RICORSO N. 19 DEL 17 FEBBRAIO 2020 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 17 febbraio 2020.

(GU n. 12 del 18.3.2020)

 

Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri (C.F. 80188230587), rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato (C.F. 80224030587) presso cui e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, PEC: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it - fax: 06-96514000;   Contro la Regione Toscana in persona del Presidente pro tempore;   Per la dichiarazione, giusta delibera del Consiglio dei ministri del 6 febbraio 2020, di illegittimita' costituzionale della legge regionale del 13 dicembre 2019, n. 75, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n. 58 del 13 dicembre 2019, relativamente agli articoli 2, 3 e 4.

La legge regionale in epigrafe detta «Norme per incentivare l'introduzione dei prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta nelle mense scolastiche» (vale a dire, «per incentivare l'introduzione nelle mense scolastiche dei prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta»).

L'art. 1 definisce l'oggetto e le finalita' della legge, prevedendo che «La Regione, allo scopo di diffondere la corretta educazione alimentare, la cultura del cibo e delle tradizioni alimentari toscane e la lotta allo spreco alimentare, promuove il consumo di prodotti agricoli, di prodotti della pesca e dell'acquacoltura e alimentari toscani a chilometro zero, provenienti da filiera corta, nell'ambito dei servizi di refezione scolastica nei nidi d'infanzia, nelle scuole dell'infanzia, nelle scuole primarie e nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado».

Questa disposizione non forma oggetto della presente impugnazione anche se, isolatamente considerata, in quanto compresa ex art. 117, comma 3, della Costituzione nella competenza regionale concorrente relativa alla materia «alimentazione», potrebbe suscitare dubbi di incompetenza: manca infatti una legislazione statale che stabilisca i principi fondamentali in merito alla promozione del consumo alimentare «a chilometro zero» (1) .

Le sole norme statali «cornice» a cui riferire l'attivita' regionale di promozione del consumo alimentare in qualche modo analogo a quello considerato dalla legge impugnata possono attualmente ravvisarsi:   a) nell'art. 11 della legge 6 ottobbre 2017, n. 158, intitolato alla «Promozione dei prodotti provenienti da filiera corta o a chilometro utile», giusta il quale «1. I piccoli comuni, anche allo scopo di accrescere la sostenibilita' ambientale del consumo dei prodotti agricoli e alimentari, possono promuovere, anche in forma associata, il consumo e la commercializzazione dei prodotti agricoli e alimentari provenienti da filiera corta e dei prodotti agricoli e alimentari a chilometro utile, come definiti al comma 2, favorendone l'impiego da parte dei gestori dei servizi di ristorazione collettiva pubblica.

2. Ai fini e per gli effetti della presente legge:  a) per «prodotti agricoli e alimentari provenienti da filiera corta» si intendono i prodotti agricoli e alimentari provenienti da una filiera di approvvigionamento formata da un numero limitato di operatori economici che si impegnano a promuovere la cooperazione, lo sviluppo economico locale e stretti rapporti socio-territoriali tra produttori, trasformatori e consumatori;  b) per «prodotti agricoli e alimentari a chilometro utile» si intendono i prodotti agricoli di cui all'allegato I al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e i prodotti alimentari di cui all'art. 2 del regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, provenienti da un luogo di produzione o da un luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola primaria utilizzata nella trasformazione dei prodotti, situato entro un raggio di settanta chilometri dal luogo di vendita, nonche' i prodotti per i quali e' dimostrato un limitato apporto delle emissioni inquinanti derivanti dal trasporto, calcolato dalla fase di produzione fino al momento del consumo finale. Ai fini della dimostrazione del limitato apporto delle emissioni inquinanti, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, stabilisce i criteri e i parametri che i produttori agricoli e agroalimentari devono osservare per attestare il possesso di tale requisito da parte delle relative produzioni a chilometro utile.

3. Nei bandi di gara per gli appalti pubblici di servizi o di forniture di prodotti alimentari destinati alla ristorazione collettiva, indetti dai piccoli comuni, fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, costituisce titolo preferenziale per l'aggiudicazione l'utilizzo, in quantita' superiori ai criteri minimi ambientali stabiliti dai paragrafi 5.3.1 e 6.3.1 dell'allegato I annesso al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 25 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 21 settembre 2011, dei prodotti agricoli e alimentari provenienti da filiera corta o a chilometro utile e dei prodotti agricoli e alimentari biologici provenienti da filiera corta o a chilometro utile.

4. Per i fini di cui al comma 3, l'utilizzo dei prodotti di cui al comma 2, lettere a) e b), in quantita' superiori ai criteri minimi stabiliti dal citato decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare luglio 2011 deve essere adeguatamente documentato attraverso fatture di acquisto che riportino anche le indicazioni relative all'origine, alla natura, alla qualita' e alla quantita' dei prodotti acquistati.»;   b) nell'art. 12 della medesima legge, intitolato «Misure per favorire la vendita dei prodotti provenienti da filiera corta o a chilometro utile», giusta il quale «1. I piccoli comuni, nell'ambito del proprio territorio, sulla base delle disposizioni emanate dalle regioni e dalle province autonome, destinano specifiche aree alla realizzazione dei mercati agricoli per la vendita diretta ai sensi del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 20 novembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 301 del 29 dicembre 2007.

2. Nei mercati istituiti o autorizzati ai sensi del comma 1, i piccoli comuni, sulla base delle disposizioni emanate dalle regioni e dalle province autonome, riservano prioritariamente i posteggi agli imprenditori agricoli che esercitano la vendita diretta dei prodotti agricoli di cui all'art. 11, comma 2, lettere a) e b), della presente legge.

3. Al fine di favorire il consumo e la commercializzazione dei prodotti di cui all'art. 11, comma 2, lettere a) e b), della presente legge, sulla base delle disposizioni emanate dalle regioni e dalle province autonome, gli esercizi della grande distribuzione commerciale possono destinare una congrua percentuale dei prodotti agricoli e alimentari da acquistare annualmente, calcolata in termini di valore, all'acquisto di prodotti provenienti da filiera corta o a chilometro utile. Al fine di favorire la vendita dei medesimi prodotti, negli esercizi commerciali di cui al periodo precedente e' destinato ad essi uno spazio apposito, allestito in snodo da rendere adeguatamente visibili e identificabili le caratteristiche dei prodotti stessi.

4. E' fatta salva, in ogni caso, per gli imprenditori agricoli la facolta' di svolgere l'attivita' di vendita diretta ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228.»   c) nell'art. 95, comma 13, decreto legislativo n. 50/2016 (codice dei contratti pubblici), come modificato dall'art. 49 del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 convertito in legge 19 dicembre 2019, n. 157, giusta il quale «13. Compatibilmente con il diritto dell'Unione europea e con i principi di parita' di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalita', le amministrazioni aggiudicatrici indicano nel bando di gara, nell'avviso o nell'invito (. . . .) altresi' il maggiore punteggio relativo all'offerta concernente beni, lavori o servizi che presentano un minore impatto sulla salute e sull'ambiente, ivi compresi i beni o i prodotti da filiera corta o a chilometro zero».

Come si vede, manca ancora una definizione legislativa di «prodotto alimentare a chilometro zero», e, quanto ai prodotti «a filiera corta» e «a chilometro utile», le definizioni legislative vengono utilizzate solo al fine di regolare, in sostanza, eventuali criteri di aggiudicazione di appalti pubblici, o di realizzazione o assegnazione di spazi commerciali; ma tutto cio' sempre e soltanto a livello di «piccoli comuni» (vale a dire «i comuni con popolazione residente fino a 5.000 abitanti nonche' i Comuni istituiti a seguito di fusione tra Comuni aventi ciascuno popolazione fino a 5.000 abitanti»: art. 1 della legge n. 158/2017 cit.).

La sola previsione che menzioni il prodotto agroalimentare «a chilometro zero», senza peraltro definirlo, e' l'art. 95, comma 13, del codice dei contratti pubblici, citato sub c). Questa disposizione, relativa anch'essa alle aggiudicazioni di contratti pubblici, si rivolge a tutte le amministrazioni aggiudicatrici, non solo, quindi, ai piccoli comuni. Ma, giova subito avvertire, con due significativi presupposti limitativi: i) in ogni caso le amministrazioni debbono applicare la disposizione «compatibilmente con il diritto dell'Unione europea e con i principi di parita' di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalita'»; ii) il «favor» per i prodotti «a filiera corta» e «a chilometro zero» (la disposizione non menziona, invece, i prodotti «a chilometro utile») non e' fine a se stesso, ma e' condizionato alla circostanza che l'impiego di tali prodotti faccia si' che il bene o il servizio offerto in gara comporti «un minore impatto sulla salute e sull'ambiente».

In questo quadro normativo ancora incompleto e frammentario, potrebbe dunque dubitarsi della competenza legislativa regionale ad attribuire alla Regione stessa il compito di una generalizzata promozione del consumo nell'ambito scolastico di prodotti agroalimentari «a chilometro zero» o «da filiera corta».

Tuttavia, il problema appare superabile se non si considera isolatamente l'art. 1 della legge impugnata, ma lo si collega alle disposizioni che seguono, attraverso le quali il legislatore regionale ha inteso concretizzare quella genericamente enunciata finalita' di promozione.

Se si guarda all'essenziale di queste disposizioni, si vede infatti che tutta la disciplina introdotta si compendia nell'incidere sull'aggiudicazione degli appalti di fornitura dei servizi di refezione scolastica o dei prodotti da utilizzare nell'erogazione diretta di tali servizi da parte del sistema scolastico pubblico.

L'art. 2, infatti, definisce i prodotti «a chilometro zero» e «da filiera corta» (commi 1 e 2); l'art. 3, che costituisce il punto nodale dell'intervento normativo regionale, individua in «progetti pilota» da presentarsi da «soggetti pubblici appaltanti», lo strumento mediante il quale promuovere i prodotti suddetti nell'aggiudicazione dei servizi di «refezione collettiva scolastica» o nell'erogazione diretta (o «in house») di tali servizi (commi 1 e 2). L'art. 4, infine, finanzia con 500.000,00 euro annui il versamento a carico del bilancio regionale dei contributi con cui finanziare i progetti pilota.

Cosi' stando le cose, si vede che l'intervento regionale non vuole, in realta', costituire una forma di disciplina generale incentivante il consumo alimentare di prodotti «a chilometro zero» o «da filiera corta». L'intervento regionale vuole, come si diceva, incidere sulle modalita' di aggiudicazione dei contratti di fornitura dei beni o servizi necessari alla refezione collettiva nelle scuole pubbliche toscane.

Ma allora, se in tal modo si superano, o si accantonano, i dubbi di competenza legislativa riferiti alla materia generale «alimentazione», sorgono e si sostanziano dubbi ben piu' corposi riguardo agli articoli 2, 3, 4, riferiti ai seguenti parametri costituzionali: art. 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui obbliga il legislatore regionale ad operare nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea; art. 120 della Costituzione, nella parte in cui vieta alle Regioni di ostacolare la libera circolazione delle persone o delle cose, o di limitare l'esercizio del diritto al lavoro; art. 117, comma 2, lettera e), nella parte in cui attribuisce alla competenza statale esclusiva la legislazione in materia di tutela della concorrenza.

Ancora in premessa, va richiamato l'orientamento costante di codesta Corte costituzionale, espressosi a proposito di interventi normativi similari, nelle sentenze 209/2013 e 292/2013. La legge regionale oggi impugnata non supera le censure gia' ritenute fondate in tali precedenti, come si illustra nei seguenti motivi.

1. Violazione degli articoli 117, primo comma, e 120 della Costituzione, in relazione agli articoli 34, 35 e 36 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

Si deve muovere dall'art. 2, commi 1 e 2, della legge impugnata, giusta i quali (sottolineatura aggiunta) «1. Ai fini della presente legge si intendono per prodotti a chilometro zero i prodotti agricoli, i prodotti della pesca e dell'acquacoltura e alimentari, la cui produzione e trasformazione della materia, o dell'ingrediente primario presente in misura superiore al cinquanta per cento, avviene entro i confini amministrativi della Regione Toscana. I prodotti freschi della pesca in mare sono a chilometro zero se provenienti da punti di sbarco situati in Toscana e catturati da imbarcazioni iscritte nel registro delle imprese di pesca dei compartimenti marittimi regionali. I prodotti freschi dell'acquacoltura in mare sono a chilometro zero se provenienti da impianti collocali nelle acque costiere regionali.

2. Ai fini della presente legge si intendono per prodotti provenienti da filiera corta quelli che provengono da filiere produttive caratterizzate al massimo da un intermediario tra il produttore e la stazione appaltante.»   Come emerge senza possibile dubbio dalla lettera del primo comma, i prodotti a chilometro zero sono quelli provenienti da attivita' produttive o di trasformazione o manipolazione effettuate nei confini amministrativi della regione toscana.

In questo modo, la legge inevitabilmente finisce per favorire tali prodotti solo perche' provenienti dalla Toscana; non perche' qualitativamente unici, o perche' espressivi di attivita' produttive non inquinanti. Evidente e', allora, la discriminazione a danno dei prodotti provenienti da tutte le altre parti del territorio nazionale, che non sono privilegiati solo perche' non sono «toscani».

In argomento, la sentenza 292/2013 di codesta Corte costituzionale ha chiarito: «L'art. 4, comma 5, della legge regionale censurata prevede che, nei bandi per l'affidamento dei servizi di ristorazione collettiva gli enti pubblici debbano "garantire priorita'" ai soggetti che utilizzino, in una determinata misura percentuale (non meno del trentacinque per cento in valore rispetto ai prodotti agricoli complessivamente utilizzati su base annua), prodotti agroalimentari "da filiera corta", "di qualita'" e "a chilometro zero". Nell'ambito di tale ultima categoria sono ricompresi - in forza della definizione offerta dall'art. 3, comma 1, lettera c), della medesima legge - sia i beni per il cui trasporto dal luogo di produzione a quello di consumo si producono meno di venticinque chilogrammi di anidride carbonica equivalente per tonnellata, sia, "e comunque", "i beni trasportati all'interno del territorio regionale".

Dalla combinazione delle due norme emerge, dunque, che gli utilizzatori di prodotti di origine pugliese fruiscono di un trattamento preferenziale nell'aggiudicazione degli appalti in questione, indipendentemente dal livello di emissione di gas nocivi che il loro trasporto comporta.

4.- Questa Corte, con la sentenza n. 209 del 2013, ha gia' avuto occasione di dichiarare costituzionalmente illegittima, per violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di "tutela della concorrenza" (art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione), una norma regionale di contenuto sostanzialmente analogo a quello della disposizione combinata oggi denunciata. Si trattava, in particolare, dell'art. 2, comma 1, della legge della Regione Basilicata del 13 luglio 2012, n. 12 (Norme per orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli di origine regionale a chilometri zero), ove si stabiliva che l'utilizzazione dei prodotti agricoli di origine regionale costituisse titolo preferenziale per l'aggiudicazione di appalti pubblici di servizi o di forniture di prodotti alimentari ed agroalimentari destinati alla ristorazione collettiva.

Nell'occasione, la Corte ha rilevato come la legge regionale dianzi citata fosse volta - stando al relativo titolo - "ad orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli di origine regionale a chilometri zero". A fronte della genericita' della definizione contenuta nell'art. 1, comma 1, della medesima legge - definizione che aveva riguardo alla sola natura del prodotto, e non gia' alla distanza tra luogo di produzione e luogo di consumo - il riferimento ai prodotti "a chilometri zero" rimaneva, peraltro, privo di una concreta valenza selettiva, distinta e ulteriore rispetto a quella insita nel predicato "di origine regionale".

In questa prospettiva, la norma censurata veniva, dunque, ad imporre all'amministrazione appaltante un criterio di scelta del contraente chiaramente idoneo ad alterare la concorrenza, incentivando gli imprenditori ad impiegare prodotti provenienti da una certa area territoriale (quella lucana) a discapito di prodotti con caratteristiche similari, ancorche' provenienti da aree poste a distanza uguale o minore dal luogo di consumo (come poteva avvenire, in specie, ove il consumo avvenisse in zone limitrofe ad altre Regioni).

5.- Nel caso oggi in esame, l'alterazione della concorrenza viene in rilievo non come fonte della lesione del riparto interno delle competenze legislative definito dal citato art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione - trattandosi di parametro non evocato nel ricorso - ma come ragione di contrasto della normativa regionale impugnata con il diritto dell'Unione europea e, dunque, di violazione del precetto di cui al primo comma dell'art. 117 della Costituzione.

A differenza della "priorita'" accordata ai soggetti che utilizzano beni il cui trasporto determina una ridotta quantita' di emissioni nocive - "priorita'" giustificata dai benefici che la limitazione di tali emissioni reca in termini di tutela dell'ambiente - la «priorita'» riconosciuta a coloro che si avvalgono di prodotti trasportati esclusivamente all'interno del territorio regionale, indipendentemente dal livello delle emissioni, costituisce una misura ad effetto equivalente vietata dall'art. 34 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea - che ricomprende ogni normativa commerciale che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari - e non giustificata ai sensi dell'art. 36 del medesimo Trattato.

L'art. 36 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, infatti, lascia impregiudicate le restrizioni alle importazioni giustificate da motivi di "tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali", cui la salvaguardia dell'ambiente e' strettamente connessa. Nel caso in esame, tuttavia, il mero riferimento al trasporto all'interno della Regione e, dunque, alla provenienza locale dei prodotti agricoli, a prescindere dalla quantita' di emissioni prodotte, non soddisfa nessuna delle esigenze oggetto del regime derogatorio, ma si risolve in un incentivo per gli imprenditori ad impiegare determinati beni solo perche' provenienti da una certa area territoriale, cosi' da poter vantare l'anzidetto titolo preferenziale. A differenza dell'impiego dei prodotti pugliesi, infatti, l'utilizzo di quelli trasportati da altre localita', ancorche' con un pari o minore livello di emissioni nocive - e, dunque, con un equivalente o inferiore impatto ambientale - non conferisce analogo titolo preferenziale nell'aggiudicazione degli appalti dei servizi di ristorazione collettiva e subisce, di conseguenza, degli effetti discriminatori.».

Questo punto di vista e' conforme a quanto emerso, in proposito, nell'ambito dell'Unione europea. E' infatti ben noto che nel «Libro verde sulla modernizzazione della politica dell'Unione europea in materia di appalti pubblici - Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti» (COM-2011 15 definitivo) del 27 gennaio 2011, si afferma, a proposito di «come acquistare» per realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020, che la previsione, da parte delle amministrazioni appaltanti, del necessario acquisto di prodotti in loco puo' essere giustificato solo in casi del tutto eccezionali «in cui esigenze legittime e obiettive che non sono associate a considerazioni di natura puramente economica possono essere soddisfatte soltanto dai prodotti di una certa regione.» (punto 4.1. del citato «Libro verde»).

In questa prospettiva, la preferenza per un prodotto «a base territoriale limitata» potrebbe essere giustificata da esigenze ambientali, quali quelle espresse dal riferimento al livello delle emissioni di anidride carbonica durante il trasporto; non, invece, dalla mera origine regionale dei beni, la quale, da sola, non garantisce che le merci siano realmente «a chilometri zero» e che il loro trasporto abbia una minore incidenza negativa sull'ambiente.

Ma, come si e' visto, la legge regionale toscana oggi impugnata non prevede alcun sistema di calcolo delle emissioni generate dal trasporto dei generi alimentari, e indica come unico criterio selettivo l'origine regionale dei prodotti. Il che si traduce in un ingiustificato e sproporzionato ostacolo all'ammissione nel mercato toscano della refezione collettiva scolastica, dei prodotti provenienti da altre aree dell'intero territorio dell'Unione; cioe' una restrizione quantitativa vietata dall'art. 34 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, e, tramite esso, dall'art. 117, primo comma, della Costituzione.

Censure analoghe vanno mosse al comma 2 dell'art. 2, che tratta dei prodotti «da filiera corta».

Viene cosi' definita la filiera produttiva costituita «al massimo» da un intermediario tra il produttore e la stazione appaltante.

Anche se, teoricamente, sia il prodotto che l'intermediario «unico» che puo' interloquire con la stazione appaltante potrebbero non essere collegati al territorio toscano, e' evidente che un requisito cosi' restrittivo favorira' in modo concreto e all'atto pratico i prodotti e gli intermediari localizzati in Toscana, o prossimi alla parte del territorio di questa in cui si trova la stazione appaltante. Un singolo produttore agricolo lontano dalla Toscana, o dalla parte del territorio di questa in cui si trova la stazione appaltante, avra' infatti maggiori difficolta' a raggiungere con il proprio prodotto la stazione appaltante stessa, se dovra' servirsi di un solo intermediario (magazzino generale, rivenditore all'ingrosso, trasportatore). E, se riuscira' a farlo, cio' avverra' plausibilmente a costi molto maggiori (si pensi al trasporto o alla conservazione) di quelli che dovranno incontrare i produttori presenti nel territorio toscano o comunque prossimi alla stazione appaltante. Questi ultimi, infatti, incontreranno percorsi di consegna e tempi di immagazzinamento dei prodotti sensibilmente piu' brevi.

Ma, ponendosi dal punto di vista della ipotetica giustificazione «ambientale», potrebbe essere anche vero l'inverso, e con cio' si ha la conferma dell'irragionevolezza, e quindi della mancanza di proporzionalita' (intesa come rispondenza del mezzo allo scopo) della norma in esame. Un solo intermediario (pensiamo ad un trasportatore che copra una lunghissima distanza) potrebbe infatti emettere una quantita' di inquinanti molto maggiore di un numero piu' alto di intermediari che pero' si trovino ad operare, nella filiera del prodotto, in un territorio (regionale o ultraregionale) ristretto.

Anche il «favor» per l'abbreviazione della filiera in se' considerato, senza alcun necessario e dimostrabile collegamento, nella norma, con benefici ambientali concreti, appare quindi discriminatorio e sproporzionato; come tale, confliggente con l'art. 34 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e con l'art. 117, primo comma, della Costituzione.

Ma, per le stesse ragioni fin qui illustrate, l'art. 2 nei commi 1 e 2 contrasta anche con l'art. 120 della Costituzione. L'«obbligo» di fornire prodotti di provenienza toscana o trattati da un solo intermediario si traduce, infatti, in un immediato ostacolo alla libera circolazione nel territorio nazionale dei prodotti che non ottemperino a questi requisiti, e alla libera circolazione delle imprese e dei lavoratori che intendano operare nei servizi della refezione collettiva scolastica. Ostacolo non giustificato da alcuna causale ambientale o sanitaria oggettivamente dimostrabile, che infatti non e' ne' prevista ne' disciplinata dalla legge impugnata.

Alla dimostrata illegittimita' dell'art. 2 nei commi 1 e 2 e' conseguenziale l'illegittimita' anche del comma 3: questo provvede ad estendere la definizione di prodotto «a chilometro zero» o «da filiera corta» ai prodotti contemplati dalle norme europee e interne sulle varie produzioni tutelate. Con cio', le criticita' costituzionali insite nelle definizioni recate dai commi 1 e 2 vengono aggravate, perche' viene ostacolata la circolazione anche di prodotti disciplinati da normative come quelle, evocate nel comma 3, sulle denominazioni di origine o sulle indicazioni geografiche, o sull'etichettatura a garanzia del carattere biologico del prodotto o del carattere tradizionale del metodo di produzione, o sulla tutela delle razze a rischio di estinzione (di cui, quindi, va incrementata la circolazione nel mercato interno).

Ora, tali prodotti, proprio perche' oggetto di discipline speciali di tutela, non dovrebbero, una volta riscontrati conformi alle discipline stesse, subire ulteriori limitazioni nella circolazione di mercato. Tali limitazioni, aggiungendosi ai vincoli (c.d. «disciplinari») che i produttori sono tenuti ad osservare per ottenere la conformita' del prodotto alla normativa di tutela, aggraverebbero la condizione di tali produttori, discriminandoli rispetto ai produttori di generi simili ma non tutelati, e frustrerebbero le finalita' proprie delle varie normative di tutela, che tendono sempre, con tale mezzo, a favorire la massima circolazione di prodotti che, per le diverse ragioni rilevabili dalle singole normative, se ne considerano particolarmente meritevoli.

Il comma 3, in sostanza, finirebbe per favorire la sostituzione di prodotti generici, solo perche' «a chilometro zero» o «da filiera corta», ai prodotti tutelati dalle normative speciali evocate nel comma stesso, di cui si pregiudicherebbe l'effetto utile (contraddicendo anche la finalita' di educazione alimentare che la stessa legge impugnata dichiara di voler perseguire).

Le illegittimita' riscontrabili nell'art. 2 acquistano, poi, una valenza lesiva concreta nel collegamento di questo con l'art. 3.

Qui si prevede che «1. Per perseguire le finalita' della presente legge la Giunta regionale, a partire dall'anno 2020, previo esperimento di una procedura di evidenza pubblica, finanzia progetti pilota che devono garantire:   a) la fornitura di pasti nelle mense scolastiche incluse nel progetto preparati utilizzando almeno il cinquanta per cento di prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta;   b) un'iniziativa di informazione e sensibilizzazione almeno dei fruitori della refezione scolastica.

2. I progetti sono presentati da soggetti pubblici appaltanti che aggiudicano servizi di refezione collettiva scolastica, o che erogano direttamente il servizio di refezione collettiva scolastica o mediante societa' a partecipazione pubblica affidatarie del servizio.»   La norma prevede, in sostanza, che la Regione finanzi progetti pilota di promozione dei prodotti di cui all'art. 2 che le istituzioni scolastiche debbono attuare in un solo ambito, vale a dire nell'attivita' di aggiudicazione degli appalti di servizi di refezione scolastica o di fornitura dei prodotti necessari alla erogazione diretta di tale refezione.

E' abile lo sforzo del legislatore regionale di non incorrere nei vizi che furono rilevati da codesta Corte nelle citate sentenze 209 e 292 del 2013. In quei casi le leggi regionali impugnate prevedevano direttamente che l'impiego di prodotti «a chilometro zero» costituisse titolo preferenziale per l'aggiudicazione dei contratti ad evidenza pubblica, sicche' l'incidenza sulla circolazione delle merci e sulla concorrenza era immediata.

Ora, si menzionano «progetti pilota» di incentivazione. Ma tali progetti non possono attuarsi, per espressa previsione dell'art. 3, altrimenti che attraverso l'aggiudicazione degli appalti di servizio o di fornitura. E' quindi giocoforza ritenere che un progetto pilota potra' ottenere il finanziamento regionale solo se preveda una concreta, e non meramente teorica, rilevanza dell'impiego dei prodotti in questione ai fini dell'aggiudicazione del contratto.

Sicche', ancora una volta, tutto si ridurra', secondo ogni plausibile interpretazione (che non sia abrogativa) dell'art. 3, nel prevedere un criterio preferenziale di aggiudicazione. Con il che rimane confermata l'incidenza immediata, ma non giustificata e non proporzionata, che la disposizione regionale produce sulla circolazione delle merci, cosi' violando i parametri costituzionali in rubrica nel modo che si e' fin qui illustrato.

2. Violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.

Si richiama come parte integrante anche del presente motivo l'interpretazione degli articoli 2 e 3 della legge impugnata offerta nel primo motivo.

Ne discende la violazione anche della competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza.

A proposito di leggi regionali che prevedevano criteri preferenziali di aggiudicazione dei contratti pubblici connessi all'offerta di prodotti «a chilometro zero» o «utile» o «da filiera corta», la sentenza n. 209/2013 ha gia' osservato:   «Al riguardo, giova premettere che la legge della Regione Basilicata n. 12 del 2012 - stando al relativo titolo - e' volta ad "orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli di origine regionale a chilometri zero".

Nell'ambito delle disposizioni della legge regionale, tuttavia, la qualificazione "a chilometri zero" - formula che, nel lessico corrente, designa i prodotti consumati a breve distanza dal luogo di produzione, con connessi benefici in termini di tutela dell'ambiente e dei consumatori - rimane priva di ogni concreta valenza selettiva, distinta e ulteriore rispetto a quella insita nel predicato "di origine regionale".

La definizione della nozione di "prodotti a chilometri zero", offerta dall'art. 1, comma 1, della legge ("prodotti agricoli ed agroalimentari destinati all'alimentazione umana, ottenuti e trasformati"), prima ancora che generica, si rivela, infatti, eccentrica rispetto al concetto definito, in quanto attinente alla sola natura del prodotto, e non gia' alla distanza tra luogo di produzione e luogo di consumo. Negli ulteriori commi dell'art. 1 e nelle successive disposizioni della legge e', per converso, costante la limitazione delle prefigurate misure di sostegno ai prodotti di provenienza lucana.

La legge regionale - e, in particolare, le disposizioni impugnate - risultano volte, dunque, ad incentivare il consumo dei soli prodotti di origine regionale come tali, indipendentemente dall'ubicazione del luogo di produzione o dalla presenza di particolari qualita', senza che la tutela si estenda a prodotti con caratteristiche analoghe, ancorche' provenienti da aree poste a distanza uguale o minore dal luogo di consumo (come puo' avvenire, in specie, ove il consumo avvenga in zone limitrofe ad altre Regioni).

4.- Cio' puntualizzato, per quel che concerne il parametro costituzionale evocato, la giurisprudenza di questa Corte e' costante nell'affermare che la nozione di "concorrenza", di cui al secondo comma, lettera e), dell'art. 117 della Costituzione, riflette quella operante in ambito comunitario. Essa comprende, pertanto, sia le misure legislative di tutela in senso proprio, intese a contrastare gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati; sia le misure legislative di promozione, volte ad eliminare limiti e vincoli alla libera esplicazione della capacita' imprenditoriale e della competizione tra imprese (concorrenza "nel mercato"), ovvero a prefigurare procedure concorsuali di garanzia che assicurino la piu' ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici (concorrenza "per il mercato") (ex plurimis, sentenze n. 291 e n. 200 del 2012, n. 45 del 2010). In questa seconda accezione, attraverso la "tutela della concorrenza", vengono perseguite finalita' di ampliamento dell'area di libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi (sentenze n. 299 del 2012 e n. 401 del 2007).

Ove la suddetta materia, considerato il suo carattere finalistico e "trasversale", interferisse anche con materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni, queste ultime potrebbero dettare una disciplina con "effetti pro-concorrenziali", purche' tali effetti siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza (sentenze n. 43 del 2011 e n. 431 del 2007).

5.- Alla concorrenza "per il mercato" e, dunque, all'ambito materiale della "tutela della concorrenza" questa Corte ha, d'altro canto, gia' ascritto la disciplina delle procedure di selezione dei concorrenti e dei criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici (tra le ultime, sentenze n. 52 del 2012, n. 339 e n. 184 del 2011).

Si colloca, pertanto, in tale ambito anche l'impugnato art. 2, comma 1, della legge regionale, il quale stabilisce che l'utilizzo dei prodotti agricoli di origine lucana costituisce titolo preferenziale per l'aggiudicazione di appalti pubblici di servizi o di forniture di prodotti alimentari ed agroalimentari destinati alla ristorazione collettiva.

In tal modo, viene imposto all'amministrazione appaltante un criterio di scelta del contraente diverso e ulteriore rispetto alle previsioni della legislazione statale e, in particolare, degli articoli 81 e seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE): criterio che non solo non favorisce la concorrenza, ma chiaramente la altera, risolvendosi in un favor per gli imprenditori che impiegano prodotti provenienti da una certa area territoriale (quella lucana), cosi' da poter vantare il titolo preferenziale in questione.»   Non resta che applicare questi concetti anche agli articoli 2 e 3 della legge oggi impugnata, per come sopra illustrati e interpretati.

3. Non potrebbe invocarsi, a confutazione dei motivi sopra svolti, la disciplina statale di cui all'art. 95, comma 13, del codice dei contratti pubblici, riportato sub c).

Come gia' avvertito, questa disposizione, relativa anch'essa alle aggiudicazioni di contratti pubblici, si rivolge a tutte le amministrazioni aggiudicatrici. Ma prescrive due significativi presupposti limitativi: i) in ogni caso le amministrazioni debbono applicare la disposizione «compatibilmente con il diritto dell'Unione europea e con i principi di parita' di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalita'»; ii) il «favor» per i prodotti «a filiera corta» e «a chilometro zero» (la disposizione non menziona, invece, i prodotti «a chilometro utile») non e' fine a se stesso, ma e' condizionato alla circostanza che l'impiego di tali prodotti faccia si' che il bene o il servizio offerto in gara comporti «un minore impatto sulla salute e sull'ambiente».

Sono proprio questi due presupposti (la proporzionalita' e la dimostrata utilita' per la tutela della salute e dell'ambiente) che difettano nell'intervento legislativo regionale oggi impugnato, sicche' l'incidenza limitativa sulla parita' di trattamento tra operatori economici non e' giustificata.

4. Alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 2 e 3 conseguira' anche quella dell'art. 4, che ne costituisce la necessaria appendice applicativa, contenendo la norma di copertura finanziaria degli oneri derivanti dal finanziamento dei «progetti pilota».

(1) La materia e' oggetto del disegno di legge approvato dalla Camera il 18 ottobre 2018 (A.C.183) e attualmente all'esame del Senato (A.S. 878)

 

P. Q. M.

 

Cio' premesso, il Presidente del Consiglio dei ministri come sopra rapp.to e difeso ricorre a codesta Ecc.ma Corte costituzionale affinche' voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale della legge della Regione Toscana n. 58 del 13 dicembre 2019, relativamente agli articoli 2, 3 e 4.

Si producono la legge regionale impugnata e, in estratto conforme, la delibera del Consiglio dei ministri del 6 febbraio 2020

Roma, 11 febbraio 2020

L'Avvocato dello Stato: Gentili