RICORSO N. 76 DEL 2 LUGLIO 2019 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 2 luglio 2019.

(GU n. 35 del 28.8.2019)

 

Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri (c.f. 80188230587) rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato c.f. 80224030587, fax 06/96514000 e PEC roma@mailcert.avvocaturastato.it, presso i cui uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;   Nei confronti della Regione Liguria in persona del presidente della Giunta pro tempore per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 7, 8, 10, 22, 23 e 31 della legge regionale Liguria n. 3 del 19 aprile 2019, recante «Modifiche alla legge regionale 22 febbraio 1995, n. 12 (Riordino delle aree protette) e alla legge regionale 10 luglio 2009, n. 28 (Disposizioni in materia di tutela e valorizzazione della biodiversita')», pubblicata nel BUR Liguria 26 aprile 2019, n. 5, giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 19 giugno 2019.

La legge Regione Liguria n. 3 del 19 aprile 2019, pubblicata nel BUR n. 5 del 26 aprile 2019, che consta di 34 articoli, ha dettato le «Modifiche alla legge regionale 22 febbraio 1995, n. 12 (Riordino delle aree protette) e alla legge regionale 10 luglio 2009, n. 28 (Disposizioni in materia di tutela e valorizzazione della biodiversita')».

E' avviso del Governo che, con le norme denunciate in epigrafe, gli articoli 7, 8, 10, 22 e 23 della legge della Regione Liguria n. 3/2019 citata, la Regione Liguria abbia ecceduto dalla propria competenza in violazione della normativa costituzionale, come si confida di dimostrare in appresso con l'illustrazione dei seguenti motivi.

Occorre, innanzitutto, premettere alcune considerazioni di carattere generale e, pertanto, valevoli per tutti i motivi di impugnazione che di seguito si illustreranno.

Come costantemente statuito dalla Corte costituzionale (sentenze n. 315 e n. 193 del 2010, n. 44, n. 269 e n. 325 del 2011, n. 14 del 2012, n. 212 del 2014 e n. 36 del 17 febbraio 2017), la disciplina delle aree protette rientra nella competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell'ambiente» ex art. 117, secondo comma, lettera s), ed e' contenuta nella legge n. 394 del 1991 che detta i principi fondamentali della materia, ai quali la legislazione regionale e' chiamata ad adeguarsi, assumendo anche i connotati di normativa interposta che deve considerarsi espressione, per l'appunto, dell'esercizio della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione (sentenze n. 44 del 2011; n. 315 e n. 20 del 2010).

Le regioni, pertanto, in ambito di aree protette, possono soltanto determinare maggiori livelli di tutela, ma non derogare alla legislazione statale (sentenze n. 44 del 2011; n. 193 del 2010, n. 61 del 2009 e n. 232 del 2008).

In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito come «il territorio dei parchi, siano essi nazionali o regionali, ben (possa) essere oggetto di regolamentazione da parte della regione, in materie riconducibili ai commi terzo e quarto dell'art. 117 della Costituzione, purche' in linea con il nucleo minimo di salvaguardia, del patrimonio naturale, da ritenere vincolante per le regioni» (sentenze n. 232 del 2008, punto 5. del Considerato in diritto; e n. 44 del 2011 gia' citata).

Nell'ambito, quindi, delle materie di loro competenza, le regioni trovano un limite negli standard di tutela fissati a livello statale.

Questi, tuttavia, non impediscono al legislatore regionale di adottare discipline normative che prescrivano livelli di tutela dell'ambiente piu' elevati (di recente, sentenze n. 66 del 2018; n. 74 del 2017; n. 267 del 2016 e n. 149 del 2015), i quali «implicano logicamente il rispetto degli standard adeguati e uniformi fissati nelle leggi statali» (sentenza n. 315 del 2010), che rappresentano, ex se, limiti invalicabili per l'attivita' legislativa della regione, in quanto costituiscono norme imperative che devono essere rispettate sull'intero territorio nazionale per primarie esigenze di tutela ambientale.

Come gia' sottolineato, la legge quadro n. 394 del 1991 citata e' stata reiteratamente ricondotta dalla giurisprudenza costituzionale alla materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» (da ultimo, sentenze n. 74 e n. 36 del 2017), da cio' derivandone, dunque, che le regioni sono tenute ad adeguarsi ai principi fondamentali da essa dettati, pena l'invasione di un ambito materiale di esclusiva spettanza statale.

La stessa giurisprudenza costituzionale ha, altresi', posto in evidenza come lo standard minimo uniforme di tutela nazionale si estrinsechi nella predisposizione da parte degli enti gestori delle aree protette «di strumenti organizzativi, programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attivita' svolte nei parchi alle esigenze di protezione» dell'ambiente e dell'ecosistema (sentenza n. 171 del 2012, nello stesso senso, le sentenze n. 74 del 2017, n. 263 e n. 44 del 2011, n. 387 del 2008).

La citata legge quadro n. 394 del 1991 non si limita, dunque, a dettare standard minimi uniformi atti a tutelare soltanto i parchi e le riserve naturali nazionali e regionali - istituiti ai sensi dell'art. 8 della predetta legge quadro (rispettivamente, con decreto del Presidente della Repubblica e con decreto del Ministro dell'ambiente) - ma impone anche un nucleo minimo di tutela del patrimonio ambientale rappresentato dai parchi e dalle riserve naturali regionali, che vincola il legislatore regionale nell'ambito delle proprie competenze (sentenze n. 74 e n. 36 del 2017; n. 212 del 2014; n. 171 del 2012 n. 325; n. 70 e n. 44 del 2011).

Anche in relazione alle aree protette regionali, invero, il legislatore statale ha predisposto un modello fondato sull'individuazione del loro soggetto gestore, ad opera della legge regionale istitutiva (art. 23), sull'adozione, «secondo criteri stabiliti con legge regionale in conformita' ai principi di cui all'art. 11, di regolamenti delle aree protette» (art. 22, comma 1, lettera d), peraltro, significativamente ed espressamente ricompreso tra i «principi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali»), nonche' su un modello organizzativo tramite il quale siano attivate le finalita' del parco naturale regionale (art. 24).

Per altro verso, puo' senz'altro riconoscersi che il legislatore statale ha previsto, per le aree naturali protette regionali, un quadro normativo meno dettagliato di quello predisposto per le aree naturali protette nazionali, tale che le regioni abbiano un qualche margine di discrezionalita' tanto in relazione alla disciplina delle stesse aree protette regionali quanto sul contemperamento tra la protezione di queste ultime e altri interessi meritevoli di tutela da parte del legislatore regionale.

Cio' non toglie che debba essere comunque garantita la conforme corrispondenza ai canoni previsionali inderogabili imposti dalla normativa nazionale, essendo manifestazione di quello standard minimo di tutela che il legislatore statale ha individuato nell'esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» e che, come dianzi gia' posto in rilievo, le regioni possono accompagnare con un surplus di tutela, ma non, appunto, derogare in peius.

 

Motivi

 

1. L'art. 7 della legge regionale Liguria 19 aprile 2019, n. 3 citata viola gli articoli 97 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione in relazione agli articoli 10 e 24 della legge 6 dicembre 1991, n. 394.

L'art. 7 citato sostituisce l'art. 11 della legge regionale n. 12/1995 citata, rubricato «Comunita' del Parco».

In particolare, i commi 1, 2 e 3 della disposizione novellata attribuiscono alla Giunta regionale il compito di determinare criteri partecipativi degli enti locali alla Comunita' di ogni area naturale protetta in base a quote di superficie territoriale.

Risulta in tal modo violato l'art. 24 della legge quadro in materia di aree protette n. 394 del 1991 citata, che demanda la disciplina dell'organizzazione amministrativa del parco naturale regionale, «in relazione alla peculiarita' di ciascuna area interessata», alle previsioni di uno specifico statuto. E' tramite lo statuto, infatti, che va regolato il funzionamento degli organi statutari e la costituzione della comunita' del parco.

Il successivo comma 4 del sostituito art. 11, nel prevedere, poi, che «La Comunita' concorre all'elaborazione del Piano pluriennale socioe-conomico nei modi previsti all'art. 22», si pone in contrasto con il disposto di cui all'art. 10, comma 3, della citata legge n. 394 del 1991, che prevede che la Comunita' del Parco deliberi in merito al Piano pluriennale economico sociale.

Il comma 5 dello stesso art. 11, della legge regionale n. 12/1995 citato, cosi' come modificato, prevede, altresi', la possibilita' del rilascio da parte della Comunita' del Parco di un parere vincolante sulla base dello statuto del parco stesso.

Detta previsione regionale risulta in palese contrasto con l'art. 10, comma 2, della legge n. 394 del 1991 citata, secondo il quale «2. La Comunita' del parco e' organo consultivo e propositivo dell'Ente parco. In particolare, il suo parere e' obbligatorio». Dalla lettera della norma statale non si evince alcun espresso riferimento all'efficacia vincolante del parere, neppure con rinvio allo statuto dell'ente parco.

A conferma di cio', si richiama, altresi', il comma 3 dell'anzidetto art. 10 della legge n. 394 del 1991 citata, da cui si evince che la Comunita' non e' totalmente autonoma neppure nell'approvazione del piano pluriennale economico e sociale; in quella sede istruttoria e', infatti, previsto il parere vincolante del consiglio direttivo dell'ente parco, ma in nessun caso si prevede un parere vincolante della Comunita' che resta un organo consultivo, a pena di stravolgere la ratio dell'impalcatura istituzionale dell'ente parco: ente con natura di soggetto amministrativo ad elevata specializzazione tecnico scientifica, con rilevante indipendenza dalle strutture di derivazione politico rappresentativa.

La norma impugnata, pertanto, incide sull'assetto organizzativo dell'Ente Parco, come predeterminato dal parametro interposto statale costituito dalla citata «Legge quadro sulle aree protette» n. 394 del 1991, in violazione degli articoli 97 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, con riflessi sotto il profilo della regolarita' ed efficienza dell'attivita' dell'Ente stesso.

2. Gli articoli 8 e 31 della legge regionale 19 aprile 2019, n. 3 citata violano gli articoli 97 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione in relazione all'art. 22, comma 1, lettera a), e all'art. 23 della legge 6 dicembre 1991, n. 394.

L'art. 8, che sostituisce l'art. 14 della legge regionale 22 febbraio 1995, n. 12 citata, nella sua nuova formulazione, sopprime le 42 aree protette provinciali, gia' incluse nel VI aggiornamento dell'Elenco ufficiale delle aree protette approvato con decreto ministeriale 27 aprile 2010. Tale soppressione ex lege si pone in netto contrasto con l'art. 22, comma 1, lettera a), della legge quadro n. 394 del 1991 citata, che definisce il procedimento istitutivo delle aree protette regionali, prevedendo che «Costituiscono principi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali: a) la partecipazione delle province, delle comunita' montane e dei comuni al procedimento di istituzione dell'area protetta, fatta salva l'attribuzione delle funzioni amministrative alle province, ai sensi dell'art. 14 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Tale partecipazione si realizza, tenuto conto dell'art. 3 della stessa legge n. 142 del 1990, attraverso conferenze per la redazione di un documento di indirizzo relativo all'analisi territoriale dell'area da destinare a protezione, alla perimetrazione provvisoria, all'individuazione degli obiettivi da perseguire, alla valutazione degli effetti dell'istituzione dell'area protetta sul territorio». Ne consegue che, contrarius actus, lo stesso procedimento seguito per l'istituzione delle aree suddette avrebbe dovuto essere adottato, quindi, per la relativa soppressione.

Inoltre, il comma 2 del citato art. 14, della legge regionale n. 12/1995 citata (e relativo Allegato A), nel modificare e restringere i confini dei preesistenti Parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell'Antola, dell'Aveto e del Beigua, viola, anch'esso il procedimento partecipativo previsto dall'art. 22, comma 1, lettera a), ponendosi, altresi', in contrasto con l'art. 23 della legge quadro n. 394 del 1991 citata, che prevede la perimetrazione del parco naturale regionale tramite lo strumento della legge regionale solo per quanto attiene alla perimetrazione provvisoria.

La variazione dei confini di ogni parco naturale regionale esistente, infatti, e' un atto insito nella possibilita' di modifica o rinnovo del piano del parco e, come tale, necessita della previa adozione da parte dell'organismo di gestione (ai sensi dell'art. 25, comma 2, delle legge quadro n. 394 del 1991 citata) con un atto amministrativo soggetto ad approvazione regionale che non puo', pertanto, essere sostituito da una legge-provvedimento; quest'ultimo strumento escluderebbe aprioristicamente la partecipazione nel procedimento dell'ente gestore, peraltro, su un elemento fondamentale come la superficie dell'area protetta.

Analoghe considerazioni valgono in relazione all'art. 31 della legge regionale in esame, che detta disposizioni sugli effetti di revisione dei confini.

La norma, infatti, incorre nelle medesime illegittimita' per la violazione dell'art. 22, comma 1, lettera a), della legge n. 394/1991 citata, relativamente al procedimento partecipativo.

Le previsioni regionali cosi' formulate, oltre che porsi in contrasto con il suddetto parametro statale interposto di cui all'art. 22, comma 1, lettera a), della legge n. 394 del 1991 citata, si pongono in aperta antitesi con il principio di buon andamento dell'amministrazione sancito dall'art. 97 della Costituzione, confliggendo con i canoni di efficacia, efficienza ed economicita' che devono presiedere all'esercizio dell'azione amministrativa.

Le norme impugnate, pertanto, incidono sull'assetto organizzativo come predeterminato dal parametro interposto statale costituito dalla citata «Legge quadro sulle aree protette» n. 394 del 1991, in violazione degli articoli 97 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, con riflessi sotto il profilo della regolarita' ed efficienza.

3. L'art. 10 della legge regionale 19 aprile 2019, n. 3 citata viola gli articoli 3 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione in relazione all'art. 22, comma 1, lettera a), della legge 6 dicembre 1991 n. 394.

L'art. 10 sostituisce l'art. 17 della legge regionale n. 12/1995 citata e stabilisce, al comma 4 della disposizione novellata, che il Piano del parco «vincola, nelle sue indicazioni di carattere prescrittivo, la pianificazione territoriale di livello regionale, provinciale e comunale con effetto di integrazione della stessa e, in caso di contrasto, di prevalenza su di essa».

La disposizione confligge con l'art. 25, comma 2, (ultimo capoverso), della legge quadro n. 394 del 1991 citata, che, molto piu' nettamente, dispone che il Piano del parco «ha valore anche di piano paesistico e di piano urbanistico e sostituisce i piani paesistici e i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello», anche al di fuori di casi di contrasto.

Il successivo comma 6 dell'art. 17 novellato della legge regionale n. 12/1995, prevedendo che il Piano possa apportare modifiche alla perimetrazione dell'area protetta, viola il procedimento partecipativo previsto dall'art. 22, comma 1, lettera a), della legge n. 394 del 1991 citata.

Le modifiche previste, infatti, possono essere apportate unicamente attraverso il procedimento del richiamato art. 22 della legge n. 394 del 1991; il Piano puo' eventualmente contenere solo una proposta di revisione.

Anche in questo caso sussiste, dunque, la lesione del principio di buon andamento dell'amministrazione sancito dall'art. 97 della Costituzione.

La norma regionale censurata interviene in una materia di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione in tema di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» e non rispetta la normativa statale che fissa i criteri generali del procedimento amministrativo da seguire nella fattispecie validi per tutto il territorio nazionale, trasformando l'essenza stessa del procedimento come delineato dalla norma statale contenuta nella citata legge quadro, incidendo sulla sua articolazione specifica, in chiave di riduzione di tutela del procedimento partecipativo e, pertanto, viola anche l'art. 97 della Costituzione.

La norma impugnata, pertanto, incide sull'assetto organizzativo dell'Ente Parco, come predeterminato dal parametro interposto statale costituito dalla citata «Legge quadro sulle aree protette» n. 394 del 1991, in violazione degli articoli 97 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, con riflessi sotto il profilo della regolarita' ed efficienza dell'attivita' dell'Ente stesso.

4. L'art. 22 della legge regionale 19 aprile 2019, n. 3 viola gli articoli 97 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, in relazione all'art. 23, ultimo capoverso, della legge 6 dicembre 1991, n. 394.

L'art. 22 sostituisce l'art. 32 della legge regionale n. 12/1995 citata. Il comma 3 della norma novellata, nel prevedere la possibilita' di collaborazioni e di stipula «di apposite convenzioni» anche con soggetti privati non istituzionali in materia di vigilanza, viola l'art. 23, ultimo capoverso, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 citata, che vieta espressamente la stipula convenzioni con enti pubblici e con soggetti privati (ad esempio, guardie ecologiche, venatorie, ittiche e micologiche volontarie) per l'esercizio della vigilanza nei parchi naturali regionali.

Come gia' rilevato supra, la disciplina delle aree protette rientra, infatti, nella competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell'ambiente» ex art. 117, secondo comma, lettera s), ed e' contenuta nella citata legge quadro n. 394 del 1991 che detta i principi fondamentali della materia, ai quali la legislazione regionale e' chiamata ad adeguarsi (sentenze n. 315 e n. 193 del 2010, n. 44, n. 269 e n. 325 del 2011, n. 14 del 2012, n. 212 del 2014 e n. 36 del 17 febbraio 2017), quale norma interposta, (sentenze n. 44 del 2011 n. 315 e n. 20 del 2010), espressione, per l'appunto, dell'esercizio della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Le regioni, pertanto, nell'ambito di aree protette, possono soltanto determinare maggiori livelli di tutela, ma non derogare alla legislazione statale.

Le norme impugnate, pertanto, incidono sull'assetto organizzativo dell'Ente Parco, come predeterminato dal parametro interposto statale costituito dalla citata «Legge quadro sulle aree protette» n. 394 del 1991, in violazione degli articoli 97 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, con riflessi sotto il profilo della regolarita' ed efficienza dell'attivita' dell'Ente stesso.

5. L'art. 23 della legge regionale 19 aprile 2019, n. 3 citata viola gli articoli 97, 117, comma 2, lettera s), della Costituzione in relazione all'art. 30 della legge 6 dicembre 1991, n. 394.

L'art. 23, che sostituisce l'art. 33 della legge regionale 22 febbraio 1995, n. 12 citata, nel fissare, al comma 1, lettere a), b), c), d) i minimi e i massimi delle sanzioni previste per le fattispecie elencate al comma 1 del successivo art. 25, che sostituisce l'art. 42 della legge regionale n. 12/95 citata, si pone in aperto conflitto con quanto gia' disciplinato e previsto dall'art. 30 della legge quadro n. 394 del 1991 citata, fonte normativa di rango superiore, prevedendo sanzioni differenti sia per entita' che per tipologia di violazione.

Va ribadito che, come gia' rilevato supra, la disciplina delle aree protette rientra, infatti, nella competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell'ambiente» ex art. 117, secondo comma, lettera s), ed e' contenuta nella citata legge quadro n. 394 del 1991 che detta i principi fondamentali della materia, ai quali la legislazione regionale e' chiamata ad adeguarsi (sentenze n. 315 e n. 193 del 2010, n. 44, n. 269 e n. 325 del 2011, n. 14 del 2012, n. 212 del 2014 e n. 36 del 17 febbraio 2017), quale norma interposta, (sentenze n. 44 del 2011 n. 315 e n. 20 del 2010), espressione, per l'appunto, dell'esercizio della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Le regioni, pertanto, nell'ambito di aree protette, possono soltanto determinare maggiori livelli di tutela ma non derogare alla legislazione statale non possono certamente modificare l'entita' e la tipologia delle sanzioni previste dalla predetta legge quadro n. 394/1991.

La legge quadro n. 394 del 1991 citata e' stata costantemente ricondotta dalla giurisprudenza costituzionale alla materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» (da ultimo, sentenze n. 74 e n. 36 del 2017 citate), da cio' derivandone, dunque, che le regioni sono tenute ad adeguarsi ai principi fondamentali da essa dettati, pena l'invasione di un ambito materiale di esclusiva spettanza statale.

Deve essere, comunque, garantita la conforme corrispondenza ai canoni previsionali inderogabili imposti dalla normativa nazionale, quale manifestazione di quello standard minimo di tutela che il legislatore statale ha individuato nell'esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» e che, come detto, le regioni possono prevedere con un surplus di tutela, ma non derogare in peius come nel caso di specie, ove in aperto contrasto con la norma primaria statale, la complessa e delicata funzione sanzionatoria si discosta in modo cosi' palese dalla normativa primaria statale prevista per garantire il rispetto del principio di buon andamento della Costituzione anche in relazione all'art. 97 della Costituzione.

 

P.Q.M.

 

Per i motivi suesposti si conclude perche' gli articoli 7, 8, 10, 22, 23 e 31 della legge regionale Liguria n. 3 del 19 aprile 2019 recante «Modifiche alla legge regionale 22 febbraio 1995, n. 12 (Riordino delle aree protette) e alla legge regionale 10 luglio 2009, n. 28 (Disposizioni in materia di tutela e valorizzazione della biodiversita')», siano dichiarati costituzionalmente illegittimi.

Si produce l'attestazione della deliberazione del Consiglio dei ministri del 19 giugno 2019.

Roma, 25 giugno 2019

Il Vice Avvocato generale dello Stato: Palmieri