RICORSO N. 9 DEL 26 FEBBRAIO 2021 (DELLA REGIONE CALABRIA)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 26 febbraio 2021.

(GU n. 10 del 10.03.2021)

 

Ricorso per la Regione Calabria (C.F. 02205340793), in persona del presidente f.f. della Giunta regionale dott. Antonino Spirli', rappresentata e difesa, giusta delibera G.R. n. 8 del 28 gennaio 2021, e correlato decreto dirigenziale di incarico, nonche' in virtu' di procura speciale in calce al presente atto, dall'avv. Giuseppe Naimo (C.F. NMAGPP65A05D976H) dell'Avvocatura regionale (Posta elettronica certificata: avvocato8.cz@pec.regione.calabria.it), ed elettivamente domiciliata in Roma, via Sabotino n. 12, presso lo studio dell'avv. Graziano Pungi', fax 0961/853581, indirizzi di posta elettronica e fax ai quali intende ricevere comunicazioni e notificazioni del presente giudizio;   Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri (c.f. 80188230587), in persona del Presidente pro-tempore, domiciliato per la carica in Roma, Palazzo Chigi, Piazza Colonna n. 370, domicilio digitale attigiudiziaripcm@pec.governo.it   Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 6 e 7 del decreto-legge 10 novembre 2020, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2020, n. 181, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 323 del 31 dicembre 2020, derivante dalla violazione degli articoli 136, 3, 5, 32, 81, 97, 117, 118, 119, 120 e 121 della Costituzione, nonche' degli articoli 8 della legge n. 131/2003, 2, comma 78, della legge n. 191/2009, 1, 2, 3, 6, 8 e 9 del decreto legislativo n. 171/2016, 11, comma 1, lettera p), della legge n. 124/2015, 5-bis del decreto legislativo n. 502/1992 e del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.

 

Fatto

 

Il decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, pubblicato in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 101 del 2 maggio 2019, recante «Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria.», ritenendo di dover adottare misure eccezionali, volte anche alla risoluzione delle riscontrate, gravi inadempienze amministrative e gestionali, per la Regione Calabria, supportando l'azione commissariale di risanamento del servizio sanitario regionale, ed accertati il mancato rispetto degli obiettivi economico-finanziari previsti dalla cornice programmata nell'ambito dei programmi operativi, il mancato raggiungimento del punteggio minimo previsto dalla griglia dei livelli essenziali di assistenza, nonche' rilevanti criticita' connesse alla gestione amministrativa, piu' volte riscontrati, da ultimo, dai Tavoli di verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica dei LEA nella seduta congiunta del 4 aprile 2019, al Capo I, rubricato «Disposizioni urgenti per il servizio sanitario della Regione Calabria» (articoli 1-10) conteneva - tra gli altri - l'art. 1 «Ambito di applicazione», l'art. 2 «Verifica straordinaria sui direttori generali degli enti del Servizio sanitario regionale», l'art. 3 «Commissari straordinari degli enti del Servizio sanitario regionale», l'art. 4 «Direttori amministrativi e direttori sanitari degli enti del Servizio sanitario regionale», l'art. 5 «Dissesto finanziario degli enti del Servizio sanitario regionale», l'art. 6 «Appalti, servizi e forniture per gli enti del Servizio sanitario della Regione Calabria», l'art. 8 «Supporto dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali» e l'art. 9 «Ulteriori disposizioni in tema di collaborazione e supporto ai Commissari»; al Capo III, rubricato «Disposizioni finanziarie, transitorie e finali» (articoli 14-16), contiene - tra gli altri - l'art. 14 «Disposizioni finanziarie» e l'art. 15 «Disposizioni transitorie e finali», articoli tutti oggetto di impugnativi da parte della regione qui ricorrente; tale decreto e' stato oggetto di conversione con la legge n. 60/2019, pubblicato in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 152 del 1° luglio 2019, anch'essa impugnata; i distinti ricorsi della Regione Calabria sono stati riuniti e respinti da codesta Corte con la sentenza n. 233/2019.

Scaduto il termine di diciotto mesi di vigenza di dette norme, dopo soli sette giorni il Governo ha assunto il decreto-legge 10 novembre 2020, n. 150, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 280 - Serie generale - del 10 novembre 2020, recante «Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e per il rinnovo degli organi elettivi delle regioni a statuto ordinario», con il quale, ancora una volta, ritenendo di dover adottare misure eccezionali, tenuto conto che l'Organizzazione mondiale della sanita' ha dichiarato la pandemia da COVID-19, anche in ragione della situazione emergenziale in corso, di prevedere per la Regione Calabria, misure eccezionali per garantire il rispetto dei livelli essenziali di assistenza (LEA) in ambito sanitario, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, nonche' (sic!) per assicurare il fondamentale diritto alla salute attraverso il raggiungimento degli obiettivi previsti nei programmi operativi di prosecuzione del piano di rientro dai disavanzi sanitari; verificato il reiterato mancato raggiungimento del punteggio minimo previsto dalla griglia dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e degli obiettivi economico-finanziari previsti dalla cornice programmata nell'ambito dei programmi operativi; ritenuta la indifferibile necessita' di intervenire per introdurre misure straordinarie per superare le gravi inadempienze amministrative e gestionali riscontrate nella Regione Calabria, al Capo I, rubricato anche questa volta «Disposizioni urgenti per il servizio sanitario della Regione Calabria» (articoli 1-7) contiene - tra gli altri - l'art. 1 «Commissario ad acta e supporto alla struttura commissariale», l'art. 2 «Commissari straordinari degli enti del Servizio sanitario regionale», l'art. 3 «Appalti, servizi e forniture per gli enti del Servizio sanitario della Regione Calabria», l'art. 6 «Contributo di solidarieta' e finanziamento del sistema di programmazione e controllo del Servizio sanitario della Regione Calabria» e l'art. 7 «Disposizioni transitorie e finali», articoli quelli indicati oggetto di impugnativa da parte della Regione Calabria col ricorso iscritto al n. 105/2020 R.R.

Il decreto-legge e' stato convertito, con modificazioni - con modifiche quasi tutte marginali o ultronee, per quel che riguarda le norme gia' impugnate dalla regione - con la legge 30 dicembre 2020, n. 181, e la regione intende proporre impugnativa anche avverso le norme del decreto-legge per come convertite.

Cosi' esposte la cronologia dei fatti e le norme che si intendono impugnare, questa difesa intende ricorrere, come in effetti con il presente atto ricorre, a codesta Corte costituzionale, ex art. 127, comma 2, della Costituzione, atteso che le suddette norme presentano profili di lesivita' in pregiudizio della sfera di attribuzioni legislative ed amministrative della Regione Calabria costituzionalmente garantite, ed interviene in maniera significativa su materia di preminente interesse regionale, affidando il ricorso ai seguenti

 

Motivi

 

1) Premessa   Come gia' indicato nella narrazione del fatto, le modifiche apportate in sede di conversione alle norma impugnate sono quasi esclusivamente marginali o ultronee, e quindi - in applicazione del consolidato orientamento di codesta Corte «ex plurimis, Corte Costituzionale, sentenza n. 233/2019» - si ritiene che, per esse, le questioni di costituzionalita' gia' poste col ricorso n. 105/2020 devono ritenersi trasferite sulle nuove norme nella parte in cui esse modificano quelle originarie; in ogni caso, la regione - considerando le peculiarita' del giudizio in via principale avanti codesta Corte - intende comunque impugnare le norme convertite - sia per manifestare la permanenza del proprio interesse all'impugnativa, sia per veicolare anche nuove e diverse censure - le norme per come convertite, nonche' - per la parte di interesse regionale - le norme introdotte in sede di conversione, mediante modifiche non di mero dettaglio.

2) Violazione art. 136 della Costituzione   Come esposto in narrativa, e come gia' denunciato in relazione alle norme impugnate col ricorso n. 105/2020, codesta Corte ha respinto l'impugnativa avverso il primo «Decreto Calabria»; pur respingendo il ricorso, al punto 6) della motivazione ha comunque statuito che «L'effettiva rispondenza delle misure adottate dal legislatore del 2019 allo scopo perseguito di "risanamento del servizio sanitario" e soprattutto di tutela del "rispetto dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario" nella Regione Calabria nonche' l'assenza di eventuali loro effetti controproducenti (quali paventati in udienza dal difensore della ricorrente) dovranno essere attentamente monitorate da parte dello Stato, e valutate in concreto, in sede applicativa delle misure stesse.», mentre al punto 5.1 era stato precisato che la legittimita' del provvedimento normativo dipendeva dal fatto che le concorrenti competenze regionali venivano «solo temporaneamente ed eccezionalmente "contratte", in ragione della pregressa inerzia regionale o, comunque, del non adeguato esercizio delle competenze stesse».

Lo Stato ha clamorosamente mancato sia nella attuazione che nella valutazione della verifica «non si ripetera' quanto gia' scritto nel precedente ricorso sulla triste vicenda dell'individuazione del nuovo Commissario», ma, ancora una volta, dopo aver fatto trascorrere i diciotto mesi fissati dal decreto-legge n. 35/2019 causando ulteriori danni al sistema sanitario calabrese, ha utilizzato, ammettendolo apertis verbis, le proprie macroscopiche incapacita' nella gestione commissariale, per come «potenziata» con l'intervento del 2019, per aggravare - anche in sede di conversione - ulteriormente detto regime con le norme qui impugnate, ampliando addirittura, senza peraltro alcuna reale soluzione di continuita' rispetto al provvedimento cessato, il periodo di vigenza (ora, «un periodo non superiore a ventiquattro mesi» rispetto ai diciotto mesi gia' imposti in precedenza) ed inasprendolo.

E' il caso di riprodurre «evitando di commentare il fatto che la difesa erariale si sia gia' appuntata sul testo del decreto-legge per come convertito, vedi ad esempio pagine 15 e 18 memoria» alcuni passi della memoria di costituzione della difesa erariale nel ricorso n. 105/2020 R.R. «ricorso al quale si chiede la riunione» per la loro macroscopica incidenza sulle censure regionali: il primo, e' quello a pagina 14 della memoria depositata il 6 febbraio 2021, ove si legge che «non solo non risultavano superate le criticita' che avevano indotto all'adozione del decreto-legge n. 35/2019, ma che la situazione si era ulteriormente aggravata, imponendo, per un verso, la protrazione del regime speciale in precedenza dettato, e, per un altro, l'assunzione di ancor piu' stringenti misure»; il secondo, invece, si legge alle pagine 20-21 del medesimo atto, ove la difesa erariale ritiene che l'attento monitoraggio sulle precedenti misure sia stato effettuato, con esito «non positivo» delle verifiche in ordine a misure applicate dalla Stato ed ai loro effetti, ma malgrado cio', con singolarissimo salto logico, conclude per la sussistenza delle condizioni per un nuovo intervento, ancor piu' stringente.

Ove si applicassero l'art. 116 del codice di procedura civile e/o l'art. 64, comma 2, c.p.a., si dovrebbero dare per processualmente provati a) la congiunzione tra i due provvedimenti normativi, quello del 2019 ed il presente; b) l'ulteriore inasprimento delle misure qui impugnate rispetto al «regime» del 2019; c) il fallimento del commissariamento statale, anche per come «implementato» nel 2019; d) il macroscopico errore statale nell'interpretare il giudicato della sentenza n. 233/2019, sia sotto il profilo di individuazione del «limite» che ha condotto alla reiezione del ricorso nel 2019, sia nell'interpretare il monito rivolto da codesta Corte in ordine ai provvedimenti da adottare in esito ad una valutazione negativa degli effetti del decreto-legge n. 35/2019.

Cio' detto, la normativa impugnata, che, come riconosciuto dalla stessa difesa erariale nel giudizio avverso le norme del decreto-legge gia' impugnate, ponendosi in piena continuita' con l'intervento appena cessato, non solo reitera ma addirittura aggrava l'intervento stesso, rivelatosi, per ammissione della stessa parte statale, non solo infruttuoso ma addirittura peggiorativo della situazione del maggio 2019, viola apertamente i limiti - evidentemente non colti dallo Stato - alla temporaneita' ed ai presupposti legittimanti dell'intervento, nonche' al naturale sbocco ove le verifiche sugli effetti (sia consentito, motivatamente previsti in udienza dalla difesa regionale, tanto da spingere codesta Corte a sviluppare in sentenza il monito poi non raccolto dallo Stato) del provvedimento normativo qui proseguito ed aggravato, che codesta Corte aveva fissato alla legittimita' dell'intervento, al quale le norme qui impugnate si pongono in conclamata ed ammessa continuita', e quindi viola il giudicato costituzionale, in conseguenza della violazione dell'art. 136 della Costituzione.

3) Violazione articoli 5, 117, 120, 121 della Costituzione; 8 della legge n. 131/2003; 2, comma 78, della legge n. 191/2009; 1, 2, 6 e 8 decreto legislativo n. 171/2016, 11, comma 1, lettera p) della legge n. 124/2015 e del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.

Gli articoli 1, 2, 3, 6 e 7, dettati solo per la Regione Calabria, operando modifiche unilaterali al Piano di rientro ed al mandato Commissariale, nonche' alla normativa di settore, sono invasive della competenza concorrente e residuale regionale, contraggono le correlate prerogative in termini temporalmente irragionevoli e non piu' eccezionali, ma ormai sistematici, ed, inoltre, non sono assistite da intesa con la regione e/o in sede di Conferenza Stato regioni, e determinano percio', per tutti i motivi sopra elencati, le violazioni denunciate, anche in ordine alla mancanza di intesa ed al principio di leale collaborazione, violazione quest'ultima, per vero, dimostrata anche da specifica modifica adottata in sede di conversione.

Come chiarito dalla sentenza n. 219/2013 di codesta Corte: «Lo Stato, optando per l'esercizio del potere sostitutivo...si assume l'onere del processo coartato di risanamento delle finanze regionali»; come gia' sopra riportato al punto 2), codesta Corte, con la sentenza n. 233/2020, ha ritenuto legittimo il decreto-legge n. 35/2020 in quanto le prerogative regionali «non risultano violate ma solo temporaneamente ed eccezionalmente "contratte", in ragione della pregressa inerzia regionale o, comunque, del non adeguato esercizio delle competenze stesse».

E' stato platealmente ammesso in punto di fatto, gia' nel ricorso n. 105/2020 che a) la violazione/contrazione delle competenze regionali non e' piu' «eccezionale e temporanea», ma, senza sostanziale soluzione di continuita' «un margine di sette giorni non poteva certo considerarsi cesura temporalmente significativa» si protrarra' anche per tre anni e mezzo (diciotto mesi il decreto-legge n. 35/2020; sino a ventiquattro mesi il decreto-legge per come convertito qui impugnato); b) lo Stato ammette le macroscopiche inadempienze dei Commissari statali, anche - anzi soprattutto - in relazione al periodo di vigenza del decreto-legge n. 35/2019, per prorogare, ed anzi inasprire ulteriormente, lo stato di espropriazione/compressione delle competenze regionali, che ha oggettivamente danneggiato e danneggia sempre piu' la regione nonche' i cittadini in essa residenti, i quali hanno visto progressivamente peggiorare - per asserzione dello stesso Stato, che su tale dato fonda il paradossale intervento normativo qui censurato - la situazione di assistenza alla cittadinanza, proprio a causa dell'intervento statale.

Pare qui indispensabile una disamina dello stato del «pianeta salute» in Calabria in esito al commissariamento, pure sostanzialmente ammesso dalla difesa erariale alle pagine 2-19 della memoria depositata nel ricorso n. 105/2020, che coincide con la disamina fatta dalla magistratura contabile in sede di parifica del bilancio regionale 2020: in oltre dieci anni di commissariamento, il saldo finale tra mobilita' attiva e passiva in Calabria e' esponenzialmente peggiorato (vedi tabelle riportata alle pagine 389-390 della bozza di relazione parifica, allegate al ricorso n. 105/2020) proprio durante il commissariamento, e si e' ulteriormente aggravata durante il periodo di vigenza del decreto-legge n. 35/2019, per ammissione della stessa parte statale; secondo la Corte dei conti calabrese «Dal 2010 (inizio del commissariamento), l'esito delle iniziative attuate per superare le numerose criticita' presenti al momento dell'entrata in vigore del Piano di rientro ha disatteso le reali attese di cambiamento «pagina 407 bozza relazione parifica»; l'obiettivo finale del Programma operativo (2016/2018) «uscire dal Piano di rientro» e le sue precondizioni «raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2018», non e' stato raggiunto e l'ultimo anno si distingue per una regressione degli indicatori economici e assistenziali conseguiti in precedenza» «pagina 407 bozza relazione parifica»; senza aver completato il precedente Programma operativo, ora ci si trova in vigenza «del Piano operativo 2019/2021, approvato con DCA n. 57 del 26 febbraio 2020», ossia oltre un anno dopo il preteso inizio di valenza del Programma stesso; l'acclarata presenza delle diverse fattispecie debitorie, oltre alle gravi irregolarita' di cui alla deliberazione della Sezione controllo della Corte dei conti n. 13/2019, mai sistemate contabilmente negli anni pregressi, che avevano indotto la Commissione straordinaria dell'ASP di RC, con deliberazione n. 298 del 6 giugno 2019, ai sensi dell'art. 5 del decreto-legge n. 35/2019, a proporre il dissesto dell'Azienda, non e' stata accolta dal precedente Commissario ad acta, con motivazioni, indicate nella nota prot. n. 170858 del 21 maggio 2020, ossia quasi un anno dopo la richiesta; il costo sostenuto per l'acquisto dei beni da parte delle Aziende del SSR e' passato complessivamente da euro 351.599.120,80 nel 2018 ad euro 367.758.596,39 nel 2019, ossia in vigenza del decreto-legge n. 35/2019, con un incremento pari al 5% «p. 436 bozza relazione parifica»; nell'esercizio 2019, ossia in vigenza del decreto-legge n. 35/2019, non sono stati rispettati i tetti di spesa per dispositivi medici per euro 12.238.674,00; «il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionale con il Comitato permanente per la verifica dei LEA, in data 25 maggio 2020, ha rilevato la dimensione degli oneri finanziari in peggioramento, evidenziando la gravita' della situazione. Ha pertanto invitato la struttura Commissariale al presidio di tali iscrizioni con particolare riferimento agli oneri finanziari per anticipazioni di cassa che rappresentano il 77% del totale contabilizzato su tale voce dall'intero SSN.» «pag. 460 bozza relazione parifica»; sempre ad avviso della Corte dei conti della Calabria «si sono realizzate, con riferimento al risultato di gestione dell'anno 2019, le condizioni per l'applicazione degli automatismi fiscali previsti dalla legislazione vigente, vale a dire l'ulteriore incremento delle aliquote fiscali di Irap e addizionale regionale all'Irpef per l'anno d'imposta in corso, rispettivamente nelle misure di 0,15 e 0,30 punti, e per l'applicazione del divieto di effettuare spese non obbligatorie da parte del bilancio regionale fino al 31 dicembre 2021.» «pagina 467 bozza relazione parifica»; la Regione Calabria, o, meglio, la gestione commissariale, al IV trimestre 2019 presenta un disavanzo sanitario di 116,721 milioni di euro; il sig. giudice relatore al giudizio di parifica ha in sintesi rilevato che «dieci anni dopo, ossia a fine 2019, il disavanzo sanitario e' passato a euro 225,418 milioni di euro. Dopo il conferimento delle coperture derivanti dal gettito delle aliquote fiscali massimizzate il risultato di gestione evidenzia un disavanzo di 118,796 milioni di euro (fonte: verbale del Tavolo tecnico e del Comitato per la tutela dei LEA dell'8 e 9 novembre 2020 - dati trasmessi con nota Regione Calabria, dipartimento tutela della salute, servizi sociali e socio sanitari, prot. n. 3933804 del 30 novembre 2020)...In altre parole, gli abitanti della Calabria stanno da dieci anni colmando una voragine finanziaria che cresce e si alimenta di anno in anno. A fronte di questi "sacrifici finanziari", i medesimi cittadini non godono pero' di servizi sanitari adeguati.»; infine - a diretta smentita di uno dei presupposti dell'adozione del provvedimento normativo impugnato - dal verbale del Tavolo tecnico e del Comitato per la verifica del LEA del 25 maggio 2020 emerge che la Regione Calabria ha superato la verifica dei LEA per gli esercizi 2015, 2016 e 2017, mentre, quanto all'anno 2018, a luglio 2020, quindi molto prima che venisse adottato e poi convertito il provvedimento impugnato, il Ministero della salute «si veda stralcio della relazione gia' allegata al ricorso n. 105/2020» attribuisce alla Calabria un punteggio pari a 162, positivo ed in miglioramento.

Cio' necessariamente premesso, vanno esaminate distintamente le censure qui mosse alla normativa impugnata: l'art. 1 «e' il caso di precisare che non vengono impugnati ne' il comma 4, ne' i commi 4-bis, ter e quater introdotti in sede di conversione» nel ribadire ed ampliare i poteri commissariali, impone alla regione un contingente minimo di «personale» da mettere a disposizione della struttura commissariale, senza neanche indicare le finalita' del decreto-legge medesimo, pur precisando che il Commissario «assicura l'attuazione delle misure di cui al presente capo», e prevede - in esito a modifica in sede di conversione - che i Subcommissari possano essere «non piu' di tre»; l'art. 2 prevede, come gia' l'art. 3 del decreto-legge n. 35/2019, la nomina di Commissari straordinari da parte del Commissario ad acta o, in caso di mancata intesa con la regione, da parte del Ministro della salute; l'art. 3, comma 1, del decreto-legge, come gia', in parte, la prima formulazione dell'art. 6 del decreto-legge n. 35/2019, consente al Commissario di provvedere in via esclusiva all'espletamento delle procedure di approvvigionamento per gli enti del Servizio sanitario della regione avvalendosi di Consip ovvero - previa convenzione - delle centrali di committenza della Calabria o di regioni limitrofe per l'affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture, pari o superiori alle soglie comunitarie, con facolta' di avvalersi del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per la Sicilia-Calabria, mentre il Piano di rientro nella versione nuovamente vigente dal 3 novembre u.s., prevedeva invece «vedi DG.R. n. 845/2009, allegato, paragrafo 9, punto b, e paragrafo 10, gia' prodotta nel ricorso n. 105/2020» la «predisposizione» delle gare da parte solo da parte della S.U.A., nonche' un budget prefissato per tale attivita' al fine di consentire un risparmio di spesa; l'art. 6, comma 2, condiziona l'erogazione delle somme di cui al comma 1 alla sottoscrizione di uno specifico accordo tra lo Stato e le regioni contenente le modalita' di erogazione delle risorse, ma, soprattutto, alla presentazione e approvazione del programma operativo di prosecuzione del Piano di rientro per il periodo 2022-2023; l'art. 7, infine, determina - in esito a modifica in sede di conversione - in massimo ventiquattro mesi la durata della misure, e consente al Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, ed, ora, anche il Presidente della regione, di aggiornare il mandato Commissariale assegnato con delibera del 19 luglio 2019 anche con riferimento al Commissario ad acta, solo in relazione ai compiti affidati col Capo I della legge, nonche' - comma 4 - fa cessare dall'incarico gli «organi» eventualmente nominati dalla regione dal 3 novembre.

L'intervento legislativo determina la violazione degli articoli 5, 117 e 120 della Costituzione, 2, comma 78, della legge n. 191/2009; 1, 2, 3, 6, 8 e 9 del decreto legislativo n. 171/2016, 11, comma 1, lettera p), della legge n. 124/2015, 5-bis del decreto legislativo n. 502/1992; la sua unilateralita' lede il principio di leale collaborazione (sul quale, vedi da ultimo ordinanza n. 4/2021 di codesta Corte), per come declinato, oltre che dalle norme sopra richiamate, dall'art. 8 della legge n. 131/2003, ed e' ora ulteriormente comprovata dalla limitata forma di consultazione introdotta in sede di conversione.

Gia' la sentenza n. 200/2019 di codesta Corte ha affermato che «Le facolta' di audizione e partecipazione della regione non si estendono, del resto, all'individuazione nominativa del Commissario e del sub Commissario, la cui scelta spetta in via esclusiva al Governo» e che, nel caso li' esaminato, la leale collaborazione sarebbe stata garantita «dall'azione congiunta del "Comitato paritetico permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza" e del "Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti" regionali», mentre, nel caso che qui ne occupa, non si verte in materia di indicazione nominativa del Commissario, ed i tavoli richiamati in sentenza non sono stati in alcun modo «interessati» in merito a contenuti ed adozione del provvedimento normativo qui impugnato.

Cio' detto, l'invasione/compressione delle sfere di competenza regionale concorrente e residuale e' di tutta evidenza, e come gia' sopra evidenziato, non ha piu' carattere di eccezionalita' e temporaneita', ma anzi si «aggrava» rispetto alla versione 2019; pare quindi evidente la violazione denunciata dalla regione ricorrente: l'art. 5 della Costituzione riconosce e promuove le autonomie locali; l'art. 117, comma 2, prevede tra le materia di legislazione concorrente anche quelle della tutela della salute e del coordinamento della finanza pubblica, ed il comma 4 tra quelle di legislazione residuale l'organizzazione degli uffici; l'art. 121 della Costituzione prevede che il potere legislativo della regione sia esercitato dal Consiglio regionale, e che la rappresentanza della regione sia individuata in capo al Presidente della Giunta; l'art. 120, comma 2, della Costituzione, pone come preciso limite al potere sostitutivo statale l'esercizio dello stesso secondo i principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione.

Quanto a tale ultimo e distinto profilo di lesivita', il mancato invito a partecipare del Presidente della Giunta f.f. al C.d.M. del 9 novembre 2020 o altra forma di «coinvolgimento» della regione e' conclamato e non contestato dalla parte statale; rimane quindi acclarato che nessuna forma di leale collaborazione sia stata attuata nel caso in esame, mentre l'art. 8, comma 1, della legge n. 131/2003 prevede espressamente che anche in ipotesi di adozione di atti normativi in materia - senza esclusione alcuna in ordine alla tipologia di atto, e quindi anche in ipotesi di adozione di decreto-legge - il Presidente della Giunta debba essere invitato a partecipare al relativo C.d.M.; certamente, non «ripara» il vizio il meccanismo inserito nel comma 3 dell'art. 7 in sede di conversione, sia perche' successivo all'adozione delle norme impugnate, sia perche' «limitato» al solo aggiornamento del mandato commissariale per i compiti correlati al Capo I.

Ad avviso della regione ricorrente, comunque, l'art. 8, comma 4, della legge n. 131/2003, che prevede, anche per i casi di urgenza, quanto meno il coinvolgimento della Conferenza Stato regioni a seguito dell'adozione di «provvedimenti», la quale puo' chiedere il riesame del provvedimento, se riguarda l'adozione di decreti-legge ex art. 77 della Costituzione, come chiarito da codesta Corte con la sentenza n. 233/2019; la mancata comunicazione alla Conferenza da' la dimostrazione della violazione denunciata pure sotto tale diverso profilo, anche perche', nel caso che qui ne occupa, le «pregresse inadempienze» che sostengono l'intervento sono palesemente statali, e non regionali (e sia consentito di rilevare che l'asserzione di pagina 27 della memoria erariale piu' volte sopra richiamata, ove si sostiene che, qui ed ora, e' inutile individuare «l'imputabilita' soggettiva» della grave situazione calabrese e' solo l'ennesimo schiaffo che lo Stato riserva alla regione ricorrente).

Infine, risulta documentalmente comprovata l'erroneita' del presupposto fondante dell'intervento, ossia il reiterato «deficit» dei LEA: come dimostrato, anche mediante l'allegazione della relazione sui LEA 2018 gia' effettuata nel ricorso n. 105/2020, seppur dopo due anni, lo Stato ha rilevato come i LEA siano l'unico dato in reale miglioramento nella regione, per cui non solo risulta non veritiera l'indicazione in ordine al presunto «reiterato mancato raggiungimento del punteggio minimo previsto dalla griglia dei livelli essenziali di assistenza (LEA)», e non puo' certo essere utilizzata la sistematica sottovalutazione dei dati da parte del tavolo tecnico per protrarre l'occupazione statale; inoltre, l'ulteriore presupposto, ossia il mancato «raggiungimento degli obiettivi economico-finanziari previsti dalla cornice programmata nell'ambito dei programmi operativi», risultando imputabile esclusivamente alla Stato «non essendo affatto inutile evidenziare la chiara imputabilita' soggettiva delle condotte» non puo' essere utilizzato dallo stesso per autoalimentare ed ampliare l'inefficiente commissariamento e proseguire nell'invasione/compressione di sfere di competenza regionale.

4) Violazione articoli 32, 81, 117, 118 e 119 della Costituzione; 2 del decreto legislativo n. 171/2016 e del principio di leale collaborazione.

In ordine al presente motivo di ricorso, nonche' agli ulteriori motivi, pur essendo nota la giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte che afferma che nei giudizi in via principale, le regioni sono legittimate a censurare le leggi dello Stato esclusivamente in riferimento a parametri relativi al riparto delle rispettive competenze legislative, salva ipotesi di violazione di questi che comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, e previa indicazione delle specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione, si ritiene di segnalare che il presente caso e' un unicum, in quanto le norme impugnate sono espressamente dirette ad incidere sulla sola regione ricorrente, il che pare determinare una ridondanza in re ipsa, anche perche' «e' messo in pericolo non il servizio di raccolta differenziata, non il servizio di scuola bus, non la pulizia delle strade per gli abitanti di un singolo comune, ma la piena tutela della salute - che e' il "diritto dei diritti" - per i circa 2 milioni di abitanti del territorio calabro» - pagina 18 intervento orale Relatrice giudizio parifica Corte dei conti Calabria, gia' allegato al ricorso n. 105/2020).

In ogni caso, si dettagliera' la ridondanza richiesta - gia' riconosciuta , ad esempio, in ordine al ricorso avanzato anche dalla Regione Calabria da codesta Corte con la sentenza n. 195/2019 - in quanto tutte le norme impugnate incidono sulle competenze regionali, in materia di legislazione concorrente (tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica), e se e' pur vero che il rispetto dei L.E.A. e la profilassi internazionale ricadono in materie demandate alla competenza esclusiva dello Stato, non vi e' dubbio che l'esercizio di tali competenze risulti strettamente intrecciato con altre materie demandate alla competenza esclusiva o concorrente delle regioni quali, appunto, la tutela della salute ed il coordinamento della finanza pubblica, e comunque, proprio nella consapevolezza di tale inevitabile intreccio, in materie di altissima sensibilita' politica e di altrettanto rilievo per la tutela dei diritti fondamentali individuali, la Carta costituzionale ha imposto, all'art. 118, comma 3, l'individuazione di «forme di coordinamento fra Stato e regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'art. 117», totalmente assenti nel caso in questione.

Le ragioni delle lamentate lesioni - indicate non solo rispetto al generale assetto di competenze della regione, ma altresi' rispetto all'esercizio di tali competenze, vale a dire ai singoli provvedimenti legislativi incisi dall'atto impugnato - sono la privazione del potere presidenziale di nomina di Commissari ed organi della aziende (art. 2), la disciplina di cause di decadenza di direttori generali e Commissari, e l'aggiornamento del mandato commissariale (art. 7), la disciplina degli appalti per gli enti del SSN (art. 3), il finanziamento «aggiuntivo» del sistema sanitario calabrese, anche per l'anno corrente, con condizione che ne rende impossibile l'erogazione (art. 6); inoltre, lo stato della sanita' calabrese, per come descritto dalla magistratura contabile, anche per la mancata riattivazione di poli ospedalieri da parte del Commissario, di fatto, ed anche per il costante aumento della pressione fiscale sui cittadini calabresi - e non solo su di essi, come riconosciuto nella citata sentenza n. 195/2019 - determinata dalle inefficienze statali, ha creato criteri selettivi «territoriale» e «reddituale» di accesso alle prestazioni sanitarie, ed ha ridotto l'accesso ai servizi ospedalieri, limitando di fatto l'accesso alle stesse, e determinando il divieto di effettuare spese non obbligatorie da parte del bilancio regionale fino al 31 dicembre 2021, la cui regolamentazione rientra nella competenza legislativa concorrente regionale.

L'insieme delle norme impugnate incide complessivamente, e molto negativamente, sull'intero sistema sanitario calabrese, e quindi sulle competenze regionali; piu' in dettaglio, gli articoli 2 e 7 consentono la nomina dei Commissari straordinari da parte del Commissario anziche' da parte del Presidente della Regione - come invece previsto dall'art. 2 del decreto legislativo n. 171/2016 e dagli articoli 14 della legge regionale n. 11/2004 e 20 della legge regionale n. 29/2002 - e la revoca degli stessi sempre da parte del Commissario, nonche' una ipotesi di decadenza, entrambe non previste ne' dal decreto legislativo n. 171/2016, ne' dalla leggi regionali sopra richiamate; l'art. 2 introduce un compenso aggiuntivo in favore dei Commissari non previsto dalle leggi regionali sopra indicate; l'art. 3, consentendo il ricorso solo previa convenzione alla Stazione unica appaltante della Regione Calabria per gli appalti degli enti del SSN, di fatto nuovamente incide sull'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 26/2007, che prevede(va), con finalita' di risparmio, come obbligatorio il ricorso alla S.U.A. - tra gli altri - per gli enti appartenenti al S.S.N., e, ad oggi, malgrado siano passati piu' di tre mesi dall'entrata in vigore delle norme impugnate, il Commissario non ha ne' provveduto ad espletare procedure tramite Consip, ne' stipulato convenzioni ad hoc con Centrali di committenza, ivi compresa la S.U.A., determinando quindi - anche questa volta - una paralisi nel settore dell'approvvigionamento di beni e servizi del servizio sanitario regionale, oltre al gia' sopra censurato aumento di costi del 5%, come rilevato dalla Corte dei conti; l'art. 6, comma 2, condiziona alla presentazione e approvazione del programma operativo di prosecuzione del Piano di rientro per il periodo 2022-2023, ossia ad un atto unilaterale del Commissario gia' oggetto di enormi ritardi in passato, e non certo ne' quanto alla sua adozione, ne' ai termini, peraltro, molto differiti nel tempo, tanto di contraddire in termini la pretesa emergenza dell'intervento.

Ai sensi dell'art. 117, comma 3, la tutela della salute ed il coordinamento della finanza pubblica costituiscono materie di legislazione concorrente tra lo Stato e le regioni, e tale competenza deve essere esercitata dalle regioni nel rispetto della normativa costituzionale; l'art. 119, oltre a prevedere l'autonomia finanziaria regionale, consente - nel rispetto del vincolo di bilancio - di individuare la destinazione delle risorse; l'art. 81 impone non solo l'equilibrio di bilancio, ma anche la certa copertura di nuove spese; l'art. 32 della Costituzione, infine, individua la salute non solo come diritto fondamentale dell'individuo, ma anche come interesse della collettivita', prevedendo cure gratuite per gli indigenti.

L'intervento statale e' stato complessivamente cosi' efficace nel disastrare la sanita' calabrese da dover richiedere, a novembre 2020, e quindi dopo l'entrata in vigore delle norme impugnate, un accordo «si veda articolo allegato» tra il Dipartimento della protezione civile e l'Associazione Emergency - che opera, come noto, prevalentemente nei paesi del c.d. «Terzo Mondo» «Afghanistan, Algeria, Angola, Cambogia, Eritrea, Iraq, Libia, Nepal, Nicaragua, Palestina, Repubblica Centrafricana, Ruanda, Serbia, Sierra Leone, Sri Lanka, Sudan, Uganda» - per gestire un reparto dell'Ospedale di Crotone, e piu' in generale gli ospedali da campo, nonche' fornire supporto all'interno dei Covid Hotel e nei punti di triage negli ospedali, il tutto mentre - ed anche qui ci si affidera' alle parole della magistratura, questa volta amministrativa - in relazione alla perdurante mancata riattivazione dell'Ospedale di Trebisacce da parte dell'Ufficio del Commissario, tanto da necessitare di «al momento, inutile» nomina di Commissario ad acta «La sequela di inerzie ed elusioni sin qui riepilogate consegna l'allarmante rappresentazione di un'area del territorio nazionale sprovvista della vitale garanzia della primaria assistenza sanitaria, quella ai piu' tempestivi interventi di urgenza-emergenza. Tanto a circa sei anni dalla pronuncia di questo Consiglio, che ha messo a fuoco il vulnus cosi' inferto agli standard sanitari essenziali e la conseguente mortificazione del diritto alla salute degli abitanti del Comune di Trebisacce e del relativo distretto. E' un fatto di assoluta gravita' che l'effetto conformativo di quella pronuncia sia rimasto ad oggi un mero flatus voci, se solo si considerano la delicatezza degli interessi in gioco, i profili di rischio dell'incolumita' personale ai quali risultano esposti i cittadini dell'area territoriale interessata e la relativa marginalita' (in termini di programmazione e di costi) degli interventi che si renderebbero necessari per apprestare quantomeno gli apparati strumentali atti a garantire (ancor prima di una completa riattivazione della totalita' dei reparti programmati, quantomeno) una efficiente assistenza di primo soccorso e di emergenza.» (Cons. Stato, III, ordinanza n. 1369/2021), ed alla regione e' precluso qualunque intervento sulla vicenda sia materiale che finanziario, anche per il divieto di spese non obbligatorie gia' sopra censurato.

Quanto alle somme aggiuntive da erogare di cui all'art. 6, forse, saranno erogate tra oltre un anno, ossia - pur essendo prevista una erogazione per l'anno 2021, materialmente impossibile - quasi in chiusura dell'intervento emergenziale che dovrebbero sostenere, e quindi senza nessuna concreta ricaduta sullo stesso, salvo dover ipotizzare sin da ora l'ennesimo tentativo di protrazione dell'occupazione statale del sistema sanitario calabrese.

In conclusione, dimostrata la ridondanza, il motivo pare evidentemente fondato.

5) Violazione degli articoli 81, 117, 119, 121 della Costituzione   Come gia' sopra riportato al punto 3), l'art. 1 impone alla regione di mettere un contingente «minimo» di venticinque persone a disposizione del Commissario per massimo ventiquattro mesi «art. 7, comma 1»: cio' lede diversi parametri costituzionali.

Innanzi tutto, cio' determina la macroscopica violazione degli art. 117, comma 4, e 121 della Costituzione, in quanto tale norma incide in materia di competenza legislativa residuale regionale «ordinamento ed organizzazione amministrativa regionale, vedi Corte costituzionale, sentenza n. 191/2017» in ordine all'organizzazione degli uffici regionali, che rischia di venire devastata da tale impatto del tutto «indiscriminato» (prevedere un contingente minimo, e non un contingente massimo, lascia al mero arbitrio del Commissario la scelta del numero di persone da «applicare», sia interni alla regione che esterni, come oltre dimostrato).

Cio' premesso, l'art. 1 viola anche gli articoli 81, 117 e 119 della Costituzione: tenuto conto che il costo diretto dei soli emolumenti commissariali, antecedente al decreto-legge n. 150/2020 per come convertito, era gia' pari ad euro 300.000 «euro 174.831 annui, oltre oneri riflessi, per il Commissario, ed euro 148.554 annui, oltre oneri riflessi, per il Subcommissario», e tale somma e' annualmente stanziata nel bilancio regionale (capito U12010113801 - estratto del bilancio gestionale 2020-2022, approvato con DGR. n. 60 del 29 aprile 2020, gia' allegata al ricorso n. 105/2020), e che in attuazione della disposizione impugnata e' stato ritenuto dalla regione «si veda nota dirigenziale allegata al ricorso n. 105/2020» finanziariamente sostenibile un ulteriore costo complessivamente pari a 500.000,00 euro, per come indicato nella relazione tecnico finanziaria (gia' allega al ricorso n. 105/2020) che corredata la legge regionale 4 dicembre 2020, n. 29, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Calabria n. 114 del 4 dicembre 2020, non impugnata dal Governo, e quindi non solo neanche sospettata di incostituzionalita' dalla parte statale, ma dalla stessa ritenuta evidentemente satisfattiva delle necessita' commissariali (vedi anche estratto della DGR. n. 435/2020, che declina le nuove autorizzazioni di spesa nei singoli capitoli di bilancio, gia' allegata al ricorso n. 105/2020).

Per tale ragione, con la citata legge regionale n. 29/2020 e' stata iscritta in bilancio la somma di euro 500.000,00 sul capitolo U1201013801 per le annualita' 2021 e 2022; tale importo e' stato confermato nel bilancio di previsione 2021-2023, nel quale, tenuto conto dello stanziamento originario di euro 300.000,00 (peraltro, destinato a non garantire copertura, ove effettivamente vengano nominati tre Subcommissari in luogo di uno soltanto, come in passato), e' allocato l'importo complessivo di euro 800.000,00 per ciascuna annualita'.

La norma impugnata, pero', anche dopo la conversione, avvenuta dopo l'adozione da parte della regine della normativa sopra richiamata, continua a non porre limiti quantitativi al ricorso all'esterno, ed infatti il Commissario, pur avendo avuto messi a disposizione oltre un centinaio di personale del Dipartimento tutela della salute (vedi D.G.R. n. 2/2021, nonche' Pec del Dipartimento organizzazione e personale, che si producono, per complessive centonove unita', novantotto dipendenti - un dirigente generale, dodici dirigenti, cinquantatre funzionari categoria D, undici collaboratori categoria C, ventuno ulteriori unita' di categorie B ed A - ed undici unita' lavorative in distacco da Calabria Lavoro), e pur avendo anche il supporto «aggiuntivo» da Agenas «articoli 1, comma 4, nella misura di venticinque unita', come da relazione tecnica della Ragioneria di Stato gia' allegata da parte resistente nel ricorso n. 105/2020», in data 5 febbraio 2021 «vedi nota che si allega» ha richiesto il comando di altre venticinque unita' di personale.

Alla replica del D.G. del Dipartimento personale «vedi nota del 10 febbraio 2021, che si allega» che, richiamando il summenzionato vincolo di spesa, chiedeva indicazione dei profili tenuto conto di tale vincolo, il neo Commissario, anziche' fornire i dati richiesti, ha assunto il D.C.A. n. 26/2021 «che si allega» nel quale chiede al D.G. del Dipartimento Tutela della salute «quindi, alla propria struttura» di ricorrere all'art. 3, pure qui impugnato, per reperire servizi professionali per la struttura commissariale medesima: ogni commento pare assolutamente superfluo!   E' evidente che, in disparte la rilevante incidenza sul bilancio regionale, anche per le «divagazioni» commissariali, la norma consente, a mera discrezione del Commissario «e si e' fornita sopra una precisa idea del concetto di discrezionalita' dell'attuale Commissario» un impatto incerto «vista anche la possibilita' di nomina di tre Subcommissari» nel quantum sul bilancio regionale, anche superiore al limite di sostenibilita' documentato dalla regione, e quindi anche privo di adeguata copertura finanziaria «art. 81, comma 3, della Costituzione», il che - oltre a dimostrare la ridondanza della questione sui parametri costituzionali che non riguardano la ripartizione di competenze tra Stato e regioni proprio tramite l'indicazione dell'art. 119 della Costituzione - conclama la fondatezza della censura.

Quanto ai costi indiretti, la sottrazione di personale (vedi D.G.R. n. 2/2021 e Pec sopra richiamate, che espongono un costo pari a complessivi euro 6.081.206,74, ossia euro 5.806.206,74 per il personale regionale ed euro 275.000 per il personale di Calabria Lavoro) imporra' alla regione, per mantenere il livello di servizi, di reperire altrove le risorse umane «distratte», con conseguente aggravamento per altro verso dell'impatto della norma sul bilancio regionale, di importo non esattamente quantificabile.

E' comunque il caso, in conclusione, di rilevare che, se e' vero che gia' a legislazione vigente la regione deve fornire «collaborazione» alla struttura commissariale, non vi e' dubbio che competa a codesta Corte trovare - in esito al ricorso avanzato dalla regione - un punto di equilibrio in materia, per evitare che le irragionevoli pretese statali - che gia' hanno fatto saltare l'intero sistema sanitario regionale - facciano deflagrare anche la macchina organizzativa regionale.

6) Violazione articoli 5, 117, 120, 121 della Costituzione; 1, 2, 8 del decreto legislativo n. 171/2016; 11, comma 1, lettera p) della legge n. 124/2015 e del principio di leale collaborazione L'art. 2, in combinato disposto con l'art. 7, comma 4, nel consentire la nomina, previa cessazione dalle funzioni di direttori generali o di qualunque altro «organo ordinario o straordinario», gia' eventualmente nominati dal Presidente della Regione Calabria previa deliberazione di Giunta, ex art. 20 della legge regionale n. 29/2002, solo nella Regione Calabria, violano gli articoli 5, 117, 120, 121 della Costituzione, 1, 2 e 8 del decreto legislativo n. 171/2016, ed 11, comma 1, lettera p), della legge n. 124/2015, sia perche' le «pregresse inadempienze» che fondano l'intervento non sono regionali ma statali, sia perche' la compressione delle competenze regionali ormai non e' piu' «eccezionale e temporanea», ma ha assunto il carattere di regola stabile, sia, infine, perche' introducendo l'art. 2 norma non di principio, ma di dettaglio, in materia di legislazione concorrente, ed in relazione ad istituto disciplinato dallo Stato prima solo col decreto-legge n. 35/2019, ma gia' normato dal legislatore regionale (si vedano su tale ultimo punto le sentenze di codesta Ecc.ma Corte numeri 190/2017, punto 6 «Considerato in diritto» - proprio relativa alla regione ricorrente - e 87/2019, punti 4.2 e seguenti «Considerato in diritto»), mentre l'art. 7, comma 4, introduce una ipotesi di decadenza non disciplinata ne' dalla normativa statale di riferimento, ne' dalla normativa regionale, in assenza di intesa Stato regioni; inoltre, l'art. 2 consente una immotivata deroga all'obbligo di attingere dall'elenco nazionale di cui all'art. 1 del decreto legislativo n. 171/2016; ancora, sempre l'art. 2 deroga in termini immotivati all'art. 2 del medesimo decreto legislativo; infine, mentre l'art. 8 del decreto legislativo n. 171/2016 aveva previsto che dalla modifiche di settore non sarebbe dovuta sopravvenire nessuna nuova spesa, mentre l'art. 2 impingua sostanzialmente le spese, ed il mancato previo raggiungimento di intesa in sede di Conferenza su tali nuovi oneri determina la lamentata violazione anche sotto tale diverso profilo.

In dettaglio, si conferisce il potere di nomina al Commissario o al Ministro, seppur previa intesa con la regione; si consente la nomina anche al di fuori dell'elenco nazionale di cui all'art. 1 del decreto legislativo n. 171/2016, derogato senza intese; inoltre, si introduce una ipotesi di decadenza degli organi eventualmente gia' nominati alla regione, non disciplinata dal decreto legislativo n. 171/2016; si prevede la possibilita' di nomina di un Commissario per piu' aziende del S.S.R.

Pare efficace richiamare, a sostegno del vizio lamentato, la sentenza n. 251/2016 di codesta Ecc.ma Corte costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale l'art. 11 della legge n. 124/2015, anche nella parte in cui consentiva di adottare quello che poi sarebbe stato indicato come decreto legislativo n. 171/2016, non previa intesa con la Conferenza Stato regioni, ma solo previo parere della Conferenza unificata, in quanto, riguardando competenze concorrenti, come quella relativa alla disciplina della dirigenza sanitaria, l'intervento del legislatore statale, costituito dalla determinazione dei principi fondamentali in materia di tutela della salute, «deve muoversi nel rispetto del principio di leale collaborazione, indispensabile anche in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenze n. 26 e n. 1 del 2016, n. 140 del 2015, n. 44 del 2014, n. 237 del 2009, n. 168 e n. 50 del 2008). Poiche' le disposizioni impugnate toccano sfere di competenza esclusivamente statali e regionali, il luogo idoneo di espressione della leale collaborazione deve essere individuato nella Conferenza Stato-regioni».

Non e' in discussione, quindi, che qualunque intervento legislativo che incida sull'assetto delineato dal decreto legislativo n. 171/2016 - come accaduto, ad esempio, al momento dell'adozione del decreto legislativo n. 126/2017, correttivo di alcune disposizioni del decreto legislativo n. 171 - debba - per inequivoca statuizione di codesta Corte - necessariamente essere preceduto da intesa in sede di Conferenza Stato regioni, ivi comprese le deroghe/modifiche introdotte col decreto-legge per come convertito oggetto di impugnativa; come gia' sopra dedotto, la norma impugnata incide - comprimendole in via ormai non piu' eccezionale, e per un periodo temporale estremamente lungo - sulle competenze regionali, in materia di legislazione concorrente (tutela della salute); le ragioni delle lamentate lesioni/compressioni risiedono nella privazione del potere della Giunta di nomina di Commissari delle aziende (art. 20, comma 2, della legge regionale n. 29/2002) e degli organi ordinari (legge regionale n. 11/2004), nel conferimento di potere di nomina, anche «multiplo», pure al di fuori dell'elenco obbligatorio sopra citato, e nella previsione di una ipotesi di «cessazione dalle funzioni» non disciplinata dal decreto legislativo n. 171/2016, e non assistita da intesa Stato regioni.

7) Violazione articoli 81, 117, 119, 121 della Costituzione e del principio leale collaborazione.

L'art. 3, comma 1, del decreto-legge - come gia' sopra esposto - obbliga gli enti del Servizio sanitario della regione ad avvalersi, oltre che della centrale di committenza S.U.A., di Consip in via principale, ovvero di altre centrali di committenza di regioni «limitrofe» «singolarissima scelta terminologica, di vaghezza fortemente censurabile» per l'affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture, superiori alle soglie comunitarie, con facolta' di avvalersi del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per la Sicilia-Calabria: in disparte la gia' sopra esposta, singolarissima interpretazione che il Commissario ha dato della norma, cio' determina, innanzi tutto, la lamentata violazione degli articoli 117, comma 3, e 121 della Costituzione.

La Stazione Unica Appaltante e' stata istituita nel lontano 2007 (legge regionale n. 26/2007), prevedendo all'art. 1, comma 1, come obbligatorio il ricorso alla S.U.A. - tra gli altri - per gli enti appartenenti al S.S.N.: consentendo ad libitum al Commissario (che essendo gia' delegato governativo, non puo' subdelegare proprie competenze, per di piu' alla propria struttura) di ricorre in via preliminare a Consip, o anche, in via subordinata, di nuovo ad altre centrali di committenza, pare evidente che lo Stato abbia emanato norma non di principio, ma di estremo dettaglio in materia di legislazione concorrente (vedi esattamente in termini sulla competenza regionale, le sentenze di codesta Corte n. 43/2011, punti 4 e 5 «Considerato in diritto» e 166/2019, punti 8.1 e 8.2 «Considerato in diritto»); peraltro, si valutino i seguenti dati, in relazione alle «preoccupazioni» esposte in udienza e richiamate al punto 2) del presente ricorso.

Con la gia' citata sentenza n. 233/2019, codesta Corte chiari' che le gare in corso potevano essere completate dalla S.U.A., che ha provveduto immediatamente; con convenzione «si e' gia' allegato al ricorso n. 105/2020 lo schema, approvato con DCA n. 156 del 26 novembre 2019» il precedente Commissario, senza mai utilizzare Consip, sceglieva di valersi della campana Soresa come centrale di committenza e le uniche due procedure gestite da Soresa sono state «completate» il 3 novembre 2020 «sono gia' stati prodotti nel ricorso n. 105/2020 i D.C.A numeri 139/2020 e 140/2020»!!!   Preso seppur tardivamente atto del problema, il legislatore, con la legge n. 120/2020 aveva modificato l'art. 6 del decreto-legge n. 35/2019, sostituendo le parole: «di centrali di committenza di altre regioni» con «dalla centrale di committenza della Regione Calabria»; neanche il tempo di provare a riavviare l'attivita' della S.U.A. in materia - pur senza stipulare alcuna convenzione - ed ecco cessare i propri effetti l'art. 6 per come «rimodulato» ed intervenire la norma impugnata, che - come un perverso gioco dell'oca - riporta la regione quasi al punto di partenza, anche nella versione derivante dalla conversione.

Considerando che l'attuale Commissario, da un lato, non stipula le convenzioni ne' utilizza Consip secondo la previsione normativa, e, dall'altro, demanda a soggetto diverso da quello previsto dalla norma stessa l'utilizzo di tale norma per fini palesemente estranei alla previsione normativa, vi e' la ragionevole certezza che la regione si trovera' nuovamente a subire il trattamento sopra descritto, consentendo la norma impugnata un trattamento che mette nuovamente e direttamente a repentaglio la salute dei cittadini calabresi.

Inoltre, la norma contrasta anche con gli articoli 81, comma 4, 117 e 119 della Costituzione: come sopra esposto, per contenere i costi e' stato predeterminato in sede di Piano di rientro un abbattimento dei costi per il ricorso solo alla S.U.A., e la S.U.A. - proprio perche' struttura regionale - non sopporta costi di difesa in giudizio, essendo assistita dall'Avvocatura regionale, mentre il ricorso ad altre Stazioni appaltanti - compresa Consip - puo' avvenire senza limiti di costo, ed infatti - come ricavabile dall'art. 6 dello schema di convenzione allegato - il Commissario aveva garantito a Soresa non solo il pieno rimborso delle spese vive sostenute dalla centrale di committenza per la pubblicazione dei bandi di gara e degli avvisi di aggiudicazione secondo quanto previsto dagli articoli 72, 73 e 98 del Codice; il costo delle eventuali indennita' riconosciute ai componenti della Commissione giudicatrice; il costo del corrispettivo per singola procedura, ma anche il rimborso senza limiti delle spese di giudizio; codesta Ecc.ma Corte, sin dalla pronuncia n. 214/2012 , ha sempre rimarcato la necessita' che la stima della copertura della spesa sia fatta «in modo credibile», il che, con tutta evidenza, non riguarda tale disposizione, che risulta totalmente priva di copertura finanziaria «soprattutto nella interpretazione che dimostra di darne il Commissario» e, peraltro, impatta sul bilancio regionale, che vedra' aggravare ulteriormente la propria sofferenza da tale incontrollato «e sia consentito dirlo, palesemente inefficace e costoso» ricorso a centrali di committenza esterne ed improprio utilizzo, impatto allo stato non quantificabile solo perche' dipendera' esclusivamente dalle iniziative del Commissario, documentate come assolutamente improprie nella loro prima applicazione.

8) Violazione articoli 3, 81, 97, 117, 119, 120, 8 della legge n. 131/2003, e del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.

L'art. 6, comma 2, condiziona l'erogazione delle somme previste dal comma 1 alla presentazione e approvazione del programma operativo di prosecuzione del Piano di rientro per il periodo 2022-2023 e alla sottoscrizione di uno specifico Accordo tra lo Stato e le regioni contenente le modalita' di erogazione di dette risorse, pur prevedendo una erogazione anche per l'anno 2021, mentre il comma 3 demanda la verifica del contenuto dell'accordo congiuntamente al Comitato permanente per l'erogazione dei LEA e al Tavolo di verifica degli adempimenti.

La norma prova l'intenzione statale di protrarre sine die, e certamente addirittura oltre la stessa vigenza della norma, la dannosa compressione di competenze/espropriazione del servizio sanitario regionale calabrese.

Pare assolutamente opportuno riportare inciso quanto mai calzante della sentenza n. 199/2018 di codesta Corte: «questa Corte non puo' esimersi dal rilevare l'anomalia di un commissariamento della sanita' regionale protratto per oltre un decennio, senza che l'obiettivo del risanamento finanziario sia stato raggiunto, con tutte le ripercussioni che esso determina anche sugli equilibri della forma di governo regionale, a causa del perdurante esautoramento del Consiglio e della stessa Giunta a favore del Commissario ad acta», ossia l'anomalia in essere in Calabria, che in realta' e' ancora peggiore, per il documentato peggioramento della situazione durante il commissariamento.

Cio' detto, la norma pone nel 2020 come condizioni per l'erogazione di fondi anche per l'anno 2021 - nel quale, per ammissione contenuta nella stessa norma, essa parrebbe particolarmente urgente, anche per il gia' censurato effetto del divieto di spese non obbligatorie sino a fine 2021 - presentazione ed approvazione di un Programma operativo che non verra' adottato prima a del 2022; in pratica, il susseguirsi di Programmi operativi sistematicamente non attuati, ed approvati con abnorme ritardo - da qui, la questione esposta al punto successivo - e' solo il metodo attraverso il quale l'anomalia evidenziata da codesta Corte viene perpetuata ed aggravata in Calabria, ed e' solo l'ennesima prova del disegno statale; e' fermo della giurisprudenza di codesta Corte quello secondo il quale il principio di leale collaborazione deve essere applicato» all'interno di un procedimento nel quale l'ente sostituito possa far valere le proprie ragioni (ex plurimis, sentenza n. 56/2018), e a tale principio «deve essere sempre improntato il comportamento di Stato e regioni.» (sentenza n. 57/2019), ma le ragioni dell'ente non possono essere fatte valere in alcun modo.

Su tali presupposti, non pare discutibile che lo Stato stia apertamente violando il principio di leale collaborazione: porre come condizione per l'erogazione di fondi che hanno come pretesa finalita' «supportare gli interventi di potenziamento del servizio sanitario regionale stante la grave situazione economico-finanziaria e sanitaria presente nella Regione Calabria» un evento futuro ed incerto, che - nell'ipotesi piu' ottimistica - sara' approvato nel 2022, e la cui approvazione - che potrebbe avvenire, secondo l'interpretazione avallata da codesta Corte con la sentenza n. 200/2019, anche nel 2023 o successivamente - vorra' automaticamente significare l'estensione per almeno un altro biennio del commissariamento, significa venir evidentemente meno alle regole sopra piu' volte richiamate che devono necessariamente contraddistinguere i rapporti tra lo Stato e la regione.

La norma, inoltre, viola gli articoli 81, 117 e 119 della Costituzione, demandando all'evento futuro ed incerto sopra indicato l'erogazione di fondi, la necessita' dell'erogazione dei quali lo stesso Stato qualifica come urgentissima, determina una «entrata» meramente illusoria e non utilizzabile nell'immediatezza, causando in concreto una falla nel bilancio regionale, pur gravato nei termini gia' sopra descritti.

La norma infine, per come congegnata, viola gli articoli 117, comma 3, 3 e 97 della Costituzione: in materia di competenza concorrente (tutela della salute e del coordinamento della finanza pubblica) non consente alla regione l'equilibrio di bilancio, rendendo sostanzialmente non percepibili somme aggiuntive che pure indica come indispensabili per contribuire alla soluzione dei problemi del sistema sanitario calabrese, ponendo cosi' un ostacolo al riequilibrio della situazione calabrese determinata dallo stesso Stato.

9) Questione di L.C. in via «incidentale»   Deve anche in questa sede rivolgersi a codesta Corte istanza analoga a quella gia' rivolta con il ricorso n. 105/2020 R.R.

La Regione ricorrente intende qui sollecitare - anche alla luce di quanto sopra esposto - la possibilita' che la Corte valuti - ove la questione appresso evidenziata sia rilevante e non manifestamente infondata - di attivare tale meccanismo, e, soprattutto, rivaluti - melius re perpensa - l'arresto contenuto nella pronuncia n. 200/2019, secondo il quale il sistema in atto «in realta' non prevede una prosecuzione del Commissariamento sine die, ma consente il ritorno alla gestione ordinaria una volta raggiunti gli obiettivi del piano».

A tal fine, si espone quanto appreso.

Il combinato disposto dei commi 88 e 88-bis dell'art. 2, legge n. 191/2009 prevede che i programmi operativi predisposti dal Commissario nelle regioni sottoposte ai Piani di rientro costituiscano non solo una prosecuzione ma anche un aggiornamento del Piano, tenuto conto del possibile mutato quadro ordinamentale di riferimento in termini di finanziamento assicurato dallo Stato e di nuovi obblighi pattizi o legislativi in capo alle regioni: a avviso della regione ricorrente, tale disciplina si pone in contrasto con parametri costituzionali diretti ed interposti.

Come gia' sopra evidenziato, l'art. 5 della Costituzione riconosce e promuove le autonomie locali; l'art. 121 della Costituzione prevede che il potere legislativo della regione sia esercitato dal Consiglio regionale, e che la rappresentanza della regione sia individuata in capo al Presidente della Giunta; l'art. 120, comma 2, della Costituzione, pone come preciso limite al potere sostitutivo statale l'esercizio dello stesso secondo i principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione; anche per i casi di urgenza, l'art. 8, comma 1, della legge n. 131/2003 prevede che venga sentito sentito l'organo interessato e che alla riunione del CdM partecipi il Presidente della Regione, ed il comma 4 della medesima norma quanto meno il coinvolgimento della Conferenza Stato regioni, la quale puo' chiedere il riesame del provvedimento; l'art. 2, comma 78, legge n. 191/2009 prevede che il Piano venga valutato dalla struttura tecnica di monitoraggio e dalla Conferenza permanente Stato regioni: insomma, vista la delicatezza dell'esercizio del potere sostitutivo, che altera in modo estremamente incisivo l'organizzazione regionale ed i poteri a cio' collegati dalla Carta costituzionale, l'intero tessuto normativo «costituzionale ed ordinario» circonda di particolari garanzie partecipative l'adozione degli atti in materia.

Per contro, i commi sopra citati consentono, mediante atto unilaterale del Commissario «il Programma operativo» sia la prosecuzione che l'aggiornamento del Piano, senza alcun coinvolgimento della Regione commissariata, e senza alcun coinvolgimento della Conferenza Stato regioni: tale profilo non e' stato in alcun modo scrutinato da codesta Corte con la sentenza n. 200/2019, e si chiede che venga qui scrutinato, essendo evidente la pervasivita' del meccanismo che consente la mutazione «genetica» del Piano di rientro - il Commissario sarebbe incaricato dell'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la regione interessata, e codesta Corte ha a piu' riprese sottolineato la vincolativita' dei Piani di rientro per le regioni «che li abbiano liberamente sottoscritti (ex plurimis, sentenza n. 79/2013) - da accordo Stato/regione, con coinvolgimento della Conferenza Stato regioni, ad atto totalmente unilaterale «si veda, sulla necessita' di forme di coinvolgimento della regione in ipotesi di interventi in materia a competenza concorrente, la pronuncia di codesta Corte n. 56/2019» in quanto e' ormai dimostrato che in Calabria dipende solo dal Commissario protrarre il commissariamento, mediante l'adozione di ripetuti Programmi operativi, che lo stesso Commissario poi non porta a termine, e con lo Stato che utilizza le inadempienze commissariate, per perpetuare ed aggravare la compressione delle competenze regionali, creando un corto circuito istituzionale senza precedenti e di inaudita gravita'.

La questione e' rilevante perche', come sopra esposto sub 3) attualmente, il Piano di rientro attualmente vigente, e sul quale incide la normativa qui impugnata, e' stato appunto prorogato col DCA 57/2020 «che si produce».

Che, poi, in concreto, la Stato intenda non porre alcun limite temporale a tale prosecuzione e/o aggiornamento per la Regione Calabria, risultando affidato al solo Commissario protrarre anche sine die il Commissariamento, mediante l'adozione di ripetuti Programmi operativi, e' dimostrato non solo dal «riepilogo» dell'ultradecennale commissariamento sopra descritto, ma anche dall'intero compendio normativo qui impugnato, ed in particolare dall'art. 6, comma 2 - che gia' prefigura ulteriore estensione unilaterale del Piano di rientro, e quindi del commissariamento - e dall'art. 7, comma 3, che consente l'aggiornamento del mandato commissariale, limitando pero' la «audizione» del Presidente della Regione ricorrente al solo aggiornamento del mandato commissariale, e non alla sua ulteriore prosecuzione - sempre possibile mediante il meccanismo unilaterale sopra indicato - nonche' al solo aggiornamento in relazione ai compiti affidati al Commissario in forza del Capo I, e non ad ogni ulteriore aggiornamento, anch'esso sempre possibile mediante il piu' volte indicato meccanismo unilaterale.

Si chiede quindi a codesta Corte di voler rimeditare la decisione assunta nel non dare seguito ad analoga istanza, e, quindi - ove necessario ai fini della decisione, considerando in particolare che l'art. 7, comma 3, consente di aggiornare il mandato commissariale assegnato con delibera del 19 luglio 2019 anche con riferimento al Commissario ad acta» - che codesta Corte voglia valutare di sollevare avanti a se medesima questione di l.c. dell'art. 2, commi 88 e 88-bis, legge n. 191/2009, per violazione degli articoli 5, 120 e 121 della Costituzione; 8 della legge n. 131/2003 e 2, comma 78, della legge n. 191/2009, nonche' del principio di leale collaborazione per come declinato dagli articoli appena citati, nella parte in cui consentono - senza alcun meccanismo di coinvolgimento della regione e/o della Conferenza Stato regioni - di proseguire ed aggiornare mediante atto unilaterale del Commissario il Piano di rientro ed il correlato commissariamento, anche per compiti non affidati al Commissario col Capo I della decreto-legge impugnato, per come convertito.

 

Istanza di riunione

 

Si chiede che il sig. Presidente voglia consentire la trattazione del presente ricorso unitamente al ricorso n. 105/2020 R.R. gia' sopra richiamato, al fine di disporne - ex art. 22 Norme Integrative - la trattazione alla medesima udienza; si chiede inoltre espressamente che il sig. Presidente valuti, nei limiti del possibile, una pronta fissazione di entrambi i ricorsi.

 

P. Q. M.

 

Pertanto si insiste perche' l'adita Corte costituzionale voglia, per le ragioni sopra espresse, dichiarare - previa riunione del presente giudizio al giudizio n. 105/2020 R.R. - l'illegittimita' costituzionale degli articoli impugnati, nei limiti dell'impugnazione proposta, per violazione degli articoli della Costituzione e delle altre norme di principio indicati nel corpo del ricorso, nonche' del principio di leale collaborazione, il tutto anche in esito a eventuale questione di l.c. come sopra articolata in via incidentale.

Si producono, unitamente ai documenti richiamati nel corpo del ricorso come prodotti, D.G.R. n. 8/2021 che autorizza la proposizione del ricorso, e decreto del Coordinatore dell'Avvocatura di indicazione difensore.

Salvis juribus

L'avvocato: Naimo