RICORSO N. 26 DEL 2 MARZO 2020 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 2 marzo 2020.

(GU n. 14 del 1.4.2020)

 

Ricorso ex art. 127 della Costituzione per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici e' domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi n. 12 contro la Regione Veneto, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, con sede in Palazzo Balbi Dorsoduro 3901, 30123 Venezia per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge regionale 23 dicembre 2019, n. 50 recante «Disposizioni per la regolarizzazione delle opere edilizie eseguite in parziale difformita' prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 "Norme in materia di edificabilita' dei suoli"», pubblicata nel B.U. Veneto 27 dicembre 2019, n. 150, come da delibera del Consiglio dei ministri in data 21 febbraio 2020.

Nel B.U.R. Veneto n. 150 del 27 dicembre 2019 e' stata pubblicata la legge regionale 23 dicembre 2019, n. 50 recante «Disposizioni per la regolarizzazione delle opere edilizie eseguite in parziale difformita' prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 "Norme in materia di edificabilita' dei suoli"».

All'art. 1 («Finalita'») la legge regionale dispone che:   1. Nelle more dell'entrata in vigore della normativa regionale di riordino della disciplina edilizia, la Regione del Veneto, in attuazione dei principi di tutela del legittimo affidamento dei soggetti interessati e di semplificazione dell'azione amministrativa, promuove, in coerenza con quanto previsto dalla legge regionale 6 giugno 2017, n. 14 «Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il Governo del territorio e in materia di paesaggio"», il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, consentendo la regolarizzazione amministrativa delle parziali difformita' edilizie risalenti nel tempo, secondo le modalita' e le procedure di cui alla presente legge.

Il successivo art. 2 («Ambito e modalita' di applicazione») dispone:   1. Le disposizioni della presente legge si applicano alle opere edilizie, provviste di titolo edilizio abilitativo o di certificato di abitabilita' od agibilita', eseguite in parziale difformita' dai titoli edilizi rilasciati o dai progetti approvati prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 «Norme per la edificabilita' dei suoli» che:   a) comportino un aumento fino a un quinto del volume dell'edificio e comunque in misura non superiore a 90 metri cubi;   b) comportino un aumento fino a un quinto della superficie dell'edificio e comunque in misura non superiore a 30 metri quadrati;   c) comportino un diverso utilizzo dei vani, ferma restando la destinazione d'uso consentita per l'edificio;   d) comportino modifiche non sostanziali della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza, rispetto a quella indicata nel progetto approvato, purche' non in violazione delle normative in tema di distanze tra fabbricati, dai confini e dalle strade;   e) non rilevino in termini di superfici o volume e non siano modificative della struttura e dell'aspetto complessivo dell'edificio.

2. Il calcolo dell'aumento in termini di volume o superficie di cui al comma 1 determinato sulla base dei parametri edificatori stabiliti dallo strumento urbanistico.

3. Fatti salvi gli effetti civili e penali dell'illecito e fermo restando il pagamento del contributo di costruzione, ove dovuto, le difformita' edilizie di cui al comma 1 possono essere regolarizzate mediante presentazione di una segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA) e previo pagamento delle seguenti sanzioni pecuniarie:   a) 70 euro al metro cubo per aumento di volumi di cui alla lettera a);   b) 210 euro al metro quadrato per aumento delle superfici di cui alla lettera b);   c) 500 euro a vano nel caso di cui alla lettera c);   d) 1.000 euro per le modifiche di cui alla lettera d);   e) 750 euro per le opere di cui alla lettera e).

4. Resta ferma l'applicazione della disciplina sanzionatoria di settore, tra cui la normativa antisismica, idraulica, idrogeologica, di' sicurezza, igienico-sanitaria e quella di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 del 2004».

Cio' premesso, il Presidente del Consiglio ritiene che le disposizioni sopra riportate si pongano in contrasto con gli articoli 1 e 2 del testo unico dell'edilizia, decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 e con le altre connesse norme del decreto di seguito indicate, e quindi con l'art. 117, terzo comma Costituzione, con riguardo alla materia del «governo del territorio».

Propone pertanto questione di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127, comma 1 Costituzione per i seguenti

 

Motivi

 

La nuova normativa regionale ammette la conservazione del patrimonio privato esistente, anche se abusivo, deroga i principi contenuti negli articoli 30 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (recante il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia»), introducendo, sostanzialmente una nuova forma di condono edilizio.

Cio' e' confermato dalla stessa relazione al consiglio regionale del relativo progetto di legge, dove si legge:   «Il progetto di legge, quindi, intende fornire ai comuni uno strumento di governo del territorio utile per definire, tramite lo strumento della segnalazione certificata di inizio attivita' e il pagamento di sanzioni pecuniarie, numerose situazioni edilizie ancora irrisolte, caratterizzate da un abusivismo minore e risalente al periodo anteriore all'entrata in vigore della citata legge n. 10/1977, salvaguardando l'affidamento maturato dai soggetti privati alla conservazione, alla libera circolazione nonche' alla trasformazione edilizia consentita dallo strumento urbanistico comunale dei suddetti edifici».

In particolare, in base agli articoli 31 («Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformita' o con variazioni essenziali») e 33 del citato decreto del Presidente della Repubblica, e' sempre prevista la demolizione o il ripristino dello stato dei luoghi in caso di interventi eseguiti in assenza o difformita' del permesso di costruire.

La sostituzione di tali sanzioni ripristinatorie con una sanzione pecuniaria, e' prevista nei soli casi di cui all'art. 33, comma 2 (1)   La sanatoria e' invece consentita solo «se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda» (art. 36, comma 1).

Orbene, le norme impugnate si pongono in contrasto con le citate disposizioni in quanto:   a) introducono nuove ipotesi in cui e' possibile sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria;   b) introducono nuove ipotesi di sanatoria degli abusi edilizi, diverse da quelle previste dall'art. 36 (2) decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001.

Il comma 1 del citato art. 2 della legge regionale, che indica l'entita' delle difformita' suscettibili di regolarizzazione (nella misura di un quinto della cubatura o della superficie), contrasta anche con l'art. 34 («Interventi eseguiti in parziale difformita' dal permesso di costruire»), comma 2-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, il quale prevede che «Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformita' del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unita' immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali».

Inoltre, lo stesso art. 2 contrasta con i principi contenuti negli articoli 36, comma 1 («Accertamento di conformita'») e 37 («Interventi eseguiti in assenza o in difformita' dalla segnalazione certificata di inizio attivita' e accertamento di conformita'»), comma 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, ossia con il principio della «doppia conformita'».

Come ha precisato di recente la Corte al riguardo:   «gli articoli 36 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 riguardano, rispettivamente, l'accertamento di conformita' e gli interventi eseguiti in assenza o in difformita' dalla segnalazione certificata di inizio attivita' e accertamento di conformita'. Nelle due ipotesi sono consentiti il permesso in sanatoria e la sanatoria dell'intervento a condizione che sussista la cosiddetta doppia conformita', cioe' «se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda». I citati articoli 36 e 37 recano quindi norme di principio nella materia del governo del territorio (tra le piu' recenti, sentenze n. 2 del 2019, n. 68 del 2018, n. 232 e n. 107 del 2017, n. 101 del 2013)» (sentenza n. 290/2019).

Le norme impugnate vanno quindi ad incidere sulla materia «governo del territorio» ex art. 117, comma 3 Costituzione, nel cui ambito spetta alle regioni la sola adozione di una disciplina di dettaglio nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.

In particolare, nella sentenza n. 233/2015 (emessa in fattispecie analoga), la Corte ha precisato che «In tema di condono edilizio "straordinario", la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici (integralmente sottratti al legislatore regionale: sentenze n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004), le scelte di principio sul versante della sanatoria amministrativa, in particolare quelle relative all'an, al quando e al quantum: la decisione sul se disporre, nell'intero territorio nazionale, un condono straordinario, e quindi la previsione di un titolo abilitativo edilizio straordinario; quella relativa all'ambito temporale di efficacia della sanatoria; infine l'individuazione delle volumetrie massime condonabili (nello stesso senso, sentenze n. 225 del 2012 e n. 70 del 2005).

Nel rispetto di tali scelte di principio, competono alla legislazione regionale l'articolazione e la specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale (sentenze n. 225 del 2012, n. 49 del 2006 e n. 196 del 2004).

Ne consegue che le norme impugnate si pongono in contrasto con i consolidati principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale in materia.

Esula, infatti, dalla potesta' legislativa concorrente delle regioni il potere di "ampliare i limiti applicativi della sanatoria" (sentenza n. 290 del 2009) oppure, ancora, di "allargare l'area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato" (sentenza n. 117 del 2015). A maggior ragione, esula dalla potesta' legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale».

Cio' premesso, le norme regionali in esame risultano ancora censurabili nella parte in cui determinano, nella sostanza, un ampliamento delle ipotesi condonabili previste dalla legislazione statale, ammettendo la regolarizzazione amministrativa delle (parziali) difformita' edilizie, mediante la presentazione di una SCIA (Segnalazione certificata di inizio attivita'), cioe' sulla base di un titolo abilitativo differente da quello indicato dal legislatore statale e, soprattutto, della tempistica dettata dal procedimento amministrativo disciplinato dal legislatore statale del 2003 nell'esercizio della competenza esclusiva attribuitagli dall'art. 117, comma 3, Costituzione.

Occorre infatti considerare che e' ormai decorso il termine temporale, di quattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 168/2004 (recante «Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica»), previsto dall'art. 5 dello stesso decreto, in forza del quale:   «In esecuzione della sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 28 giugno 2004, la legge regionale prevista dal comma 26 dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni, puo' essere emanata entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Il termine indicato nel primo periodo si applica anche alle leggi regionali di cui al comma 33 del citato art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003. Decorso tale termine la normativa applicabile e' quella contenuta nel citato decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003. [...]»   Il termine di quattro mesi e' stato qualificato come perentorio dalla Corte (sentenza n. 49/2006) tanto da prevedere che ove le regioni non esercitino il proprio potere entro il termine prescritto non potra' essere applicata la disciplina dell'art. 32 e dell'allegato 1 del decreto-legge n. 269/2003. Ne consegue che, essendo scaduto il suddetto termine, alle regioni non e' consentito alcun nuovo intervento in attuazione della normativa statale sul condono edilizio.

Anche sotto tale profilo pertanto le disposizioni impugnate si pongono in contrasto con l'art. 117, comma 3, Costituzione laddove prevede tra le materie concorrenti il «governo del territorio», precisando poi che «Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato».

(1) Art. 33 comma 2: «Qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell'ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e con riferimento all'ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell'abuso, sulla base dell'indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all'applicazione della legge medesima, del parametro relativo all'ubicazione e con l'equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell'art. 16 della medesima legge.

Per gli edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la sanzione e' pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile, determinato a cura dell'agenzia del territorio».

(2) Art. 36: «1. In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformita' da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attivita' nelle ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformita' da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. 2. Il rilascio del permesso in sanatoria e' subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuita' a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'art. 16.

Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformita', l'oblazione e' calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso. 3. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata».

 

P.Q.M.

 

Si chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimi e conseguentemente annullare gli articoli 1 e 2 della legge regionale 23 dicembre 2019, n. 50 recante «Disposizioni per la regolarizzazione delle opere edilizie eseguite in parziale difformita' prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 "Norme in materia di edificabilita' dei suoli"», per i motivi illustrati nel presente ricorso.

Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno:   1. estratto della delibera del Consiglio dei ministri 21 febbraio 2020.

Roma, 25 febbraio 2020

L'Avvocato dello Stato: De Bellis

RICORSO N. 26 DEL 2 FEBBRAIO 2020 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 2 marzo 2020.

(GU n. 14 del 1.4.2020)

 

Ricorso ex art. 127 della Costituzione per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici e' domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi n. 12 contro la Regione Veneto, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, con sede in Palazzo Balbi Dorsoduro 3901, 30123 Venezia per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge regionale 23 dicembre 2019, n. 50 recante «Disposizioni per la regolarizzazione delle opere edilizie eseguite in parziale difformita' prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 "Norme in materia di edificabilita' dei suoli"», pubblicata nel B.U. Veneto 27 dicembre 2019, n. 150, come da delibera del Consiglio dei ministri in data 21 febbraio 2020.

Nel B.U.R. Veneto n. 150 del 27 dicembre 2019 e' stata pubblicata la legge regionale 23 dicembre 2019, n. 50 recante «Disposizioni per la regolarizzazione delle opere edilizie eseguite in parziale difformita' prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 "Norme in materia di edificabilita' dei suoli"».

All'art. 1 («Finalita'») la legge regionale dispone che:   1. Nelle more dell'entrata in vigore della normativa regionale di riordino della disciplina edilizia, la Regione del Veneto, in attuazione dei principi di tutela del legittimo affidamento dei soggetti interessati e di semplificazione dell'azione amministrativa, promuove, in coerenza con quanto previsto dalla legge regionale 6 giugno 2017, n. 14 «Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il Governo del territorio e in materia di paesaggio"», il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, consentendo la regolarizzazione amministrativa delle parziali difformita' edilizie risalenti nel tempo, secondo le modalita' e le procedure di cui alla presente legge.

Il successivo art. 2 («Ambito e modalita' di applicazione») dispone:   1. Le disposizioni della presente legge si applicano alle opere edilizie, provviste di titolo edilizio abilitativo o di certificato di abitabilita' od agibilita', eseguite in parziale difformita' dai titoli edilizi rilasciati o dai progetti approvati prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 «Norme per la edificabilita' dei suoli» che:   a) comportino un aumento fino a un quinto del volume dell'edificio e comunque in misura non superiore a 90 metri cubi;   b) comportino un aumento fino a un quinto della superficie dell'edificio e comunque in misura non superiore a 30 metri quadrati;   c) comportino un diverso utilizzo dei vani, ferma restando la destinazione d'uso consentita per l'edificio;   d) comportino modifiche non sostanziali della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza, rispetto a quella indicata nel progetto approvato, purche' non in violazione delle normative in tema di distanze tra fabbricati, dai confini e dalle strade;   e) non rilevino in termini di superfici o volume e non siano modificative della struttura e dell'aspetto complessivo dell'edificio.

2. Il calcolo dell'aumento in termini di volume o superficie di cui al comma 1 determinato sulla base dei parametri edificatori stabiliti dallo strumento urbanistico.

3. Fatti salvi gli effetti civili e penali dell'illecito e fermo restando il pagamento del contributo di costruzione, ove dovuto, le difformita' edilizie di cui al comma 1 possono essere regolarizzate mediante presentazione di una segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA) e previo pagamento delle seguenti sanzioni pecuniarie:   a) 70 euro al metro cubo per aumento di volumi di cui alla lettera a);   b) 210 euro al metro quadrato per aumento delle superfici di cui alla lettera b);   c) 500 euro a vano nel caso di cui alla lettera c);   d) 1.000 euro per le modifiche di cui alla lettera d);   e) 750 euro per le opere di cui alla lettera e).

4. Resta ferma l'applicazione della disciplina sanzionatoria di settore, tra cui la normativa antisismica, idraulica, idrogeologica, di' sicurezza, igienico-sanitaria e quella di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 del 2004».

Cio' premesso, il Presidente del Consiglio ritiene che le disposizioni sopra riportate si pongano in contrasto con gli articoli 1 e 2 del testo unico dell'edilizia, decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 e con le altre connesse norme del decreto di seguito indicate, e quindi con l'art. 117, terzo comma Costituzione, con riguardo alla materia del «governo del territorio».

Propone pertanto questione di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127, comma 1 Costituzione per i seguenti

 

Motivi

 

La nuova normativa regionale ammette la conservazione del patrimonio privato esistente, anche se abusivo, deroga i principi contenuti negli articoli 30 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (recante il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia»), introducendo, sostanzialmente una nuova forma di condono edilizio.

Cio' e' confermato dalla stessa relazione al consiglio regionale del relativo progetto di legge, dove si legge:   «Il progetto di legge, quindi, intende fornire ai comuni uno strumento di governo del territorio utile per definire, tramite lo strumento della segnalazione certificata di inizio attivita' e il pagamento di sanzioni pecuniarie, numerose situazioni edilizie ancora irrisolte, caratterizzate da un abusivismo minore e risalente al periodo anteriore all'entrata in vigore della citata legge n. 10/1977, salvaguardando l'affidamento maturato dai soggetti privati alla conservazione, alla libera circolazione nonche' alla trasformazione edilizia consentita dallo strumento urbanistico comunale dei suddetti edifici».

In particolare, in base agli articoli 31 («Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformita' o con variazioni essenziali») e 33 del citato decreto del Presidente della Repubblica, e' sempre prevista la demolizione o il ripristino dello stato dei luoghi in caso di interventi eseguiti in assenza o difformita' del permesso di costruire.

La sostituzione di tali sanzioni ripristinatorie con una sanzione pecuniaria, e' prevista nei soli casi di cui all'art. 33, comma 2 (1)   La sanatoria e' invece consentita solo «se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda» (art. 36, comma 1).

Orbene, le norme impugnate si pongono in contrasto con le citate disposizioni in quanto:   a) introducono nuove ipotesi in cui e' possibile sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria;   b) introducono nuove ipotesi di sanatoria degli abusi edilizi, diverse da quelle previste dall'art. 36 (2) decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001.

Il comma 1 del citato art. 2 della legge regionale, che indica l'entita' delle difformita' suscettibili di regolarizzazione (nella misura di un quinto della cubatura o della superficie), contrasta anche con l'art. 34 («Interventi eseguiti in parziale difformita' dal permesso di costruire»), comma 2-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, il quale prevede che «Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformita' del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unita' immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali».

Inoltre, lo stesso art. 2 contrasta con i principi contenuti negli articoli 36, comma 1 («Accertamento di conformita'») e 37 («Interventi eseguiti in assenza o in difformita' dalla segnalazione certificata di inizio attivita' e accertamento di conformita'»), comma 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, ossia con il principio della «doppia conformita'».

Come ha precisato di recente la Corte al riguardo:   «gli articoli 36 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 riguardano, rispettivamente, l'accertamento di conformita' e gli interventi eseguiti in assenza o in difformita' dalla segnalazione certificata di inizio attivita' e accertamento di conformita'. Nelle due ipotesi sono consentiti il permesso in sanatoria e la sanatoria dell'intervento a condizione che sussista la cosiddetta doppia conformita', cioe' «se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda». I citati articoli 36 e 37 recano quindi norme di principio nella materia del governo del territorio (tra le piu' recenti, sentenze n. 2 del 2019, n. 68 del 2018, n. 232 e n. 107 del 2017, n. 101 del 2013)» (sentenza n. 290/2019).

Le norme impugnate vanno quindi ad incidere sulla materia «governo del territorio» ex art. 117, comma 3 Costituzione, nel cui ambito spetta alle regioni la sola adozione di una disciplina di dettaglio nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.

In particolare, nella sentenza n. 233/2015 (emessa in fattispecie analoga), la Corte ha precisato che «In tema di condono edilizio "straordinario", la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici (integralmente sottratti al legislatore regionale: sentenze n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004), le scelte di principio sul versante della sanatoria amministrativa, in particolare quelle relative all'an, al quando e al quantum: la decisione sul se disporre, nell'intero territorio nazionale, un condono straordinario, e quindi la previsione di un titolo abilitativo edilizio straordinario; quella relativa all'ambito temporale di efficacia della sanatoria; infine l'individuazione delle volumetrie massime condonabili (nello stesso senso, sentenze n. 225 del 2012 e n. 70 del 2005).

Nel rispetto di tali scelte di principio, competono alla legislazione regionale l'articolazione e la specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale (sentenze n. 225 del 2012, n. 49 del 2006 e n. 196 del 2004).

Ne consegue che le norme impugnate si pongono in contrasto con i consolidati principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale in materia.

Esula, infatti, dalla potesta' legislativa concorrente delle regioni il potere di "ampliare i limiti applicativi della sanatoria" (sentenza n. 290 del 2009) oppure, ancora, di "allargare l'area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato" (sentenza n. 117 del 2015). A maggior ragione, esula dalla potesta' legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale».

Cio' premesso, le norme regionali in esame risultano ancora censurabili nella parte in cui determinano, nella sostanza, un ampliamento delle ipotesi condonabili previste dalla legislazione statale, ammettendo la regolarizzazione amministrativa delle (parziali) difformita' edilizie, mediante la presentazione di una SCIA (Segnalazione certificata di inizio attivita'), cioe' sulla base di un titolo abilitativo differente da quello indicato dal legislatore statale e, soprattutto, della tempistica dettata dal procedimento amministrativo disciplinato dal legislatore statale del 2003 nell'esercizio della competenza esclusiva attribuitagli dall'art. 117, comma 3, Costituzione.

Occorre infatti considerare che e' ormai decorso il termine temporale, di quattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 168/2004 (recante «Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica»), previsto dall'art. 5 dello stesso decreto, in forza del quale:   «In esecuzione della sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 28 giugno 2004, la legge regionale prevista dal comma 26 dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni, puo' essere emanata entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Il termine indicato nel primo periodo si applica anche alle leggi regionali di cui al comma 33 del citato art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003. Decorso tale termine la normativa applicabile e' quella contenuta nel citato decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003. [...]»   Il termine di quattro mesi e' stato qualificato come perentorio dalla Corte (sentenza n. 49/2006) tanto da prevedere che ove le regioni non esercitino il proprio potere entro il termine prescritto non potra' essere applicata la disciplina dell'art. 32 e dell'allegato 1 del decreto-legge n. 269/2003. Ne consegue che, essendo scaduto il suddetto termine, alle regioni non e' consentito alcun nuovo intervento in attuazione della normativa statale sul condono edilizio.

Anche sotto tale profilo pertanto le disposizioni impugnate si pongono in contrasto con l'art. 117, comma 3, Costituzione laddove prevede tra le materie concorrenti il «governo del territorio», precisando poi che «Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato».

(1) Art. 33 comma 2: «Qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell'ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e con riferimento all'ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell'abuso, sulla base dell'indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all'applicazione della legge medesima, del parametro relativo all'ubicazione e con l'equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell'art. 16 della medesima legge.

Per gli edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la sanzione e' pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile, determinato a cura dell'agenzia del territorio».

(2) Art. 36: «1. In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformita' da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attivita' nelle ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformita' da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. 2. Il rilascio del permesso in sanatoria e' subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuita' a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'art. 16.

Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformita', l'oblazione e' calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso. 3. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata».

 

P.Q.M.

 

Si chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimi e conseguentemente annullare gli articoli 1 e 2 della legge regionale 23 dicembre 2019, n. 50 recante «Disposizioni per la regolarizzazione delle opere edilizie eseguite in parziale difformita' prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 "Norme in materia di edificabilita' dei suoli"», per i motivi illustrati nel presente ricorso.

Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno:   1. estratto della delibera del Consiglio dei ministri 21 febbraio 2020.

Roma, 25 febbraio 2020

L'Avvocato dello Stato: De Bellis