RICORSO N. 60 DEL 21 MAGGIO 2019 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 21 maggio 2019.

(GU n. 26 del 26.6.2019)

 

Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri (codice fiscale n. 80188230587) rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato (codice fiscale n. 80124030587), presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12, manifestando la volonta' di ricevere le comunicazioni all'indirizzo PEC: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it, nei confronti della Regione Basilicata, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 2, comma 7, 5, 8, 9, 10, 12, 13, commi 1 e 3, e 27 della legge regionale Basilicata n. 4 del 13 marzo 2019, recante «Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d'intervento della Regione Basilicata», pubblicata nel B.U.R.

n. 12 del 14 marzo 2019, giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 8 maggio 2019.

Con la legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 indicata in epigrafe, che consta di ventinove articoli, la Regione Basilicata ha emanato «Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori di intervento».

Le norme indicate in epigrafe eccedono dalle competenze regionali e invadono competenze esclusive statali in materia di ordine pubblico e sicurezza, ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato, tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di cui all'art. 117, comma 2, lettere g), h) e s) della Costituzione, oltre a contrastare con norme statali che costituiscono principi fondamentali in materia di tutela della salute e produzione trasporto di energia, in violazione del terzo comma dell'art. 117 della Costituzione.

E', pertanto, avviso del Governo che, con le norme denunciate in epigrafe, la Regione Basilicata abbia ecceduto dalla propria competenza in violazione della normativa costituzionale come si confida di dimostrare con l'illustrazione dei seguenti

 

Motivi

 

1. L'art. 2, comma 7, della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 citata viola l'art. 117, comma 2, lettera g), della Costituzione.

L'art. 2, comma 7, della legge regionale n. 4 del 2019 citata modifica l'art. 28, comma 2, della legge regionale n. 2 del 1995, come modificato dall'art. 13, comma 2, della legge regionale n. 37/2018, in materia di controllo della fauna selvatica.

La disposizione risulta, quindi, cosi' modificata: «La regione in caso di ravvisata inefficacia, verificata da parte dell'ISPRA, degli interventi ecologici di cui al comma 1, autorizza piani di abbattimento con modalita' di intervento compatibili con le diverse caratteristiche ambientali e faunistiche delle aree interessate. Tali piani sono attuati dal corpo della Polizia provinciale, che potra' avvalersi del personale dell'Arma dei carabinieri forestali e della Polizia locale purche' munito di licenza per l'esercizio venatorio.

Per la realizzazione dei piani la regione puo' altresi' autorizzare i proprietari o conduttori dei fondi nei quali si attuano i piani di abbattimento, purche' muniti di licenza per l'esercizio venatorio».

La previgente normativa prevedeva che la regione, per la realizzazione dei piani di abbattimento dei cinghiali, potesse avvalersi «dei proprietari o dei conduttori dei fondi nei quali si attuano i piani di abbattimento, delle guardie forestali e del personale di vigilanza dei comuni nonche' delle guardie di cui all'art. 45, purche' i soggetti in questione siano in possesso della licenza di caccia».

La norma regionale impugnata attribuisce, invece, alla Polizia provinciale la facolta' di avvalersi per i piani di abbattimento del personale dell'Arma dei carabinieri forestali istituiti con decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di Polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.».

Il Corpo di nuova istituzione svolge funzioni di Polizia e allo stesso sono attribuite funzioni anche in materia forestale, ma la norma regionale censurata attribuisce agli stessi nuovi compiti in relazione ad iniziative - piani di abbattimento - adottate dalla regione stessa.

Con la norma censurata, dunque, la regione, esorbitando dalle proprie attribuzione, consente alla Polizia locale di utilizzare il personale specializzato dell'Arma dei carabinieri nel settore del patrimonio agro-forestale.

La norma presuppone una attribuzione di competenza regionale che rientra, invece, nella disciplina dell'«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali», riservata in via esclusiva alla legislazione statale, in base all'art. 117, comma 2, lettera g), della Costituzione, peraltro, ponendo, di fatto, il personale dell'Arma dei carabinieri del settore agro-alimentare in posizione servente rispetto alla Polizia provinciale che potrebbe impiegarlo per l'attuazione dei piani predisposti dalla regione.

La disposizione regionale, pertanto, cosi' come formulata, determina uno sconfinamento nell'ambito riservato alla competenza legislativa dello Stato nella materia «Ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» che l'art. 117, comma 2, lettera g), della Costituzione, riserva alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato, in quanto pone il personale di una Forza di Polizia, per definizione statuale, al servizio della Polizia provinciale per il perseguimento di obiettivi individuati dalla regione.

Come affermato dalla Corte costituzionale, infatti, le regioni non possono porre a carico di organi e amministrazioni dello Stato compiti ulteriori rispetto a quelli individuati con legge statale e non possono disciplinare unilateralmente, nemmeno nell'esercizio della loro potesta' legislativa, forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono attribuzioni di organi statali (sentenza n. 134 del 2004).

2. L'art. 5 della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 citata viola l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione in relazione all'art. 41 del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, convertito con modificazioni con la legge 16 novembre 2018, n. 130.

L'art. 5, rubricato «Disposizioni sulla gestione dei fanghi di depurazione», al comma 1 prevede che «Sul territorio della Regione Basilicata, nelle more di una revisione organica della normativa di settore, ai fini dell'utilizzo in agricoltura dei fanghi di cui all'art. 2, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, vigono i limiti dell'allegato 113 del predetto decreto nonche', per la concentrazione di idrocarburi e fenoli, i valori limite sanciti dalla tabella 1, allegato 5, titolo V, parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».

La norma nella sua attuale formulazione, ai fini dello spandimento dei fanghi di depurazione delle acque reflue in agricoltura, prevede, dunque, non soltanto il rispetto dei limiti di concentrazione dei metalli pesanti e degli altri parametri previsti dal vigente decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, ma introduce, per la concentrazione degli idrocarburi e dei fenoli, il rispetto dei valori limite di C.S.C. (Concentrazione soglia di contaminazione) nel suolo e nel sottosuolo stabiliti nella tabella 1, allegato 5, titolo V, parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Detti valori tabellari, previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006 citato, sono finalizzati alle verifiche analitiche di esame del suolo per la destinazione d'uso dei siti da bonificare e sono distinti in relazione dell'utilizzazione a seconda che si tratti di siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale ovvero siti ad uso commerciale e industriale. Si tratta, dunque, di valori elaborati in relazione ad una diversa tipologia di intervento ampiamente restrittivi e, pertanto, non richiamabili nella fattispecie relativa allo smaltimento di rifiuti mediante spandimento su terreni agricoli.

La norma regionale e' costituzionalmente illegittima poiche' richiama i valori tabellari di cui al decreto legislativo n. 152/2006 citato in modo non conferente per la mancata analogia tra le finalita' di bonifica, per le quali detti valori costituiscono parametro, e le finalita' di smaltimento dei rifiuti con spargimento in aree agricole.

I valori degli idrocarburi riscontrati nei fanghi di depurazione sono piu' elevati. In particolare il decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, citato, recante le «Disposizioni urgenti per la Citta' di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze», convertito con modificazioni con la legge 16 novembre 2018, n. 130, all'art. 41, rubricato «Disposizioni urgenti sulla gestione dei fanghi di depurazione», ha previsto specifiche disposizioni per taluni analiti non previsti nel decreto-legge n. 99/1992, tra cui proprio gli idrocarburi, introducendo un valore limite di 1000 mg/kg di sostanza secca per gli idrocarburi CI 0-C40, corrispondente a quanto indicato nella classificazione in base alla normativa eurounitaria dei rifiuti come limite massimo per la determinazione dei rifiuti pericolosi.

La predetta disposizione regionale, pertanto, nell'introdurre il rispetto dei piu' restrittivi valori limite per gli idrocarburi e per i fenoli, come previsti per il suolo e per il sottosuolo dei siti da sottoporre a bonifica, oltre a porsi in conflitto con il parametro interposto statale costituito dal suddetto art. 41 del decreto-legge n. 109 del 2018 citato, che ha stabilito i valore limite da assumere per gli idrocarburi e per altri composti (IPA, PCB, diossine e furani, selenio, toluene), ha quale ulteriore conseguenza l'obbligo di dover conferire in discarica o presso gli impianti di incenerimento/coincenerimento i fanghi di depurazione delle acque reflue vista l'impossibilita' del recupero in agricoltura, determinando un conseguente aggravio sulla filiera gestionale del rifiuto stesso.

La norma eccede, pertanto, dalla competenza regionale, poiche' la disciplina della gestione dei rifiuti rientra nella materia «Tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» riservata in base all'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione alla competenza esclusiva dello Stato (ex multis sentenze n. 285 del 2013; n. 54 del 2012; n. 244 e n. 33 del 2011; n. 331 e n. 278 del 2010; n. 61 e n. 10 del 2009).

Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro normativo eurounitario e statale, la norma regionale impugnata risulta in contrasto con il parametro costituzionale di cui al secondo comma, lettera s), dell'art. 117 della Costituzione, nel quale rientra la disciplina della gestione dei rifiuti (sentenza n. 249/2009, punto 11 del considerato in diritto) anche se la disciplina interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (ex multis sentenze n. 67 del 2014; n. 285 del 2013; n. 54 del 2012; n. 244 del 2011; n. 225 e n. 164 del 2009; e n. 437 del 2008).

Tale disciplina, «in quanto appunto rientrante principalmente nella tutela dell'ambiente, e dunque in una materia che, per la molteplicita' dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasivita' rispetto anche alle attribuzioni regionali» (sentenza n. 249 del 2009, ibidem), con la conseguenza che, avendo riguardo alle diverse fasi e attivita' di gestione del ciclo dei rifiuti e agli ambiti materiali ad esse connessi, la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le regioni e le province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenze n. 58 del 2015; n. 314 del 2009; n. 62 del 2008; e n. 378 del 2007).

3. L'art. 8 della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 citata viola l'art. 117, comma 2, lettera h), della Costituzione.

L'art. 8, rubricato «Processi di controllo del territorio» dispone che:   «1. La Regione Basilicata, al fine di migliorare i processi di controllo del territorio e fornire maggiore sicurezza ai cittadini lucani, utilizza il Fondo unico autonomie locali di cui alla legge regionale 19 settembre 2018, n. 23.

2. I comuni interessati da ricorrenti e significativi episodi di attentati alla proprieta' privata possono avvalersi dei fondi indicati al comma 1 della presente norma finalizzati a forme di vigilanza del territorio ad integrazione di quelle gia' in essere stipulando a tal fine apposite convenzioni con le imprese private di vigilanza.

3. La Regione Basilicata adotta apposito regolamento attuativo.».

La norma prevede, dunque, che la regione utilizzi il Fondo unico autonomie locali, di cui alla legge regionale 19 settembre 2018, n. 23, al fine di migliorare i processi di controllo del territorio e fornire maggiore sicurezza ai cittadini e che i comuni interessati da significativi e ricorrenti episodi di attentati alla proprieta' privata possano avvalersi dei fondi citati finalizzati a forme di vigilanza del territorio, stipulando a tal fine apposite convenzioni con le imprese di privata vigilanza.

Cosi' come formulata la norma per l'utilizzo della locuzione «Controllo del territorio» richiama l'attivita' di prevenzione dei reati tipica della funzione di pubblica sicurezza, attivita', riservata allo Stato, primariamente diretta a tutelare beni fondamentali, come l'integrita' fisica o psichica delle persone, la sicurezza di possessi e ogni altro bene che assume prioritaria importanza per l'esistenza stessa dell'ordinamento (sentenza n. 407 del 2002).

Ai sensi dell'art. 17 della legge 26 marzo 2001, n. 128, che disciplina gli «Interventi legislativi in materia di sicurezza dei cittadini», il Ministro dell'Interno emana le direttive per la realizzazione a livello provinciale dei piani coordinati di controllo del territorio, attuati, in via prioritaria, dalle Forze di Polizia a competenza generale, Polizia di Stato e Arma dei carabinieri, sotto il coordinamento dell'Autorita' di pubblica sicurezza ed ai quali la Polizia locale e' chiamata a concorrere nell'ambito delle proprie competenze (comma 1, del predetto art. 17).

Ferma restando la competenza esclusiva, dello Stato nella materia dell'ordine e della sicurezza pubblica, il legislatore, in attuazione dell'art. 118, comma 3, della Costituzione, con il decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito con modificazioni con la legge 18 aprile 2017, n. 48, recante le «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle citta'», ha introdotto misure volte alla realizzazione di un efficace coordinamento di azioni integrate dello Stato, delle regioni, delle Province autonome di Trento e Bolzano, degli enti locali e di altri soggetti istituzionali, al fine del concorso, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze e responsabilita', all'attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunita' locali e per contrastare il degrado delle aree urbane.

A tale scopo, il legislatore nazionale ha individuato quali piani d'intervento la sicurezza integrata e la sicurezza urbana, definendo gli enti e i modelli nei quali si sviluppa la cooperazione tra i soggetti coinvolti nella gestione della sicurezza.

L'art. 8 della legge regionale eccede dalle competenze conferite alle regioni nell'ottica di una sicurezza integrata, sconfinando nella materia della tutela della sicurezza in senso stretto, di esclusiva competenza dello Stato ex art. 117, comma 2, lettera h), della Costituzione.

La materia «Ordine pubblico e sicurezza» comprende il settore dell'ordinamento riferito all'«adozione delle misure relative alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico e tale materia e' stata intesa in termini ampi rientrandovi le misure e le funzioni pubbliche preposte a tutelare i beni fondamentali e ogni altro bene che ha prioritaria importanza per l'ordinamento giuridico sociale (sentenze n. 33 del 2015; n. 118 del 2013; n. 35 del 2012; n. 129 del 2009; n. 50 del 2008; n. 105 del 2006; n. 313 del 2003; n. 290 del 2001; n. 218 del 1988).

La norma eccede dalle competenze attribuite alla regione nel prevedere la stipula di convenzioni tra i comuni e le imprese private di vigilanza per le finalita' di vigilanza del territorio. La competenza degli istituti di vigilanza privata si risolve, infatti, esclusivamente nella sorveglianza di beni mobili e immobili, mentre e' compito delle Forze di Polizia dello stato il controllo delle persone, essendo la tutela di quest'ultime compito solo ed esclusivo delle Forze di Polizia dello Stato.

La norma citata contrasta, pertanto, con l'art. 117, comma 2, lettera h), della Costituzione che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia dell'ordine pubblico e sicurezza, della quale il controllo del territorio e' espressione, generando interferenze potenziali con la disciplina statale della prevenzione e repressone dei reati (sentenza n. 325 del 2011).

4. Gli articoli 9 e 10 della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 citata violano l'art. 117, comma 3, della Costituzione in relazione all'art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, e al paragrafo 1.2. delle linee guida nazionali per l'autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010.

L'art. 9, rubricato «Modifiche al paragrafo 1.2.1.4 dell'appendice A del P.I.E.A.R. approvato con legge regionale 19 gennaio 2010, n. 1», dispone:   «1. Al paragrafo 1.2.1.4 "Requisiti di sicurezza" alla lettera a-bis) il numero "2,5" sostituito dal numero "2,0".».

L'art. 10, recante «Modifiche all'art. 38 della legge regionale 22 novembre 2018, n. 38», dispone:   «1. Al comma 1 dell'art. 38 alla lettera d-ter) le parole "e comunque non inferiore a 200 m²" sono sostituite dalle parole "e comunque non inferiore a 150 m".».

Le predette norme che intervengono in materia di impianti di energia a fonte rinnovabile, nel modificare la precedente disciplina, pongono condizioni relative alla distanza degli aerogeneratori dalle abitazioni e dalle strade. Tali disposizioni presentano profili di incostituzionalita' in riferimento all'art. 117, comma 3, della Costituzione, per contrasto con l'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003 citato, «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'» e con il paragrafo 1.2 delle linee guida nazionali per l'autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile (decreto ministeriale 10 settembre 2010) che rinvia al paragrafo 17 per le modalita' di individuazione delle aree non idonee.

Si ricorda che il legislatore statale attraverso la disciplina di autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili ha introdotto principi che non tollerano eccezioni in quanto espressione della potesta' legislativa concorrente in materia di energia di cui all'art. 117, comma 3, della Costituzione in materia di «Produzione trasporto e distribuzione nazionale dell'energia».

La norma regionale, nello stabilire in via generale senza istruttoria e valutazione in concreto, in sede procedimentale, di distanze minime non previste dalla normativa statale non garantisce il rispetto dei principi fissati dalla legislazione statale.

La fattispecie e' analoga ad altre gia' portate all'esame della Corte (sentenze n. 13 del 2014 e n. 69 del 2018) che hanno dichiarato l'illegittimita' costituzionale di normative analoghe.

Gia' con la sentenza n. 380/2011 era stata affermata l'illegittimita' costituzionale di disposizioni che prevedevano un divieto arbitrario, generalizzato e indiscriminato di localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Con la sentenza n. 69/2018, richiamata la predetta sentenza n. 380/2011, e' stato precisato che «il principio di derivazione comunitaria della massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabile puo' trovare eccezione in presenza di esigenze di tutela della salute, paesaggistico-ambientale e dell'assetto urbanistico del territorio (sentenze n. 13 del 2014 e n. 224 del 2012), ma la compresenza dei diversi interessi coinvolti, tutti costituzionalmente rilevanti, ha come luogo elettivo di composizione il procedimento amministrativo, come previsto al paragrafo 17.1 dalle linee guida, secondo cui «[...] l'individuazione della non idoneita' dell'area e' operata dalle regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversita' e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilita' di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione (...)» (punto 6 del considerato in diritto).

E' nella sede procedimentale, dunque, che puo' e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l'interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora, e non da ultimo, con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunita', e che trovano nei principi costituzionali la loro previsione e tutela. La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l'emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonche' la pubblicita' e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei principi di cui all'art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, efficacia, imparzialita', pubblicita' e trasparenza. Viene in tal modo garantita, in primo luogo, l'imparzialita' della scelta, alla stregua dell'art. 97 della Costituzione, ma poi anche il perseguimento, nel modo piu' adeguato ed efficace, dell'interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell'amministrazione, di cui allo stesso art. 97 della Costituzione (sentenza n. 69 del 2018 citata punto 6.1 del considerato in diritto).

In definitiva viene in tal modo garantito il rispetto del principio di legalita' - anch'esso desumibile dall'art. 97 della Costituzione - in senso non solo formale, come attribuzione normativa del potere, ma anche sostanziale, come esercizio del potere in modo coerente con la fonte normativa di attribuzione. Difatti, a chiusura del sistema, vi e' la possibilita' di sottoporre le scelte compiute e le relative modalita' di adozione al vaglio giurisdizionale.

Esula, pertanto, dalla competenza della regione la prescrizione di limiti generali, specie nella forma di distanze minime, perche' cio' contrasterebbe con il principio di derivazione comunitaria della massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabile.

Viene in tal modo garantita l'imparzialita' della scelta, alla stregua dell'art. 97 della Costituzione e il perseguimento, nel modo piu' adeguato ed efficace, dell'interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell'amministrazione, di cui allo stesso art. 97 della Costituzione e il rispetto del principio di legalita' - anch'esso desumibile dall'art. 97 della Costituzione - in senso non solo formale, come attribuzione normativa del potere, ma anche sostanziale, come esercizio del potere in modo coerente con la fonte normativa di attribuzione. Difatti, a chiusura del sistema, vi e' la possibilita' di sottoporre le scelte compiute e le relative modalita' di adozione al vaglio giurisdizionale.

La soluzione legislativa adottata dalla Regione Basilicata, nello stabilire in via generale, senza istruttoria e valutazione in concreto nella sede procedimentale dei siti di localizzazione, distanze minime per la collocazione degli impianti non previste dalla disciplina statale, non garantisce il rispetto di questi principi fondamentali e non permette un'adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti.

Le linee guida nazionali di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010, all'allegato 4 (Impianti eolici: elementi per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio) prevedono in qualche caso le distanze ma poiche' si tratta di possibili misure di mitigazione dell'impatto ambientale e non di condizioni perentorie o prescrizioni generali.

La materia delle distanze non e' contemplata nella normativa statale, se non nei limiti e nei termini contenuti nelle succitate linee guida, come enucleati dalla giurisprudenza costituzionale che ritiene che assurgano, in settori squisitamente tecnici, seppur integranti norme di natura regolamentare, al rango di normativa interposta, cui e' affidato il compito di individuare appunto le specifiche caratteristiche della fattispecie tecnica che, proprio perche' frutto di conoscenze periferiche o addirittura estranee a quelle di carattere giuridico (le quali necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale), mal si conciliano con il diretto contenuto di un atto legislativo (sentenza n. 11 del 2014).

Le disposizioni regionali, dunque, presentano profili di incostituzionalita', in riferimento all'art. 117, comma 3, Cost., per contrasto con l'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003 citato e con il paragrafo 1.2 delle linee guida nazionali per l'autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile (decreto ministeriale 10 settembre 2010) che rinvia al paragrafo 17 per le modalita' di individuazione delle aree non idonee.

5. L'art. 12 della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 citata viola gli articoli 3, 97 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione in relazione all'art. 27-bis, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

L'art. 12, rubricato «Modifiche all'art. 3-bis della legge regionale 26 aprile 2012, n. 8, e successive modificazioni ed integrazioni» dispone che «Dopo il comma 1 dell'art. 3-bis della legge regionale 26 aprile 2012, n. 8, introdotto dall'art. 34 della legge regionale 22 novembre 2018 aggiunge il seguente comma:   "1-bis. Il termine di novanta giorni previsto al comma 1 per la presentazione della documentazione prescritta dall'appendice A del P.I.E.A.R. per il rilascio dell'autorizzazione regionale di cui all'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 puo' essere prorogato per motivi indipendenti dalla volonta' dell'istante, su richiesta di parte, per un periodo massimo di sessanta giorni."».

La norma, dunque, stabilisce la proroga del termine per la presentazione della documentazione prevista dal Piano energetico regionale (P.I.E.A.R.) ai fini dell'autorizzazione regionale di cui all'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 citato per un periodo massimo di sessanta giorni. La proroga puo' essere riconosciuta, su istanza dell'interessato, solo quando il ritardo e' dovuto a motivi indipendenti dalla volonta' di quest'ultimo.

La predetta previsione, per i progetti assoggettati a Valutazione di impatto ambientale (VIA), non e' conforme all'art. 27-bis, del decreto legislativo n. 152/2006, introdotto dall'art. 16, comma 2, del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104, rubricato «Provvedimento autorizzatorio unico regionale», che prevede, al comma 5, che «Su richiesta motivata del proponente l'autorita' competente puo' concedere, per una sola volta, la sospensione dei termini per la presentazione della documentazione integrativa per un periodo non superiore a centottanta giorni.». La previsione regionale cosi' formulata, oltre che porsi in contrasto con il suddetto parametro statale interposto, contrasta con l'esigenza di uniformita' normativa sul territorio nazionale, in aperta antitesi con il parametro di ragionevolezza della legislazione desumibile dall'art. 3 della Costituzione nonche' con il principio di buon andamento dell'amministrazione sancito dall'art. 97 della Costituzione.

Nello stabilire un ulteriore termine di proroga del procedimento la norma regionale ne dilata la relativa durata, seppure per motivi indipendenti dalla volonta' dell'istante a su richiesta dello stesso, immotivatamente aggravando in modo arbitrario il procedimento autorizzativo, cosi' confliggendo con i canoni di efficacia, efficienza ed economicita' che devono presiedere all'esercizio dell'azione amministrativa.

Sotto altro profilo la norma regionale de qua contrasta con il parametro costituzionale di cui al secondo comma, lettera s), dell'art. 117 della Costituzione, in quanto interviene nella materia «Tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», attribuita in via esclusiva alla competenza legislativa dello Stato (ex multis, sentenze n. 54 del 2012; n. 244 e n. 33 del 2011; n. 331 e n. 278 del 2010; n. 61 e n. 10 del 2009), nella quale rientra la disciplina della VIA, nell'ambito della quale deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare, anche in attuazione degli obblighi comunitari, livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, imponendosi come un limite alla disciplina che le regioni e le province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino.

La tutela dell'ambiente, peraltro, implica che l'intervento regionale previsto dalla legislazione statale «avvenga nel rispetto del modulo procedimentale e dei criteri fissati dalla legislazione stessa, motivando la scelta compiuta in modo da garantire la controllabilita' della discrezionalita' esercitata nelle sedi giurisdizionali (sentenza n. 173 del 2017 nonche' in termini piu' generali sentenza n. 85 del 2013)» (sentenza 28 febbraio 2019, n. 28, punto 2.3 del considerata in diritto).

La norma impugnata introduce una modifica del procedimento che ne appesantisce la struttura oltre ad introdurre una differente disciplina della fattispecie nel territorio nazionale, mentre e' obiettivo del legislatore statale in ambito procedimentale evitare la differenziazione dei procedimenti.

L'art. 12 citato viola, pertanto, gli articoli 3, 97 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, in riferimento ai parametri statali interposti dianzi citati.

6. L'art. 13, commi 1 e 3, della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 citata viola gli articoli 41 e 117, commi 1 e 3, della Costituzione in relazione all'art. 12, commi 4 e 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, e le linee guida di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010.

6.1. L'art. 13, recante «Modifiche all'art. 11 della legge regionale 26 aprile 2012, n. 8» al comma 1 dispone che:   «1. Il comma 2 dall'art. 11 della legge regionale 26 aprile 2012, n. 8, e' sostituito dal seguente:   "2. La disposizione di cui al comma 1, lettera b) si applica a condizione che l'istanza di autorizzazione soggetta a PAS rispetti i limiti e le condizioni stabiliti dall'art. 6."».

Dalla complessiva lettura della norma, come modificata, ne deriva la previsione di ulteriori condizioni per l'autorizzazione degli impianti a fonti rinnovabili di potenza nominale non superiore a 200 kW perche' gli stessi non concorrano al raggiungimento delle potenze installabili di cui alla parte III, paragrafo 1.2.3, tabella 1-4 del P.I.E.A.R.

Le ulteriori condizioni, attraverso una serie di rinvii ad altre disposizioni, sono indicate all'art. 32 della legge regionale n. 38 del 2018 (che ha modificato l'art. 6 della legge regionale n. 8/2012 citata). Tale disposizione va letta in relazione a quanto disposto al comma 3 che prevede: «Nelle more della adozione della nuova pianificazione energetica ambientale della regione, ai fini del rilascio delle autorizzazioni di cui all'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 i limiti massimi della produzione di energia da fonte rinnovabile stabiliti dalla tab. 1-4 del vigente P.I.E.A.R. approvato con legge regionale n. 1 del 19 gennaio 2010 sono aumentati per singola fonte rinnovabile in misura non superiore a due volte l'obiettivo stabilito per la fonte eolica e per la fonte solare di conversione fotovoltaica e termodinamica e in misura non superiore a 1,5 volte gli obiettivi stabiliti per le altre fonti rinnovabili in essa previste.».

L'applicazione della richiamata normativa diminuisce il numero degli impianti da calcolare per verificare il rispetto dei limiti di potenza elettrica installabile in relazione alle diverse tipologie di fonte rinnovabile (comma 1) e, in via transitoria, stabilisce l'aumento della potenza installabile, differenziato sempre in base alla tipologia di fonte rinnovabile (comma 3).

In particolare, per quanto concerne il comma 1, il rinvio alle condizioni di cui al citato art. 32 della legge regionale n. 38 del 2018, che abroga e sostituisce l'art. 6 della legge regionale n. 8 del 26 aprile 2012, comporta che siano ribadite le censure di incostituzionalita' dello stesso art. 32, gia' impugnato dal Governo (ricorso R.R. 7/2019).

L'art. 32 della legge regionale n. 38/2018 citato, infatti, ha previsto una distanza minima tra un impianto FER - Fonti di energia rinnovabili, e un altro, non prevista in alcuna norma di rango statale e, quindi, in contrasto con l'art. 117, comma 3, della Costituzione, in relazione alla materia oggetto di potesta' legislativa concorrente «Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», con riferimento al parametro interposto statale costituito dall'art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'», e con il paragrafo 1.2 e 17.1 delle discendenti linee guida nazionali approvate con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), recanti specifici indirizzi in merito alla individuazione delle aree non idonee.

Lo stesso art. 32, nel prevedere quale ulteriore condizione per l'istallazione degli impianti la «disponibilita' di un suolo la cui estensione sia pari o superiore a tre volte la superficie del generatore fotovoltaico, sul quale non potra' essere realizzato altro impianto di produzione di energia da qualunque tipo di fonte rinnovabile», contrasta con l'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, citato che, per l'autorizzazione unica, cioe', per un regime abilitativo piu' complesso prevede al comma 4-bis «la disponibilita' del suolo su cui realizzare l'impianto».

Cio' comporta la violazione di un principio fondamentale della materia della massima diffusione degli impianti, con un aggravamento ingiustificato degli oneri a carico dell'operatore anche sotto il profilo del divieto di altre iniziative nell'area, per contrasto con l'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003, e del paragrafo 1.2 delle linee guida nazionali per l'autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile (decreto ministeriale 10 settembre 2010) che rinvia al paragrafo 17 per le modalita' di individuazione delle aree non idonee, rilevandosi, altresi', il contrasto con l'art. 41 della Costituzione sulla liberta' di iniziativa economica privata e dell'art. 117, comma primo, della Costituzione (cfr. art. 1 del decreto legislativo n. 79/1999 che sancisce, in attuazione della direttiva 96/92/CE, la liberalizzazione del mercato elettrico, ivi compresa dell'attivita' di produzione di energia elettrica).

6.2. L'art. 13, comma 3, aggiunge il comma 7 all'art. 11 della legge regionale n. 8/2012 citata, disponendo che «Nelle more della adozione della nuova pianificazione energetica ambientale della regione, ai fini del rilascio delle autorizzazioni di cui all'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 i limiti massimi della produzione di energia da fonte rinnovabile stabiliti dalla tab. 1-4 del vigente P.I.E.A.R. approvato con legge regionale n. 1 del 19 gennaio 2010 sono aumentati per singola fonte rinnovabile in misura non superiore a due volte l'obiettivo stabilito per la fonte eolica e per la fonte solare di conversione fotovoltaica e termodinamica e in misura non superiore a 1,5 volte gli obiettivi stabiliti per le altre fonti rinnovabili in essa previste».

La norma esula, quindi, dalla competenza della regione. L'art. 1, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, citato dispone che la produzione di energia elettrica (da qualunque fonte) e' attivita' libera e non e' pertanto condizionata dall'entita' dei consumi in ambito regionale. Le linee guida statali, in coerenza con tale principio, prevedono che l'eventuale superamento di limitazioni programmatiche contenute nel Piano energetico regionale o delle quote minime di incremento dell'energia elettrica da FER non preclude comunque l'avvio e la conclusione favorevole del procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica (paragrafo 14.5). Il riferimento alle quote minime di incremento di energia da FER e' stato introdotto nelle linee guida in relazione all'obiettivo nazionale del 17% di consumo finale lordo da FER al 2020, stabilito dalla direttiva europea 2009/28/CE sulla promozione delle fonti rinnovabili.

In base al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, e' stato emanato il decreto ministeriale 15 marzo 2012 (cosiddetto Burden Sharing), che ha ripartito detto obiettivo fra le regioni, in considerazione del loro potenziale tecnico-economico e delle disponibilita' di risorse energetiche locali. Le regioni perseguono i rispettivi obiettivi con l'utilizzo di FER ed interventi di efficienza energetica, la cui combinazione e' rimessa alla loro discrezionalita'. Sebbene la Regione Basilicata sia in linea con la traiettoria intermedia degli obiettivi fissati dal Burden Sharing, la fissazione di tetti di produzione di energia elettrica non deve in ogni caso rappresentare un ostacolo o la compressione della liberta' di iniziativa economica in materia di produzione di energia elettrica di cui al citato art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 79/1999, che e' di derivazione comunitaria (direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica).

I predetti limiti massimi di produzione per le singole fonti, che le regioni possono fissare, non possono inibire l'avvio e la conclusione favorevole del procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica o di altri titoli abilitativi la cui procedura e' scandita da termini perentori.

Il decreto legislativo n. 387/2003 citato, recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione della energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel mercato interno», all'art. 12 detta una specifica disciplina per la razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzatorie che costituisce principio fondamentale della materia (sentenze n. 364 del 2006; n. 282 del 2009; e n. 124 del 2010) e che riserva la disciplina del procedimento autorizzatorio alla competenza legislativa statale a mente dell'art. 117, comma 3, della Costituzione. L'art. 12 citato al comma 4 prevede il termine di perentorio di novanta giorni per la conclusione del procedimento.

In tale contesto e' illegittima, perche' invasiva della competenza legislativa statale, la previsione che consente alle regione di introdurre una moratoria ad libitum in violazione del predetto termine perentorio per la conclusione del procedimento di autorizzazione.

Si ritiene violato anche l'art. 117, comma 1, della Costituzione, che impone la conformita' della legislazione regionale all'ordinamento comunitario e agli obblighi internazionali, tra cui si segnalano, in particolare, quelli assunti dall'Italia e conseguenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ratificato con legge 18 giugno 2002, n. 120, cosiddetto Protocollo di Kyoto.

E' noto, infatti, il favor accordato alle fonti rinnovabili dagli accordi internazionali e dalle direttive comunitarie in materia (direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE, attuate nell'ordinamento italiano, rispettivamente, con i citati decreto legislativo n. 387/2003 e n. 28/2011).

Si ricorda che con direttiva 2018/2001 dell'11 dicembre 2018 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili sono stati posti nuovi e piu' sfidanti obiettivi al 2030 e che l'Italia, con la proposta del Piano per l'energia e il clima (inviata alla Commissione europea a fine dicembre 2018), si e' impegnata a raggiungere il 30% dei consumi di energia da fonte rinnovabile sul totale dei consumi energetici.

La norma impugnata viola, pertanto, l'art. 117, commi 1 e 3, della Costituzione.

7. L'art. 27 della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 citata viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione.

L'art. 27 (in origine art. 28, poi cosi' rinumerato a seguito dell'avviso di rettifica pubblicato nel BUR regionale n. 14 del 21 marzo 2019), recante «Strutture socio sanitarie», dispone che «Al fine di garantire la continuita' dei servizi sociali e socio-sanitari essenziali, nelle more del perfezionamento dell'iter procedurale in materia di autorizzazione di cui alla D.G.R. n. 424 del 17 maggio 2018 le aziende sanitarie locali ed i comuni sono autorizzati a proseguire i contratti in corso con i gestori delle strutture socio-sanitarie e dei servizi socio-assistenziali, socio-educativi e socio-sanitari, gia' in possesso di autorizzazione, anche provvisoria, sulla base della normativa previgente».

La norma regionale autorizza la prosecuzione dei contratti gia' in essere con i gestori delle strutture socio-sanitarie e dei servizi socio-assistenziali, socio-educativi e socio-sanitari gia' autorizzate, nelle more del perfezionamento dell'iter procedurale in materia di autorizzazione di cui alla D.G.R. n. 424 del 17 maggio 2018. non subordinandola all'accreditamento istituzionale di cui all'art. 8-quater del decreto legislativo n. 502/1992 e successive modificazioni ed integrazioni.

Il rapporto di accreditamento si pone quale istituto intermedio tra la concessione e l'abilitazione tecnica nell'ambito del servizio pubblico essenziale che obbedisce non gia' a criteri di mercato, ma a necessita' di pubblico interesse, quali l'erogazione di prestazioni sanitarie o assistenziali.

Tale rapporto impone al privato abilitato specifici obblighi di leale collaborazione. La norma regionale censurata esonerando la prosecuzione dei rapporti in essere all'accreditamento professionale eccede dalla competenza concorrente della regione in materia di tutela della salute.

Il detto accreditamento e' condizione necessaria per poter stipulare gli accordi contrattuali previsti dall'art. 8-quinquies del medesimo decreto e, dunque, anche per consentirne la proroga, dovendosi ricordare che il decreto legislativo n. 502/1992 e successive modificazioni ed integrazioni detta principi fondamentali in materia di tutela della salute nell'alveo dei quali deve svolgersi la potesta' legislativa della regione come esplicitamente previsto dall'art. 19, comma 1, il quale stabilisce che «Le disposizioni del presente decreto costituiscono principio fondamentale ai sensi dell'art. 117 della Costituzione».

E', del resto, principio affermato che «la competenza regionale in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private debba senz'altro essere inquadrata nella piu' generale potesta' legislativa concorrente in materia di tutela della salute, che vincola le regioni al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato (sentenze n. 134 del 2006 e n. 200 del 2005)» (sentenza n. 292 del 2012 e, nello stesso senso, sentenza n. 260 del 2012). Ne consegue che, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., le scelte del legislatore regionale devono svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato (sentenze n. 162 del 2004 e n. 282 del 2002, ordinanza n. 323 del 2010) (sentenza n. 59 del 2015, punto 2.2 del considerato in diritto).

La norma regionale, pertanto, si pone in contrasto con le norme del decreto legislativo n. 502/1992 e successive modificazioni ed integrazioni, e viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione.

 

P.Q.M.

 

Per i suesposti motivi si conclude perche' gli articoli 2, comma 7; 5, 8, 9, 10, 12, 13 commi 1 e 3; e 27 della legge regionale Basilicata n. 4 del 13 marzo 2019 indicata in epigrafe siano dichiarati costituzionalmente illegittimi.

Si produce l'attestazione della deliberazione del Consiglio dei ministri in data 8 maggio 2019.

Roma 13 maggio 2019     Il Vice Avvocato Generale dello Stato: Palmieri