RICORSO N. 101 DEL 30 SETTEMBRE 2019 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 30 settembre 2019.

(GU n. 44 del 30.10.2019)

 

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici e' domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi n. 12, contro;   La Regione Veneto, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, con sede in Palazzo Balbi - Dorsoduro, 3901, 30123 Venezia - per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 1, commi 1 e 2, e 4 della legge regionale 16 luglio 2019, n. 25 pubblicata nel B.U.R n. 80 del 23 luglio 2019 recante: «Norme per introdurre l'istituto della regolarizzazione degli adempimenti o rimozione degli effetti nell'ambito dei procedimenti di accertamento di violazioni di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative», come da delibera del Consiglio dei ministri in data 19 settembre 2019.

Nel B.U.R. Veneto n. 80 del 23 luglio 2019 e' stata pubblicata la legge regionale 16 luglio 2019, n. 25 recante: «Norme per introdurre l'istituto della regolarizzazione degli adempimenti o rimozione degli effetti nell'ambito dei procedimenti di accertamento di violazioni di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative».

All'art. 1 («finalita' ed oggetto») la legge regionale dispone che:   1. Nei procedimenti di accertamento per violazione di disposizioni normative, sanzionate in via amministrativa, in materie di competenza esclusiva della regione, nessun provvedimento sanzionatorio puo' essere irrogato se prima non sia consentita la regolarizzazione degli adempimenti o la rimozione degli effetti della violazione da parte del soggetto interessato.

2. Ai fini di cui al comma 1 si provvede, secondo le modalita' e nei termini definiti dalla Giunta regionale con propri provvedimenti da assumere, sentita la competente commissione consiliare, entro e non oltre novanta giorni dalla entrata in vigore della presente legge, in relazione alla tipologia della violazione e agli adempimenti che la regolarizzazione o la rimozione degli effetti della violazione comportano; alla Giunta regionale compete altresi', e con le stesse modalita', individuare le fattispecie per le quali non e' possibile ricorrere alla regolarizzazione degli adempimenti o rimozione degli effetti, attesa la non sanabilita' ad opera dell'autore o dell'obbligato in solido degli effetti della azione od omissione costituente la violazione sanzionata in via amministrativa.

3. In sede di accertamento delle violazioni individuate ai sensi del comma 2, e' definito il termine per provvedere alla regolarizzazione degli adempimenti o alla rimozione degli effetti.

4. La regolarizzazione degli adempimenti o rimozione degli effetti non puo' essere reiterata per un comportamento che ne e' gia' stato oggetto nei tre anni precedenti alla data dell'accertamento della violazione.

5. Decorso inutilmente il termine come definito ai sensi del comma 2 e' adottato il provvedimento sanzionatorio.

6. I comuni, le province e la Citta' metropolitana di Venezia, nell'esercizio delle funzioni di vigilanza e di controllo ad essi conferite dalla regione, si conformano alle disposizioni recate dalla presente legge.

Il successivo art. 4 («Norma di abrogazione») dispone:   1. E' abrogato l'art. 2-bis della legge regionale 28 gennaio 1977, n. 10 come introdotto dal comma 1 dell'art. 1 della legge regionale 11 marzo 2014, n. 10.

2. L'abrogazione dell'istituto della diffida amministrativa di cui all'art. 2-bis della legge regionale 28 gennaio 1977, n. 10, come introdotto dal comma 1 dell'art. 1 della legge regionale 11 marzo 2014, n. 10 decorre nei suoi effetti, per le diverse materie di cui alla presente legge, dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del rispettivo provvedimento di cui all'art. 1.

Cio' premesso, ritiene il Presidente del Consiglio che le disposizioni sopra riportate si pongano in contrasto con gli articoli 3, 25 e 97 Costituzione.

Propone pertanto questione di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127, comma 1 Costituzione per i seguenti

 

Motivi

 

Con l'art. 1, comma 1 sopra riportato, la regione introduce il principio secondo cui non puo' irrogarsi una sanzione amministrativa senza avere consentito al trasgressore «la regolarizzazione degli adempimenti o la rimozione degli effetti della violazione» entro un certo termine, il che - in sostanza - impedirebbe la successiva applicazione della sanzione.

Tale istituto «premiale» viene cosi' giustificato nella relazione (1) alla proposta di legge regionale:   «l'iniziativa legislativa oggi in esame, [che] vuol essere il segno della tradizionale attenzione e sensibilita' del legislatore regionale del Veneto per il tema della semplificazione normativa ed amministrativa, quale espressione della vicinanza alle problematiche quotidiane dei rapporti fra cittadino e pubblica amministrazione.

Sotto il profilo piu' propriamente tecnico-giuridico, si ritiene di poter osservare come la proposta in esame sia ascrivibile ad un indirizzo, trasversale, di politica legislativa secondo il quale la funzione di controllo deve evolvere da una funzione incentrata sull'accertamento della mera conformita' formale alla prescrizione normativa, ad una funzione tesa ad assicurare l'effettivo adempimento sostanziale alle disposizioni poste a tutela degli interessi pubblici; obbiettivo ritenuto conseguibile delineando l'esercizio della funzione di controllo e la sua disciplina nella prospettiva, secondo una logica collaborativa fra ente titolare delle funzioni di accertamento e cittadino trasgressore, dell'effettiva tutela dell'interesse pubblico di volta in volta perseguito. In estrema sintesi il legislatore si propone per l'esercizio delle funzioni di vigilanza e controllo a vario titolo di competenza del legislatore regionale, di dettare una disciplina che privilegi un approccio collaborativo mediante meccanismi di promozione dell'ottemperanza, con i quali conseguire il corretto adempimento favorendo la conformazione e ricorrendo, solo in via residuale, alla materiale irrogazione della sanzione».

Tale essendo la portata della norma, il Presidente del Consiglio ritiene che la stessa si ponga in contrasto con gli articoli 3, 25 e 97 Costituzione oltre che con la legge n. 689/1981 che detta la disciplina generale in tema di sanzioni amministrative.

Il contrasto con l'art. 3 deriva dalla irragionevolezza della norma, che nell'introdurre il sopra descritto istituto «premiale», viene ad incidere sulla stessa capacita' dissuasiva della sanzione.

E' evidente infatti che il cittadino nel momento in cui pone in essere l'illecito sara' consapevole del fatto che la sanzione potra' essere evitata semplicemente regolarizzando l'adempimento (posto in essere in modo irregolare) ovvero rimuovendo gli effetti della violazione nel termine che gli verra' assegnato.

In tal modo pero' viene totalmente meno l'efficacia deterrente della sanzione.

In sostanza e' come se si introducesse una causa di non punibilita' per l'autore di un furto che provvedesse alla tempestiva restituzione del bene sottratto. Oppure, per restare nell'ambito delle competenze regionali, se si consentisse di evitare la sanzione per la cattura di specie non cacciabili, semplicemente eliminandone gli effetti (liberando cioe' gli animali illecitamente catturati).

Appare quindi evidente come la disposizione introdotta, lungi dall'avere «una funzione tesa ad assicurare l'effettivo adempimento sostanziale alle disposizioni poste a tutela degli interessi pubblici», viene a minare alla base il sistema sanzionatorio introducendo una irragionevole esimente, subordinata al mero ripristino della situazione anteriore.

D'altro canto, di ben altro tenore era l'istituto della diffida amministrativa disciplinato dalla previgente disposizione contenuta nell'art. 2-bis della legge regionale n. 10/1977 - abrogata dall'art. 4 della legge regionale n. 25/2019 - che cosi' recitava:   «1. Fatta salva la disciplina prevista in normative di settore, ivi comprese quelle sulla sicurezza alimentare e sulla tutela e sicurezza del lavoro, al fine di semplificare il procedimento sanzionatorio e di instaurare un piu' proficuo rapporto di collaborazione fra amministrazione, cittadini ed imprese, e' introdotto, nei settori di cui al comma 2, l'istituto della diffida amministrativa, in luogo dell'immediato accertamento della violazione, qualora questa sia materialmente sanabile entro il termine fissato dal comma 3.

2. La diffida amministrativa e' applicabile nell'ambito di procedimenti sanzionatori disciplinati nei settori riguardanti il commercio, la somministrazione di alimenti e bevande, l'esercizio di attivita' di artigianato a contatto con il pubblico, il divieto di fumo, nonche' nelle fattispecie sanzionatorie previste dai regolamenti comunali.

3. La diffida amministrativa consiste in un invito rivolto dall'accertatore al trasgressore e all'eventuale responsabile in solido, a sanare la violazione. L'invito e' contenuto nel processo verbale di accertamento redatto al termine degli atti di cui all'art. 13 della legge 24 novembre 1981, n. 689 «Modifiche al sistema penale», notificato agli interessati ai sensi del successivo art. 14 e nel quale deve essere indicato il termine, non superiore ai dieci giorni, entro cui uniformarsi alle prescrizioni.

4. La diffida amministrativa non e' rinnovabile, ne' prorogabile.

Essa non opera in caso di attivita' svolta senza autorizzazione, licenza, concessione, permesso o nulla osta comunque denominato.

L'autore della violazione non puo' essere diffidato nuovamente per un comportamento gia' oggetto di diffida nei cinque anni precedenti.

5. Gli enti competenti individuano, nell'ambito dei settori indicati al comma 2, in quali procedimenti introdurre la diffida amministrativa. La Giunta regionale monitora l'applicazione dell'istituto della diffida amministrativa e puo' dettare specifiche linee guida in materia».

Come si vede si trattava di una articolata disposizione, con un preciso ambito di applicazione e che soprattutto si inseriva nella fase antecedente l'accertamento dell'illecito («l'istituto della diffida amministrativa, in luogo dell'immediato accertamento della violazione, qualora questa sia materialmente sanabile entro il termine fissato dal comma 3»).

Ne consegue la illegittimita' costituzionale anche dell'art. 4 che - insieme all'art. 1 - ha sostituito il precedente istituto della diffida con la nuova (e piu' ampia) previsione.

Inoltre il comma 2 del citato art. 1, dispone che il nuovo istituto, previsto per tutti i «procedimenti di accertamento per violazione di disposizioni normative, sanzionate in via amministrativa, in materie di competenza esclusiva della regione», non si applichi in talune fattispecie, la cui individuazione viene rimessa ad un organo amministrativo (Giunta regionale).

Alla Giunta regionale viene infatti demandato «ai fini di cui al comma 1»,   a) di stabilirne «modalita'» e i «termini» (cosi' l'art. 1, comma 2);   b) di individuare «le fattispecie per le quali non e' possibile ricorrere alla regolarizzazione degli adempimenti o rimozione degli effetti, attesa la non sanabilita' ad opera dell'autore o dell'obbligato in solido degli effetti della azione od omissione costituente la violazione sanzionata in via amministrativa».

Sembra di capire che dovrebbero essere esclusi dalla «esimente» i casi in cui non si possano regolarizzare gli adempimenti ovvero non si possano rimuovere gli effetti dell'illecito.

Seppure con tali eccezioni, la portata della norma introdotta dal comma 1 appare tuttavia di assoluto rilievo per il suo ampio ambito di applicazione.

Di certo l'avere attribuito ad una fonte inferiore alla legge (provvedimento della Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare), sia «le modalita' e i termini» di applicazione della «esimente», sia la individuazione dei casi in cui essa non debba operare, costituisce violazione del principio di legalita' ex art. 25 Costituzione come costantemente interpretato dalla Corte.

Si richiama al riguardo la recente sentenza 134/2019, nella quale la Corte ha precisato quanto segue:   «[le] leggi regionali che prevedano mere sanzioni amministrative, [le quali] ben possono rinviare - nel rispetto dei meno stringenti principi desumibili dall'art. 23 Costituzione (sentenza n. 115 del 2011) - anche ad atti sublegislativi ai fini dell'integrazione del precetto (amministrativamente) sanzionato in forza della stessa legge regionale.

3.2. - Cio' che, invece, anche le leggi regionali che stabiliscono sanzioni amministrative debbono garantire ai propri destinatari e' la conoscibilita' del precetto e la prevedibilita' delle conseguenze sanzionatorie: requisiti questi ultimi che condizionano la legittimita' costituzionale di tali leggi regionali, al cospetto del diverso principio di determinatezza delle norme sanzionatorie aventi carattere punitivo-afflittivo, desumibile dall'art. 25, secondo comma, Costituzione.

Come questa Corte ha recentemente ribadito, tale principio "per un verso, vuole evitare che, in contrasto con il principio della divisione dei poteri, l'autorita' amministrativa o "il giudice assumano un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l'illecito" (sentenza n. 327 del 2008; sul punto anche ordinanza n. 24 del 2017); per un altro verso, non diversamente dal principio d'irretroattivita', intende "garantire la libera autodeterminazione individuale, permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le conseguenze giuridico-penali della propria condotta" (ancora sentenza n. 327 del 2008)" (sentenza n. 121 del 2018). La sentenza da ultimo citata ha, in particolare, rilevato che "il principio di legalita', prevedibilita' e accessibilita' della condotta sanzionabile e della sanzione aventi carattere punitivo-afflittivo, qualunque sia il nomen ad essa attribuito dall'ordinamento ... non puo', ormai, non considerarsi patrimonio derivato non soltanto dai principi costituzionali, ma anche da quelli del diritto convenzionale e sovranazionale europeo, in base ai quali e' illegittimo sanzionare comportamenti posti in essere da soggetti che non siano stati messi in condizione di "conoscere", in tutte le sue dimensioni tipizzate, la illiceita' della condotta omissiva o commissiva concretamente realizzata» (sentenza n. 121 del 2018).

Alla luce di tali principi appare evidente come, nel caso di esame, non poteva il legislatore regionale concedere alla Giunta una cosi' ampia discrezionalita' nel disciplinare il procedimento irrogativo delle sanzioni amministrative e addirittura nell'individuare i casi in cui puo' essere esclusa - mediante il meccanismo della diffida al ripristino - la irrogazione stessa della sanzione.

Non a caso anche di recente la Corte di Cassazione (Cass. 7 maggio 2018 n. 10893) ha richiamato al riguardo il suo precedente:   «[...] Cassazione n. 1696/2005 che, sempre facendo applicazione del menzionato legge n. 689 del 1981, art. 1 inteso quale espressivo di "principio generale dell'ordinamento" vincolante per l'esercizio della potesta' legislativa regionale ai sensi dell'art. 117 Cost., ha affermato che le regioni possono delineare fattispecie sanzionatorie e fissare le relative pene amministrative solo con legge formale e che lo spazio lasciato ai regolamenti deve essere circoscritto entro i limiti derivanti dalla riserva assoluta di legge, nel senso che le disposizioni regolamentari dovranno limitarsi ad enunciazioni di carattere tecnico, o comunque tali da non incidere sulla individuazione del disvalore del fatto e tanto meno sulla determinazione della sanzione. Violano, pertanto, il principio di legalita' le disposizioni regionali che demandino a norme regolamentari il compito di definire gli ambiti della fattispecie sanzionata, ovvero di specificare, rispetto a categorie di fattispecie illecite, la misura della sanzione da irrogare.

Cio' che avrebbe potuto essere legittimamente attribuito alla competenza della Giunta regionale, era dunque soltanto una disciplina di dettaglio o meramente esecutiva della disciplina primaria contenuta nella legge regionale.

Ma, come si e' visto, ben altro e' il potere che viene attribuito alla Giunta regionale, essendosi limitato il legislatore regionale a stabilire in via generale un principio (sostanzialmente la non punibilita' in caso di commissione di illeciti amministrativi) per tutti i "procedimenti di accertamento per violazione di disposizioni normative, sanzionate in via amministrativa, in materie di competenza esclusiva della regione".»   La normativa suesposta vieni a collidere, da ultimo, anche con l'art. 97, comma 2 Costituzione («I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialita' dell'amministrazione») essendo innegabile il contrasto delle nuove disposizioni con i principi di buon andamento dell'amministrazione, stante il rilievo che assume la repressione degli illeciti amministrativi nell'ambito dell'attivita' amministrativa ed i riflessi sulla sua efficacia che possono derivare da meccanismi, come quello in esame, che eliminano o riducono in modo rilevante l'efficacia deterrente delle norme istitutive dell'illecito.

Da cio' la illegittimita' costituzionale delle disposizioni regionali impugnate.

(1) Consultabile sul sito internet della Regione Veneto all'indirizzo https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/Pubblica/DettaglioLegge.aspx?id=399128

 

P.Q.M.

 

Si chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimi e conseguentemente annullare gli articoli 1, commi 1 e 2, e 4 della legge regionale 16 luglio 2019, n. 25 recante «Norme per introdurre l'istituto della regolarizzazione degli adempimenti o rimozione degli effetti nell'ambito dei procedimenti di accertamento di violazioni di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative», per i motivi illustrati nel presente ricorso.

Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno:   1. estratto della delibera del Consiglio dei ministri 19 settembre 2019.

Roma, 23 settembre 2019

Avvocato dello Stato: De Bellis