RICORSO N. 85 DEL 21 SETEMBRE 2020 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 21 settembre 2020.

(GU n. 45 del 4.11.2020)

 

Ricorso ex art. 127 della costituzione per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici e' domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi n. 12 - ricorrente; Contro la Regione autonoma Valle d'Aosta, in persona del Presidente della regione pro-tempore, con sede legale in Aosta alla piazza Albert Deffeyes n. 1 - intimata - per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 10, 13 commi 1 e 2, 14, 15, 22, 46, 77 commi 1, 2 lettere a), b), c), e), f), 5, 78, comma 2, lettere c) e d), comma 3, lettera a), nella parte in cui estende l'esonero dall'autorizzazione paesaggistica al di fuori delle ipotesi di cui al punto A.2 dell'allegato A al decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017, comma 4, lettere b), c) e d), comma 6, lettere b) e c), 81 comma 3, 91, commi 1, 2 e 3, della legge regionale 13 luglio 2020, n. 8 «Assestamento al bilancio di previsione della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste per l'anno 2020 e misure urgenti per contrastare gli effetti dell'emergenza epidemiologica da COVID-19», come da delibera del Consiglio dei ministri in data 7 agosto 2020 e sulla base di quanto specificato nell'allegata relazione del Ministro per i rapporti con le regioni.

Sul B.U.R. della Regione autonoma Valle d'Aosta n. 42 del 13 luglio 2020 e' stata pubblicata la legge n. 8, pari data, recante «Assestamento al bilancio di previsione della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste per l'anno 2020 e misure urgenti per contrastare gli effetti dell'emergenza epidemiologica da COVID -19».

Il Governo ritiene che gli articoli 10, 13, commi 1 e 2, 14, 15, 22, 46, 77, commi 1, 2, lettere a), b), c), e), f), 5, 78, comma 2, lettere c) e d), comma 3, lettera a), nella parte in cui estende l'esonero dall'autorizzazione paesaggistica al di fuori delle ipotesi di cui al punto A.2 dell'allegato A al decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017, comma 4, lettere b), c) e d), comma 6, lettere b) e c), 81, comma 3, 91, commi 1, 2 e 3, della suddetta legge regionale siano costituzionalmente illegittimi per i seguenti,

 

Motivi

 

1. Illegittimita' dell'art. 10 della legge della Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020, per violazione dei limiti delle competenze statutarie e degli articoli 3, 41, 97, 117, comma 2, lettera s) e 120 della Costituzione, in riferimento all'art. 3, comma 29, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.

L'art. 10, a decorrere dal 1° gennaio 2021, novella l'allegato A alla legge regionale 3 dicembre 2007, n. 31, recando modifiche riguardanti, in particolare, gli importi tariffari per il conferimento di rifiuti speciali non pericolosi di provenienza regionale ed extra regionale ammessi allo smaltimento in discarica per rifiuti non pericolosi, in difformita' rispetto a quanto stabilito dalla normativa nazionale vigente.

A tale riguardo occorre porre in rilievo che i criteri determinativi del tributo de quo sono stati stabiliti a livello statale dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica», che all'art. 3, comma 29, prevede che: «L'ammontare dell'imposta e' fissato, con legge della regione entro il 31 luglio di ogni anno per l'anno successivo, per chilogrammo di rifiuti conferiti: in misura non inferiore ad euro 0,001 e non superiore ad euro 0,01 per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per i rifiuti inerti ai sensi dell'art. 2 del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 13 marzo 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21 marzo 2003; in misura non inferiore ad euro 0,00517 e non superiore ad euro 0,02582 per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per rifiuti non pericolosi e pericolosi ai sensi degli articoli 3 e 4 del medesimo decreto».

La suddetta norma statale, quindi, in relazione ai rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per rifiuti non pericolosi, nel fissare l'ammontare dell'imposta da applicare a livello regionale in misura non inferiore ad euro 0,00517 e non superiore ad euro 0,02582, ed in assenza dunque di una specifica previsione che ne ancori la determinazione in base al criterio di provenienza del rifiuto stesso, rimanda agli articoli 3 e 4 del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 13 marzo 2003 (recante «Criteri di ammissibilita' dei rifiuti in discarica»), che alcuna analoga previsione recano al riguardo.

Tale differenza di tassazione applicata in relazione alla medesima tipologia di rifiuto e differenziata solo in base alla provenienza del rifiuto stesso, ovvero se di provenienza regionale od extra regionale, oltre a violare il suddetto parametro statale interposto di cui all'art. 3, comma 29, della legge n. 549 del 1995, comporta di fatto, in assenza di specifica previsione statale al riguardo, un ostacolo allo smaltimento dei rifiuti speciali prodotti fuori regione, delineando un sistema che viola il principio della libera circolazione sul territorio nazionale dei rifiuti speciali ponendosi, percio', in contrasto con gli articoli 182 e 182-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 che non ammettono alcuna limitazione alla circolazione dei rifiuti speciali da e verso altre regioni.

Siffatta previsione, si traduce, dunque, in una misura limitativa all'introduzione di rifiuti speciali non pericolosi di provenienza extra-regionale, comportando un ostacolo alla libera circolazione delle cose.

Da quanto dianzi posto in rilievo, deriva il contrasto della norma regionale de qua con i parametri di cui agli articoli 3, 41 e 120 della Costituzione, oltre che il contrasto con l'art. 117, secondo comma 2, lettera s), della Costituzione, atteso che la norma regionale in questione, intervenendo in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema attribuita in via esclusiva alla competenza legislativa dello Stato:   introduce un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti l'attivita' di smaltimento operanti al di fuori del territorio regionale;   restringe la liberta' di iniziativa economica in assenza di concrete e giustificate ragioni attinenti alla tutela della sicurezza, della liberta' e della dignita' umana, valori che non possono ritenersi posti in pericolo dall'attivita' di smaltimento controllato e ambientalmente compatibile dei rifiuti;   introduce un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le regioni, senza che sussistano ragioni giustificatrici, neppure di ordine sanitario o ambientale (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 335 del 2001), violando il vincolo generale imposto alle regioni dall'art. 120, primo comma, della Costituzione, che vieta ogni misura atta ad ostacolare «in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le regioni» (sentenze n. 10 del 2009; n. 164 del 2007; n. 247 del 2006; n. 62 del 2005 e n. 505 del 2002).

Codesta ecc.ma Corte, in relazione sempre all'anzidetto parametro costituzionale di cui all'art. 120 della Costituzione (sentenza n. 107 del 2018), dovendo vagliare la ragionevolezza delle leggi regionali che limitano i diritti con esso garantiti, ha ritenuto che «occorre esaminare: a) se si sia in presenza di un valore costituzionale in relazione al quale possano essere posti limiti alla libera circolazione delle cose o degli animali; b) se, nell'ambito del suddetto potere di limitazione, la Regione possegga una competenza che la legittimi a stabilire una disciplina differenziata a tutela di interessi costituzionalmente affidati alla sua cura; c) se il provvedimento adottato in attuazione del valore suindicato e nell'esercizio della predetta competenza sia stato emanato nel rispetto dei requisiti di legge e abbia un contenuto dispositivo ragionevolmente commisurato al raggiungimento delle finalita' giustificative dell'intervento limitativo della regione, cosi' da non costituire in concreto un ostacolo arbitrario alla libera circolazione delle cose fra regione e regione» (sentenza n. 51 del 1991).

Per le esposte motivazioni, si ritiene che l'art. 10 della legge della Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020 sia incostituzionale per violazione dei limiti delle competenze statutarie e degli articoli 3, 41, 97, 117, comma 2, lettera s) e 120 della Costituzione, in riferimento all'art. 3, comma 29, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.

2. Illegittimita' dell'art. 13, commi 1 e 2, della legge della Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020 per violazione dei limiti delle competenze statutarie, nonche' dell'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'art. 7, paragrafo 2, lettera f), e all'art. 53 della direttiva n. 2005/36/CE, dell'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione, che affida allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento civile, nonche' per violazione dell'art. 117, comma secondo, lettera q), Cosi., in materia di profilassi internazionale, considerata la connessa attrazione allo Stato delle funzioni normative e amministrative necessarie a garantire unitarieta' e omogeneita' nella gestione dell'emergenza, in relazione al parametro interposto costituito dalla normativa nazionale emanata in stato di emergenza epidemiologica, di cui al decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge n. 27/2020 (art. 2-ter, comma 1, art. 13), ed altresi' per violazione dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, che assegna allo Stato la competenza a definire i principi fondamentali in materia di «professioni», in relazione ai parametri interposti costituiti dall'art. 5 del decreto legislativo C.P.S. del 13 settembre 1946, n. 233, e successive modificazioni, e dall'art. 7 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, nonche' per violazione dell'art. 32 della Costituzione, per le finalita' di tutela della salute.

L'art. 13, comma 1, della legge regionale n. 8/2020 stabilisce: «Salvo quanto previsto dall'art. 42, comma 4, della legge regionale 25 gennaio 2000, n. 5 (Norme per la razionalizzazione dell'organizzazione del Servizio socio-sanitario regionale e per il miglioramento della qualita' e dell'appropriatezza delle prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali prodotte ed erogate nella regione), al fine di rafforzare l'offerta sanitaria regionale necessaria a fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, fino al 31 luglio 2022, nelle specialita' in cui si constati, con le modalita' e sulla base dei criteri stabiliti con deliberazione della Giunta regionale previo parere della Commissione consiliare competente, una rilevante carenza di personale sanitario cui non sia possibile far fronte attingendo dalle graduatorie di cui al predetto art. 42, l'Azienda regionale USL della Valle d'Aosta (Azienda USL) puo' assumere, a seguito di procedure concorsuali pubbliche, con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato di durata pari a ventiquattro o trentasei mesi, personale della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria, senza il preventivo accertamento della conoscenza della lingua francese o italiana, a condizione che detto personale si impegni:   a) a frequentare, fuori dall'orario di servizio, i corsi per l'apprendimento della lingua mancante, organizzati e finanziati, a decorrere dall'entrata in vigore della presente legge, dall'Azienda USL e a sostenere, con esito positivo, la prova di accertamento della conoscenza della lingua francese o italiana entro trentasei mesi dalla data di assunzione a tempo determinato. Il rapporto di lavoro si intende risolto di diritto in caso di mancato superamento della prova entro il predetto termine di trentasei mesi dalla data di assunzione a tempo determinato;   b) a partecipare, nei tre anni successivi alla data di superamento della prova di conoscenza della lingua francese o italiana, ai concorsi pubblici per l'assunzione a tempo indeterminato banditi, per la medesima o equipollente specialita', dall'Azienda USL;   c) a prestare servizio, in caso di assunzione all'esito dei concorsi di cui alla lettera b), presso le strutture dell'Azienda USL per un periodo minimo complessivo di tre anni, fermo restando quanto previsto dall'art. 14, comma 1, ai fini del riconoscimento dell'indennita' di attrattivita'».

Al fine di esplicitare i vizi che detta disposizione presenta, si rammenta, preliminarmente, che, per l'esercizio di una professione sanitaria, in Italia, e' obbligatoria, ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo C.P.S. del 13 settembre 1946, n. 233 e successive modificazioni ed integrazioni, l'iscrizione al relativo albo professionale.

Laddove la qualifica professionale sia stata conseguita all'estero, per esercitare in Italia la relativa professione sanitaria, occorre ottenere il riconoscimento della qualifica medesima e, solo a seguito di tale riconoscimento, e' possibile l'iscrizione all'Ordine professionale di riferimento, previo accertamento della conoscenza della lingua italiana.

L'art. 53 della direttiva n. 2005/36/CE e successive modifiche stabilisce che: «1.1 professionisti che beneficiano del riconoscimento delle qualifiche professionali possiedono la conoscenza delle lingue necessaria all'esercizio della professione nello Stato membro ospitante.

2. Uno Stato membro assicura che i controlli effettuati da un'autorita' competente o sotto la sua supervisione per controllare il rispetto dell'obbligo di cui al paragrafo 1 siano limitati alla conoscenza di una lingua ufficiale dello Stato membro ospitante o di una lingua amministrativa dello Stato membro ospitante, a condizione che quest' ultima sia anche una delle lingue ufficiali dell'Unione.

3. I controlli svolti a norma del paragrafo 2 possono essere imposti se la professione da praticarsi ha ripercussioni sulla sicurezza dei pazienti. I controlli possono essere imposti nei confronti di altre professioni nei casi in cui sussista un serio e concreto dubbio in merito alla sussistenza di una conoscenza sufficiente della lingua di lavoro con riguardo alle attivita' professionali che il professionista intende svolgere. I controlli possono essere effettuati solo dopo rilascio di una tessera professionale europea a norma dell'art. 4-quinquies o dopo riconoscimento di una qualifica professionale, a seconda dei casi.

4. II controllo linguistico e' proporzionato all'attivita' da eseguire. Il professionista interessato puo' presentare ricorso ai sensi del diritto nazionale contro tali controlli».

Inoltre, l'art. 7 del decreto legislativo n. 206 del 2007 dispone che: «1. Fermi restando i requisiti di cui al titolo II ed al titolo III, per l'esercizio della professione, i beneficiari del riconoscimento delle qualifiche professionali devono possedere le conoscenze linguistiche necessarie.

1-bis. Nel caso in cui la professione ha ripercussioni sulla sicurezza dei pazienti, le Autorita' competenti di cui all'art. 5 devono verificare la conoscenza della lingua italiana. I controlli devono essere effettuati anche relativamente ad altre professioni, nei casi in cui sussista un serio e concreto dubbio in merito alla sussistenza di una conoscenza sufficiente della lingua italiana con riguardo all'attivita' che il professionista intende svolgere».

Il fatto che la conoscenza della lingua italiana sia indispensabile per l'esercizio di ogni professione sanitaria trova ulteriore conferma nella previsione di cui all'art. 7, paragrafo 2, lettera f), della direttiva n. 2005/36/CE in cui e' previsto che, qualora il prestatore si sposti, per la prima volta, da uno Stato membro all'altro per fornire servizi, il medesimo debba produrre «per le professioni che hanno implicazioni per la sicurezza dei pazienti, una dichiarazione della conoscenza, da parte del richiedente, della lingua necessaria all'esercizio della professione nello Stato membro ospitante». Depone, in tal senso, anche l'art. 50, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, «Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286», laddove precisa che «l'iscrizione negli albi professionali e quella negli elenchi speciali di cui al comma 1 sono disposte previo accertamento della conoscenza della lingua italiana e delle speciali disposizioni che regolano l'esercizio professionale in Italia, con modalita' stabilite dal Ministero della sanita'. All'accertamento provvedono, prima dell'iscrizione, gli ordini e collegi professionali e il Ministero della sanita', con oneri a carico degli interessati».

Dal quadro normativo appena tratteggiato si desume che, per poter esercitare in Italia una professione sanitaria, e' necessario essere in possesso della conoscenza della lingua italiana.

Recentemente, codesta ecc.ma Corte costituzionale, con la sentenza 22 novembre 2018, n. 210, ha fugato ogni dubbio in merito, evidenziando che la giurisprudenza della Consulta «ha da tempo riconosciuto che la lingua italiana e' l'unica lingua ufficiale del sistema costituzionale (sentenza n. 28 del 1982) e che tale qualificazione "non ha evidentemente solo una funzione formale, ma funge da criterio interpretativo generale delle diverse disposizioni che prevedono l'uso delle lingue minoritarie, evitando che esse possano essere intese come alternative alla lingua italiana o comunque tali da porre in posizione marginale la lingua ufficiale della Repubblica (sentenza n. 159 del 2009"».

II quadro appena delineato induce a concludere che i professionisti sanitari devono necessariamente conoscere la lingua italiana ai fini dell'iscrizione all'albo di riferimento e dell'esercizio della professione, onde evitare pregiudizi per la tutela della salute degli assistiti.

Al riguardo, non appare superfluo evidenziare che, nell'ottica del necessario bilanciamento tra esigenze connesse alla tutela della salute, il Legislatore statale non ha mancato di stabilire deroghe alle norme in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie e in materia di cittadinanza per l'assunzione alle dipendenze della pubblica amministrazione, in considerazione delle difficolta' connesse alla gestione dell'emergenza epidemiologica e limitatamente alla durata dell'emergenza medesima.

Nello specifico, l'art. 13 del decreto-legge cd. Cura Italia, n. 18 del 17 marzo 2020, convertito dalla legge n. 27 del 24 aprile 2020, ha stabilito quanto segue: «1. Per la durata dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, in deroga agli articoli 49 e 50 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 e successive modificazioni, e alle disposizioni di cui al decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, e' consentito l'esercizio temporaneo di qualifiche professionali sanitarie ai professionisti che intendono esercitare sul territorio nazionale una professione sanitaria conseguita all'estero regolata da specifiche direttive dell'Unione europea. Gli interessati presentano istanza corredata di un certificato di iscrizione all'albo del Paese di provenienza alle regioni e province autonome, che possono procedere al reclutamento temporaneo di tali professionisti ai sensi degli articoli 2-bis e 2-ter del presente decreto.

1-bis. Per la medesima durata, le assunzioni alle dipendenze della pubblica amministrazione per l'esercizio di professioni sanitarie e per la qualifica di operatore socio-sanitario sono consentite, in deroga all'art. 38 del decreto legislativo 30 marzo 2007, n. 165, a tutti i cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea, titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare, fermo ogni altro limite di legge».

L'art. 13, commi 1 e 2, della legge regionale in esame, tuttavia, non risulta conforme a quanto disposto dall'art. 13 del decreto-legge n. 18/2020, cd. Cura Italia, violando quindi anche la competenza in materia di profilassi internazionale (art. 117, comma secondo, lettera q), della Costituzione) che comporta l'attrazione allo Stato delle funzioni normative e amministrative necessarie a garantire unitarieta' e omogeneita' nella gestione dell'emergenza.

La disposizione regionale, oltre a violare la normativa dell'Unione europea sopra citata in relazione all'art. 117, comma 1, della Costituzione, invade la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, lede la tutela della salute di cui all'art. 32 della Costituzione, e si pone in contrasto con quanto definito dalla giurisprudenza costituzionale in materia di «professioni», la quale ha chiarito come la potesta' legislativa regionale nella materia concorrente delle «professioni» deve rispettare il principio per cui, non solo l'individuazione delle figure professionali, ma anche la definizione dei relativi titoli abilitanti, per il suo carattere necessariamente unitario, e' riservata allo Stato (sentenze n. 153 del 2006 e n. 300 del 2007), precisando che tale principio, al di la' della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale (cfr. anche sentenze n. 98 del 2013, n. 138 del 2009, n. 93 del 2008, n. 300 del 2007, n. 40 del 2006).

Si rappresenta ulteriormente che il termine del 31 luglio 2022, previsto dalla norma in esame, al fine di definire l'arco temporale entro cui e' possibile stipulare contratti a tempo determinato, non trova riscontro nella normativa nazionale che, allo stesso modo, ha disposto misure di potenziamento del Servizio sanitario al fine di fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19. Tali misure, infatti, sono praticabili, in linea generale, esclusivamente fino al perdurare dello stato di emergenza sanitaria. Con riferimento specifico poi all'utilizzo dei contratti a tempo determinato, si richiama l'art. 2-ter, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, in forza del quale «Al fine di garantire l'erogazione delle prestazioni di assistenza sanitaria anche in ragione delle esigenze straordinarie ed urgenti derivanti dalla diffusione del COVID-19, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, verificata l'impossibilita' di utilizzare personale gia' in servizio nonche' di ricorrere agli idonei collocati in graduatorie concorsuali in vigore, possono, durante la vigenza dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, conferire incarichi individuali a tempo determinato, previo avviso pubblico, al personale delle professioni sanitarie e agli operatori socio-sanitari di cui all'art. 2-bis, comma 1, lettera a)» del medesimo decreto-legge n. 18/2020.

Per quanto dedotto la norma regionale presenta profili suscettibili di provocare distorsioni nella disciplina dei contratti a termine anche rispetto alla normativa nazionale emanata in stato di emergenza.

Per le esposte motivazioni, l'art. 13, commi 1 e 2, della legge della Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020 risulta incostituzionale per violazione dei limiti delle competenze statutarie, nonche' dell'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'art. 7, paragrafo 2, lettera f), e all'art. 53 della direttiva n. 2005/36/CE, dell'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione, che affida allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento civile, nonche' per violazione dell'art. 117, comma secondo, lettera q), della Costituzione, in materia di profilassi internazionale, considerata la connessa attrazione allo Stato delle funzioni normative e amministrative necessarie a garantire unitarieta' e omogeneita' nella gestione dell'emergenza, in relazione al parametro interposto costituito dalla normativa nazionale emanata in stato di emergenza epidemiologica, di cui al decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge n. 27/2020 (art. 2-ter, comma 1, art. 13), ed altresi' per violazione dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, che assegna allo Stato la competenza a definire i principi fondamentali in materia di «professioni», in relazione ai parametri interposti costituiti dall'art. 5 del decreto legislativo C.P.S. del 13 settembre 1946, n. 233, e successive modificazioni, e dall'art. 7 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, nonche' per violazione dell'art. 32 della Costituzione, per le finalita' di tutela della salute.

3. Illegittimita' degli articoli 14, 15, 22 della legge della Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020, per violazione dei limiti delle competenze statutarie e dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile, con riferimento agli articoli 40 e ss del decreto legislativo n. 165/2001, nonche' per violazione degliarticoli 3 e 97 della Costituzione in quanto in contrasto con le finalita' perequative e di omogeneizzazione dei trattamenti tra operatori del settore sanitario operanti in ambito nazionale ed esposti al medesimo rischio, ed altresi' per violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione con riguardo alla violazione degli obiettivi di coordinamento della finanza pubblica, fissati dall'art. 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017 e successive modificazioni e perseguiti anche nel periodo emergenziale dal complesso delle misure introdotte dal legislatore nazionale, di cui al decreto-legge n. 34/2020 (art. 2, comma 6, lettere a], b]), convertito, con modificazioni, in legge n. 77/2020, ed al precedente decreto-legge n. 18/2020 (art. 1, comma 2), conv. in legge n. 27/2020.

Gli articoli 14, 15 e 22 della legge regionale in questione, al fine di mantenere e rafforzare l'offerta sanitaria regionale necessaria a fronteggiare l'emergenza da COVID-19, prevedono: un'indennita' sanitaria valdostana in favore del personale della dirigenza medica, sanitaria e veterinaria, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e determinato sino al 31 dicembre 2020 (art. 14); un'indennita' di disagio una tantum da corrispondere al personale dell'Azienda USL, di qualsiasi profilo professionale e tipologia contrattuale, compresi i somministrati, e al personale convenzionato che abbia prestato attivita' lavorativa nei mesi di marzo, aprile e maggio 2020 in strutture o servizi operanti in forma diretta o indiretta per l'emergenza da COVID-19 (art. 15); un'indennita' COVID-19 una tantum per i lavoratori delle Unites des Communes valdotaines e del Comune di Aosta, di qualsiasi profilo professionale e tipologia contrattuale (OSS e altri profili professionali), che abbiano prestato servizio in presenza nelle microcomunita' per anziani e nel servizio di assistenza domiciliare per l'emergenza epidemiologica da COVID-19 nei mesi di marzo, aprile e maggio (art. 22).

L'istituzione di un'indennita' extra-ordinem si pone al di fuori della cornice della contrattazione collettiva nazionale, con caratteristiche peraltro indefinite nel quantum e nei presupposti per la percezione.

I citati articoli 14, 15 e 22 intervengono su aspetti, come quelli del trattamento economico del personale dipendente della regione e degli enti regionali, che sono riservati, per costante insegnamento del giudice delle leggi, alla competenza esclusiva dello Stato in quanto attinenti all'ordinamento civile, violando, comunque, le disposizioni degli articoli 40 e ss del decreto legislativo n. 165/2001 che riconducono la disciplina del rapporto di lavoro pubblico privatizzato al codice civile ed alla contrattazione collettiva. Al riguardo, si evidenzia che, ai sensi dell'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001, le disposizioni del medesimo decreto legislativo n. 165/2001 - come quelle della legge delega 421 del 1992 - vengono espressamente elevate al rango di principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione e, come tali, si impongono anche alle regioni a statuto speciale (ex multis Corte costituzionale, sentenze n. 189/2007, n. 160/2017 e n. 81/2019).

Per quanto concerne tali disposizioni, finalizzate a riconoscere indennita' al personale regionale, si rileva che il decreto-legge n. 34/2020 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77/2020, ha esteso la finalizzazione delle risorse di cui all'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 18/2020, oltre che alla remunerazione del lavoro straordinario, prioritariamente alla remunerazione delle prestazioni correlate alle particolari condizioni di lavoro del personale dipendente, ivi incluse le indennita' previste dall'art. 86, comma 6, del CCNL 2016 - 2018, nonche', per la restante parte, ai relativi fondi incentivanti (art. 2, comma 6, lettera a), consentendo, altresi', alle regioni ed alle province autonome di incrementare, fino al doppio delle risorse ivi previste, con proprie risorse disponibili a legislazione vigente, fermo restando l'equilibrio economico sanitario della regione e provincia autonoma (art. 2, comma 6, lettera b). Inoltre, il citato decreto-legge n. 18/2020 ha disposto (art. 1, comma 2) che «A valere sulle predette risorse destinate a incrementare i fondi incentivanti, le regioni e le province autonome possono riconoscere al personale dipendente un premio, commisurato al servizio effettivamente prestato nel corso dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020, di importo non superiore a 2.000 euro al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente e comunque per una spesa complessiva, al lordo dei contributi e degli oneri a carico dell'amministrazione, non superiore all'ammontare delle predette risorse destinate a incrementare i fondi incentivanti.».

Le disposizioni legislative nazionali, emanate per fronteggiare l'emergenza sanitaria determinata dal diffondersi del Covid-19, hanno riguardato, in un'ottica di unitarieta' di sistema e di omogeneizzazione e perequazione dei trattamenti e di coordinamento finanziario, sia le regioni (ivi comprese quelle a statuto speciale) e sia le province autonome. Proprio ai fini del perseguimento delle predette finalita', le risorse stanziate dallo Stato sono state ripartite tra tutti i predetti enti e la possibilita' di stanziare ulteriori risorse al livello territoriale e' stata prevista anche per le regioni a statuto speciale e per le province autonome secondo i medesimi criteri previsti per le regioni. Infatti, l'art. 2, comma 6, lettera b), del predetto decreto-legge n. 34/2020 ha previsto la possibilita' per le regioni e province autonome, di incrementare, con risorse proprie, gli importi indicati nella citata tabella A del decreto-legge n. 18/2020, assegnati dallo Stato per l'incremento dei fondi del trattamento accessorio del personale, fino al doppio degli stessi. Nei suddetti termini si e' consentito di incrementare i fondi in parola, di un importo complessivo - quale somma tra il finanziamento statale e quello regionale/provinciale - non superiore al doppio della quota di finanziamento statale attribuita a ciascuna regione e provincia autonoma.

Sulla base del quadro di interventi sopra delineato, l'importo stanziabile a livello regionale per la predetta finalita' non potrebbe superare la quota, pari a 526.051 euro, assegnata dallo Stato alla Regione Valle D'Aosta. Con la legge regionale n. 8/2020, invece, la Valle d'Aosta prevede di destinare al trattamento economico del personale impegnato nell'emergenza, risorse di importo di gran lunga superiore a quello consentito, anche in un'ottica di omogeneita' dei trattamenti, dalle richiamate disposizioni statali.

Quanto sopra in deroga, oltre che all'art. 23, comma 2, decreto legislativo n. 75/2017, anche alla normativa contrattuale, cui e' riservata la disciplina del rapporto di lavoro del personale privatizzato, ivi compreso il relativo trattamento economico.

Si palesa, quindi, la non coerenza di tali previsioni regionali con le finalita' del predetto decreto-legge n. 34/2020 e con quelle del precedente decreto-legge n. 18/2020 e la loro incompatibilita' con l'attuale sistema di determinazione dei trattamenti economici previsti, in linea generale, dalla contrattazione collettiva a cui e' riservata la relativa disciplina.

Per le esposte motivazioni, si ritiene che gli articoli 14, 15 e 22, della legge regionale della Valle d'Aosta n. 8 del 2020 siano incostituzionali per violazione dei limiti delle competenze statutarie e dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile, con riferimento agli articoli 40 e ss del decreto legislativo n. 165/2001, nonche' per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione in quanto in contrasto con le finalita' perequative e di omogeneizzazione dei trattamenti tra operatori del settore sanitario operanti in ambito nazionale ed esposti al medesimo rischio, ed altresi' per violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione con riguardo alla violazione degli obiettivi di coordinamento della finanza pubblica, fissati dall'art. 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017 e successive modificazioni e perseguiti anche nel periodo emergenziale dal complesso delle misure introdotte dal legislatore nazionale, di cui al decreto-legge n. 34/2020 (art. 2, comma 6, lettere a], b]), convertito, con modificazioni, in legge n. 77/2020, ed al precedente decreto-legge n. 18/2020 (art. 1, comma 2), convertito in legge n. 27/2020.

4. Illegittimita' dell'art. 46 della legge della Regione Valle d'Aosta n. 8/2020 per violazione dei limiti delle competenze statutarie e dell'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile, con riferimento agli articoli 40 e ss. del decreto legislativo n. 165/2001.

L'art. 46 della legge regionale in questione dispone che al personale, regionale e degli enti locali, compreso quello degli Uffici stampa, che abbia prestato a qualsiasi titolo la propria attivita' lavorativa presso la struttura regionale di primo livello denominata Dipartimento protezione civile e Vigili del fuoco, nei mesi di marzo e aprile 2020, per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, spetta un'indennita' di disagio una tantum, pari a 20 euro lordo busta, per ogni giornata effettivamente lavorata nel predetto periodo. L'art. 46, disciplinando il trattamento economico del personale della regione, presenta anch'esso i medesimi profili di illegittimita' costituzionale gia' illustrati con riguardo agli articoli 14, 15 e 22.

In particolare, anche l'art. 46 interviene su aspetti, come quelli del trattamento economico del personale dipendente della regione e degli enti regionali, che sono riservati, per costante insegnamento del giudice delle leggi, alla competenza esclusiva dello Stato in quanto attinenti all'ordinamento civile, violando, comunque, le disposizioni degli articoli 40 e ss del decreto legislativo n. 165/2001 che riconducono la disciplina del rapporto di lavoro pubblico privatizzato al codice civile ed alla contrattazione collettiva. Al riguardo, si evidenzia che, ai sensi dell'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001, le disposizioni del medesimo decreto legislativo n. 165/2001 - come quelle della legge delega 421 del 1992 - vengono espressamente elevate al rango di principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione e, come tali, si impongono anche alle regioni a statuto speciale (ex multis Corte costituzionale, sentenze n. 189/2007, n. 160/2017 e n. 81/2019).

Per le esposte motivazioni, si impugna la legge regionale della Valle d'Aosta n. 8 del 2020, limitatamente all'art. 46, per violazione dei limiti delle competenze statutarie e dell'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile, con riferimento agli articoli 40 e ss. del decreto legislativo n. 165/2001.

5. Illegittimita' degli articoli 77, commi 1 e 2 lettere a), b), c), e) e f), della legge della Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza, con riferimento agli articoli 30, comma 1, e 36 del decreto legislativo n. 50/2016.

L'art. 77 della legge della Regione autonoma Valle d'Aosta n. 8 del 2020 reca disposizioni che violano i limiti statutari posti al legislatore regionale nella disciplina dei contratti pubblici, nonche' l'art. 117, secondo comma 2, lettera e), della Costituzione.

In particolare, l'art. 77, comma 1, prevede che le misure di semplificazione della legge regionale in questione debbano applicarsi alle procedure avviate dal 14 luglio e fino al 31 dicembre 2020, ponendosi in contrasto con la normativa statale che, in relazione all'aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia (art. 1 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76) e sopra soglia (art. 2, decreto-legge n. 76/2020), introduce una diversa disciplina di accelerazione che si applica alle procedure di affidamento e alla disciplina dell'esecuzione del contratto, qualora la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente siano adottati entro il 31 luglio 2021.

L'art. 77, comma 2, della legge regionale n. 8/2020 stabilisce l'applicazione di modelli procedurali di affidamento in contrasto con le modalita' di affidamento dei contratti c.d. sottosoglia disciplinate nell'art. 1, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge n. 76 del 2020 e nelle disposizioni dell'art. 36 del decreto legislativo n. 50 del 2016.

Sempre il comma 2, lettere a), b), c), e) e f), dell'art. 77, prevede la «individuazione degli operatori economici da valutare prioritariamente tra quelli con sede legale o operativa in Valle d'Aosta, attingendo dagli elenchi di operatori economici gia' formati o a seguito di indagine di mercato». Cio' configura un trattamento di favore per gli operatori radicati nel territorio regionale, determinando un ostacolo alla concorrenza, in quanto, consentendo una riserva di partecipazione, altera la par condicio fra gli operatori economici interessati all'appalto.

Si rappresenta che, in base alla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, le disposizioni «regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e [...] le regioni, anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse difforme (tra le tante, sentenze n. 263 del 2016, n. 36 del 2013, n. 328 del 2011, n. 411 e n. 322 del 2008)» (cfr. sentenza n. 39 del 2020); cio' vale «anche per le disposizioni relative ai contratti sotto soglia (sentenze n. 263 del 2016, n. 184 del 2011, n. 283 e n. 160 del 2009, n. 401 del 2007), [...] senza che rilevi che la procedura sia aperta o negoziata (sentenza n. 322 del 2008)» (in tal senso, sentenza n. 39 del 2020).

La disposizione regionale non risulta coerente con il disposto di cui all'art. 36 del decreto legislativo n. 50/2016, secondo cui l'affidamento degli appalti deve avvenire «nel rispetto del criterio di rotazione degli inviti», individuando gli operatori economici «sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici», senza prevedere alcuna indicazione di provenienza o svolgendo indagini di mercato senza alcuna limitazione territoriale.

Inoltre, la disposizione si pone anche in contrasto con l'art. 30, comma 1, del decreto legislativo n. 50/2016, che «impone il rispetto dei principi di libera concorrenza e non discriminazione», laddove prevede che le stazioni appaltanti, ai fini dell'aggiudicazione dei contratti di lavori, servizi o forniture, possono consultare prioritariamente gli operatori economici aventi sede legale o operativa nel territorio regionale.

Dall'esame delle norme richiamate, si evince che la norma regionale in esame - dalla ratio simile ad una legge regionale recentemente scrutinata negativamente da codesta ecc.ma Corte con la sentenza del 5 maggio 2020, n. 98 - introduce una possibile riserva di partecipazione a favore degli operatori economici con sede nel territorio della Regione Valle d'Aosta, non consentita dalla legge statale, con discriminazione degli operatori economici in base alla territorialita'.

Nella pronuncia sopra richiamata, codesta ecc.ma Corte costituzionale ha osservato che l'esistenza di una sede operativa prossima al luogo di esecuzione della prestazione «puo' essere richiesta solo in relazione a particolari modalita' di esecuzione della specifica prestazione (...) non in modo generalizzato e valevole per tutti i contratti» (Corte costituzionale, sentenza 5 maggio 2020, n. 98).

La disposizione regionale, pertanto, potrebbe impedire un confronto competitivo tra gli operatori economici e rivelarsi lesiva del principio di non discriminazione e di parita' di trattamento in quanto, consentendo una riserva di partecipazione, altera la par condicio fra gli operatori economici interessati all'appalto.

In sostanza, la norma, nel permettere alle stazioni appaltanti di valutare con preferenza le offerte economiche delle imprese con sede legale o operativa in Valle d'Aosta, determina il mancato rispetto dei criteri generali previsti per la selezione delle imprese da invitare.

La norma, pertanto, nel riservare un trattamento di favore per le imprese radicate nel territorio regionale e' di ostacolo alla concorrenza, alterando la par condicio fra gli operatori economici e determinando una «limitazione della concorrenza che non e' giustificata da alcuna ragione se non quella - vietata - di attribuire una posizione di privilegio alle imprese del territorio per favorire l'economia regionale» (Corte costituzionale, sentenza 5 maggio 2020, n. 98).

Secondo la giurisprudenza costituzionale in materia di appalti pubblici gli aspetti relativi alle procedure di selezione e ai criteri di aggiudicazione «sono riconducibili alla tutela della concorrenza» (Corte costituzionale, sent. n. 320 del 2008 e n. 401 del 2007), di esclusiva competenza del legislatore statale, ragion per cui le regioni, anche ad autonomia speciale, non potrebbero «prevedere in materia una disciplina difforme da quella statale» (Corte costituzionale, sent. n. 263 del 2016; n. 36 del 2013 e n. 328 del 2011). Si rappresenta che l'art. 2 del decreto legislativo n. 50/2016, con riferimento alle competenze legislative di Stato, regioni e province autonome prevede, al secondo comma, che le regioni a statuto ordinario esercitano le proprie funzioni nelle materie di competenza regionale, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione e, al terzo comma, che le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano debbano adeguare la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione.

Dall'esame dello statuto speciale per la Valle d'Aosta - legge Costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, non si evince la possibilita' di derogare alle disposizioni del codice dei contratti pubblici.

Peraltro, l'art. 10 della legge della Regione autonoma della Valle d'Aosta 2 agosto 2016, n. 16, recante «Disposizioni in materia di contratti pubblici. Modificazione alla legge regionale 19 dicembre 2014, n. 13», ha disposto, a far data dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 50/2016, l'abrogazione di ogni disposizione di legge regionale in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture incompatibile con la disciplina del codice dei contratti pubblici, con cio' denotando la volonta' legislativa regionale di adeguarsi totalmente alle disposizioni del citato decreto legislativo n. 50/2016.

Inoltre, la giurisprudenza amministrativa ha sancito l'illegittimita' della «(...) clausola presente nel bando di gara secondo cui ogni impresa concorrente deve dimostrare, in sede di prequalifica, la capacita' di gestire i servizi mediante contratti di rete territoriali stipulati esclusivamente con soggetti gia' radicati sul territorio, o meglio, gia' presenti nel luogo dell'esecuzione dei servizi oggetto dell'appalto specifico, (che) introduce un limite inderogabile che estromette dalla procedura selettiva i soggetti interessati ad operare in loco ma che non sono gia' radicati sul territorio di riferimento e che costringe l'offerente a non avere altra scelta che avvalersi degli operatori di rete locali, gia' attivi in loco» (cfr. TAR Toscana, sezione III, 28 marzo 2020, n. 371).

La disposizione regionale e', quindi, invasiva della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, con riferimento agli articoli 30, comma 1, e 36 del decreto legislativo n. 50/2016.

6. Illegittimita' dell'art. 77, comma 5, della legge regionale n. 8/2020, che disciplina istituti afferenti l'esecuzione dei contratti violando i limiti statutari posti al legislatore regionale nella materia dei contratti pubblici e l'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in riferimento agli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nonche' prevede la possibilita' di riservare un trattamento di favore per gli operatori radicati nel territorio regionale, alterando la par condicio fra gli operatori economici, in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.

L'art. 77, comma 5, della legge regionale n. 8/2020, stabilisce che, per i contratti pubblici in corso di esecuzione alla data di entrata della legge regionale, e' consentita ogni modifica necessaria ad adeguare le modalita' di esecuzione alla sopravvenuta normativa, statale e regionale, di contrasto e contenimento dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, anche ricorrendo a soluzioni tecniche e organizzative non previste dai documenti di gara e dal contratto, da ritenersi equivalenti, tenuto conto delle mutate condizioni, per la tutela della continuita' del rapporto contrattuale ed il perseguimento delle finalita' di pubblico interesse della stazione appaltante.

E' previsto, poi, che, nell'autorizzare le modifiche, il responsabile unico del procedimento indica, ove necessario, il nuovo termine contrattuale.

La previsione della legge regionale si discosta dalla disciplina di derivazione statale dettata con riferimento alle modifiche, connesse alla situazione emergenziale da COVID-19, nella fase esecutiva del contratto. Invero, l'art. 8, comma 4, del decreto-legge n. 76 del 2010, con riferimento ai lavori in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del decreto, anche in deroga alle previsioni contrattuali, prevede: alla lettera a) misure che consentono di effettuare immediatamente il pagamento delle lavorazioni gia' realizzate al momento dell'entrata in vigore del decreto; alla lettera b) il rimborso dei conseguenti maggiori oneri sopportati dagli appaltatori a valere sulle somme a disposizione della stazione appaltante indicate nei quadri economici dell'intervento, ove necessario, utilizzando anche le economie derivanti dai ribassi d'asta; alla lettera c) che, ove il rispetto delle misure di contenimento in parola impedisca, anche solo parzialmente, il regolare svolgimento dei lavori, ovvero la regolare esecuzione dei servizi o delle forniture, cio' costituisce causa di forza maggiore, ai sensi dell'art. 107, comma 4, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

Si precisa che, qualora il rispetto delle misure di contenimento in parola impedisca di ultimare i lavori, i servizi o le forniture nel termine contrattualmente previsto, cio' costituisce circostanza non imputabile all'esecutore ai sensi del comma 5 del citato art. 107 ai fini della proroga di detto termine, ove richiesta e che, in considerazione della qualificazione della pandemia COVID-19 come «fatto notorio» e della cogenza delle misure di contenimento disposte dalle competenti Autorita', non si applicano, anche in funzione di semplificazione procedimentale, gli obblighi di comunicazione all'Autorita' nazionale anticorruzione e le sanzioni previste dal terzo e dal quarto periodo del comma 4 dell'art. 107 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

Il comma 5 dell'art. 77 della legge regionale n. 8/2020 contrasta anche con le disposizioni a regime del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, che, agli articoli 106 e 107, prevede un'apposita disciplina con riguardo alla modifica dei contratti durante il periodo di efficacia (dove, tra l'altro, si prevedono soglie economiche oltre le quali le modifiche contrattuali non sono ammesse senza la previsione di indizione di una nuova gara) e sulla sospensione dell'esecuzione del contratto (nella quale, tra l'altro, sono dettate apposite disposizioni in relazione ai compiti del RUP).

Si ritiene, quindi, che la legge della Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020, sia incostituzionale limitatamente alla disposizione di cui all'art. 77, comma 5, che disciplina istituti afferenti l'esecuzione dei contratti violando i limiti statutari posti al legislatore regionale nella disciplina dei contratti pubblici e l'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in materia di tutela della concorrenza, con riferimento agli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nonche' prevede la possibilita' di riservare un trattamento di favore per gli operatori radicati nel territorio regionale, alterando la par condicio fra gli operatori economici, in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.

7. Illegittimita' dell'art. 78 della legge della Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020, limitatamente al comma 2, lettere c) e d), comma 3, lettera a), nella parte in cui estende l'esonero dall'autorizzazione paesaggistica al di fuori delle ipotesi di cui al punto A.2 dell'allegato A al decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017, comma 4, lettere b), c) e d), comma 6, lettere b) e c), per violazione degli articoli 2 e 3 dello statuto speciale, dell'art. 9 della Costituzione, nonche' dell'art. 117, secondo comma, lettere s) e m), della Costituzione, stante il contrasto delle disposizioni censurate con gli articoli 21 e 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' con la disciplina statale che indica le ipotesi di esonero dai predetti titoli autorizzatoci (art. 149 del predetto codice di settore; decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017; art. 181, comma 3, del decreto-legge n. 34 del 2020; art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 76 del 2020).

L'art. 78 della legge regionale n. 8/2020, recante «Modalita' per la realizzazione di interventi edilizi», contiene disposizioni che, non garantendo a tutti i beni culturali il regime di tutela previsto dal codice dei beni culturali e del paesaggio, si pongono in contrasto con i limiti alla potesta' legislativa regionale.

Il suddetto articolo prevede, in particolare, una disciplina semplificata per la realizzazione di opere e interventi edilizi necessari a conformare le modalita' di esercizio delle attivita' alle esigenze sanitarie di contrasto e di contenimento dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 per le strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere, i complessi ricettivi all'aperto, gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, gli agriturismi, le attivita' artigianali, industriali e commerciali e le opere di interesse pubblico, consentendo la deroga alla legge regionale urbanistica e di pianificazione territoriale n. 11 del 1998, ai relativi provvedimenti attuativi, ai piani regolatori e ai regolamenti comunali.

Il comma 2 del medesimo articolo stabilisce alcune condizioni per l'esecuzione di tali interventi in deroga, tra cui, alla lettera c), il rispetto delle discipline vigenti in relazione agli edifici classificati come «monumento» dai PRG, fatta salva la delega ai comuni per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, di cui all'art. 3 della legge regionale n. 18 del 1994, relativamente agli edifici classificati come «monumento» dai PRG.

La lettera d) dello stesso comma prevede, poi, il non assoggettamento ai pareri e alle autorizzazioni paesaggistiche, di cui al citato art. 3 della legge regionale n. 18 del 1994, degli interventi indicati ai commi 3, 4, 6, 7 e 8 dello stesso art. 78.

Gli interventi elencati dalle predette norme rivestono carattere sia temporaneo che permanente (cfr., in particolare, gli interventi di cui ai commi 3 e 7) e soltanto alcune tra le tipologie indicate sono riconducibili alle fattispecie previste dall'allegato A («Interventi ed opere in aree vincolate esclusi dall'autorizzazione paesaggistica») al decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31, «Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata», ovvero dall'art. 10, comma 5, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76.

Cio' posto, si rappresenta, in via generale, che:  (i) la clausola - contenuta all'art. 78, comma 2, lettera c), della legge in esame - che fa salva la sola disciplina di tutela degli edifici classificati come «monumento» dal PRG non sembra idonea a garantire la piena applicazione a tutti i beni culturali, indipendentemente da tale classificazione, del regime di tutela previsto dalla parte II del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;   (ii) per i beni paesaggistici, non e' consentito alle regioni, anche a statuto speciale, individuare ulteriori tipologie di interventi sottratte al regime autorizzatorio, in aggiunta o in difformita' rispetto a quanto previsto dalla disciplina statale.

Si osserva, preliminarmente, che, in base all'art. 2 dello statuto, la regione e' titolare di potesta' legislativa in materia di urbanistica (lettera g) e di tutela del paesaggio (lettera q), ma e' chiamata a esercitare tale potesta' «In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica».

Tra queste ultime, per quel che occupa, rilevano quelle poste dalla legislazione statale nel cui novero e' ricompreso il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).

D'altro canto, l'art. 3 del medesimo statuto attribuisce alla regione la «potesta' di emanare norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica (...) per adattarle alle condizioni regionali», in materia di «antichita' e belle arti» (lettera m), ma sempre «entro i limiti indicati nell'articolo precedente».

Il legislatore nazionale, nell'esercizio della sua potesta' legislativa esclusiva in materia, si e' fatto carico delle necessita' connesse alla situazione emergenziale dovuta alla diffusione del virus COVID-19 prevedendo, con l'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 76 del 16 luglio 2020, un'eccezione al regime autorizzatorio, senza tuttavia contemplare alcuna rimessione, in capo alle regioni a statuto speciale, di potesta' legislative al riguardo.

Nel dettaglio, con il citato art. 10, comma 5, decreto-legge n. 76/2020, il legislatore ha previsto che «Non e' subordinata alle autorizzazioni di cui agli articoli 21, 106, comma 2-bis, e 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la posa in opera di elementi o strutture amovibili sulle aree di cui all'art. 10, comma 4, lettera g), del medesimo codice, fatta eccezione per le pubbliche piazze, le vie o gli spazi aperti urbani adiacenti a siti archeologici o ad altri beni di particolare valore storico o artistico».

La suddetta disposizione riprende e stabilizza la norma temporanea gia' introdotta all'art. 181, comma 3, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, in base al quale: «Ai soli fini di assicurare il rispetto delle misure di distanziamento connesse all'emergenza da COVID-19, e comunque non oltre il 31 ottobre 2020, la posa in opera temporanea su vie, piazze, strade e altri spazi aperti di interesse culturale o paesaggistico, da parte dei soggetti di cui al comma 1, di strutture amovibili, quali dehors, elementi di arredo urbano, attrezzature, pedane, tavolini, sedute e ombrelloni, purche' funzionali all'attivita' di cui all'art. 5 della legge n. 287 del 1991, non e' subordinata alle autorizzazioni di cui agli articoli 21 e 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.».

Il regime degli interventi soggetti ad autorizzazione paesaggistica rientra nel novero delle norme di grande riforma economico sociale e spetta soltanto allo Stato individuare le esclusioni di cui si discorre, nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Lo Stato ha, peraltro, gia' assicurato la dovuta considerazione alle esigenze di partecipazione delle regioni e delle autonomie locali nella definizione degli interventi sottratti all'autorizzazione paesaggistica, atteso che il regolamento approvato con il decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017 e' stato concertato previamente mediante l'acquisizione dell'intesa della Conferenza unificata, come attestato nelle premesse del medesimo atto.

La lettera c) del comma 2 dell'art. 78 della legge regionale in esame, laddove fa salva la delega ai comuni per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, di cui all'art. 3 della legge regionale n. 18 del 1994, relativamente agli edifici classificati come «monumento» dai PRG, e la lettera d) del medesimo comma, che prevede che non sono assoggettati ai pareri e alle autorizzazioni paesaggistiche di cui all'art. 3 della legge regionale n. 18 del 1994 gli interventi indicati ai commi 3, 4, 6, 7 e 8 - e, conseguentemente, i commi 3, 4, 6, 7 e 8, nei termini che meglio si diranno -si pongono in contrasto con gli articoli 2 e 3 dello statuto speciale e con l'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, atteso che la disciplina di tutela dei beni culturali contenuta nel relativo codice (e, in particolare, nell'art. 21), si impone alla regione, sfornita di potesta' legislativa primaria al riguardo, mentre la disciplina concernente l'autorizzazione paesaggistica, di cui all'art. 146 del medesimo codice, incluse le ipotesi di esonero dal predetto titolo abilitativo previste dalla normativa statale, e' annoverabile tra le norme fondamentali di riforma economico sociale.

A tale ultimo riguardo, codesta ecc.ma Corte ha statuito che «La procedura di autorizzazione paesaggistica disciplinata dalla normativa statale, non derogabile da parte della regione, e' volta a stabilire proprio se un determinato intervento abbia o meno un impatto paesaggistico significativo» e che la qualificazione, da parte della regione, di taluni interventi come paesaggisticamente irrilevanti «si pone, dunque, in contrasto con il richiamato art. 146, oltre che con l'art. 149 del medesimo codice dei beni culturali e del paesaggio - che individua tassativamente le tipologie di interventi in aree vincolate realizzabili anche in assenza di autorizzazione paesaggistica» (Corte costituzionale n. 189 del 2016).

Anche a voler ammettere astrattamente una possibilita' della Regione di intervenire, tale intervento dovrebbe limitarsi a recepire fedelmente le disposizioni statali vigenti, peraltro concertate con le regioni, secondo quanto sopra detto. Infatti, solo le disposizioni regionali che rispecchiano il contenuto della disciplina statale possono considerarsi non affette da illegittimita' costituzionale, poiche' spetta esclusivamente al legislatore statale individuare quegli interventi che, pur incidendo su beni vincolati, sono esonerati dall'autorizzazione paesaggistica, in quanto si configurano come attivita' di gestione e manutenzione ordinaria, prevista e autorizzata dalla normativa vigente in materia (Corte costituzionale, sentenza n. 201 del 2018). Senonche', non tutti gli interventi di cui ai commi 3, 4, 6, 7 e 8, dell'art. 78 della legge regionale n. 8/2020 - alcuni dei quali aventi carattere temporaneo, altri permanente - risultano riconducibili a quelli esentati dalle disposizioni statali vigenti.

Quanto agli interventi aventi carattere permanente - che sono quelli che, in ragione della loro dimensione temporale, risultano maggiormente impattanti sul paesaggio - a venire in rilievo e' il citato comma 3, il quale prevede interventi edilizi su fabbricati esistenti, che si sostanziano in:   a) adeguamento degli accessi [1) trasformazione di una finestra in porta; 2) ampliamento di porta esistente; 3) inserimento di nuova apertura su parete esterna)];   b) diversa suddivisione interna o diverso uso dei locali, altre opere interne.

Il comma 7 del medesimo art. 78 sancisce, poi, che gli interventi di cui al comma 3 sono assentiti anche per le opere pubbliche.

Degli interventi elencati al comma 3 soltanto alcuni risultano riconducibili alle fattispecie previste dal citato allegato A al decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31.

Il riferimento e' a quelli di cui al comma 3, lettera b), ossia agli interventi edilizi di «diversa suddivisione interna o diverso uso dei locali, altre opere interne». Questi interventi appaiono, invero, rapportabili alla fattispecie di cui al punto A.1. del citato allegato A, decreto del Presidente della Repubblica n. 31/2017, concernente le «opere interne che non alterano l'aspetto esteriore degli edifici, comunque denominate ai fini urbanistico-edilizi, anche ove comportanti mutamento della destinazione d'uso».

La realizzazione di aperture e', invece, esonerata dall'autorizzazione paesaggistica nei soli casi di cui alla lettera A.2 dell'allegato A, ed e' invece soggetta all'autorizzazione paesaggistica semplificata laddove rientri nelle fattispecie di cui alle lettere B.2 e B.3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017.

Quanto agli interventi che rivestono carattere temporaneo, il comma 4 dell'art. 78 della legge regionale n. 8/2020 ne prevede alcuni finalizzati al mantenimento della capacita' ricettiva, nei limiti prescritti dalle autorizzazioni igienico-sanitarie, ove esistenti, delle strutture ricettive alberghiere, extralberghiere, dei complessi ricettivi all'aperto, degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e degli agriturismi, aventi carattere temporaneo sino al 30 aprile 2022. Si tratta, in particolare:   a) degli interventi di ampliamento temporaneo della superficie di somministrazione mediante installazione di allestimenti esterni, immediatamente rimovibili, privi di platee e strutture rigide di tamponamento o copertura;   b) degli interventi di ampliamento temporaneo della superficie di somministrazione mediante installazione di allestimenti esterni, non immediatamente rimovibili, comprendenti platee e strutture rigide di tamponamento o copertura;   c) dell'utilizzo temporaneo di locali contigui o nell'immediata prossimita' dell'esercizio senza che cio' costituisca mutamento di destinazione d'uso;   d) per i rifugi, case per ferie, ostelli della gioventu' e dortoirs o posti tappa escursionistici, della posa di attendamento nell'area esterna di pertinenza;   e) per i rifugi, le case per ferie, ostelli della gioventu' e dortoirs o posti tappa escursionistici e i complessi ricettivi all'aperto, installazione di servizi igienici mobili.

Degli interventi elencati al comma 4, quelli di cui alla lettera a) risultano riconducibili alla fattispecie di cui al punto A.17 del citato allegato A, decreto del Presidente della Repubblica n. 31/2017, concernente le «installazioni esterne poste a corredo di attivita' economiche quali esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, attivita' commerciali, turistico-ricettive, sportive o del tempo libero, costituite da elementi facilmente amovibili quali tende, pedane, paratie laterali frangivento, manufatti ornamentali, elementi ombreggianti o altre strutture leggere di copertura, e prive di parti in muratura o strutture stabilmente ancorate al suolo».

Tutti gli altri interventi non sono, invece, esonerati dall'autorizzazione paesaggistica. In particolare, gli interventi di cui all'art. 78, comma 4, lettera b), non sono riconducibili alla fattispecie prevista dall'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 76 del 16 luglio 2020, anche ove realizzati presso le aree cui siffatto articolo fa riferimento (pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani di interesse artistico o storico, fatta eccezione per le pubbliche piazze, le vie o gli spazi aperti urbani adiacenti a siti archeologici o ad altri beni di particolare valore storico o artistico), atteso che la norma regionale si riferisce a opere non facilmente rimovibili, mentre quella statale richiede l'amovibilita' dei manufatti al fine di escludere la necessita' dei titoli autorizzatori.

Il comma 6 dell'art. 78 prevede, poi, interventi finalizzati al rispetto delle misure di sicurezza prescritte per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 per le attivita' produttive di tipo artigianale, industriale e commerciale, aventi carattere temporaneo sino al 30 aprile 2022, quali:   a) ampliamento temporaneo della superficie dell'esercizio assentito mediante installazione di allestimenti esterni, immediatamente rimovibili, privi di platee e strutture rigide di tamponamento o copertura e, limitatamente alle attivita' produttive di tipo artigianale e industriale, di servizi igienici mobili;   b) ampliamento temporaneo della superficie dell'esercizio assentito mediante installazione di allestimenti esterni, non immediatamente rimovibili, comprendenti platee e strutture rigide di tamponamento o copertura rimovibili;   c) ampliamento temporaneo della superficie dell'esercizio mediante utilizzo temporaneo dei locali contigui o nell'immediata prossimita' dell'attivita' senza che cio' costituisca mutamento di destinazione d'uso.

Per gli interventi di cui al comma 6, il comma 7 dell'art. 78 prevede che sono assentiti anche per le opere pubbliche.

Degli interventi elencati al comma 6, quelli di cui alla lettera a) risultano riconducibili alla fattispecie di cui al punto A.17 del citato allegato A, decreto del Presidente della Repubblica n. 31/2017, concernente le «installazioni esterne poste a corredo di attivita' economiche quali esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, attivita' commerciali, turistico-ricettive, sportive o del tempo libero, costituite da elementi facilmente amovibili quali tende, pedane, paratie laterali frangivento, manufatti ornamentali, elementi ombreggianti o altre strutture leggere di copertura, e prive di parti in muratura o strutture stabilmente ancorate al suolo».

Tutti gli altri interventi non sono, invece, esonerati dall'autorizzazione paesaggistica. In particolare, gli interventi di cui al comma 6, lettera b), non sono riconducibili alla fattispecie prevista dall'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 76 del 16 luglio 2020, anche ove realizzati presso le aree cui siffatto articolo fa riferimento (pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani di interesse artistico o storico, fatta eccezione per le pubbliche piazze, le vie o gli spazi aperti urbani adiacenti a siti archeologici o ad altri beni di particolare valore storico o artistico), atteso che la norma regionale si riferisce a opere non facilmente rimovibili, mentre quella statale richiede l'amovibilita' dei manufatti al fine di escludere la necessita' dei titoli autorizzatori.

Quindi, eccettuate le ipotesi innanzi dette di interventi riconducibili alle fattispecie previste dall'allegato A al decreto n. 31 del 13 febbraio 2017 - e che, dunque, in ragione di quanto innanzi detto, possono considerarsi non affette da illegittimita' costituzionale - deve ribadirsi come le restanti risultino, invece, costituzionalmente illegittime per violazione delle norme fondamentali di riforma economico - sociale in materia di tutela del paesaggio. Non e', infatti, consentito alle regioni, anche a statuto speciale, individuare, con riferimento ai beni paesaggistici, ulteriori tipologie di interventi sottratte al regime autorizzatorio, in aggiunta o in difformita' rispetto a quanto previsto dalla disciplina statale.

L'art. 78, comma 2, lettera c), legge regionale n. 8/2020, limitando la tutela dei beni culturali soltanto a quelli classificati come «monumento» negli strumenti urbanistici comunali, si pone, inoltre, in contrasto con la potesta' legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione L'art. 78 della legge regionale n. 8/2020 - quanto al comma 2, lettere c) e d); comma 3, lettera a), nella parte in cui estende l'esonero dall'autorizzazione paesaggistica al di fuori delle ipotesi di cui al punto A.2 dell'allegato A al decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017; comma 4, lettere b), c) e d); comma 6, lettere b) e c) - e' censurabile anche in quanto incide sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, materia riservata allo Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione; infatti, come gia' evidenziato da codesta ecc.ma Corte nelle sentenze n. 207 del 2012 e n. 238 del 2013, le esigenze di uniformita' della disciplina in tema di autorizzazione paesaggistica su tutto il territorio nazionale si impongono sull'autonomia legislativa delle regioni, alle quali non e' pertanto consentito individuare altre tipologie di interventi realizzabili in assenza di autorizzazione paesaggistica, al di fuori di quelli tassativamente determinati ai sensi della normativa sopra richiamata.

E' violato, infine, anche l'art. 9 della Costituzione, in base al quale il paesaggio costituisce valore costituzionale primario e assoluto (Corte costituzionale sentenza 378 del 2007), poiche' la Regione, ampliando gli interventi sottratti all'autorizzazione paesaggistica, ha determinato l'abbassamento dei livelli di tutela posti a presidio dei beni paesaggistici.

Per le esposte ragioni, si impugna la legge della Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020, limitatamente all'art. 78, comma 2, lettere c) e d), comma 3, lettera a), nella parte in cui estende l'esonero dall'autorizzazione paesaggistica al di fuori delle ipotesi di cui al punto A.2 dell'allegato A al decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017, comma 4, lettere b), c) e d), comma 6, lettere b) e c), per violazione degli articoli 2 e 3 dello Statuto speciale, dell'art. 9 della Costituzione, nonche' dell'art. 117, secondo comma, lettere s) e m), della Costituzione, stante il contrasto delle disposizioni censurate con gli articoli 21 e 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' con la disciplina statale che indica le ipotesi di esonero dai predetti titoli autorizzatori (art. 149 del predetto codice di settore; decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017; art. 181, comma 3, del decreto-legge n. 34 del 2020; art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 76 del 2020).

8. Illegititmita' dell'art. 81, comma 3, della legge della Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020, per violazione dei limiti delle competenze statuarie e degli articoli 97 e 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, in riferimento al comma 12 dell'art. 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006.

Riguardo all'art. 81 della legge regionale n. 8/2020 emergono profili di incostituzionalita' del comma 3 che stabilisce: «Sono inoltre prorogate di un anno, dalla data di originale scadenza, le autorizzazioni rilasciate ai sensi dell'art. 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), riguardanti le discariche per rifiuti speciali inerti, di titolarita' pubblica, presenti nel territorio regionale, in scadenza entro il 31 dicembre 2020, previo adeguamento delle garanzie finanziarie da parte del gestore».

La suddetta disposizione nel prevedere, in via esclusiva, l'applicazione generica della proroga di un anno del regime autorizzativo degli impianti di smaltimento per rifiuti inerti di titolarita' pubblica, contrasta con quanto espressamente stabilito dal comma 12 dell'art. 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006 che, in prossimita' della scadenza, non prevede proroghe, ma il rinnovo dell'autorizzazione a seguito dell'attivazione, da parte del gestore, di un determinato iter a cui segue lo svolgimento di un'istruttoria da parte della autorita' competente, ove viene a sostanziarsi la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, e che trovano nei principi costituzionali la loro previsione e tutela.

La norma regionale comporta, quindi, un abbassamento dei livelli di tutela dell'ambiente.

In particolare, la citata norma statale prevede che «Salva l'applicazione dell'art. 29-octies per le installazioni di cui all'art. 6, comma 13, l'autorizzazione di cui al comma 1 e' concessa per un periodo di dieci anni ed e' rinnovabile. A tale fine, almeno centottanta giorni prima della scadenza dell'autorizzazione, deve essere presentata apposita domanda alla regione che decide prima della scadenza dell'autorizzazione stessa. In ogni caso l'attivita' puo' essere proseguita fino alla decisione espressa, previa estensione delle garanzie finanziarie prestate».

Sempre in tale contesto, la stessa normativa statale primaria prevede, altresi', l'esecuzione di ispezioni e controlli i cui esiti costituiscono condizione di efficacia dell'autorizzazione all'esercizio della discarica come stabilito dall'art. 9 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36.

La disposizione regionale investe la materia della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», attribuita in via esclusiva alla competenza legislativa dello Stato (ex multis, Corte costituzionale, sentenze n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009), nella quale rientra la disciplina della gestione dei rifiuti (Corte costituzionale, sentenza n. 249 del 2009), anche quando interferisca con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (tra le molte, sentenze n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 del 2011, n. 225 e n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008).

Tale disciplina, «in quanto appunto rientrante principalmente nella tutela dell'ambiente, e dunque in una materia che, per la molteplicita' dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasivita' rispetto anche alle attribuzioni regionali» (sentenza n. 249 del 2009), con la conseguenza che, avendo riguardo alle diverse fasi e attivita' di gestione del ciclo dei rifiuti e agli ambiti materiali ad esse connessi, la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari un livello di tutela uniforme e si impone sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le regioni e le province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenze n. 58 del 2015, n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007).

Ne consegue che «non puo' riconoscersi una competenza regionale in materia di tutela dell'ambiente», anche se le regioni possono stabilire per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze livelli di tutela piu' elevati, pur sempre nel rispetto della normativa statale di tutela dell'ambiente (sentenze n. 61 del 2009 e n. 285 del 2013) mentre, nel caso di specie, come gia' rilevato, la norma regionale comporta un abbassamento dei livelli di tutela ambientale.

Per le esposte ragioni, si impugna la legge della Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020, limitatamente all'art. 81, comma 3, per violazione dei limiti delle competenze statuarie e degli articoli 97 e 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», in riferimento al comma 12 dell'art. 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006.

9. Illegittimita' dell'art. 91, commi 1 e 3, della legge regionale della Valle d'Aosta n. 8 del 2020, per violazione dei limiti delle competenze statutarie e dell'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che affida allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento civile, con riferimento agli articoli 7 e 36 del decreto legislativo n. 165/2001.

L'art. 91 della legge regionale in questione reca disposizioni urgenti in materia di comparto pubblico regionale e proroga di termini, prevedendo, al comma 1, che, limitatamente al 2020, in considerazione delle ulteriori necessita' assunzionali funzionali a fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e le relative ricadute socio-economiche, l'Amministrazione regionale, in deroga ai limiti assunzionali vigenti, e' autorizzata ad effettuare assunzioni a tempo determinato nel limite della spesa teorica calcolata su base annua con riferimento alle unita' di personale, anche di qualifica dirigenziale, cessate dal servizio nel 2019 e non sostituite e alle cessazioni programmate per l'anno 2020, fermo restando che le predette assunzioni possono essere effettuate soltanto a seguito delle cessazioni, a qualsiasi titolo, che determinano la relativa esigenza sostitutiva. La norma, nell'autorizzare l'amministrazione regionale, per l'anno 2020, ad effettuare assunzioni a tempo determinato, per esigenze sostitutive connesse alla gestione dell'emergenza da COVID-19, appare generica nella sua formulazione, non trovando, peraltro, riscontro nella normativa nazionale che, agli stessi fini, ha previsto misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza in parola, ivi incluso il ricorso ai contratti a termine, il cui utilizzo, tuttavia, viene riferito a determinati e circostanziati settori e categorie. Tali disposizioni regionali, ponendosi in contrasto con le disposizioni statali in materia di utilizzo del contratto a termine, di cui all'art. 36 del decreto legislativo n. 165/2001, la cui ratio e' quella di prevenire un uso distorto del lavoro flessibile, determinano la conseguente violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che affida allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento civile.

Il comma 3 del medesimo art. 91 prevede che, limitatamente al 2020, in considerazione delle ulteriori necessita' assunzionali funzionali a fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, gli enti locali, in forma singola o associata, in deroga ai limiti assunzionali vigenti, sono autorizzati a utilizzare forme di lavoro flessibile per sostituire il personale assente o cessato dal servizio o in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali richieste e per garantire l'erogazione dei servizi tra cui, in particolare, quelli domiciliari, semiresidenziali e residenziali rivolti a persone anziane e non autosufficienti o in condizioni di fragilita' e quelli di polizia locale. La prevista autorizzazione normativa per il ricorso degli Enti locali a forme di lavoro flessibile per sostituire il personale assente o cessato dal servizio o in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali, al fine di garantire l'erogazione dei servizi domiciliari, semiresidenziali e residenziali rivolti a persone anziane e non autosufficienti o in condizioni di fragilita' e quelli di polizia locale, non trova riscontro nella normativa nazionale di riferimento che, invero, con il fine di prevenire abusi nell'utilizzo del lavoro flessibile, pone precisi limiti all'utilizzo delle relative tipologie contrattuali (cfr. articoli 7 e 36 del decreto legislativo n. 165/2001). La previsione regionale di cui si discorre, che non trova riscontro neppure nella normativa nazionale emanata al fine di fronteggiare l'emergenza sanitaria da COVID-19, si pone conseguentemente in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

Per le esposte motivazioni, si impugna la legge regionale della Valle d'Aosta n. 8 del 2020, limitatamente all'art. 91, commi 1, 2 e 3, per violazione dei limiti delle competenze statutarie e dell'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che affida allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento civile, con riferimento agli articoli 7 e 36 del decreto legislativo n. 165/2001.

Per quanto sopra, si impugna la legge regionale della Valle d'Aosta n. 8/2020, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione.

 

P. Q. M.

 

Si chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimi gli articoli 10, 13, commi 1 e 2, 14, 15, 22, 46, 77, commi 1, 2, lettere a), b), c), e), f), 5, 78, comma 2, lettere c) e d), comma 3, lettera a), nella parte in cui estende l'esonero dall'autorizzazione paesaggistica al di fuori delle ipotesi di cui al punto A.2 dell'allegato A al decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017, comma 4, lettere b), c) e d), comma 6, lettere b) e c), 81 comma 3, 91 commi 1, 2 e 3, della legge regionale della Valle d'Aosta n. 8/2020, per le motivazioni indicate nel ricorso, con le conseguenti statuizioni.

Con l'originale notificato del ricorso si depositera' estratto della delibera del Consiglio dei ministri in data 7 agosto 2020 con l'allegata relazione del Ministro per i rapporti con le regioni.

Roma, 9 settembre 2020

L'Avvocato dello Stato: Fedeli