sincronica di tutti gli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, come prevede il paragrafo 17.1 delle linee guida nazionali di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010» (Corte costituzionale sentenza n. 68/2018).

Il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale per individuare aree e siti non idonei, non permette, invece, «che le regioni prescrivano limiti generali inderogabili, valevoli sull'intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime o di potenza dell'impianto perche' cio' contrasterebbe con il principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformita' alla normativa dell'Unione europea» (Corte costituzionale sentenza n. 13/2014).

Piu' di recente i medesimi principi ermeneutici sono stati ribaditi da codesta Corte laddove si e' affermato che «la disciplina del regime abilitativo degli impianti di energia da fonti rinnovabili rientra, oltre che nella materia `tutela dell'ambiente', anche nella competenza legislativa concorrente, in quanto riconducibile a 'produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia' (art. 117, terzo comma, Costituzione), nel cui ambito i principi fondamentali sono dettati anche dal decreto legislativo n. 387 del 2003 e, in specie, dall'art. 12 (ex multis, sentenza n. 14 del 2018)» (sentenza n. 177 del 2018). Pertanto, il legislatore statale "attraverso la disciplina delle procedure per l'autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto principi che [...] non tollerano eccezioni sull'intero territorio nazionale" (sentenze n. 69 del 2018 e n. 99 del 2012). Principi che si desumono dalle «Linee guida» di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010, adottate in attuazione dell'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003, da quest'ultimo decreto e dal decreto legislativo n. 28 del 2011, e il cui rispetto si impone al legislatore regionale» (Corte costituzionale sentenze n. 86 e 286 del 2019).

Diversamente, la soluzione normativa adottata dalla Regione Toscana con la norma in esame, nel prescrivere un vincolo generalizzato alla potenza dell'impianto da realizzare in «area rurale» (vale a dire area agricola), a fronte di una disciplina normativa nazionale che non prevede un analogo divieto alla realizzazione di impianti fotovoltaici in area agricola superiore ad una determinata soglia di potenza, non consente un'adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti, ponendosi in contrasto con il principio, di derivazione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili.

La norma regionale eccede quindi dai limiti della competenza della regione in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» i cui principi fondamentali, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione devono essere stabiliti dallo Stato;

2) parimenti illegittima, per violazione di principi fondamentali dettati dallo Stato in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e quindi per contrasto con l'art. 117, terzo comma della Costituzione, e' la disposizione di cui all'art. 2, comma 2, della legge regionale in esame, che introduce all'art. 9 della citata legge regionale n. 11 del 2011, il comma 1-ter, disponendo che, «nelle aree rurali di cui al comma 1-bis, per gli impianti' fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1000 chilowatt elettrici, l'autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio e' rilasciata previa intesa con il comune o i comuni interessati».

Al riguardo, le disposizioni dettate dalle Linee Guida nazionali di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010, nonche' soprattutto l'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2993, agli articoli 5 e 6 del decreto legislativo n. 28/2011, rubricati «Autorizzazione unica» e «Procedura abilitativa semplificata e comunicazione per gli impianti alimentati da energia rinnovabile», fissano in modo chiaro ed inderogabile le procedure autorizzative per la realizzazione e l'esercizio degli impianti alimentati a fonte rinnovabile.

In particolare, dal complesso normativo emerge chiaramente che la Conferenza dei servizi, convocata dalla regione o provincia delegata, nel caso di specie riguardo all'ipotesi di autorizzazione unica, costituisce l'unico strumento «nell'ambito del quale confluiscono tutti gli apporti amministrativi necessari per la costruzione e l'esercizio dell'impianto, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili» (paragrafo 14.1 delle Linee Guida nazionali di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010).

In ragione del rinvio operato dall'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 alla legge n. 241/1990 in tema di conferenza dei servizi, ai sensi dell'art. 14-quater della legge n. 241/1990, le amministrazioni convocate devono esprimere esclusivamente in tale ambito il proprio eventuale dissenso, a pena di inammissibilita', motivatamente.

Invero, come affermato da codesta Corte costituzionale, «La costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione elettrica alimentati da fonti rinnovabili, sono soggetti ad una autorizzazione unica rilasciata dalla regione, che e' tenuta a convocare la Conferenza di servizi. Tutte le amministrazioni interessate dal progetto sono tenute a partecipare alla conferenza e ad esprimere in tale sede, anche i pareri di cui sono investiti per legge, secondo le dinamiche collaborative proprie dello strumento di semplificazione procedimentale che disciplina il procedimento amministrativo volto al rilascio della indicata autorizzazione. La norma statale, infatti, ispirata a canoni di semplificazione, e' finalizzata a rendere piu' rapida la costruzione degli impianti di energia alternativa e non contempla alcuna delle condizioni o degli adempimenti previsti dalle disposizioni regionali impugnate, quali, tra gli altri, la necessaria previa adozione da parte dei comuni, di uno specifico strumento di pianificazione (PRIE) e la fissazione di un indice massimo di affollamento (parametro di controllo P). Tale contrasto comporta la violazione dell'indicato parametro costituzionale, non potendo il legislatore regionale introdurre, nell'ambito del procedimento di autorizzazione di cui all'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003, nuovi o diversi adempimenti rispetto a quelli indicati dalla norma statale» (Corte costituzionale sentenza n. 344/2010).

In termini analoghi si esprime la prevalente giurisprudenza amministrativa, osservando che «L'adozione di misure (...) che comportino un sostanziale blocco generalizzato delle procedure autorizzative per la realizzazione di impianti eolici, deve ritenersi illegittima, sia per violazione dell'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003, e, per tale via, dell'art. 117, terzo comma della Costituzione, sia per violazione dei principi sovranazionali tesi alla valorizzazione e incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili, derivanti dalla disciplina comunitaria e dagli accordi internazionali (direttiva 27 settembre 2001, 2001/77/CE "Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'" e il Protocollo di Kyoto») (T.A.R. Sardegna sezione I, 14 gennaio 2011, n. 32).

La disposizione censurata, in spregio alle norme ed ai principi interpretativi sopra richiamati, prevede invece, per gli impianti di potenza superiore a 1.000 chilowatt elettrici, un sistema autorizzatorio affatto diverso in virtu' del quale l'autorizzazione unica alla realizzazione dell'impianto non potrebbe essere in alcun modo rilasciata in difetto della preventiva intesa con il comune.

La disposizione regionale che si censura altera dunque il quadro delle competenze amministrative definito a livello della normazione di principio statale e vanifica l'obbiettivo di semplificazione e razionalizzazione che si intendeva conseguire attraverso il ricorso all'autorizzazione unica.

D'altronde nel quadro normativo statale il comune dispone certamente della possibilita' di rappresentare l'eventuale regime vincolistico vigente a livello locale, ma puo' esercitare tale facolta' solo nell'ambito della conferenza di servizi la cui funzione e' appunto quella di comporre in un unico deliberato l'insieme degli interessi, anche variegati, espressi dalle amministrazioni coinvolte, per offrire all'operatore economico un unico interlocutore, con indubbi vantaggi in termini efficienza, trasparenza ed affidabilita' dell'azione amministrativa.

Del resto codesta Corte ha piu' volte affermato che: «il procedimento di autorizzazione unica alla realizzazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, di cui all'art. 12, comma 4, del decreto legislativo n. 387 del 2003, e' ispirato «alle regole della semplificazione amministrativa e della celerita'» ed e' volto a garantire, «in modo uniforme sull'intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo» (sentenze n. 177 del 2018 e n. 156 del 2016), in coerenza con il particolare favor riconosciuto alle fonti energetiche rinnovabili dalla disciplina interna e sovranazionale. Esso, peraltro, e' stato puntualmente disciplinato dal legislatore contemperando vari interessi, costituzionalmente rilevanti, per certi versi interni alla medesima materia della tutela dell'ambiente «attraverso l'incrocio di diverse tipologie di verifica, il cui coordinamento» - in sede di conferenza di servizi - «e la cui acquisizione sincronica, [...] necessari per l'autorizzazione unica finale, non tollerano ulteriori differenziazioni su base regionale» (Corte costituzionale sentenza n. 267 del 2016 e 106 del 2020);

3) Le illegittimita' sopra evidenziate si estendono e per certi versi si amplificano nel comma 3 dello stesso art. 2 della legge regionale in esame, che, intervenendo sull'art. 9 della legge regionale n. 11 del 2011, prevede che «Le disposizioni di cui ai commi 1-bis e 1-ter, si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente comma, relativi all'autorizzazione unica di cui all'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003».

In questo caso la disposizione regionale, in mancanza di una norma transitoria, estende la nuova disciplina anche ai procedimenti gia' avviati imponendo agli operatori economici un radicale cambio di prospettiva con il probabile azzeramento delle procedure in corso e con una sensibile alterazione dell'assetto regolatorio.

 

P. Q. M.

 

Voglia codesta Ecc.ma Corte dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2 e 3 della legge della Regione Toscana 7 agosto 2020, n. 82, pubblicata nel B.U.R. n. 81 del 12 agosto 2020, avente ad oggetto «Disposizioni relative alle linee guida regionali in materia di economia circolare e all'installazione degli impianti fotovoltaici a terra. Modifiche alla legge regionale n. 34/2020 ed alla legge regionale n. 11/2011.» per violazione dell'art. 117, terzo comma della Costituzione, in relazione alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», nonche' delle norme di principio contenute nel decreto legislativo n. 387/2007.

Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno:   1. estratto della delibera del Consiglio dei ministri 7 ottobre 2020;   2. copia della legge regionale impugnata;   3. rapporto del Dipartimento degli affari regionali.

Con ogni salvezza.

Roma, 8 ottobre 2020

L'Avvocato dello Stato: Aiello