RICORSO N. 80 DEL 17 LUGLIO 2019 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 2 luglio 2019.

(GU n. 37 del 11.9.2019)

 

Ricorso ex art. 127 Costituzione per la Presidenza del Consiglio dei ministri (codice fiscale 80188230587), in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'avvocatura generale dello Stato (codice fiscale 80224030587; pec: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it - fax 06/96514000) ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; ricorrente;   Contro Regione Molise in persona del Presidente pro tempore, con sede in Campobasso, via Genova, n. 11, c.a.p. 86100, resistente;   Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 10, art. 15 comma 2 lettera f), g) ed h) e comma 3 lettera i), art. 16, comma 1 lettera b), f) e g) e art. 32 della legge della regione Molise 10 maggio 2019, n. 4, pubblicata nel B.U.R. n. 17 del 13 maggio 2019, recante «Legge di stabilita' regionale 2019».

La legge della Regione Molise 10 maggio 2019, n. 4 recante «Legge di stabilita' regionale 2019» , e' censurabile con riferimento alle disposizioni contenute all'art. 10, all'art. 15 comma 2 lettera f), g) ed h) e comma 3 lettera i), all'art. 16, comma 1 lettera b), f) e g) ed all'art. 32, in quanto si pone in contrasto con gli articoli 81, 97, 117, comma 2 lettera 1) e lettera s), con l'art. 117, comma 3 nella materia «coordinamento della finanza pubblica», e con l'art. 120 della Costituzione alla luce dei seguenti

 

Motivi

 

1. La legge della Regione Molise 10 maggio 2019, n. 4 recante «Legge di stabilita' regionale 2019», contempla talune disposizioni - meglio indicate in epigrafe - che appaiono costituzionalmente illegittime, ed i cui motivi di censura sono di seguito illustrati.

2. La legge regionale in esame, mediante l'art. 10, da un lato dispone l'abrogazione del comma 4 dell'art. 3-bis della legge regionale n. 4/201.5 (che stabiliva la corresponsione all'Amministratore unico dell'ARSARP di un'indennita' di funzione onnicomprensiva, determinata dalla Giunta regionale, non eccedente il 70 per cento della retribuzione dei dirigenti di servizio della Regione Molise), dall'altro introduce il principio per cui il trattamento economico di detto Amministratore si conforma ai principi di cui all'art. 24 comma 3 decreto legislativo n. 165/2001 (che, a propria volta, rimanda alla retribuzione del personale con qualifica dirigenziale).

L'art. 10 della legge regionale rubricato «Modifiche alla legge regionale 26 marzo 2015, n. 4» testualmente prevede: «Alla legge regionale 26 marzo 2015, n. 4 (Istituzione dell'Agenzia regionale per lo sviluppo agricolo, rurale e della pesca (ARSARP) - Giacomo Sedati), sono apportate le seguenti modifiche:   a) il comma 1 dell'art. 3-bis e' sostituito dal seguente: «1. L'Amministratore unico e' nominato, con decreto del Presidente della Regione, previa conforme deliberazione della Giunta regionale, tra i direttori di dipartimento della Giunta regionale, tra i dirigenti regionali ovvero tra i direttori di servizio dell'Agenzia, in possesso dei necessari requisiti di professionalita' ed esperienza nei settori di competenza dell'Agenzia. Il trattamento economico dell'incaricato si conforma ai principi di cui all'art. 24, comma 3, del decreto legisaltivo n. 165/2001 e ss.mm.ii.»;   b) il comma 4 dell'art. 3-bis e' abrogato.»   Occorre precisare che, come si e' accennato, l'importo da corrispondere all'Amministratore unico dell'ARSARP precedentemente alla modifica introdotta dal citato art. 10 legge regionale Molise n. 5/2019 era individuato dall'art. 3-bis della legge regionale n. 4/2015 (introdotto dall'art. 2 della legge regionale 20 maggio 2017, n. 5), che al comma 4 disponeva: «All'Amministratore unico e' Corrisposta un'indennita' di funzione onnicomprensiva, determinata dalla giunta regionale, non eccedente il 70 per cento della retribuzione dei dirigenti di servizio della Regione Molise.»   Per effetto delle modifiche introdotte dall'art. 10 discende che il trattamento economico dell'amministratore unico dell'ARSARP, beneficia - di fatto - di un incremento (essendo il trattamento economico di detto Amministratore conforme, a seguito della modifica normativa, ai principi di cui all'art. 24 comma 3 decreto legislativo n. 165/2001) a riscontro del quale, invero, occorre che la previsione regionale sia contestualmente accompagnata da una corrispondente norma di copertura finanziaria.

La previsione di una norma di accompagnamento che giustifichi la copertura finanziaria delle modifiche alle disposizioni previgenti, non si rinviene pero' nel testo di legge.

Da cio' discende l'illegittimita' dell'art. 10 legge regionale Molise n. 4/2019, che, non prevedendo una copertura finanziaria alla innovazione normativa in tema di retribuzione dell'Amministratore unico dell'ARSARP, viola l'art. 81, terzo comma, della Costituzione.

3. L'art. 15 della legge regionale n. 5/2019 (recante «Riordino dell'assetto organizzativo del sistema Regione Molise»), definisce un articolato progetto di riordino dell'assetto organizzativo del cosiddetto «Sistema Regione Molise», istituito con l'art. 7 della legge regionale n. 16/2010, con particolare riferimento all'utilizzo delle risorse umane alle dipendenze degli enti e delle societa' partecipate elencate nelle tabelle AI e A2 allegate alla legge regionale n. 5/2016.

Il progetto di riordino di cui trattasi prevede l'utilizzo condiviso del personale dipendente dagli enti e dalle societa' appartenenti al gruppo «Sistema Regione Molise», per il perseguimento di fini comuni, tramite l'istituto giuridico del distacco da disciplinare con regolamento della Giunta regionale.

Il successivo art. 16 disciplina, poi, fissando i relativi principi l'istituto dell'utilizzazione in posizione di distacco» di personale dagli Enti rientranti nel sistema sanitario regionale (AsREM e ARPA) presso le strutture della Giunta.

3.1. Le due disposizioni appena citate, e specificamente l'art. 15, comma 2 alle lettera f) e g), l'art. 15 comma 3, lettera i) e l'art. 16, comma 1, lettera f) e g), nel disciplinare l'utilizzo delle risorse umane all'interno del c.d. sistema Molise e nel richiamare l'istituto dell'«utilizzazione in posizione di distacco» si pongono in contrasto con l'art. 117, comma 2 lettera l) della Costituzione, nonche' con l'art. 117, comma 3 della Costituzionale nella materia del «coordinamento della finanza pubblica».

Per comodita' di lettura si riporta di seguito il testo delle disposizioni oggetto di censura:   art. 15, comma 2, lettera f) e g): «La disciplina di cui al comma 1 inerente l'utilizzazione in posizione di distacco del personale dipendente della Regione Molise e degli Enti inseriti nella Tabella A1 allegata alla legge regionale 4 maggio 2016, n. 5, deve essere improntata ai seguenti principi: [...]   f) gli oneri finanziari relativi al costo ordinario del personale con qualifica non dirigenziale sono a carico dei bilanci dei rispettivi enti di appartenenza. Gli oneri finanziari relativi alla remunerazione degli istituti del lavoro straordinario, dei rimborsi per missione fuori sede, degli eventuali incarichi di responsabilita' di unita' operative organiche, con esclusione della produttivita' individuale o istituto equivalente che resta a carico dell'ente di appartenenza, sono a carico dei bilanci degli enti che utilizzano il personale attraverso l'istituto del distacco;   g) gli oneri finanziari relativi al costo ordinario del personale con qualifica dirigenziale (stipendio tabellare e retribuzione di posizione) sono a carico dei bilanci dei rispettivi enti di appartenenza. A seguito della valutazione positiva della performance individuale, ai sensi delle vigenti discipline degli enti che utilizzano il personale in distacco, ai dirigenti in posizione di utilizzazione puo' essere riconosciuta, qualora ne ricorrano le condizioni, la quota differenziale tra la misura massima del risultato prevista presso l'ente di appartenenza e la misura massima di risultato prevista per i dirigenti dell'ente presso il quale si e' utilizzati, con imputazione sul relativo fondo per il trattamento accessorio, senza maggiore spesa;»   art. 15, comma 3, lettera i): «Al fine del raggiungimento di obiettivi comuni, nell'ottica della piu' ampia e leale collaborazione fra gli enti del c.d. Sistema Regione Molise, la Giunta regionale e' autorizzata altresi' a regolamentare con apposita disciplina l'utilizzo delle risorse umane all'interno del c.d. Sistema Regione Molise, tenendo conto della natura giuridica e delle fonti di finanziamento degli Enti inseriti nella Tabella A2 - Societa' partecipate, allegata alla legge regionale 4 maggio 2016, n. 5, e ss.mm.ii., secondo i seguenti principi: [...]   i) gli oneri finanziari relativi al costo ordinario ed accessorio del personale con qualifica non dirigenziale delle societa' partecipate di cui alla Tabella A2, utilizzato in posizione di distacco, sono a totale carico dei bilanci dei rispettivi enti di appartenenza;»   art. 16, comma 1 lettera f) e g): «in armonia con l'art. 15 della legge n. 241/1990 e ss.mm.ii. e al fine di promuovere l'efficacia delle politiche per la salute attraverso la realizzazione di specifici programmi e interventi nonche' programmi di rilevanza regionale, e' ammesso il ricorso all'istituto della utilizzazione in posizione di distacco di personale dagli Enti rientranti nel sistema sanitario regionale (ASREM e ARPA) verso le strutture della Giunta regionale e nel rispetto delle prerogative del Commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, secondo i seguenti principi: [...]   f) gli oneri finanziari relativi al costo ordinario del personale con qualifica non dirigenziale sono a carico dei bilanci dei rispettivi enti di appartenenza. Gli oneri finanziari relativi alla remunerazione degli istituti del lavoro straordinario, dei rimborsi per missione fuori sede, degli eventuali incarichi di responsabilita' di unita' operative organiche con esclusione della produttivita' individuale o istituto equivalente, sono a carico del bilancio della Regione Molise;   g) gli oneri finanziari relativi al costo ordinario del personale con qualifica dirigenziale (stipendio tabellare e retribuzione di posizione) sono a carico dei bilanci dei rispettivi enti di appartenenza. A seguito della valutazione positiva della performance individuale, ai sensi della vigente disciplina regionale, ai dirigenti in posizione di utilizzazione puo' essere riconosciuta, qualora ne ricorrano le condizioni, la quota differenziale tra la misura massima del risultato prevista presso l'ente di appartenenza e la misura massima di risultato prevista per i dirigenti regionali, con imputazione sul relativo fondo per il trattamento accessorio, senza maggiore spesa.

Tanto premesso, al fine di motivare le ragioni di illegittimita' delle disposizioni normative appena richiamate, occorre effettuare delle necessarie premesse sugli istituti giuridici di riferimento rispetto agli articoli 15 e 16 cit., prendendo le mosse dall'istituto del «comando» e dalla differenza con il c.d. «distacco».

E cio' in modo da di evidenziare - come si vedra' di seguito - l'illegittimita' degli articoli 15, comma 1 lettera g) ed f), comma 3 lettera i) e 16, comma 1, lettera g) ed f) che nel prevedere - sostanzialmente - delle ipotesi di «comando», ledono la sfera di competenza statale nella materia «ordinamento civile» di cui all'art. 117, comma 2 lettera l), ed invadono la sfera di concorrente di cui all'art. 117, comma 3 nella materia del «coordinamento della finanza pubblica».

Orbene, originariamente l'istituto del comando era disciplinato dagli articoli 56 e 57 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957.

In particolare, l'art. 56 («Comando presso altra amministrazione») prevede che: «L'impiegato puo' essere comandato a prestare servizio presso altra amministrazione statale o presso enti pubblici, esclusi quelli sottoposti alla vigilanza dell'amministrazione cui l'impiegato stesso appartiene. Il comando e' disposto, per tempo determinato e in via eccezionale, per riconosciute esigenze di servizio o quando sia richiesta una speciale competenza. Al comando si provvede con decreto dei ministri competenti di concerto con il ministro per il Tesoro, sentiti l'impiegato ed il Consiglio di amministrazione. Per l'impiegato con qualifica non inferiore a direttore generale, si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri, su proposta dei ministri competenti di concerto con quello per il Tesoro. E' vietata l'assegnazione anche temporanea di impiegati ad uffici diversi da quelli per i quali sono istituiti i moli cui essi appartengono».

Inoltre, ai sensi dell'art. 57, commi 2 e 3, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica, «la spesa per il personale comandato presso altra amministrazione statale resta a carico dell'amministrazione di appartenenza. Alla spesa del personale comandato presso enti pubblici provvede direttamente ed a proprio carico l'ente presso cui detto personale va a prestare servizio.

L'ente e', altresi', tenuto a versare all'amministrazione statale cui il personale stesso appartiene l'importo dei contributi e delle ritenute sul trattamento economico previsti dalla legge».

Accanto all'istituto del comando, nella prassi si sono riscontrate le differenti ipotesi di utilizzazione temporanea del dipendente pubblico presso un ufficio diverso da quello che costituisce la sua sede di servizio (c.d. «distacco») e quelle di utilizzazione delle strutture e degli uffici di altre amministrazioni o enti (c.d. «avvalimento d'ufficio»).

In relazione alle ipotesi del c.d. «distacco» (istituto non espressamente regolamentato), si osserva che, secondo il prevalente insegnamento (cfr. Corte conti, Reg. Sicilia, Sez. Contr., delib. 26 ottobre 2017, n. 177), «il distacco e' l'utilizzazione temporanea del dipendente presso un ufficio, che e' diverso da quello che costituisce la sua sede di servizio e che rientra comunque nella medesima amministrazione.»   Pertanto, l'elemento discretivo tra i due istituti appena richiamati sta nel fatto che il secondo (il c.d. «distacco») non puo' ricorrere quando la prestazione viene eseguita presso altra amministrazione, in quanto in tal caso si configura una ipotesi di comando.

Difatti, in mancanza di una specifica definizione normativa, il comando e' stato individuato dalla giurisprudenza in tutte quelle ipotesi in cui il dipendente pubblico e' destinato a prestare servizio presso una pubblica amministrazione diversa da quella di appartenenza, senza che si abbia la costituzione di un nuovo rapporto di impiego con l'ente destinatario della prestazione, il quale sara' tenuto soltanto a rimborsare all'amministrazione di appartenenza il trattamento economico fondamentale.

Alla posizione di comando del dipendente presso una nuova amministrazione non si accompagna, infatti, la soppressione del posto in organico presso l'amministrazione di provenienza, venendosi piuttosto a configurare una mobilita' temporanea presso l'ente di destinazione, grazie ad un meccanismo caratterizzato dalla reversibilita' (salvo provvedimento di immissione nei ruoli).

Da cio' consegue che il provvedimento di comando non comporta una novazione soggettiva del rapporto di lavoro ne', tanto meno, la costituzione di un rapporto di impiego, comunque conformato con l'amministrazione destinataria delle prestazioni, ma determina esclusivamente una modificazione oggettiva del rapporto originario, nel senso che sorge nell'impiegato l'obbligo di prestare servizio nell'interesse immediato del diverso ente e di sottostare al relativo potere gerarchico (direttivo e disciplinare), mentre lo stato giuridico ed economico del «comandato» resta regolato alla stregua dell'ordinamento proprio dell'ente «comandante».

Nella delibera della Corte dei Conti sopra richiamata, viene poi, precisato che «La Sezione delle Autonomie nella deliberazione n. 12/ 2017/QMIG ha evidenziato che le caratteristiche fondamentali dell'istituto del comando - disciplinato originariamente dagli artt. 56 e 57 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 e poi dalla contrattazione collettiva di settore e dal decreto legislativo n. 267 del 2000, come da richiamo operato dall'art. 70, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001 - sono la temporaneita' e l'interesse dell'amministrazione ricevente. Il dipendente comandato, autorizzato dall'ente «a quo» su richiesta motivata dalla necessita' dell'ente «ad quem», non solo non svolge piu' la sua prestazione presso l'ente cedente, bensi' soggiace al potere direttivo e gestionale dell'ente beneficiario. Il trattamento economico fondamentale del personale comandato - ai sensi dell'art. 70, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001 - rimane di competenza dell'amministrazione cedente, ancorche' successivamente rimborsato. [...] Sulla base di tale ricostruzione la sezione delle Autonomie nella medesima deliberazione n. 12/2017/QMJG ha quindi chiarito che: «Trattasi dunque di un'operazione di finanza neutrale che non incide sulla spesa degli enti coinvolti, purche' quella sostenuta dall'ente cedente sia figurativamente considerata come spesa di personale» che, come detto, si distingue dal comando proprio perche' l'impiegato non viene assegnato ad una pubblica amministrazione diversa da quella di appartenenza, ma - temporaneamente - ad un ufficio, diverso da quello nel quale e' formalmente incardinato, ma comunque dell'amministrazione datrice di lavoro.» (Corte conti, Reg. Sicilia, Sez. Contr., delib. 26 ottobre 2017, n. 177).

In sintesi, diversamente da quanto avviene nelle ipotesi di «distacco», nei casi di comando, fermo restando il cd. rapporto organico (che continua ad intercorrere tra il dipendente e l'ente di appartenenza), cio' che subisce una modifica e' il cd. rapporto di servizio, atteso che il dipendente e' inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nell'amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera (cfr. Cass., Sez. Lav., 8 settembre 2005 n. 17842, e, piu' recentemente, Cass., Sez. Lav., 29 maggio 2018, n. 13482, ove si legge testualmente: «nel comando - che determina una dissociazione fra titolarita' del rapporto d'ufficio, che resta immutata, ed esercizio dei poteri di gestione - si modifica il cd. rapporto di servizio, atteso che il dipendente e' inserito, sia sotto il profilo organizzativo funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nell'amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera»).

Relativamente alle ipotesi di c.d. «avvalimento dell'ufficio», si evidenzia che esso si verifica allorquando l'amministrazione, anziche' dotarsi di una struttura propria per lo svolgimento della funzione ad essa assegnata, si avvale, di solito a fini istruttori o di esecuzione, degli uffici di altro ente, al quale, pero', non viene delegata la funzione stessa, che resta in capo, quanto alla titolarita' ed alla responsabilita', al soggetto pubblico che utilizza gli uffici altrui (cfr Cassazione S.U. 8 febbraio 2013, n. 3043; Cassazione 16 dicembre 2013, n. 28006).

L'avvalimento, quindi, attiene al rapporto fra enti e non determina alcuna modifica del rapporto di impiego (contrariamente a quanto accade nel comando che determina una dissociazione tra titolarita' del rapporto d'ufficio, che resta immutata, ed esercizio dei poteri di gestione), perche' il personale dell'ente che fornisce la struttura necessaria allo svolgimento del compito resta incardinato in quest'ultimo a tutti gli effetti e non si verifica scissione fra rapporto di impiego e rapporto di servizio.

Per quanto concerne i profili dell'erogazione del trattamento economico in favore del personale «comandato» o «distaccato», si evidenzia che l'art. 70, comma 12, del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede che: «in tutti i casi, anche se previsti da normative speciali, nei quali enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici o altre amministrazioni pubbliche, dotate di autonomia finanziaria sono tenute ad autorizzare l'utilizzazione da parte di altre pubbliche amministrazioni di proprio personale, in posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra analoga posizione, l'amministrazione che utilizza il personale rimborsa all'amministrazione di appartenenza l'onere relativo al trattamento fondamentale (...)». Riassunto nei termini sopra descritti il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, si evidenzia che le previsioni regionali in esame, al di la' del nomen iuris utilizzato, sono dirette a regolamentare l'istituto dell'utilizzazione in assegnazione temporanea del dipendente presso un'amministrazione diversa di appartenenza.

Orbene, considerato che, trattandosi - come si e' detto - di casi di utilizzazione, le ipotesi in questione appaiono pienamente sovrapponibili, per le loro caratteristiche, al comando; deve quindi ritenersi non conforme al quadro normativo delineato la possibilita', prevista dalle disposizioni della legge regionale in esame, che, nel caso di «comando» del dipendente pubblico, gli oneri finanziari relativi al costo ordinario del personale con qualifica dirigenziale e non dirigenziale siano posti definitivamente a carico dei bilanci dei rispettivi enti di appartenenza.

Per orientamento costante della giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, infatti, il «decreto legislativo n. 165 del 2001 ha stabilito che i rapporti di lavoro pubblici cosiddetti contrattualizzati sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e sono oggetto di contrattazione collettiva (...).

La costante giurisprudenza di questa Corte ha, poi, precisato che la disciplina del rapporto di impiego alle dipendenze della regione e i profili relativi al trattamento economico del personale pubblico privatizzato vengono ricondotti alla materia dell'ordinamento civile, di competenza esclusiva del legislatore nazionale, che in tale materia fissa principi che «costituiscano tipici limiti di diritto privato, fondati sull'esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l'uniformita' nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti tra privati e, come tali si impongono anche alle Regioni ...» (Corte costituzionale, sentenza n. 81 del 2019).

Ne deriva che la previsione di cui al comma 2 lettere f) e g) e al comma 3, lettera i) dell'art. 15, nonche' al comma 1, lettere f) e g) dell'art. 16 della legge regionale in oggetto risultano suscettibili di impugnazione per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera 1) della Costituzione.

Le disposizioni in esame risultano altresi' contrastanti con il terzo comma del medesimo art. 117, essendo la previsione del citato art. 70, comma 12, del decreto legislativo n. 165 del 2001 attinente alla materia del «coordinamento della finanza pubblica», ed avendo il legislatore regionale, di fatto, derogato a tale disciplina nella parte in cui ha posto in modo definitivo (e non solo temporaneo) gli oneri finanziari a carico dell'ente di appartenenza.

3.2. Sempre in relazione alla previsione dell'art. 15 della legge regionale in oggetto, si osserva che l'utilizzazione temporanea del personale delle societa' partecipate presso altri enti regionali non e' compatibile con il decreto legislativo n. 175 del 2016 e viola l'art. 117, comma 2 lettera l) nonche', per il tramite del menzionato parametro interposto, l'art. 117, comma 3 della Costituzione.

Come noto, l'art. 19 del prefato decreto legislativo disciplina in modo puntuale il rapporto di lavoro alle dipendenze delle societa' partecipate.

Orbene, in relazione alla possibilita' di utilizzare il personale delle societa' c.d. pubbliche, per il tramite del comando o del distacco, e' da escludere la possibilita' di applicare detti istituti propri del c.d. pubblico impiego al personale delle societa' de quibus, non rientrando le stesse nel novero delle pubbliche amministrazioni, come individuate dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 e non essendosi in presenza di rapporti di pubblico impiego. Da cio' discende, inoltre, l'impossibilita' di applicare ai dipendenti delle societa' pubbliche la normativa generale in tema di mobilita' nel pubblico impiego di cui all'art. 30 del decreto legislativo n. 165/2001.

La Corte dei Conti, nel confermare tale ipotesi di esclusione, ha in particolare evidenziato che le societa' controllate dalla pubblica amministrazione vengono incluse nel settore c.d. pubblico allargato solo a determinati fini, cosi' motivando: «[...] cio' avviene, ad esempio, nell'ambito dei contratti, per i quali e' stata elaborata la nozione di organismo di diritto pubblico, oppure per l'applicazione della disciplina sulla trasparenza prevista dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 o, infine, nella definizione del conto consolidato delle amministrazioni pubbliche, che include, accanto agli organismi pubblici dello Stato e degli enti territoriali, le unita' istituzionali che producono beni non destinabili alla vendita soggetti a controllo pubblico, a prescindere dalla forma giuridica da esse rivestita. Alle societa' partecipate non possono applicarsi neppure gli altri istituti sulla mobilita' del pubblico impiego. Al riguardo, si evidenzia che la mobilita' del personale delle societa' partecipate e' specificamente disciplinata dall'art. 19 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, che contiene una regolamentazione puntuale, sicche' non e' applicabile l'art. 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che si occupa della mobilita' nel pubblico impiego. A tal proposito, il Collegio condivide l'orientamento espresso dalla Sezione regionale di controllo per la Campania nella deliberazione n. 56/2017/PAR., che ha affermato che l'art. 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001 non e' applicabile in maniera generalizzata al settore del personale delle societa' a partecipazione pubblica, per il quale puo' operare solo nei ristretti ambiti soggettivi e oggettivi, legislativamente consentiti, di «reinternalizzazione di funzioni o servizi esternalizzati» e di «riassorbimento delle unita' di personale gia' dipendenti a tempo indeterminato da amministrazioni pubbliche e transitate alle dipendenze della societa' interessata dal processo di reintemalizzazione». Tale preclusione discende, oltre che dal tenore letterale delle disposizioni, anche dall'esigenza di rispettare il divieto di attuare processi di mobilita' fra la partecipata e l'Ente, al fine di evitare l'elusione dei vincoli alle assunzioni e del principio costituzionale del concorso pubblico.» (Corte conti, Reg. Sicilia, Sez. Contr., delib. 26 ottobre 2017, n. 177).

Codesta Ecc.ma Corte costituzionale, nel pronunciarsi su fattispecie sostanzialmente analoghe a quella oggetto dell'odierna impugnazione, chiamata a valutare della legittimita' di simili casi di mobilita', ha ritenuto in piu' occasioni che l'operazione di trasferimento avrebbe in realta' realizzato una ipotesi di «inquadramento riservato senza concorso» anche nei casi in cui il personale dipendente da una societa' partecipata fosse stato assunto ab origine in seguito all'espletamento di una procedura selettiva equiparabile ad un concorso pubblico (cfr. Corte costituzionale, 1° luglio 2013, n. 167, e 16 luglio 2013, n. 227, nonche' 30 gennaio 2015, n. 37).

Difatti, non puo' essere trascurato il costante orientamento di codesta Ecc.ma Corte costituzionale, che ha censurato le leggi regionali che consentivano i meccanismi di reinternalizzazione attraverso il passaggio automatico dall'impiego privato (societa' partecipata) a quello pubblico (Ente territoriale), aggirando in tal modo l'art. 97 Cost. e, in particolare, la regola che condiziona l'acquisizione dello status di dipendente pubblico al previo esperimento di un pubblico concorso.

Non e' da sottovalutare, poi, il potenziale riflesso negativo sul rispetto, da parte degli enti territoriali, dei limiti alle facolta' assunzionali, delle norme sul patto di stabilita' interno (art. 1, commi 557 e ss., legge 27 dicembre 2006, n. 296) e sul saldo non negativo - in termini di competenza - tra le entrate finali e le spese finali ex art. 1, comma 710, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilita' 2016), e, in generale, dei vigenti vincoli di finanza pubblica (es. dell'art. 3, commi 5, del decreto-legge n. 90 del 2014; dell'art. 4, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 19 giugno 2015; dell'art. 1, comma 424, della legge n. 190 del 2014).

Conseguentemente, avendo il legislatore regionale disciplinato una forma di mobilita' del personale delle societa' pubbliche diversa da quelle consentite dal decreto legislativo n. 175 del 2016, le previsioni di cui all'art. 15, comma 3, lettera i) appaiono censurabili per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l) (trattandosi chiaramente di ambito riservato alla competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento civile») e terzo comma della Costituzione.

Cio', a fortiori, in considerazione del fatto che il distacco del personale delle societa' in parola avverrebbe al di fuori delle ipotesi e senza l'osservanza dei limiti e delle procedure previste dall'art. 30 del decreto legislativo n. 276 del 2003, disciplinante le ipotesi di c.d. distacco.

Subordinatamente, pertanto, si censura il solo art. 15, comma 3 lettera i) nella parte in cui.

3.3. L'art. 15, comma 2, lettera h) e l'art. 16, comma 1, lettera b) prevedono rispettivamente, l'uno (art. 15, comma 2 lettera h)) che «gli incarichi di funzione dirigenziale, nel numero massimo di complessivi 3, conferiti al personale inquadrato nel ruolo dirigenziale dipendente dei rispettivi enti, conferiti dalla Giunta regionale presso strutture regionali non sono computati ai fini del calcolo della quota di cui all'art. 19, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 165/2001 e ss.mm.ii..», l'altro che (art. 16, comma 1 lettera b)) che «gli incarichi di funzione dirigenziale, nel numero massimo di complessivi 3, conferiti al personale inquadrato nel ruolo dirigenziale dipendente dei rispettivi enti, conferiti dalla Giunta regionale presso strutture competenti in materia di programmazione sanitaria, tutela della salute, tutela dell'ambiente, non sono computati ai fini del calcolo della quota di cui all'art. 19, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 165/2001 e ss.mm.ii..»   Come noto, l'art. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 contiene la disciplina relativa al conferimento degli incarichi dirigenziali, contemplando tra tipologie di funzioni dirigenziali, collocate in ordine decrescente di rilevanza e di maggiore coesione con l'organo politico.

Innanzitutto, sono previsti «gli incarichi di segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente»: si tratta delle attribuzioni dirigenziali «apicali», conferite con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente (art. 19, comma 3). Sono poi disciplinati «gli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale», attribuiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente (comma 4).

Infine, sono previsti gli incarichi di direzione degli altri uffici di livello dirigenziale, conferiti «dal dirigente dell'ufficio di livello dirigenziale generale».

I predetti incarichi possono poi essere conferiti a soggetti che si trovino in una particolare posizione rispetto all'amministrazione che attribuisce la relativa funzione. Difatti, l'incarico puo' essere attribuito a personale inserito nel «ruolo dei dirigenti», istituito presso ciascuna amministrazione statale e articolato in due fasce (art. 23, del decreto legislativo n. 165 del 2001); in secondo luogo, le funzioni dirigenziali possono essere conferite, entro limiti percentuali predeterminati, «anche ai dirigenti non appartenenti ai ruoli di cui al medesimo art. 23», purche' dipendenti da altre amministrazioni pubbliche, vale a dire da amministrazioni dello Stato diverse da quelle nel cui ambito e' collocato il posto da conferire (art. 19, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001).

Infine, e' prevista la possibilita', sempre nel rispetto di soglie prefissate, che ciascuna amministrazione attribuisca la titolarita' di uffici dirigenziali, a tempo determinato, fornendone esplicita motivazione, a «persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell'amministrazione, che abbiano svolto attivita' in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato» (art. 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 in materia di ottimizzazione della produttivita' del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni»).

Orbene, nell'evidenziare che l'art. 27, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede che «le regioni a statuto ordinario, nell'esercizio della propria potesta' statutaria, legislativa e regolamentare, e le altre pubbliche amministrazioni, nell'esercizio della propria potesta' statutaria e regolamentare, adeguano ai principi dell'art. 4 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarita'. Gli enti pubblici non economici nazionali si adeguano, anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano, adottando appositi regolamenti di oganizzazione», si osserva che la giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte costituzionale e' costante nell'affermare che gli interventi legislativi che (...) dettano misure relative a rapporti lavorativi gia' in essere [...] devono essere ricondotti alla competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile.» (ex multis: sentenze nn. 251 e 186 del 2016, n. 180 del 2015 e n. 32 del 2017).

Inoltre, con specifico riguardo all'obbligo delle Regioni di rispettare le percentuali previste dal comma 5-bis dell'art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, si evidenzia che e' sempre Codesta Ecc.ma Corte ad avere, in piu' occasioni, affermato che: «[...] la non computabilita' di tali posizioni nella complessiva dotazione organica di dirigenti dipinza fascia determina in ogni caso effetti negativi, sia di ordine finanziario, in relazione ai costi derivanti dalla retribuzione dei dirigenti interessati, sia riguardo al razionale assetto organizzativo realmente rispettoso delle previsioni normative in materia, e non soltanto dell'art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, e dunque produce, in definitiva, effetti negativi sul reale contenimento complessivo della spesa. In proposito, occorre difatti evidenziare che nelle amministrazioni pubbliche, ivi comprese le Regioni, la dotazione organica costituisce elemento ad oggi essenziale per l'assetto organizzativo e per la determinazione dei costi del personale, e che la sua consistenza e le sue variazioni sono pertanto determinate, previa verifica degli effettivi fabbisogni, in funzione di un accrescimento dell'efficienza delle amministrazioni, della realizzazione di un migliore utilizzo delle risorse umane, e appunto di una razionalizzazione del costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva del personale, diretta e indiretta, entro i vincoli difinanza pubblica (in tal senso gli arti. 1, commi 1 e 2, e 6, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001). Proprio in direzione di un contenimento della spesa operano, del resto, gli interventi, anche legislativi, disposti nell'ambito di misure di spending review (ad esempio l'art. 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 7 agosto 2012, n. 135), finalizzate a ridurre le dotazioni organiche, ivi comprese quelle dirigenziali. Ne consegue che una previsione, come quella in esame, intesa a non ricomprendere nelle dotazioni organiche una serie di posti dirigenziali puo' condurre ad un sostanziale aggiramento/ svuotamento delle predette disposizioni» (Corte cost., 5 dicembre 2016, n. 257).

Conseguentemente, le disposizioni de quibus sono suscettibili di impugnazione per violazione dei principi di buon andamento ed imparzialita' della pubblica amministrazione di cui all'art. 97, primo e secondo comma, nonche' in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l) e terzo comma della Costituzione in materia di coordinamento della finanza pubblica per le ragioni sopra evidenziate.

4. L'art. 32 della legge Regionale oggetto di censura, poi, e' censurabile per il contrasto con il parametro costituzionale di cui al secondo comma, lettera s) dell'art. 117 della Costituzione, in quanto interviene nella materia della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» attribuita in via esclusiva alla competenza statale, inserendo una disciplina contrastante con quelle dettata dalle norme primarie statali, nonche' con l'art. 120 della Costituzione.

L'art. 32 inserisce all'art. 1 della legge regionale 7 agosto 2003, n. 25 il comma 3-bis, che testualmente prevede: «La Regione persegue l'obiettivo di limitare nel proprio territorio lo smaltimento di rifiuti speciali di provenienza extra regionale, nel limite della percentuale del totale dei rifiuti, speciali e non, trattati nel territorio regionale, scelta dalla Giunta regionale dopo relazione della struttura tecnica. Il competente servizio regionale emana, a tal proposito, specifiche direttive.»   La modifica normativa introdotta con la norma che si contesta prevede la possibilita' che la regione, tenendo conto della potenzialita' impiantistica di trattamento disponibile, limiti l'ingresso nel proprio territorio ai rifiuti speciali di provenienza extraregionale destinati ad operazioni di smaltimento.

Tale previsione viola le disposizioni di cui agli articoli 182 (Smaltimento dei rifiuti) e 182-bis (Principi di autosufficienza e prossimita') del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che prevedono divieti e limitazioni sulla circolazione dei rifiuti fuori dal territorio regionale di produzione esclusivamente per i rifiuti urbani e non gia' per i rifiuti speciali, per i quali la libera circolazione sul territorio nazionale e' invece sempre concessa.

In particolare, la norma regionale impugnata - prevedendo un divieto, legato a limitazioni territoriali, allo smaltimento extraregionale dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi - si pone in contrasto con quanto stabilito dal comma 3 del citato art. 182 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (norma riproducente l'espressione precedentemente contenuta nel comma 3 dell'art. 5 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22), che non prevede specifici divieti, pur manifestando favore verso «una rete integrata ed adeguata di impianti» per permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati piu' vicini ai luoghi di produzione o raccolta al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi». Laddove nella disciplina statale l'utilizzazione dell'impianto di smaltimento piu' vicino al luogo di produzione dei rifiuti speciali viene a costituire la prima opzione da adottare, ma ne «permette» anche altre, nella disciplina regionale impugnata costituisce la soluzione obbligata.

Tale divieto viene, altresi', a contrastare con lo stesso concetto di «rete integrata di impianti di smaltimento» che presuppone: a) una possibilita' di interconnessione tra i vari siti che vengono a costituire il sistema integrato; b) l'assenza di ostruzioni determinate da blocchi che impediscano l'accesso ad alcune sue parti.

Il divieto, pertanto, pur essendo legittimo, con riferimento ai rifiuti urbani non pericolosi, in quanto e' la normativa statale che lo prevede, si pone in contrasto con la Costituzione nella parte in cui una fonte di produzione legislativa regionale lo venga a contemplare nei confronti degli altri tipi di rifiuti di provenienza extraregionale (cfr. Corte Cost., sentenza n. 10/2009).

La norma regionale de qua, nella sua attuale formulazione, e' da ritenersi in contrasto anche con l'art. 120, primo comma, delta Costituzione, ai sensi del quale la Regione non puo' «adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni».

A tal riguardo e' infatti stato escluso che le Regioni, sia ad autonomia ordinaria, sia ad autonomia speciale, possano adottare misure volte ad ostacolare «in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni» (cfr. Corte Cost., sentenze n. 10 del 2009 cit.; n. 164 del 2007; n. 247 del 2006; n. 62 del 2005 e n. 505 dei 2002) ed e' stato reiteratamente ribadito «il vincolo generale imposto alle Regioni dall'art. 120, primo comma, della Costituzione, che vieta ogni misura atta ad ostacolare la libera circolazione delle cose e delle persone fra le Regioni» (Corte Cost., sentenza n. 161 del 2005).

Sulla base di tali rilievi, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ritenuto che numerose disposizioni regionali, le quali vietavano lo smaltimento di rifiuti di provenienza extraregionale diversi da quelli urbani non pericolosi, fossero in contrasto con l'art. 120 della Costituzione, sotto il profilo dell'introduzione di ostacoli alla libera circolazione di cose tra le regioni, oltre che coni principi fondamentali delle norme di riforma economico-sociale introdotti dal decreto legislativo n. 22 del 1997 e riprodotti dal decreto legislativo n. 152 del 2006.

Anche se l'impugnata disposizione regionale pone dunque, allo smaltimento di rifiuti di provenienza extraregionale un divieto non assoluto, ma relativo - in quanto limitato ai rifiuti speciali - non viene meno l'illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata.

Al riguardo, e' stata sempre codesta Ecc.ma Corte, difatti, ad aver gia' ritenuto che lo stabilire, da parte di una norma regionale, un divieto sia pur relativo e non assoluto - come quello del caso in esame - «non giustifica una valutazione diversa da quella riservata dalle citate sentenze alle norme allora scrutinate, che imponevano un divieto assoluto» (sentenza n. 505 del 2002).

Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro normativo tanto eurounitario quanto statale, la legge regionale in argomento si pone quindi in contrasto con il parametro costituzionale di cui al secondo comma, lettera s), dell'art. 117 Cost.. in quanto essa interviene in una materia, quella della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», a cui fa capo la disciplina dei rifiuti, attribuita in via esclusiva alla competenza legislativa dello Stato (ex multis, Corte Cost., sentenze, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009), nella quale rientra la disciplina della gestione dei rifiuti (cfr. Corte Cost., sentenza n. 249 del 2009), anche quando interferisca con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (ex multis, Corte Cost., sentenze n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 del 2011, n. 225 e n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008).

Infatti, il carattere trasversale della materia della tutela dell'ambiente, se da un lato legittima le Regioni «a provvedere attraverso la propria legislazione esclusiva o concorrente in relazione a temi che hanno riflessi sulla materia ambientale, dall'altro non costituisce limite alla competenza esclusiva dello Stato a stabilire regole omogenee nel territorio nazionale per procedimenti e competenze che attengono alla tutela dell'ambiente e alla salvaguardia del territorio» (cfr. Corte Cost., sentenza n. 249 del 2009).

Tale disciplina, «in quanto appunto rientrante principalmente nella tutela dell'ambiente, e dunque in una materia che, per la molteplicita' dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasivita' rispetto anche alle attribuzioni regionali» (sentenza n. 249 del 2009, cit.), con la conseguenza che, avendo riguardo alle diverse fasi e attivita' di gestione del ciclo dei rifiuti e agli ambiti materiali ad esse connessi, la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (Corte Cost., sentenze n. 58 del 2015, n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007).

Ne consegue che «non puo' riconoscersi una competenza regionale in materia di tutela dell'ambiente», anche se le Regioni possono stabilire «per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze livelli di tutela piu' elevati», pur sempre nel rispetto della normativa statale di tutela dell'ambiente (sentenza n. 61 del 2009)»(cfr. Corte Cost., sentenza n. 285 del 2013).

L'art. 32 della legge regionale n. 4/2019, nel prevedere poi limitazioni, seppur relative, all'introduzione di rifiuti speciali nel territorio della regione - viola, quindi, l'art. 120 della Costituzione, il quale vieta alle Regioni di adottare provvedimenti che siano di ostacolo alla libera circolazione delle cose.

Per i motivi esposti, sottopone a censura l'art. 32, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e 120 Cost., in riferimento ai parametri statali interposti dianzi citati.

Tanto premesso, la Presidenza del Consiglio dei ministri, come in epigrafe rappresentata, difesa e domiciliata, chiede l'accoglimento delle seguenti conclusioni.

 

P.Q.M.

 

Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita accogliere il presente ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale della disposizione oggetto di censura, art. 10, art. 15 comma 2 lettera f), g) ed h) e comma 3 lettera i), art. 16, comma 1 lettera b), f) e g) ed art. 32 della legge Regione Molise n. 4 del 2019.

Si deposita la determinazione della Presidenza del Consiglio dei ministri dell'11 luglio 2019.

Roma, 12 luglio 2019

L'Avvocato dello Stato: Nunziata

Il Procuratore dello Stato: De Vergori