RICORSO N. 86 DEL 6 AGOSTO 2019 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 6 agosto 2019.

(GU n. 39 del 25.9.2019)

 

Ricorso ex art. 127 della Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici e' legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;   Contro la Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore;   Per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge Regione Calabria n. 14 del 31 maggio 2019 pubblicata sul B.U.R n. 61 del 3 giugno 2019, recante «Interpretazione autentica del comma 1 dell'art. 10 della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 (collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2005)» come da delibera del Consiglio dei ministri del 19 luglio 2019.

 

Premessa.

 

In data 3 giugno 2019, e' stata pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Calabria n. 61 del 3 giugno 2019, la legge regionale n. 14 del 31 maggio 2019, recante, all'art. 1, «Interpretazione autentica del comma 1 dell'art. 10 della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 (collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2005)».

Il provvedimento in esame si pone in contrasto con gli articoli 3 e 97, quarto comma Cost., in quanto viola la regola dell'accesso agli impieghi presso le pubbliche amministrazioni mediante concorso nonche' le regole in tema di norme retroattive.

Pertanto, con il presente atto, si impugna la citata legge regionale della Regione Calabria n. 14/2019, affinche' ne sia dichiarata la illegittimita' costituzionale, con conseguente annullamento, sulla base delle seguenti considerazioni in punto di

 

Diritto

 

La normativa rilevante.

L'art. 11 della legge regionale n. 8/1996 (recante «Norme sulla dirigenza e sull'ordinamento degli Uffici del Consiglio regionale» cosi' disponeva originariamente:   «Art. 11 (Figure professionali speciali).

1. E' istituita una struttura speciale denominata Ufficio Stampa che include le testate giornalistiche edite dal Consiglio regionale.

In detta struttura, fatti salvi i rapporti di lavoro in corso, possono essere chiamati a contratto giornalisti professionisti e pubblicisti iscritti negli albi professionali. Con deliberazione dell'Ufficio di Presidenza e' definito il contingente di personale.

L'incarico e' conferito per la durata della legislatura e puo' essere rinnovato.

2. Il Consiglio regionale si avvale della consulenza legale di esperti, in numero non superiore a cinque, scelti su proposta dell'Ufficio di Presidenza. Gli incarichi si risolvono di diritto con la fine della legislatura e possono essere rinnovati.».

L'art. 10 della legge regionale n. 8/2005 (recante «Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2005, art. 3, comma 4, della legge regionale n. 8/2002)» cosi' ha poi disposto al comma 1:   «All'art. 11, comma 1, della legge regionale 13 maggio 1996, n. 8 le parole da "L'incarico..." a "... rinnovato..." sono soppresse».

Da ultimo la legge regionale n. 14/2019 (recante «Interpretazione autentica del comma 1 dell'art. 10 della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 (collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2005)» ha cosi' stabilito:   «Il comma 1 dell'art. 10 della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 (Collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2005), di soppressione dell'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 11 della legge regionale 13 maggio 1996, n. 8 (Norme sulla dirigenza e sull'ordinamento degli Uffici del Consiglio regionale), deve intendersi come confermativo, senza soluzione di continuita', dei rapporti di lavoro in essere alla data della sua entrata in vigore.».

La disposizione de qua presenta aspetti illegittimi per quanto di seguito evidenziato:   La disposizione in esame ha un contenuto non limitato a una mera funzione interpretativa dell'art. 10, comma 1, della legge regionale n. 8/2005, bensi' teso ad innovarne il contenuto precettivo determinando, di fatto, la trasformazione degli incarichi assegnati a giornalisti professionisti e pubblicisti («...possono essere chiamati a contratto giornalisti professionisti e pubblicisti...») in rapporti di lavoro a tempo indeterminato («... deve intendersi confermativo, senza soluzione di continuita', dei rapporti di lavoro in essere...»).

In altri termini, la norma appare finalizzata ad attuare una «stabilizzazione» dei giornalisti professionisti e pubblicisti chiamati a lavorare «a contratto» presso l'Ufficio stampa regionale, escludendo qualsiasi soluzione di continuita' rispetto all'iniziale contratto stipulato.

Com'e' noto la giurisprudenza della Corte ha riconosciuto nel concorso pubblico la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell'Amministrazione (sentenze n. 34 del 2004, n. 194 del 2002, n. 1 del 1999, n. 333 del 1993, n. 453 del 1990 e n. 81 del 1983), ed ha ritenuto che possa derogarsi a tale regola solo «in presenza di peculiari situazioni giustificatrici», nell'esercizio di una discrezionalita' che trova il suo limite nella necessita' di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione ed il cui vaglio di costituzionalita' non puo' che passare attraverso una valutazione di ragionevolezza della scelta operata dal legislatore.

E' stato, inoltre, precisato che «un interesse pubblico per la deroga al principio del pubblico concorso, al fine di valorizzare pregresse esperienze professionali dei lavoratori assunti, puo' ricorrere solo in determinate circostanze» (sentenza n. 167 del 2013), essendo comunque necessario che la legge «subordini la costituzione del rapporto a tempo indeterminato all'accertamento di' specifiche necessita' funzionali dell'Amministrazione e preveda procedure di verifica dell'attivita' svolta» (sentenza n. 167 del 2013 e, tra le tante, sentenza n. 189 del 2011 e n. 215 del 2009) e che la deroga sia «contenuta entro determinati limiti percentuali» (ancora sentenza n. 167 del 2013).

In altri termini, se «il principio dettato dall'art. 97 Cost. puo' consentire la previsione di condizioni di accesso intese a consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione» (sentenza n. 189 del 2011), occorre, tuttavia, che l'area delle eccezioni alla regola del concorso sia rigorosamente delimitata e non si risolva «in una indiscriminata e non previamente verificata immissione in ruolo di personale esterno attinto da bacini predeterminati» (sentenza n. 227 del 2013).

Tanto premesso, va osservato che la legge regionale in esame non fornisce alcun elemento idoneo a giustificare una cosi' vistosa deroga all'art. 97 Cost.

Alla luce delle suesposte considerazioni, la legge regionale in esame e' incompatibile con l'art. 97, quarto comma, Cost., che sancisce l'obbligo di accedere agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso.

Riguardo poi la natura asseritamente interpretativa della disposizione censurata, si ricorda che la Corte ha, in piu' occasioni, affermato che   «a) va riconosciuto carattere interpretativo alle norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi e' tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo» (sentenza n. 424 del 1993).

Ed ha chiarito che il legislatore puo' adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, cosi' rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore (ex plurimis; sentenze n. 314 del 2013, n. 15 del 2012, n. 271 del 2011, u. 209 del 2010).

Inoltre, questa Corte ha anche piu' volte affermato che il divieto di retroattivita' della legge, pur costituendo fondamentale valore di civilta' giuridica, non e' stato elevato a dignita' costituzionale salvo la previsione dell'art. 25 Cost. per la materia penale) per cui, allorquando «una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto o di ristabilire un'interpretazione piu' aderente all'originaria volonta' del legislatore, non e' precluso al legislatore di emanare norme retroattive (sentenza n. 150 del 2015). D'altronde, la questione, come rilevato da questa Corte nelle piu' recenti sentenze rese in materia, non e' tanto quella di verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo e sia percio' retroattiva ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, bensi' di accertare se la retroattivita' della legge trovi adeguata giustificazione sul plano della ragionevolezza e sia, altresi', sostenuta da adeguati motivi di interesse generale (ex multis, sentenze n. 69 del 2014 e n. 264 del 2012)» (Corte cost., 10 giugno 2016, n. 132);   «b) Al legislatore non e' preclusa la possibilita' di emanare norme retroattive sia innovative che di interpretazione autentica. La retroattivita' deve, tuttavia, trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e I valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall'efficacia a ritroso della norma adottata (sentenza n. 170 del 2013, che riassume sul tema le costanti Indicazioni di principio espresse dalla Corte). Questa Corte ha, pertanto, individuato alcuni limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali tra i quali sono ricompresi "Il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nei divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate ai potere giudiziario" (sentenza n. 170 del 2013, nonche' sentenze n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010). L'affermazione di principio in forza della quale la distinzione tra norme interpretative e disposizioni retroattive deve ritenersi priva di rilievo al fine che occupa merita, tuttavia, una ulteriore precisazione. In piu' occasioni, infatti, avuto riguardo alle norme che pretendono di avere natura meramente interpretativa, questa Corte ha ritenuto che la palese erroneita' di tale auto-qualificazione puo' costituire un indice, sia pure non dirimente, della irragionevolezza della disposizione impugnata (In tal senso, sentenze n. 103 del 2013 e n. 41 del 2011). Per contro, l'individuazione della natura interpretativa della norma non puo' ritenersi in se' indifferente nel bilanciamento di valori sotteso al giudizio di costituzionalita' che cade sulle norme retroattive. Se, ad esempio, i valori costituzionali in gioco sono quelli dell'affidamento dei consociati e della certezza dei rapporti giuridici, e' di tutta evidenza che l'esegesi imposta dal legislatore, assegnando alle disposizioni interpretate un significato in esse gia' contenuto, riconoscibile come una delle loro possibili varianti di senso, influisce sul positivo apprezzamento sia della sua ragionevolezza "... sia della non configurabilita' di una lesione dell'affidamento dei destinatari (sentenza n. 170 del 2008). 4.3.3. - Occorre dunque procedere alla corretta individuazione della natura delle norme oggetto di censura in parte qua. Sul punto va ribadito (ex plurimis, sentenza n. 314 del 2013) che "va riconosciuto carattere interpretativo alle norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enunciare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi e' tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo". Il legislatore, del resto, puo' adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, cosi' rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore (in termini, oltre al precedente gia' citato, anche le sentenze n. 271 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 170 del 2008)» (Corte cost. 12 aprile 2017, n. 73).

Nel caso di specie, l'art. 10, comma 1, della legge regionale n. 8 del 1996, nella sua originaria formulazione, prevedeva che   «E' istituita una struttura speciale denominata Ufficio Stampa che include le testate giornalistiche edite dal Consiglio regionale. In detta struttura, fatti salvi i rapporti di lavoro in corso, possono essere chiamati a contratto giornalisti professionisti e pubblicisti iscritti negli albi professionali, con deliberazione dell'ufficio di Presidenza e' definito il contingente di personale.

L'incarico e' conferito per la durata della legislatura e puo' essere rinnovato.».

L'art. 10, comma 1, della legge regionale n. 8 del 2005 ha soppresso l'inciso «L'incarico e' conferito per la durata della legislatura e puo' essere rinnovato.».

L'unica interpretazione plausibile di tale abrogazione non puo' che essere la esclusione della possibilita' di conferire incarichi per la durata della legislatura nonche' del loro rinnovo.

Si potrebbe forse ritenere che l'abrogazione della prima parte dell'inciso non sia tale da impedire la stipula di contratti per una legislatura (1) ; di certo pero' contratti di tale durata non avrebbero una espressa copertura legislativa.

Ancora piu' chiara pero' e' la seconda parte del periodo abrogato, che consentiva il rinnovo dell'incarico (ormai, quindi vietato).

Alla luce delle predette considerazioni, e' evidente che l'asserita disposizione di interpretazione autentica:   1) non assegna alla norma interpretata un significato gia' in questa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario;   2) non e' finalizzata e a chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto;   3) non consente di ristabilire un'interpretazione piu' aderente alla originaria volonta' del legislatore a tutela della certezza del diritto e della eguaglianza dei cittadini, principi di preminente interesse costituzionale.

La disposizione infatti, lungi dal fornire una interpretazione possibile del testo della legge, ne modifica il contenuto, con efficacia retroattiva, ancorche' si tratti di disposizioni in vigore a tempo determinato, consentendo nella sostanza la trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato di contratti di lavoro (in ipotesi anche autonomo; anzi il riferimento della norma a «giornalisti professionisti e pubblicisti iscritti negli albi professionali» fa propendere proprio per quest'ultima ipotesi), in essere alla data di entrata in vigore della disposizione abrogatrice.

Conseguentemente, l'art. 1 della legge regionale in oggetto risulta essere censurabile anche per violazione dell'art. 3 Cost., dal momento che esso, seppure qualificato dallo stesso legislatore regionale in termini di norma di interpretazione autentica, non si pone in linea con le indicazioni della Corte nello scrutinare, attraverso il sopra menzionato parametro costituzionale, la legittimita' delle norme di interpretazione autentica o comunque delle norme dotate di efficacia retroattiva.

In definitiva la norma indicata per le esposte motivazioni appare in contrasto con gli articoli 3 e 97, quarto comma, della Costituzione, in quanto la disposizione da un lato risulta in contrasto con la regola del pubblico concorso e dall'altro si autoqualifica falsamente interpretativa operando di fatto in via retroattiva senza che la norma trovi alcuna «adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza» ne' sia «sostenuta da adeguati motivi di interesse generale» (sentenza n. 132/2016).

(1) Stante la previsione, nel secondo periodo della disposizione «possono essere chiamati a contratto...».

 

P.Q.M.

 

Si chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimo, e conseguentemente annullare, per i motivi sopra specificati, l'art. 1 della legge Regione Calabria n. 14 del 31 maggio 2019 pubblicata sul B.U.R n. 61 del 3 giugno 2019, recante «Interpretazione autentica del comma 1 dell'art. 10 della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 (collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2005)» come da delibera del Consiglio dei ministri del 19 luglio 2019.

Con l'originale notificato del ricorso si depositera':   1. estratto della delibera del Consiglio dei ministri.

Roma, 30 luglio 2019

Il Vice Avvocato Generale dello Stato: De Bellis

L'Avvocato dello Stato: Urbani Neri