RICORSO N. 74 DEL 28 AGOSTO 2020 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 28 agosto 2020.

(GU n. 42 del 14.10.2020)

 

Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri (c.f. n. 80188230587), rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato (c.f. n. 80224030587) presso cui e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12 (ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it - fax 06/96514000);   Contro Provincia autonoma di Trento in persona del Presidente pro tempore della Giunta provinciale;   Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge provinciale della Provincia autonoma di Trento 3 luglio 2020, n. 4, pubblicata nel Bollettino Ufficiale Trentino-Alto Adige 3 luglio 2020, n. 27, Numero straordinario n. 11 relativamente alle seguenti disposizioni: art. 1 (delibera del Consiglio dei ministri del 7 agosto 2020).

L'art. 31 del decreto-legge nn. 201/2011, conv. in legge n. 214/2011, dispone: «1. In materia di esercizi commerciali, all'art. 3, comma 1, lettera d-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sono soppresse le parole: «in via sperimentale» e dopo le parole «dell'esercizio» sono soppresse le seguenti «ubicato nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle localita' turistiche o citta' d'arte».

2. Secondo la disciplina dell'Unione europea e nazionale in materia di concorrenza, liberta' di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la liberta' di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali. Le regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.»   Di conseguenza, il testo attuale dell'art. 3, decreto-legge n. 223/2006 e' il seguente:   «3. Regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale.

1. Ai sensi delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la liberta' di concorrenza secondo condizioni di pari opportunita' ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonche' di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme, di condizioni di accessibilita' all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell'art. 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione, le attivita' commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni:   a) l'iscrizione a registri abilitanti ovvero possesso di requisiti professionali soggettivi per l'esercizio di attivita' commerciali, fatti salvi quelli riguardanti il settore alimentare e della somministrazione degli alimenti e delle bevande;   b) il rispetto di distanze minime obbligatorie tra attivita' commerciali appartenenti alla medesima tipologia di esercizio;   c) le limitazioni quantitative all'assortimento merceologico offerto negli esercizi commerciali, fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non alimentare;   d) il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale;   d-bis) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonche' quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio;   e) la fissazione di divieti ad effettuare vendite promozionali, a meno che non siano prescritti dal diritto comunitario;   f) l'ottenimento di autorizzazioni preventive e le limitazioni di ordine temporale o quantitativo allo svolgimento di vendite promozionali di prodotti, effettuate all'interno degli esercizi commerciali, tranne che nei periodi immediatamente precedenti i saldi di fine stagione per i medesimi prodotti;   f-bis) il divieto o l'ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie.

2. Sono fatte salve le disposizioni che disciplinano le vendite sottocosto e i saldi di fine stagione.

3. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari statali di disciplina del settore della distribuzione commerciale incompatibili con le disposizioni di cui al comma 1.

4. Le regioni e gli enti locali adeguano le proprie disposizioni legislative e regolamentari ai principi e alle disposizioni di cui al comma 1 entro il 1° gennaio 2007.»   L'art. 1, commi 1, 2, 4 del decreto-legge n. 1/2012 conv. in legge n. 27/2012 ha poi previsto:   «1. Fermo restando quanto previsto dall'art. 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in attuazione del principio di liberta' di iniziativa economica sancito dall'art. 41 della Costituzione e del principio di concorrenza sancito dal Trattato dell'Unione europea, sono abrogate, dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 3 del presente articolo e secondo le previsioni del presente articolo:   a) le norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso dell'amministrazione comunque denominati per l'avvio di un'attivita' economica non giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario nel rispetto del principio di proporzionalita';   b) le norme che pongono divieti e restrizioni alle attivita' economiche non adeguati o non proporzionati alle finalita' pubbliche perseguite, nonche' le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalita' economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalita' pubbliche dichiarate e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l'avvio di nuove attivita' economiche o l'ingresso di nuovi operatori economici ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori gia' presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi, ovvero impediscono, limitano o condizionano l'offerta di prodotti e servizi al consumatore, nel tempo nello spazio o nelle modalita', ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici oppure limitano o condizionano le tutele dei consumatori nei loro confronti.

2. Le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all'accesso ed all'esercizio delle attivita' economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalita' di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata e' libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunita' tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana e possibili contrasti con l'utilita' sociale, con l'ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica.

4. I comuni, le province, le citta' metropolitane e le regioni si adeguano ai principi e alle regole di cui ai commi 1, 2 e 3 entro il 31 dicembre 2012, fermi restando i poteri sostitutivi dello Stato ai sensi dell'art. 120 della Costituzione. A decorrere dall'anno 2013, il predetto adeguamento costituisce elemento di valutazione della virtuosita' degli stessi enti ai sensi dell'art. 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. A tal fine la Presidenza del Consiglio dei ministri, nell'ambito dei compiti di cui all'art. 4, comunica, entro il termine perentorio del 31 gennaio di ciascun anno, al Ministero dell'economia e delle finanze gli enti che hanno provveduto all'applicazione delle procedure previste dal presente articolo. In caso di mancata comunicazione entro il termine di cui al periodo precedente, si prescinde dal predetto elemento di valutazione della virtuosita'. Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano procedono all'adeguamento secondo le previsioni dei rispettivi statuti.»   Come emerge dalla vicenda normativa statale appena riportata, il legislatore statale con il decreto-legge n. 201/2011 conv. in legge n. 214/2011 ha ritenuto che l'eliminazione definitiva di vincoli di apertura oraria e di obblighi di chiusura domenicale e festiva degli esercizi di vendita al dettaglio, prevista in via sperimentale con il decreto-legge n. 223/2006 (come integrato dall'art. 35, decreto-legge n. 98/2011, che aveva introdotto l'originaria lettera «d bis» che prevedeva la rimozione dei vincoli solo in via sperimentale), potesse costituire, in base all'esperienza verificata nell'applicazione di tale normativa, una misura idonea ad ampliare la concorrenza nel commercio al dettaglio, e ad imprimere cosi' maggiore sviluppo ed efficienza a tale settore economico.

In questo contesto si inserisce l'art. 1 della legge provinciale trentina n. 4/2020, qui impugnato.

Le disposizioni in esso contenute (comprese le integrazioni al comma 6 e l'aggiunta del comma 6-bis operate con la legge provinciale 6 agosto 2020, n. 6, evidenziate in neretto) prevedono:   «1. Per favorire la conservazione delle peculiarita' socio-culturali e paesaggistico-ambientali, gli esercizi di vendita al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva, fatto salvo quanto previsto da quest'articolo in relazione all'attrattivita' turistica dei territori e a garanzia del pluralismo nella concorrenza.

2. La Giunta provinciale individua con propria deliberazione i comuni ad elevata intensita' turistica o attrattivita' commerciale/turistica nei quali e' ammessa l'apertura degli esercizi di vendita al dettaglio anche nelle giornate domenicali e festive. La deliberazione puo' individuare i periodi di apertura degli esercizi, con riferimento alla vocazione turistica dei territori, o specifiche aree dei territori comunali in cui si limita la possibilita' di apertura, sempre nel rispetto degli obiettivi del comma 1.

3. La Giunta provinciale entro il 31 ottobre 2020, quale modalita' ordinaria, modifica o integra la deliberazione prevista dal comma 2 acquisendo preventivamente il parere del Consiglio delle autonomie locali, delle associazioni dei consumatori riconosciute a livello locale, delle associazioni datoriali del commercio e delle associazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello locale.

4. In occasione di grandi eventi o manifestazioni che richiamano un notevole afflusso di persone i comuni possono derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva per un massimo di diciotto giornate annue. I comuni acquisiscono il parere delle associazioni dei consumatori riconosciute a livello locale, delle associazioni datoriali del commercio e delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello locale in ordine alla programmazione di queste deroghe.

5. Quest'articolo non si applica a:   a) i soggetti e le attivita' indicati dagli articoli 2 e 27, comma 2, della legge provinciale 30 luglio 2010, n. 17 (legge provinciale sul commercio 2010);   b) gli esercizi commerciali interni ai campeggi, villaggi e complessi turistici e alberghieri che effettuano la vendita esclusivamente a favore delle persone alloggiate;   c) gli esercizi di vendita al dettaglio situati nelle aree di servizio lungo le autostrade, nelle stazioni ferroviarie, di autolinee e aeroportuali;   d) gli impianti di distribuzione automatica di carburante;   e) le ulteriori attivita' individuate dalla Giunta provinciale.

6. La violazione di quest'articolo e' punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 200 a 1.200 euro e contestualmente con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione dell'attivita' per un periodo da uno a sette giorni; in caso di recidiva la sanzione accessoria e' raddoppiata. Per l'applicazione delle sanzioni si osserva la legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale); l'emissione dell'ordinanza-ingiunzione o dell'ordinanza di archiviazione di cui all'art. 18 della legge n. 689 del 1981 nonche' l'adozione della sanzione amministrativa accessoria spettano al comune territorialmente competente. Le somme riscosse ai sensi di questo comma sono introitate nel bilancio del comune competente.

6-bis. In prima applicazione per l'anno 2020, i comuni possono derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva per un massimo di dodici giornate, previo parere delle associazioni dei consumatori riconosciute a livello locale, delle associazioni datoriali del commercio e delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello locale in ordine alla programmazione di queste deroghe. L'art. 1, comma 4, si applica a decorrere dal 1° gennaio 2021».

Le disposizioni provinciali, come si vede, confermano nel comma 1 l'obbligo di chiusura domenicale e festiva, salvo le limitate deroghe previste nel comma 5. Inoltre, la normativa provinciale nel comma 2 subordina ad una delibera della giunta provinciale (in effetti adottata con provvedimento n. 891/2020) l'individuazione de «i comuni ad elevata intensita' turistica o attrattivita' commerciale/turistica nei quali e' ammessa l'apertura degli esercizi di vendita al dettaglio anche nelle giornate domenicali e festive. La deliberazione puo' individuare i periodi di apertura degli esercizi». Il comma 4, infine, autorizza i comuni a derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva, per non oltre diciotto giornate annue, «in occasione di grandi eventi o manifestazioni che richiamano un notevole afflusso di persone».

Appare evidente il contrasto della normativa provinciale impugnata con i principi fissati dalla nuova normativa statale riportata all'inizio.

Gli interventi statali abolitivi dei limiti orari e festivi all'apertura degli esercizi di vendita al dettaglio tendono a realizzare, per espressa dichiarazione dell'art. 31, comma 2, decreto-legge n. 201/2011 e dell'art. 3 comma 1, decreto-legge n. 223/2006, migliori condizioni di competitivita' del settore, accrescendo le possibilita' dei consumatori di accedere ai servizi commerciali al dettaglio e rimuovendo le disparita' territoriali (spesso a base microcomunale) che determinano notorie e gravi distorsioni nella concorrenza del settore, tanto dal punto di vista dello svolgimento in atto dei servizi commerciali, quanto dal punto di vista dell'insediamento dei nuovi esercizi di vendita.

Le norme statali in materia di rimozione delle limitazioni orarie e festive al commercio al dettaglio costituiscono quindi esercizio della competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza (art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione), che la Provincia ha violato dettando disposizioni che si contrappongono alla liberalizzazione assoluta voluta dalla legge statale e reintroducono, invece, un regime limitativo caratterizzato da un divieto generale di apertura festiva, e dall'attribuzione alla pubblica amministrazione (Giunta provinciale nel caso del comma 2; comuni nel caso del comma 4) della possibilita' di consentire deroghe in ipotesi particolari.

Come si vedra', la materia della concorrenza e' «trasversale», e supera, quindi, le competenze settoriali in materia di commercio spettanti alle regioni e province autonome.

Fermo quanto ora osservato, nel disporre nel senso sopra indicato, chiaramente incompatibile con l'attuale disciplina statale, la Provincia di Trento ha comunque violato altresi' gli articoli 4, 5, 9 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, di cui al dpr n. 670/72.

L'art. 9 dello statuto attribuisce infatti alle province autonome la competenza legislativa in materia di commercio (n. 3), ma in regime di competenza legislativa concorrente: l'art. 9 prevede infatti che tale competenza sia esercitata «nei limiti indicati dall'art. 5», che a sua volta richiama (rinviando all'art. 4) «la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica» e prevede, come propria specifica previsione, l'ulteriore limite costituito dai «principi stabiliti dalle leggi dello Stato» (donde il carattere concorrente della legislazione provinciale in materia di commercio).

A conclusione non diversa si perviene anche se, applicando l'art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001, che estende alle regioni e province ad autonomia speciale le norme del nuovo Titolo V della Costituzione qualora queste prevedano «forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite», si ascrive ora la disciplina del commercio alla competenza legislativa regionale residuale, ex art. 117, comma 4 della Costituzione.

Anche la competenza residuale va infatti esercitata nel rispetto delle competenze legislative esclusive dello Stato, e comunque ogni competenza legislativa provinciale, in forza del rinvio operato all'art. 4 statuto dagli articoli 8 e 9 dello statuto stesso, deve essere esercitata in armonia con la Costituzione, e dunque, per quanto qui rileva, con l'art. 117, comma 2, lettera e).

Il tema dei rapporti tra disciplina della concorrenza e disciplina dell'apertura oraria e festiva degli esercizi di vendita al dettaglio ha formato oggetto di una analisi attenta ed evolutiva nella giurisprudenza di codesta Corte.

Tale analisi ha trovato un approdo fondamentale nella sentenza n. 150/2011, ove codesta Corte ha affermato quanto segue: «la disciplina degli orari degli esercizi commerciali rientra nella materia «commercio» (sentenze n. 288 del 2010 e n. 350 del 2008), di competenza esclusiva residuale delle regioni, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost., e «il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), [...], si applica, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), soltanto alle regioni che non abbiano emanato una propria legislazione nella suddetta materia» (sentenze n. 288 e n. 247 del 2010, ordinanza n. 199 del 2006).

Si e' anche evidenziato che l'ascrivibilita' della disciplina degli orari degli esercizi commerciali alla materia «commercio» trova ulteriore conferma, a contrario, nell'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 223 del 2006.

Tale ultima norma, infatti, «nel dettare le regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale - al fine di garantire condizioni di pari opportunita' ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonche' di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilita' all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale - non ricomprende la disciplina degli orari e della chiusura domenicale o festiva nell'elenco degli ambiti normativi per i quali espressamente esclude che lo svolgimento di attivita' commerciali possa incontrare limiti e prescrizioni» (sentenza n. 288 del 2010).

Tuttavia, anche se la disciplina in esame e' riconducibile alla materia «commercio», di competenza regionale, e' comunque necessario valutare se la stessa, nel suo contenuto, determini o meno un vulnus alla tutela della concorrenza, tenendo presente che e' stata riconosciuta la possibilita', per le regioni, nell'esercizio della potesta' legislativa nei loro settori di competenza, di dettare norme che, indirettamente, producano effetti pro-concorrenziali.

Infatti la materia «tutela della concorrenza», di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, non ha solo un ambito oggettivamente individuabile che attiene alle misure legislative di tutela in senso proprio, quali ad esempio quelle che hanno ad oggetto gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalita' di controllo, ma, dato il suo carattere «finalistico», anche una portata piu' generale e trasversale, non preventivamente delimitabile, che deve essere valutata in concreto al momento dell'esercizio della potesta' legislativa sia dello Stato che delle regioni nelle materie di loro rispettiva competenza.

Nel caso di specie, la normativa regionale sull'apertura domenicale e festiva degli esercizi commerciali per la vendita al dettaglio non solo persegue il medesimo obiettivo di apertura al mercato e di eliminazione di barriere e vincoli al libero esplicarsi dell'attivita' economica che ha ispirato il decreto legislativo n. 114 del 1998, ma ne amplia la portata liberalizzatrice, aumentando, rispetto a quanto prevede l'art. 11 di tale decreto, il numero di giornate in cui e' consentita l'apertura domenicale e festiva, contribuendo, quindi, ad estendere l'area di libera scelta sia dei consumatori che delle imprese.

In conclusione, la Regione Abruzzo, con le norme impugnate, ha esercitato la propria competenza in materia di commercio, dettando una normativa che non solo non si pone in contrasto con gli obiettivi delle norme statali che disciplinano il mercato, tutelano e promuovono la concorrenza, ma che produce anche effetti pro-concorrenziali, sia pure in via marginale e indiretta».

L'impatto pro concorrenziale dell'abolizione delle limitazioni di apertura degli esercizi pubblici di vendita al dettaglio e' quindi un dato ormai acquisito alla giurisprudenza costituzionale, tanto che rende inattingibili dal legislatore statale eventuali leggi liberalizzatrici introdotte dalle regioni.

Cio' comporta, a maggior ragione, che sussista ormai il titolo del legislatore statale di intervenire sulla materia, quante volte ravvisi la necessita' di rimuovere pregiudizi all'assetto concorrenziale del mercato che derivano direttamente e immediatamente da quelle limitazioni.

Ora, e' dato pacifico, come gia' detto, che la molteplicita' di discipline locali delle limitazioni orarie e festive dell'apertura degli esercizi di vendita al dettaglio, spesso diversissime a minima distanza (nel caso p. es. di comuni di piccola estensione), distorce la concorrenza sia nell'erogazione dei servizi in questione, sia nella localizzazione delle nuove imprese di vendita. Cio' danneggia l'utenza e compromette l'efficienza concorrenziale del settore, che deve scontare barriere amministrative economicamente non giustificate.

In questo contesto, non puo' esservi dubbio sull'avvenuta traslazione della materia delle limitazioni orarie e festive, nella dimensione della rimozione delle stesse, alla competenza statale esclusiva ex art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione.

Cio', naturalmente, non significa che le regioni non possano legiferare nella materia, che come ha ribadito il citato precedente di codesta Corte rientra anche nella materia residuale «commercio».

Tuttavia, l'indubbia insorgenza del titolo esclusivo statale preclude interventi normativi regionali che abbiano per oggetto o per effetto la vanificazione della disciplina statale liberalizzatrice.

Le regioni, in definitiva, possono intervenire nella materia delle (rimosse) limitazione festive e orarie nel senso di far emergere le esigenze specificamente «commerciali», e come tali riconducibili alla suddetta competenza residuale, che potrebbero giustificare ancora talune ipotesi limitative. Ma e' evidente che in questo contesto la legislazione regionale consentita deve muovere dalla chiara e specifica indicazione gia' nella legge delle ragioni giustificatrici delle limitazioni, deve escludere ogni discrezionalita' amministrativa nel gestire le procedure di introduzione delle limitazioni, deve prevedere la temporaneita' delle limitazioni e la loro cessazione al termine del periodo prescritto, che dara' ingresso ad un nuovo esame della possibilita' di introdurle ancora o di modificarle. Solo in questo modo, la competenza legislativa regionale potra' esplicarsi in questa materia in modo coordinato con il principio di tutela della concorrenza espresso dall'abolizione delle limitazioni da parte della legge statale.

Previsioni come quelle impugnate, che da un lato reintroducono stringenti e rigidi limiti di apertura, e dall'altro rimettono alla non delimitata discrezionalita' delle amministrazioni provinciale e locali le deroghe a tali limiti, per giunta senza prevedere termini temporali di efficacia della normativa cosi' introdotta, producono invece l'effetto diretto di conservare la causa di distorsione del mercato insita nelle limitazioni cosi' connotate, che il legislatore statale ha inteso superare.

Interventi del tipo di quelli operati dall'art. 1 della legge regionale qui impugnata, per le ragioni ora illustrate invadono quindi l'ambito di intervento che nella materia si e' aperto alla legislazione statale di tutela della concorrenza, e violano palesemente l'art. 117, comma 2, lettera e) della Cost., oltre che i gia' richiamati parametri statutari e l'art. 117, comma 4 della Costituzione.

Proseguendo nell'analisi della giurisprudenza di codesta Corte, va ricordata la sentenza n. 299/2012, secondo cui «dalla natura trasversale della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza deriva che il titolo competenziale delle regioni a statuto speciale in materia di commercio non e' idoneo ad impedire il pieno esercizio della suddetta competenza statale e che la disciplina statale della concorrenza costituisce un limite alla disciplina che le medesime regioni possono adottare in altre materie di loro competenza».

La riconduzione della materia delle aperture degli esercizi commerciali alla materia statale della disciplina della concorrenza e' stata motivata da codesta Corte, in particolare, con la necessita' di dare al settore una disciplina territorialmente unitaria, in modo da prevenire le distorsioni che regimi differenziati, anche in ambiti territoriali molto vicini, determinano.

Si legge nella sentenza n. 8/2013: «affinche' l'obiettivo perseguito dal legislatore possa ottenere gli effetti sperati in termini di snellimento degli oneri gravanti sull'esercizio dell'iniziativa economica, l'azione di tutte le pubbliche amministrazioni - centrali regionali e locali - deve essere improntata ai medesimi principi, per evitare che le riforme introdotte ad un determinato livello di governo siano, nel fatti, vanificate dal diverso orientamento dell'uno o dell'altro degli ulteriori enti che compongono l'articolato sistema delle autonomie.

Quest'ultimo, infatti, risponde ad una logica che esige il concorso di tutti gli enti territoriali all'attuazione dei principi di simili riforme. A titolo esemplificativo, si puo' rammentare che persino gli statuti di autonomia speciale prevedono che le norme fondamentali delle riforme economico-sociali costituiscono vincoli ai rispettivi legislatori regionali e provinciali, che sono tenuti ad osservarle nell'esercizio di ogni tipo di competenza ad essi attribuita. Per queste ragioni, il principio di liberalizzazione delle attivita' economiche - adeguatamente temperato dalle esigenze dl tutela di altri beni di valore costituzionale - si rivolge tanto al governo centrale, quanto a comuni province, Citta' metropolitane e regioni, perche' solo con la convergenza dell'azione di tutti i soggetti pubblici esso puo' conseguire risultati apprezzabili».

Su questa base, e' costante la dichiarazione di illegittimita' costituzionale di normative regionali simili a quella qui in esame.

La sentenza 15 marzo 2013 n. 38, ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 5 della legge provinciale di Bolzano n. 7/2012, in ragione del fatto che la disposizione provinciale, «autorizzando la Giunta ad emanare appositi indirizzi in materia di orari di apertura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio, si presta a reintrodurre limiti e vincoli in contrasto con la normativa statale di liberalizzazione, cosi' invadendo la potesta' legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e violando, quindi, l'art 117, secondo comma, lettera e), Costituzione». La Corte ha aggiunto, inoltre, che «nel caso di specie, il vulnus al menzionato parametro costituzionale e' gia' insito nell'attribuzione alla Giunta provinciale del potere di assumere "appositi indirizzi" in materia devoluta alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Ancora, la sentenza 12 aprile 2013, n. 65 ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge regionale Veneto n. 30/2011 poiche' tale disposizione «detta una serie di rilevanti limitazioni e restrizioni degli orari e delle giornate di apertura e di chiusura al pubblico delle attivita' di commercio al dettaglio» che si pongono in contrasto con la disciplina statale in materia di orari e giornate di apertura e chiusura degli esercizi commerciali e, in particolare, con l'art. 3, legge n. 248/2006, come novellato dall'art. 31, legge n. 214/2011.

Nella sentenza 11 novembre 2016, n. 239 la Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale anche dell'art. 9 della legge regionale Puglia n. 24/2015 e, in questa occasione la Corte e' stata ferma nel ribadire che «la legislazione statale vigente e' perentoria nell'affermare che l'attivita' commerciale e' esercitata senza limiti e prescrizioni concernenti gli orari. Il divieto previsto riguarda, pertanto, ogni forma di regolazione, diretta o indiretta, degli orari di esercizio: sia quelle prescritte per via normativa, sia quelle frutto di accordi tra operatori economici».

In questo senso, le disposizioni regionali/provinciali limitative della liberta' di apertura degli esercizi commerciali sono state dichiarate «in contrasto con il perentorio e assoluto divieto contenuto nella descritta legislazione statale» e, in quanto tali, idonee a «determinare un vulnus dell'art. 117, secondo comma, lettera e) della Cost.»   Per l'effetto, «nel vigore del divieto di imporre limiti e prescrizioni sugli orari, stabilito dallo Stato nell'esercizio della sua competenza esclusiva a tutela della concorrenza, la disciplina regionale che intervenga per attenuare il divieto risulta illegittima sotto il profilo della violazione del riparto di competenze» (sentenza n. 239/2016 cit.).

Discende da quanto ora illustrato l'illegittimita' costituzionale del comma 1 dell'art. 1, che si contrappone frontalmente al principio di liberalizzazione dei giorni e degli orari di apertura, e reintroduce come principio l'opposto divieto di apertura domenicale e festiva, rimettendo poi ad un complesso sistema di provvedimenti amministrativi discrezionali l'introduzione di eventuali deroghe al divieto stesso.

La norma in esame non si sottrae a censura per il fatto di enunciare come propria finalita' la conservazione delle peculiarita' socio-culturali e paesaggistico-ambientali: si tratta di finalita' del tutto generiche, di cui non e' percepibile il rapporto con l'apertura o meno degli esercizi commerciali nei giorni domenicali e festivi. Non e' chiaro, in particolare, perche' solo nel territorio provinciale trentino sussisterebbero «peculiarita'» socio-culturali e paesaggistico-ambientali tali da consentire di vanificare la normativa statale di liberalizzazione; ne' in qual modo l'apertura domenicale e festiva degli esercizi commerciali comprometterebbe (e in modo cosi' irrimediabile da giustificare un divieto generalizzato) tali pretese peculiarita'.

Oltre che generica, l'enunciazione di tali finalita' e' contraddittoria con le disposizioni che seguono. Nei commi successivi, come si e' visto, e in particolare nei commi 2 e 4, si prevedono infatti poteri amministrativi di deroga all'obbligo di chiusura proprio in correlazione con l'elevata intensita' turistica di taluni comuni, o con lo svolgimento di eventi o manifestazioni atti a richiamare notevole afflusso di persone. Ora, proprio i comuni di maggiore interesse turistico sono quelli il cui territorio presenta il maggiore interesse paesaggistico e ambientale; e le manifestazioni atte ad attrarre notevole afflusso di persone sono spesso legate a usanze sociali e culturali proprie del territorio.

Tali valori, che la stessa legge provinciale nei commi 2 e 4 pone a base dei provvedimenti che consentono l'apertura domenicale e festiva, non possono quindi, nel comma 1, costituire la giustificazione generale del divieto di tali aperture.

Dall'illegittimita' costituzionale del comma 1 deriva poi l'illegittimita' costituzionale di tutti gli altri commi dell'art. 1.

Il comma 2 (e il comma 3, che si limita a prevedere l'integrazione successiva della delibera della Giunta provinciale prevista nel comma 2), attribuendo alla Giunta il potere di derogare al divieto di apertura con l'individuare i comuni di elevato interesse turistico nei quali cio' giustifica l'apertura domenicale e festiva, e' infatti meramente conseguenziale al divieto posto dal comma 1, e non sarebbe necessario se tale illegittimo divieto non fosse stato posto.

Le medesime considerazioni valgono, ovviamente, per il potere derogatorio attribuito ai comuni dal comma 4 in caso di eventi e manifestazioni; anche tale potere in tanto viene previsto in quanto sussiste il divieto di cui al comma 1.

Il comma 5 diviene, a sua volta, superfluo. Prevedere una serie di eccezioni al divieto di apertura domenicale e festiva non e' piu' necessario, qualora si ripristini il principio generale di libera apertura domenicale e festiva.

Inoltre, il comma 5 prevede, con il rinviare all'art. 2 della legge provinciale n. 17/2010, deroghe di portata piuttosto ampia, come mostra la semplice lettura dell'art. 2, che dichiara di applicarsi:   «a) alle farmacie, se vendono esclusivamente prodotti farmaceutici, specialita' medicinali, dispositivi medici e presidi medico-chirurgici;   b) ai titolari di rivendite di generi di monopolio, se vendono esclusivamente generi di monopolio;   c) alle associazioni dei produttori ortofrutticoli costituite ai sensi della legge 27 luglio 1967, n. 622 (Organizzazione del mercato nel settore dei prodotti ortofrutticoli);   d) ai produttori agricoli, singoli o associati, che esercitano attivita' di vendita di prodotti agricoli nei limiti previsti dall'art. 2135 del codice civile e dal decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'art. 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57);   e) fatto salvo quanto previsto dall'art. 7, agli artigiani iscritti nell'apposito albo e agli industriali che vendono nei locali di produzione o nei locali adiacenti beni di produzione propria o che forniscono al committente beni accessori all'esecuzione delle opere o alla prestazione dei servizi; a tal fine non sono considerati locali i mezzi mobili, come definiti dal regolamento di esecuzione; non sono considerati beni di produzione propria, inoltre, quelli per i quali l'artigiano o l'industriale si limita a operazioni accessorie o marginali rispetto all'attivita' di produzione;   f) ai pescatori e alle cooperative di pescatori, nonche' ai cacciatori, singoli o associati, che vendono al pubblico, al dettaglio, la cacciagione e i prodotti ittici provenienti esclusivamente dall'esercizio della loro attivita';   g) a coloro che esercitano la vendita dei prodotti da essi direttamente e legalmente raccolti su terreni soggetti a usi civici nell'esercizio dei diritti di erbatico, di fungatico e simili;   h) a chi vende o espone per la vendita le proprie opere d'arte, nonche' quelle dell'ingegno a carattere creativo, comprese le proprie pubblicazioni di natura scientifica o informativa, realizzate anche mediante supporto informatico;   i) alla vendita dei beni del fallimento effettuata esclusivamente nell'ambito delle procedure fallimentari;   j) agli enti pubblici oppure alle persone giuridiche private alle quali partecipano lo Stato o enti territoriali che vendono pubblicazioni o altro materiale informativo, anche su supporto informatico, di propria o altrui elaborazione, concernenti l'oggetto della loro attivita';   k) alle attivita' di cessione di materiale divulgativo, educativo e propagandistico esercitate direttamente dalla Provincia, dagli enti parco provinciali e dagli altri enti strumentali della provincia;   l) alle attivita' di cessione di prodotti cosmetici e curativi esercitate all'interno di centri termali accreditati»;   e dell'art. 27 comma 2, che dichiara di applicarsi:   «a) alle rivendite di riviste e giornali, agli esercizi che utilizzano unicamente le tabelle speciali previste dall'art. 19, alle gelaterie, rosticcerie, pasticcerie, agli esercizi specializzati nella vendita di bevande o di pane e latte o di generi di gastronomia di produzione locale, agli esercizi indicati nell'art. 61;   b) alle attivita' di vendita concernenti le seguenti tipologie di beni, se esercitate in forma specializzata:   1) mobili;   2) libri;   3) dischi, musicassette, videocassette, supporti audio e video in formato digitale;   4) opere d'arte, oggetti d'antiquariato, stampe;   5) cartoline, articoli da ricordo e artigianato locale;   6) fiori, piante e articoli da giardinaggio;   7) autoveicoli, cicli e motocicli;   c) alle attivita' di vendita e somministrazione di alimenti e bevande su posteggi isolati concessi dai comuni su area pubblica.»   E' evidente come gli effetti distorsivi della concorrenza a cui il principio di libera apertura intende porre rimedio siano aggravati da questa disposizione, che prevede ampie deroghe di tipo soggettivo (art. 2) e di tipo oggettivo (art. 27, comma 2). Non si comprende perche' solo i commercianti (art. 2) o i commerci (art. 27, comma 2) menzionati in tali disposizioni debbano essere privilegiati rispetto a tutti gli altri, anche se espressivi di forme di commercio atte a soddisfare identiche esigenze dei consumatori.

A tutto quanto esposte consegue infine l'illegittimita' derivata dei commi 6 e 6-bis: il primo prevede le sanzioni per la violazione del divieto costituzionalmente illegittimo posto dal comma 1; il secondo (probabilmente per tenere conto in extremis delle conseguenze economiche, soprattutto per il commercio al dettaglio, dell'emergenza sanitaria in corso) contiene una disposizione transitoria che autorizza i comuni, senza neppure dettare criteri direttivi di tale discrezionale decisione, a derogare in toto al divieto di cui all'art. 1 per il primo anno di applicazione della legge, e rinvia l'applicazione del comma 4 al 1° gennaio 2021.

Anche queste disposizioni poggiano sul presupposto che l'apertura domenicale e festiva sia vietata ai sensi del comma 1, laddove il dettato costituzionale sopra illustrato impone che essa sia consentita.

Al di la' della loro illegittimita' derivata da quella del comma 1, i commi 2 (con il 3) e 4 sono poi autonomamente illegittimi. Essi prevedono poteri amministrativi di disciplina dirigistica della concorrenza nel settore del commercio, come sono quelli provinciali e comunali che si esprimono nelle delibere della giunta e dei comuni volte ad autorizzare l'apertura domenicale e festiva nei casi ivi indicati.

Proprio in quanto configurano poteri amministrativi direttamente disciplinanti la concorrenza, le relative norme spettano alla competenza statale esclusiva ex art. 117, comma 2 lettera e) della Cost., e non possono essere dettate dalla Provincia, esulando, per tutto quanto si e' esposto in premessa, dalla materia del commercio.

La genericita', o meglio assenza, di criteri legali prescritti all'esercizio di tali poteri amministrativi, che si pongono come assolutamente discrezionali (in particolare nell'individuare i comuni ad elevata intensita' turistica, e le manifestazioni atte a richiamare un elevato numero di persone), ne comporta, poi, il carattere potenzialmente e direttamente discriminatorio e distorsivo della concorrenza, dimostrandone ancor piu' l'estraneita' alla materia del commercio e l'appartenenza alla materia «disciplina della concorrenza».

 

P.Q.M.

 

Cio' premesso, il Presidente del Consiglio dei ministri come sopra rapp.to e difeso ricorre a codesta Ecc.ma Corte costituzionale affinche' voglia dichiarare per i motivi sopra illustrati l'illegittimita' costituzionale della legge provinciale della Provincia autonoma di Trento 3 luglio 2020, n. 4, pubblicata nel Bollettino Ufficiale Trentino-Alto Adige 3 luglio 2020, n. 27, Numero straordinario n. 1, relativamente alle seguenti disposizioni: art. 1.

Si producono la delibera del Consiglio dei ministri del 7 agosto 2020 e la legge provinciale impugnata.

Roma, 25 agosto 2020

L'Avvocato dello Stato: Gentili